Klog il Boldhovin e Basso Okme sono ospiti di uno strano personaggio. O forse di diversi personaggi ma di un'unica persona vittima di una curiosa abitudine... |
– Buongiorno,
io sono Basso Okme. – Dichiara Il Corvo. – E questo è il mio
buon amico, Klog il Boldhovin, viandante in questa foresta.
L'uomo
annuisce con un gesto lento ed aggraziato, poi abbassa gli occhiali
sul naso fissandoli con un'espressione indagatrice.
– Io sono Glearmodhe, il sapiente. A cosa devo la vostra
interessante visita?
Klog
guarda senza darlo a vedere Basso Okme ed intercetta un
impercettibile cenno di assenso da parte sua, cosa che lo
tranquillizza.
L'uomo,
di piccola statura, ha un'età sulla cinquantina, una calvizie in
gran parte nascosta da un berretto di velluto blu scuro la cui punta
ricade sulla schiena finendo con un piccola nappa. Indossa un'ampio
veste da camera a disegni grigi e senape drappeggiata su una lunga
camicia di seta bianca ed un paio di ampi pantaloni rossi alla moda
orientale. Al collo, trattenute da catenelle d'oro, ha tre tipi
diversi di lenti d'ingrandimento e gli occhiali sono privi della metà
superiore, come è d'uso per gli studiosi. Nell'insieme l'uomo ispira
un senso di quieta saggezza ed erudizione, una rispettabilità non
priva di ironia ed un grande equilibrio. La sensazione è talmente
forte che Klog si chiede se Basso Okme non abbia voluto giocargli uno
scherzo con tutte quelle stupidaggini sui nomi.
–
Vi prego di entrare nella mia modesta casa. Sono ben lieto di avere
ospiti, è un bene talmente raro in questo luogo.
L'interno
della casa sembra ciò che deve essere, una tranquilla casa di
campagna di uno studioso, dalle pareti chiare coperte per tre quarti
della loro altezza da libri, pergamene, strumenti metallici, pietre
dalle forme o dai colori singolari, scheletri di strani animali ed
altri oggetti che Klog non riesce a distinguere, posti sugli scaffali
più alti.
Glearmodhe
indica loro una ampia panca posta davanti ad un tavolo di legno
scuro, ingombro di libri aperti e chiede:
–
Posso offrirvi un poco di lepre alle erbe? O preferite prosciutto di
cervo? O magari una bella trota con rosmarino, scalogno ed erba
cipollina? O una frittata con lardo e lattuga fresca del mio orto?
Klog
al solo udire il nome di quei cibi si illumina ed annuisce
vigorosamente.
–
Quello che deciderà il nostro cortese ospite. – Riesce a dire.
–
Io non posso apprezzare tanta bontà, purtroppo. Ma sarò ben lieto
di assistere ad una simile imbandigione e partecipare alla bella
conversazione che ne seguirà.
–
Allora, con il vostro permesso. – Glearmodhe si inchina leggermente
arretrando verso una porta semiaperta. – Vado a dare le necessarie
istruzioni alla servitù.
Con
un gesto che gli pare singolarmente elegante, soprattutto provenendo
da lui, Klog saluta il sapiente che esce e si volta verso il corvo.
–
Mi hai raccontato un sacco di frottole, eh?
–
No. Hai sentito il suo nome, no?
–
E cosa c'entra il suo nome?
–
Ecco, una persona di nome Glearmodhe deve essere per forza così:
colta e raffinata. Deve vivere ritirata ma senza albagia né
disprezzo, deve coltivare la propria cultura, ma senza ostentazione e
conservando una certa ironia e la capacità di ben conversare. Deve
saper offrire e gustare squisiti cibi, buone musiche e ottimi vini.
Deve sapere un poco di ogni cosa, senza troppo curarsi di
approfondirla eccessivamente e deve saper comunque, da buon
dilettante, fare commenti acuti ed equilibrati di politica, zoologia,
teoria magica, religione, antiche lettere…
–
Scusa, Basso Okme, ma se il suo nome fosse stato, per dire Fruillane?
– Lo interrompe Klog.
–
Fruillane…Mmmhhh. In questo caso temo che avresti incontrato un
individuo fatuo e volubile, dalla cucina e dalla conversazione più
attente a stupire che a rallegrare. Sicuramente sarebbe stato un
collezionista di oggetti inutili ed ingombranti, un bevitore allegro
ma che tende a diventare rissoso, un amante di quelli che guardano
con compiacenza la propria schiena durante la passione più intensa,
un individuo facile all'invidia ed alla maldicenza e…
–
E Graighan? – Insiste il Boldhovin.
–
Una persona dalla fronte bassa e dai pensieri corti, dalle grandi
passioni furenti e cieche e dall'appetito insaziabile. Amante delle
musiche più rumorose ed incapace di ballare. Sbruffone ma poco
avveduto in guerra anche se ama vestire abiti militari…
–
Va bene, va bene, per carità. Ma come fai ad immaginare tutte queste
cose solo con il suono di un nome?
–
Non immagino, caro Klog, ho visto.
Il
Boldhovin stringe le labbra e guarda il corvo con espressione
esasperata. – Quando finirai di prenderti gioco di me?
–
Nulla di più lontano dai miei desideri. Colui che tu conosci come
Glearmodhe ha indossato tutti e due i nomi che tu hai creduto di
inventare ed innumerevoli altri e quando quelli erano i suoi nomi si
è comportato esattamente come ti ho detto, senza che io abbia
inventato nulla di nulla. Ma preparati adesso, sento che la tua cena
sta arrivando.
La
porta dello studio si apre con un allegro cigolio e Glearmodhe il
Sapiente entra reggendo con entrambe le mani un grande vassoio.
–
Dal momento che non hai espresso preferenze ho ritenuto che ti fosse
gradito assaggiare un poco di ognuna delle cose che ti ho menzionato.
– Sorride schiacciando leggermente un occhio. – So che voi
Boldhovin siete un popolo di buone forchette.
Klog
sorride a bocca aperta mostrando i piccoli denti appuntiti ed afferra
le posate. – O grande Signore Glearmodhe voi certo siete il più
generoso degli ospiti in questa metà del mondo!
–
Mangia, Klog, non lasciare che il cibo si raffreddi. Avrai tempo per
i ringraziamenti.
Il
boldhovin non si fa ripetere la raccomandazione ma prima di dare
l'assalto ai piatti ha un attimo di esitazione: – Non mi farete
compagnia mio buon signore? È ben vero che l'appetito non mi manca,
ma pranzare da soli non è una cosa fatta per me, che non sono un re
o un nobile signore che mangia ogni giorno cibi così squisiti in
solitudine, ruminando di future vendette per immaginari torti.
Glearmodhe
ride e si siede al tavolo. – Ho pranzato da poche ore, ma ti farò
ugualmente compagnia, vinto dalla tua splendida arte retorica, così
ben coltivata presso i Boldhovin.
Klog
attacca con il prosciutto di cinghiale affumicato, che è ovviamente
degno di ogni lode, accompagnandolo con uno squisito pane alle olive
e da un vinello rosato frizzante ancora fresco di cantina.
Glearmodhe
lo imita servendosi a sua volta anche se più parcamente.
–
È stata così convincente la tua perorazione, Klog, da farmi
desiderare intensamente di poter mangiare anch'io come voi. –
Commenta il Corvo di legno. – Ma è notorio che le parole dei
Boldhovin possono suscitare emozioni e sensazioni molto intense. Si
dovrà attribuire questa capacità alla loro parentela con le Fate?
Io ritengo sia molto probabile.
Klog,
con la bocca piena si limita ad un breve cenno di assenso, mentre
Glearmodhe interrompe il pasto e si alza dirigendosi verso la
libreria. Afferra un grosso volume dalla rilegatura di pelle scura e
macchiata, lo apre su un leggio, si infila un paio di occhiali e
comincia a scorrerlo confabulando a bassa voce.
Klog
guarda interrogativamente Basso Okme che gli fa un lieve cenno di
intesa e torna a guardare con compunzione il sapiente alle prese con
il grande codice.
–
Ecco! – Esclama ad un certo punto Glearmodhe. – …Certuni
affermano di aver incontrato creature di piccola statura, dalle
labbra nere e dal corto pelo del colore della farina non stacciata.
Ed essi hanno lanciato dardi e frecce urlando frasi in una lingua
sconosciuta, obbligandoli a ricoverarsi in una caverna. Tali
viaggiatori affermano che tali creature sono il frutto
dell'accoppiamento delle Gwellyniuin o Fate dei Boschi e dei Silvani,
anche noti come Erbani. Questi uomini affermano di aver assistito ad
uno di tali accoppiamenti ed hanno visto alcune Gwellyniuin in
compagnia di piccoli di tale razza, con i quali si tenevano in tutto
e per tutto come madri premurose e tenere, anche più di quanto
facciano molti di coloro tra gli uomini che godono della benedizione
della fecondità… E così via. Questi antichi libri sono così
pedantemente saggi… – Glearmodhe chiude il volume con cautela e
torna al suo posto a tavola, servendosi di un cosciotto di lepre alle
erbe.
–
Posso domandarvi, Signore Glearmodhe, chi ha scritto quel volume così
vetusto? – Domanda Basso Okme.
–
Si tratta di una cronaca scritta da Hagmer Elluan di Chaikin circa
settecento anni fa e riporta la prima testimonianza dell'esistenza
dei Boldhovin, un volume che mi lusinga molto possedere. Ma ora
vorrei sentire l'opinione in merito di un vero esponente di tale
razza.
Klog
vorrebbe continuare a mangiare e far finta di non aver sentito, ma
dal momento che questo gli è impossibile sorride cortesemente e
depone il boccale ormai vuoto.
–
Con tutto il rispetto, signore, non credo che quel volume ci faccia
del tutto giustizia. Fin da quando sono un moccioso pelosetto mi
sento dire dagli uomini che sono figlio di un selvatico o erbano, ma
mia madre, la Fata Armelinda, quando gli ho chiesto notizie in merito
ha riso ed ha detto: «Lascia che gli uomini credano quello che
preferiscono credere. Tale è la loro natura, fatte poche eccezioni,
di creature prive di fascino e di immaginazione, pesanti, miopi e
lamentose. La loro madre è la terra umida, non dimenticarlo, caro
Klog, la nostra è l'aria e l'erba.»
Mentre
parla il Boldhovin spia le reazioni di Glearmodhe, pronto a
concludere il suo discorsetto con una sperticata lode della Cronaca
di Hagmer Vattelapesca e del suo preclaro possessore, ma il padrone
di casa non sembra adombrarsi delle sue parole.
–
E così stando le cose, per quanto mi riguarda, devo ritenere che i
viaggiatori di cui si parla in quel libro siano stati perlomeno poco
attenti, pur avendo spiato gli amori di una fata, cosa assai poco
corretta. – Conclude il Boldhovin.
Basso
Okme ride emettendo una profonda nota legnosa mentre Glearmodhe,
pensieroso, si riempie il boccale di vino.
–
Mio caro Klog, sei in grado allora di dare una spiegazione
dell'esistenza di voi Boldhovin? Secondo Jeddan il Monaco il vostro
popolo è figlio degli alberi illuminati dalla luna piena dopo un
notte di pioggia mentre Fowferred di Gallidia ritiene che siate il
frutto della Terza creazione, opera del Dio Perduto e Dimenticato,
allora?
Una
nota di irritazione, appena velata dalla cortesia dei modi, ha fatto
capolino nella voce di Glearmodhe e Klog, sensibilissimo come tutti i
membri della sua razza, guarda con rimpianto le pietanze che non ha
ancora assaggiato, chiedendosi come riuscire a raddrizzare la
situazione. – Non ho certo intenzione di questionare con tanta
saggezza, gentile Signore Glearmodhe, ma…
–
E allora? Da cosa nascete? Dal fuoco di legna bagnato di resina?
Dalla schiuma dei torrenti primaverili? Dal fango ai piedi dei pini
più antichi? – Il tono di Glearmodhe si è fatto aspro, quasi
villano e Klog si affretta a trangugiare un grosso boccone di
frittata prima di essere, come è divenuto probabile, messo alla
porta.
Basso
Okme non sembra volergli venire in aiuto, apparentemente occupato
solo a fissare gli strani oggetti posati sulle mensole più alte.
–
Mi dispiace, Signore, che le mie frasi vi abbiano offeso. Ma per
rispetto della verità…
–
Ma quale verità, non esiste verità! – Urla il Sapiente
Glearmodhe, con il viso congestionato ed alzatosi di scatto in piedi
esce dalla stanza di corsa, sbattendosi la porta alle spalle.
–
Cosa gli è preso? – Chiede a voce bassissima il Boldhovin al Corvo
di Legno, rimasto impassibile ad osservare il bizzarro comportamento
del sapiente.
–
Un po' di…Instabilità, diciamo. Attendi con calma, ora. Il peggio
che può accaderci è essere scacciati, ragion per cui ti suggerisco
di riempire la borsa di cibo per i prossimi pasti.
Klog
annuisce e comincia a stivare nella borsa la frittata, la lepre, il
prosciutto e tutto quanto gli capita a tiro, assolutamente convinto
della saggezza del consiglio del Corvo.
Quando
la porta si apre nuovamente il Boldhovin ha appena terminato di
sistemarvi un paio di belle arance, un cibo raro al nord ed ha appena
il tempo di chiudere la borsa e prendere un'aria educatamente
incuriosita prima che il padrone di casa sia entrato.
–
Buongiorno, io sono Gaetther l'Indagatore e voi chi siete?
Basso
Okme si alza in piedi con un lieve inchino e fa le presentazioni, con
una cautela formale del tutto nuova. Gaetther li guarda con
attenzione ed una punta di sospetto.
–
Posso chiedervi perché vi trovate nell'abitazione di Glearmodhe e
state nutrendovi del suo cibo?
–
Glearmodhe ha dovuto abbandonarci per un impegno improvviso, ma fino
ad un attimo fa egli era con noi, mangiando in nostra compagnia e
pregiandoci della sua conversazione.
L'uomo
si accarezza il mento senza perderli di vista, guarda Klog con aperta
antipatia e prende a percorrere la stanza a grandi passi impazienti.
– Le scelte di Glearmodhe non sono affare mio, sia chiaro, ma sono
costretto a notare che esse sono veramente singolari se lo portano ad
ospitare creature di incerta natura come voi. Spero che non sia
vostra intenzione sostare qui per attendere il suo ritorno.
–
Infatti non era nostra intenzione farlo. – Puntualizza Klog, che ha
ritrovato la parola dopo qualche secondo di stupore. L'individuo che
hanno di fronte, magro, con le labbra sottili e pallide, i modi
vivaci e sgradevoli, la voce nervosa e acuta, il naso quasi
inesistente, gli abiti di un colore e di una foggia studiatamente
inespressivi, non ha nulla in comune con l'uomo che li ha accolti.
–
Meglio così. Tornerò qui tra un giro della clessidra e se vi trovo
ancora seduti a questa tavola…– Gaetther non termina la frase,
preferendo limitarsi a guardarli con freddezza, ed esce.
–
Ma cosa è successo? – Chiede Klog dopo qualche minuto, quando la
casa è scomparsa dietro gli alberi alle loro spalle.
Basso
Okme sorride. – Quando gli è stato impossibile rimanere il fine e
cortese Glearmodhe il nostro ospite è divenuto il freddo ed odioso
Gaetther, tutto qui.
–
Ma quell'uomo è un folle, in buona sostanza, Basso Okme, anche se
devo riconoscere il suo talento soprannaturale nel travestirsi.
–
Non più folle di tanti che si impongono una condotta falsa per
apparire agli altri ed a se stessi ciò che non sono. Questo
esercizio finisce per ottunderli e per fare di loro la sola apparenza
che indossano, come maschere vuote. Glearmodhe-Gaetther è a suo modo
un uomo onesto: quando non riesce ad essere fino in fondo ciò che
desidera essere si tramuta in un altro, così conservando la sua
sostanza umana. In questo modo riesce ad essere equo ed iniquo,
cortese e sgarbato, appassionato e freddo, loquace e taciturno come
tutte le creature sono in momenti diversi, senza perdere il rispetto
per se stesso.
Klog
scuote il capo con convinzione. – Ma deve costargli caro questo
esercizio. Perdere la memoria a comando, dimenticare ciò che
ciascuno degli altri sé conosce… E poi reggere queste infinite
recite non è gravoso come una condanna? Non è preferibile vivere
beatamente senza imporsi nessuna condotta, nessun regolamento?
–
Questo può essere appropriato per i Boldhovin, ma gli umani sono
stupidamente orgogliosi e superbi e si preoccupano molto delle
apparenze. Il loro cervello è diviso in due ed una parte può
giudicare l'altra e condannarla. Essi non sono mai davvero soli con
loro stessi, non possono semplicemente vivere, semplicemente
guardare. C'è solo un'età in cui essi possono lasciarsi vivere ed è
l'infanzia, ma essa termina presto e ad essa segue l'infelicità che
essi portano ovunque nel mondo. Il nostro ospite è un uomo insieme
saggio e disperato, che non nasconde a se stesso la propria natura
volubile ed incompleta. Incontrarlo per me è sempre una esperienza
meritevole di riflessione, anche se non so cosa potrò mai farmene di
tanta saggezza. Ma non ha importanza, l'esperienza è un premio a se
stessa e tanto mi basta.
–
Bah, io gli umani li ho sempre trovati assurdi, ma in fondo hai
ragione: questo ha, se non altro, il pregio della sincerità. Ma ora
pensiamo a noi, anzi a me. Dove potrò passare la notte, che mi
sembra un po' troppo frizzante per essere trascorsa ai piedi di un
albero?
–
Non ti preoccupare, Klog, la soluzione è a portata di mano, per così
dire. Seguimi con fiducia.
Il
boldhovin annuisce silenziosamente ed abbassa la testa per evitare un
ramo che lasciato andare da Basso Okme sferza l'aria sopra la sua
testa.
Intanto
riflette che, dato l'esordio, le esperienze che seguiranno non
saranno meno bizzarre dell'ultima, ma che la presenza sulle sua
spalle di una borsa carica di ottimo cibo è una garanzia sufficiente
ad affrontare l'ignoto. In fondo la sua vita, nelle città degli
umani, non è mai stata né facile né sicura e che rimanere lì gli
dà se non altro la possibilità di ascoltare ancora quella musica.
«Il domani è assicurato, ed il giorno dopo è troppo lontano per
riguardarmi.» Si dice tra sé ed estrae il flauto d'argento dalla
borsa per una suonatina digestiva.
2 commenti:
Dopo una piccola pausa rieccomi a commentare. ;)
Non ti abbandono per nulla.
Nick: e noi contiamo sulla tua presenza!
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