13.9.12

Letture estive. Prima puntata


Lo so, c'è ancora una serie di risposte di Salomon Xeno nell'ambito del Liebster Award alle quali tocca rispondere, ma non posso rimandare oltre. Le risposte a SX - ed eventualmente a chi sarà tanto impetuoso da tirarmi di nuovo in ballo - sarò ben contento di postarle al prossimo giro. 
Non è che abbia fretta né che ritenga particolarmente significativo raccontare come ho impiegato parte del mio tempo nell'estate ormai semidefunta, ma mettere un punto fermo alle mie letture e provare a riflettere sulle mie scelte mi sembra piuttosto importante. Per me, ovviamente, ma forse non solo.  Sarà necessario un paio di post o forse di più per esaurire i libri letti. Per il momento partiamo con la prima puntata.
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Prima di tutto, comunque, libererò il campo da un paio di minuzie. Non si tratta di recensioni, innanzi tutto, ma semplicemente di sensazioni e brevissimi rapporti. Le recensioni - più o meno belle e complete - le scrivo per la rivista con la quale collaboro, LN-LibriNuovi Out-of-print. Le riflessioni disordinate che presento qui sono uno stadio precedente e non obbligato alla stesura di una vera e propria recensione. In secondo luogo le mie impressioni non riguardano libri attuali o regolarmente in commercio. La mia attuale condizione di ex-libraio mi rende, da un certo punto di vista, molto libero di procurarmi le mie letture dove capita e non necessariamente in libreria. Tutto ciò detto, posso iniziare. 



Comincerò con un quintetto di romanzi non in commercio e per me assolutamente anonimi, ma che ho letto in qualità di giurato per il concorso di Alga. Il mio giudizio in forma di voto l'ho già dato e non mi sembra serio né opportuno presentarlo qui. 
Un pochino più interessante riflettere un attimo sul loro valore in quanto testimonianza di una narratività diffusa sotto il livello della visibilità. E qui il problema si fa davvero complesso. Dei cinque romanzi, due erano pressoché illeggibili per gravi limiti nell'organizzazione del testo. Nel primo quasi ogni evento veniva raccontato a posteriori in forma di discorso indiretto: «E così F scoprì che Z era un agente di X e decise di eliminarlo, anche se si rendeva conto che... così lo attese ai piedi delle scale e...», interessante quanto un documentario anni '50 girato al rallentatore; il secondo per una rabbia sintetica diffusa lungo l'intero testo, tanto attentamente condotta da cancellare completamente il piacere della lettura. Questo senza contare la costante e pressante presenza del ricatto ideologico: «Se non sei d'accordo con queste righe è perché sei un porco maschilista, stupratore e sessualmente miserabile». Ho finito il romanzo scoprendo l'abilità problematica dell'autore (in forma impersonale) che nelle ultime dieci pagine rovescia il gioco condotto fino a quel momento, presentando la femmina oppressa e vicina alla follia in forma di assassina seriale. Ho provato il desiderio catartico di far volare il volume dalla finestra, ma mi sono trattenuto dal momento che ho condotto la lettura su un e-reader. «Abilità problematica» è il minimo che si possa dire un testo condotto come la sceneggiatura di un CSI particolarmente fuori di testa, con la protagonista-vittima che alla fine si presenta in forma di omicida. Come minimo si potrebbe obiettare che c'è una profonda incoerenza nella descrizione del personaggio, ma sospetto che questo fosse, secondo l'autore, un pregio del suo romanzo. In sostanza illeggibile, ma ahimé soltanto a posteriori. 
Altrettanto illeggibile anche se per motivi diversi un romanzo di sf, sottogenere distopia. Del romanzo non parlerò, anche perché si tratta del solito testo dove un popolo oppresso da un futuribile potere oscuro e malefico non riesce a sollevare la testa, ma soltanto per ricordare che il romanzo, ambientato nel 5000 e passa d.c. inizia con il protagonista che si alza dal un letto e si fa un caffé, più o meno come il sottoscritto nel 2012 d.c. Curioso, non è vero, come chi ambienta un romanzo nel futuro non riesca nemmeno a ricordarsi come suo nonno, meno di un secolo fa, conduceva una vita molto diversa dalla sua. E pensare che sarebbe bastato non scrivere in mezzo alla pagina, grassetto, corpo 18: anno 5.372. Non che questo avrebbe migliorato granché il romanzo, ma perlomeno non l'avrebbe reso ridicolo. 
Gli ultimi due romanzi erano leggibili con gusto e non senza una punta di divertimento e in qualche momento persino con un'inizio di passione. Solo che... No, non è che sto facendo il rompipippe a gogò, né che il mio SuperIo mi abbia preso la mano, ma tutti e due, seppure in modo diverso, sono risultati alla fin fine deludenti. Il primo, un giallo ambientato nella provincia italiana fine '800 - inizio '900, conduce egregiamente la vicenda per un centinaio di pagine tranne poi crollare malamente nel finale. Personalmente non scrivo gialli ma immagino che non si possa scrivere un centinaio di pagine senza creare ombre, avanzare sospetti, mettere a fuoco comportamenti equivoci. Scegliere di ignorare la struttura profonda del poliziesco per tratteggiare bozzetti anche dotati di un certo gusto risulta un autogol quando il lettore comincia a sbuffare chiedendosi: «Sì, carino, va bene, ma te lo ricordi che c'è un morto stecchito e un assassino a spasso?»
La conclusione consegna sì alla giustizia un colpevole, anzi quasi due, ma lascia un po' delusi  e un po' irritati per aver preso il libro nel verso sbagliato. Personalmente avrei organizzato il testo molto diversamente, magari eliminando il presunto «mistero», presentando la soluzione molto presto, in modo da potermi dedicare senza patemi d'animo al racconto della vita di provincia nell'Italietta dell'epoca. Così, senza voler scegliere tra Marco Malvaldi e Leonardo Sciascia, si rischia il corto circuito. 



Ultimo, un ottimo romanzo... fino a pagina 50. Dopodiché il buio. 
Abbiamo tutti in mente, credo, l'auto-romanzo, ovvero il romanzo dove l'autore e le parole giocano in primo piano, direttamente. Dove l'autore scrive «Era una notte buia e tempestosa» e un attimo dopo scrive: «Oltretutto mi è anche andata via la luce». O dove scrive: «Non avrebbe voluto uscire quella sera di neve e freddo», salvo aggiungere, «se non fosse che, essendo il personaggio di un romanzo, non rischiava nemmeno un raffreddore». Un genere di romanzo dove il testo è letteralmente il «gioco» di chi scrive e non c'è parola che non si presti ad essere rivoltata e giocata contro o favore del protagonista - a questo punto un comprimario - o il lettore. Un gioco raffinato, complesso e non facile, dove la sorpresa e il metatesto giocano da protagonisti. E l'autore di questo romanzo - autorappresentandosi in un protagonista comicamente vile e confuso - riesce a «giocare» nel primo lungo episodio per poi scomparire bruscamente dal testo, lasciandoci in balia di giochi di parole piuttosto ovvi e lunghissime, interminabili arrampicate sugli specchi. Una grossa delusione, innegabilmente, probabilmente dovuta alla necessità autoriale di aggiungere pagine su pagine alla piccola ma breve gemma, pur di raggiungere dimensioni ragionevoli.
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Cinque romanzi letti e nessuno promosso. 
Ohibò, ma chi c... ti credi di essere? 
Beh, non sono il solo lettore e posso immaginare senza difficoltà che ad altri uno o tutti e due gli ultimo romanzi presentati siano piaciuti tanto da promuoverli. Io non mi opporrò. Basta dare una scorsa agli ultimi titoli presentati dai grandi editori per rendersi conto che c'è di moooolto peggio. 
Tuttavia una debole sensazione di allarme non mi vuole abbandonare. Se questo è il genere di narrativa che viaggia sotto il pelo di una (relativa) notorietà, c'è motivo di preoccuparsi. Per il livello della lingua, in più occasioni maltrattata a un livello da traduttorese maldigerito o elevata a protagonista, ma declinata in forme sottilmente irridenti o desuete. E per l'organizzazione del testo, il più delle volte massacrato da una concezione troppo "personale" del romanzo, dove viene richiesta al lettore un'attenzione eccessiva, da autocaricatura da vignetta del lettore-tipo. 


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Ultimissimo spazio per un romanzo che non ho letto. 
«E che cosa ne parli a fare?»
Ecco, una volta detto di che cosa si tratta capirete il perché di questa non-lettura. 
Il romanzo in oggetto è il celeberrimo Cinquanta sfumature di grigio, autore E.L. James, primo volume dell'ancor più celeberrima trilogia. Del romanzo, in versione elettronica e procurato in maniera non del tutto legale, ho letto le prime 5 pagine all'inizio, le ultime 10 pagine alla fine e un po' di pagine qua e là. Quale ne sia stata la sensazione lo avrete immagino già capito. Sono un maschio fin troppo adulto e non ho nessuna prevenzione alla lettura di romanzi erotici. In vita mia ho già letto Justine di D.A.F. De Sade, Histoire d'O di Pauline Reage - veri capolavori letterari al confronto della minestrina adulterata di E.L. James - oltre a un certo numero di altri romanzi a metà tra l'erotico e il semplice pornografico, recensendoli, ovviamente sotto pseudonimo, per una rivista letteraria. Ecco, le famose 50 sfumature mi è semplicemente parso un elefantiaco romanzetto «rosa» scritto senza genio né fantasia e per giunta steso maluccio, come se l'editing fosse un'optional o un'oscura pratica magica. Indimenticabile la frase: 

«Mi viene la pelle d’oca, ogni singolo follicolo del mio corpo si mette in allerta e il mondo mi scivola via da sotto i piedi, lasciando un immenso abisso spalancato in cui posso solo precipitare.»

Ditelo: avete sempre sognato di scrivere «ogni singolo follicolo», ma non avete osato pensando che l'editor ve l'avrebbe cassato. Ecco, adesso, dopo E.L. James potrete finalmente regalare un sentimento anche ai vostri annessi cutanei e persino alle vostre interiora. 
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L'ho già scritto e lo riscrivo, nel caso fosse passato inosservato. La pubblicazione con tanto risalto e tale battage pubblicitario della trilogia di E.L. James è la dimostrazione palese della profondissima crisi dell'editoria contemporanea, ridotta a pubblicare un collezione Harmony fuori misura con una puntina di erotismo seriale da catalogo commerciale BDSM, nella speranza di accalappiare le lettrici, l'ultimo bastione dell'editoria libraria.  Le lettrici l'hanno comprato, per carità, ma sarà difficile intortarle un'altra volta...

Alla prossima!


P.S.: tengo a chiarire che non ho nulla contro i romanzi "rosa". Ne ho letti diversi all'età di 14-15 anni. Erano di proprietà della mamma e non avevo nient'altro da leggere sotto mano. E di qualcuno sono tuttora in grado di raccontare trama e intreccio, oltre ad avere un'apparente inspiegabile simpatia per alcune autrici anni '50.

6 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Come avrebbe detto il Riccardo Pazzaglia di arboriana memoria:
"Il livello è basso"...riferendosi naturalmente ai libri.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: la qualità dei libri che esistono in commercio determina al 90% la qualità dei libri scritti e immaginati. Su questo, purtroppo, temo ci sia poco da dire e da fare.

Argonauta Xeno ha detto...

Certo, a vedere il successo di opere come le Sfumature, un aspirante autore (o autrice) potrebbe pensare di prenderle come esempio. Quello che uno si trova davanti in libreria (o in biblioteca, o in casa) influisce su ciò che poi andrà a scrivere. Pensa che ho di recente scoperto che c'è chi scrive ma non legge, se ne parlava da qualche parte nella blogosfera. Non so, ma quel CSI con vittima che si rivela maniaca omicida mi ricorda una puntata di telefilm, piuttosto che un libro.

Massimo Citi ha detto...

@SX: indiscutibilmente i libri come 50 Shades finiscono per influire sui lettori e sugli aspiranti scrittori, particolarmente quelli che pianificano una carriera nel settore. Ma questo genere di opere non suscitano vere passioni. Il che può anche essere un vantaggio, da un certo punto di vista :( Notoriamente gli editori odiano gli scrittori appassionati.
Chi scrive ma non legge... beh, ho conosciuto una poetessa che non aveva mai letto altri poeti per non "inquinarsi" la vena. Fortunatamente per il mondo non ho saputo di un suo successo letterario. Comunque, ripensando ai pianificatori di carriere letterarie non mi sembra nemmeno troppo assurdo. Quanto a CSI, credo che abbia ispirato una quantità spaventevole di autori, dilettanti ma anche professionisti. Con esiti talvolta inimmaginabili.

S_3ves ha detto...

Da "consumatrice" curiosa (ma non fanatica) di thriller seriali come CSI, Law & Order, Cold cases, The closer ecc. mi interessa molto la loro influenza sul modo di pensare e di scrivere degli spettatori. Sono prodotti molto professionali, costruiti con abilità, che rispettano le leggi del "genere"; magari sono poco probabili, però l'insieme dei personaggi è tratteggiato in maniera non troppo scontata (es. se compaiono neri o portoricani come colpevoli i loro motivi sono seri, economici, di ambiente, spesso emergono problematiche sui diritti umani), le "diversità" vengono rappresentate senza scivoloni di cattivo gusto e stereotipie. A guardarli con attenzione e distacco spesso ci si accorge che alcuni sceneggiatori approfittano delle trame per dire la loro su argomenti anche "alti", come il concetto di Giustizia di uno Stato (ad ogni costo o tenendo conto che i colpevoli sono umani) o la differenza di comportamento tra un avvocato della difesa (il cliente ha sempre ragione) e quello dell'accusa (niente trucchi per vincere).
Purtroppo molte volte chi si ispira a questo tipo di telefilm per scrivere storie, invece, si attiene semplicemente alla forma: azione veloce, sorpresa finale, situazioni sorprendenti.

Massimo Citi ha detto...

@S_3ves: il motivo dell'evidente differenza di qualità nell'intreccio e nel disegno dei personaggi può essere che a sceneggiare CSI ecc. ci sono dozzine di collaboratori mentre nel caso dei testi autoprodotti c'è soltanto l'autore, in genere senza editor o collaboratori. Poi esiste certamente il desiderio di "imitare" e la scarsa competenza in tema di narrazioni.