In precedenza: A Klog, il Boldhovin, viene affidata dal Re una missione che ben presto scopre essere soltanto un diversivo che gli sarebbe costata la vita. Colui che l'ha messo sull'avviso è un curiosa creatura: un corvo-contrabbasso di nome Basso Okme che gli racconta un'antica leggenda. Intanto a Casa Oresme Usif-Lizhi, un Notturno amante di Adwina, una donna umana, scopre che dovrà abbandonarla per tentare di salvare il suo popolo.
La
Storia di Kerfilluan il Mago
«Molti,
molti anni fa in questo bosco viveva Kerfilluan, il Mago. Egli, a
differenza di alcuni dei suoi simili e di molti uomini era una
persona che amava la musica. Il suo amore era così intenso che egli
inventò molti nuovi strumenti, purtroppo
ora dimenticati, come l'arpa ad acqua o la Hiolesse dalle sonorità
intense come il canto di una sirena. Ma ciò che affascinava
maggiormente il mago Kerfilluan era il canto degli uccelli all'alba,
così uguale ogni mattina, ma così diverso e variato nella tessitura
e nell'intarsio.
Egli
aveva inventato numerosi congegni per poter incidere e riascoltare il
canto mattutino dei fringuelli, dei ciuffolotti, delle silvie e
persino lo stridio dei corvi, ma quelle registrazioni, anche se
superbe, anche le più belle, rimanevano uguali e immobili, come una
bella farfalla trafitta con uno spillone. Il mago ne era amareggiato
ma la sofferenza era per lui uno stimolo e così, nel suo tentativo
di unire alla lieve bellezza del canto degli uccelli, la ricchezza
dei toni degli strumenti musicali ha creato noi, gli uccelli di
legno. Il suo desiderio era quello di arricchire il canto degli
uccelli ed insieme di poter udire ogni giorno una diversa e più
ricca armonia nascere dalle fronde della sua selva. Ci creò, noi
poveri automi, dandoci intelligenza e sensibilità, amore per la
musica e per la bellezza della foresta, doti che trasse da se stesso,
che ne era così ricco. All'inizio eravamo pochi ed io ero uno dei
primi, nato quasi per uno scherzo, dal momento che il canto dei corvi
non gode di buona fama. Ma non bastavamo a Kerfilluan che costruì
altri uccelli ed altri ancora, ancora, ancora ed ancora. La nostra
musica era bellissima e diventava via via più ricca e meravigliosa.
In quei giorni non c'era creatura che passando per la Selva non ne
fosse ammaliato e che solo per la fame ed il languore crescente
dell'anima trovasse alfine la forza di abbandonarla.
Ma
Kerfilluan non sembrava mai soddisfatto, anzi sembrava che più voci
aggiungesse alla sua orchestra meno fosse contento del risultato.
Quando il nostro numero superò il migliaio finalmente Kerfilluan
capì, ma era troppo tardi. Egli aveva così generosamente usato la
sua grande anima per darci vita che egli ne era ormai poverissimo,
quasi come un qualsiasi bruto senza amore per il mondo. Gli rimaneva
il ricordo di ciò che aveva saputo provare, ma era troppo poco e
ormai anche quel ricordo, col passare del tempo si era fatto rancido
e irritante, come una storia d'amore bellissima troppe volte
ricordata. Distrusse alcuni di noi, allora, per ritornare ad essere
se stesso, ma inutilmente: il dono che ci aveva fatto non poteva
essere restituito e noi stessi ora amavamo la vita del suo stesso
amore, tanto da non desiderare certo di perderla. La mattina egli si
affacciava ancora al terrazzo della sua grande casa, ma solo per
maledirci e tirarci addosso sassi ed altri oggetti. Noi tutti, che in
un certo senso eravamo Lui, ne soffrivamo, tanto da ammutolire e
nasconderci. Poi un giorno scomparve, forse se ne andò o forse morì,
e noi non lo vedemmo più. Da allora siamo in attesa di spettatori,
perché la musica senza pubblico è un ben triste incantesimo e per
questo che io, vecchio uccello di legno, fermo tutti coloro che
passano nel bosco per pregarli di ascoltarci, almeno per un giorno. I
veri uccelli sono fuggiti da questo bosco, spaventati dalla nostra
presenza, per questo è così silenzioso e noi siamo così tristi per
Kerfilluan che non osiamo più eseguire le nostre musiche se non per
le persone che ce lo richiedono espressamente.»
–
Allora vuoi ascoltare la nostra musica, Klog?
Il
boldhovin corruga le sopracciglia. – Mi hai salvato la vita,
corvaccio… Per devo porre una condizione alla tua richiesta.
–
E quale sarebbe la tua condizione?
Klog
sorride ed estrae da una borsa a tracolla un piccolo flauto
d'argento. – Se posso accompagnarvi…
Usif-Lizhi
Adwina
accarezza Jexel-Fathu, il suo falco cacciatore e stringe leggermente
gli occhi. La linea di luce affacciata sul termine del mondo si
colora d'oro gradualmente concludendo un'altra notte. – Non è
malinconica l'aurora, Jexel?
–
Soprattutto quando viene dopo ore di passione nelle braccia di un
amante – osserva filosoficamente il falco. – Un certo languore è
normale in queste circostanze.
Adwina
si stringe leggermente nelle spalle. – Sei volgare e materiale,
Jexel. Ogni alba è un monito. «La vita scorre via veloce come il
riflesso di luce in un torrente. Appena un istante per vederlo ed è
già terminato.» L'amore è bellissimo, ma brucia troppo in fretta e
le sue ceneri soffocano.
Il
falco inclina leggermente il capo e chiude a metà la palpebra
orizzontale sugli occhi. – È per questo che lo concedi ad un
Notturno, mia cara Adwina?
–
Mi hai spiato, non è così?
–
Certo, io e Mathan, il tuo capocaccia. Non ci fidiamo di quelli.
–
Sono così indifesi, così buffi. – Il riso della donna è un lieve
sussurro che non disturba il silenzio d'attesa del bosco. – I loro
occhi brillano nel buio, lo sai? Ed hanno mani così sottili, magre
che io, Adwina, mi sento così viva, forte, potente in loro
compagnia, come se potessi facilmente spezzarli e solo per capriccio
mi impedissi di farlo.
Il
falco tace per qualche istante, apparentemente impegnato a lisciarsi
le penne del petto.
–
Quando mi accarezza la pelle mi sembra che a farlo sia un albero, una
creatura fatata dei boschi, dalle membra legnose e dal respiro
antico. Cosa mi può dare un uomo della mia razza se non grugniti,
cattivo odore, scarso piacere ed una stupida conversazione?
–
Probabilmente hai ragione, mia Adwina. Ma non sottovalutarli: i
Notturni sembrano soltanto deboli ed indifesi. Essi esistono da
quando la terra non era ancora scura e l'erba non cresceva ancora.
Essi odiano gli uomini e tutte le creature che vivono della luce del
sole, odiano tutto ciò che è caldo e vivo ed amano soltanto le
fredde rocce illuminate dalla luna, l'arida pietra dei loro castelli,
la fredda polvere ed il silenzio. Vi osservano, vi spiano, parassiti
della vostra felice ed immemore stupidità, sognando di rendervi
simili a loro.
Adwina
sorride e si morde le labbra. – E non forse questo un ottimo motivo
per frequentarli? Sono annoiata della vita da umana, del chiasso,
delle stupide feste, del rumore, dei servi e dei padroni, dei vili e
dei coraggiosi, dei nobili e dei poveri. È tutto così insulso,
senza senso, che solo creature senza fantasia né intelligenza
possono trovare piacevole la compagnia dei miei simili.
–
Ti diverte la bizzarria, la stravaganza. Ma la risposta è così
vicina che non riesci neppure a vederla.
–
A cosa ti riferisci mio buon amico?
Il
falco apre le ali e sferza l'aria con forza trattenuta. – Lo vedi?
La risposta qui, davanti a te, nelle pianure, nei boschi, sulle
acque.
Adwina
ride. – Ma io non voglio diventare una silvana, caro Jexel. Amo le
buone musiche, i begli oggetti, l'intelligente conversare, le buone
letture. Come potrei godere di queste cose se mi seppellissi in fondo
ad un bosco?
Il
falco agita il capo con un gesto infastidito. – Basta così. Sono
senza argomenti. Vogliamo cacciare dunque? Già i primi fagiani si
sono svegliati, ma ancora lenti e torpidi. È il momento migliore.
–
Vai, allora, caro Jexel.
Il
falco si alza in volo quasi verticalmente e punta verso sud, là dove
sa che le sue prede si preparano al nuovo giorno. «Ah, mia
bellissima Adwina, chissà se un giorno capirai quanto può essere
vicina la tua risposta. Quando i tuoi "caro Jexel"
diverranno sospiri d'amore.» – Scivolando sull'ala passa veloce
sopra la piccola figura di lei. Il sole illumina i suoi capelli del
colore del miele di castagno mentre solleva in alto la testa per
salutarlo. – «Comunque sarà bene che prima di tutto vada a vedere
cosa combina quello spaventapasseri: ai fagiani penserò dopo.» E
così pensando Jexel si affretta verso Casa Oresme.
Usif-Lizhi,
il Notturno passeggia nel lungo corridoio appena illuminato da poche
torce, che conduce dal suo giaciglio ipogeo al passaggio per Casa
Oresme.
Solleva
il capo annusando l'aria. – Ecco, è ritornata. – Dice a bassa
voce. – Tra poco dovrò andarmene. E ancora nessun messaggio.
Nulla, nulla di nulla. – Usif-Lizhi apre il mantello con un gesto
nervoso e vi si riavvolge più strettamente. – Come odio questa
attesa… Ma forse…
Dal
buio del lato più profondo del corridoio viene una profonda
vibrazione. Il Notturno fissa gli occhi accesi di una debole
luminiscenza verso l'oscurità ed apre leggermente il mantello.
–
Tiatikenn, appari – pronuncia a bassa voce. La vibrazione si fa più
intensa ed insieme più ravvicinata, come la singola nota di un canto
ripetuta a velocità crescente. – Tiatikenn, fai presto, presto!
La
voce di Usif-Lizhi ha una sfumatura di urgenza, quasi di allarme.
Dopo un'ultima vibrazione il viso del mago appare al centro
dell'oscurità, i contorni leggermente sfumati per l'enorme
lontananza.
«Salute
a te, Usif-Lizhi.» La voce del mago nasce all'interno della mente
del Notturno, che annuisce e risponde mentalmente al saluto.
«Cosa
sai dirmi a proposito della mia richiesta?» chiede il Notturno.
«Tardi,
molto tardi. Il vostro tempo su questa terra è quasi terminato. Il
cibo degli uomini vi avvelena, la loro acqua non vi disseta. Gli
uomini vi odiano e vi temono.»
«Ma
il mio tentativo?»
Il
viso dell'Arcimago sfuma per un attimo nell'indistinto, come se
un'onda avesse attraversato lo spazio teso tra loro. Solo dopo
qualche secondo il viso dell'uomo torna a scorgersi, ma meno
definito, più instabile. «So di essere in debito con la tua gente,
Usif-Lizhi. È questo l'unico motivo per il quale..»
«Parla,
Tiatikenn!»
«L'Ombra
di Sangue è la risposta.»
«Dove
si trova?»
«Un
arcaico incantesimo, posto dagli stessi Antichi Primi la tiene. Un
incantesimo che nessuno può spezzare. È possibile che Re Artamiro
di Dancemarare la custodisca nel suo gabinetto di magia, ma credo che
non sappia neppure di cosa si tratta…»
«Ma
Adwina…?»
«Inutile.
Adesso non può nascere da ventre di donna umana. Non siete fatti
della stessa carne. Inutile, tutto inutile.»
Usif-Lizhi
tace. Nella voce del mago ha colto una nota di maligna soddisfazione
che lo ha per un attimo dolorosamente stupito. “È dunque vero che
ci odiano… Ma così intensamente, così crudelmente…” ...«Andrò
a Dancemarare.»
«E
sfiderai la luce del giorno? E l'odio degli uomini? E come potrai
costringere l'ombra di Sangue ad ubbidirti?»
«Quando
vi sarò giunto lo saprai, uomo» dice infine il Notturno. «Non ti
sciolgo dal tuo debito.»
«Non
puoi, Usif-Lizhi, in fondo ti ho servito bene interrogando Queidhen
l'Unico a costo della mia stessa vita.»
Il
Notturno sorride leggermente, senza mostrare i denti. «Sei stato
molto avido di conoscenza. Tiatikenn ed è stata la nostra magia a
renderti così potente. Non credo che potrai mai essere libero dal
tuo debito. Vai pure ora.»
Il
Notturno estrae dal mantello un bracciale a forma di mezzaluna e lo
accarezza leggermente. «Quando avrò ancora bisogno di te ti
chiamerò.»
Con
una vibrazione forte e stonata il volto del mago scompare risucchiato
dall'oscurità. Il Notturno stavolta ride, ed il suo riso assomiglia
al canto notturno della civetta. – Quanto stupido esibizionismo,
Tiatikenn. Credi di spaventarmi? – Grida Usif-Lizhi prima di
allontanarsi e tornare da Adwina per dirle addio.
2 commenti:
Ci sono! Fedele nei secoli...come un Boldhovin... o quasi! ;)
@Nick: questo sì che è avere un follower, altro che Salvini! Spero di cuore di non annoiarti – sì, anche questi sono doveri nei confronti dei follower – e che la lettura proceda come deve. Un grosso abbraccio.
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