–
Mucimucimucipcpcpcthth ma che bel micino, cosa fai lì sulla
macchina?
–
I cavoli miei, nonna.
Emma
Grubessich, insegnante di liceo in pensione si allontana con passo
sostenuto e risentito, sollevando l’ala del cappotto cammello per
difendersi dalla bora che spazza sostenuta la strada verso Miramare.
I
gatti stanno esagerando – pensa – questo pezzato bianco e nero è
il quarto della mattinata che la tratta come una vecchia rimbambita e
scocciatrice, dopo tanti anni di affettuosi incontri. “Il mondo
non é più lo stesso” Medita la signora Emma e la cosa veramente
singolare é che ha ragione.
Sara
Brandirali, studentessa laureanda in scienze biologiche, si avvicina
alle gabbie delle cavie con una siringa in mano.
Nella
siringa c’é un adiuvante per lo sviluppo di tumori epatici, il
tocco finale dopo un’alimentazione di un paio di settimane condita
in abbondanza da sostanze cancerogene. Essendo sabato è abbastanza
normale che tutti se la siano svignata dal laboratorio, lasciando lei
da sola alle prese con i ratti bianchi dagli occhi rossi che si
agitano e tentano di morderla, ma più ci pensa e meno le sembra
giusto.
Potrebbe
anche non farne niente, andarsene e scrivere un sacco di balle
sull’apposito registro, ma Sara non è il tipo. Apre la gabbia
numero 5, infila la siringa in bocca per traverso, diventando una
versione da guerra batteriologica di un tigrotto della Malesia ed
acchiappa uno dei ratti con tutte e due le mani tirandolo fuori dalla
gabbia.
–
Coraggio, é una cosa da un minuto. – Bofonchia.
–
Come hai detto? –
Sara
fissa gli occhietti rossi e le labbra rosa del ratto che solleva la
testolina inclinandola all’indietro per guardarla.
–
Cosa dicevi? – Ripete il ratto.
Sara
apre la bocca e la siringa rotola per terra e poi sotto uno dei
banconi.
–
Lasciami, dai. – Dice il ratto.
Sara
guarda il cartello scritto a pennarello e appeso sul frigofero che
recita “Se avete bisogno di tampone fatevelo e non grattatelo agli
altri” e per un istante pensa di scriverne uno che dica “Non
rispondere alle cavie”.
La
bestiola è scesa sul bancone e si guarda intorno con blanda
curiosità.
Sara
finalmente urla.
Il
ratto, una femmina di un anno, la considera con espressione da
etologo e quindi comincia a leccarsi flemmaticamente la zampa
anteriore destra.
–
È sabato Sara, cosa fai ancora qui, perchè non vai a spasso come
tutti i tuoi colleghi? – Chiede una voce proveniente da una delle
gabbie.
–
Ce n’é una dozzina da sistemare prima di te, Sara, in questo
dipartimento, lo sai, no? È inutile che ti affanni tanto. Ma non ce
l’hai il ragazzo?
Adesso
a parlare dev’essere stato Doppiaelica, il ratto più vecchio del
laboratorio, sopravvissuto a centinaia di esperimenti ed ormai
lasciato in pace e nutrito da tutti.
–
Ma Sara é bravina, attenta e coscienziosa. – Osserva un altro
ratto, un giovane.
–
Pivello, non é quello che li rende scienziati, secondo il boss. “Le
donne vanno bene per la routine, é un altro modo per loro per fare
le massaie” dice. Più sono ordinatine e scrupolose meno le stima,
parola di Doppiaelica.
–
Davvero ha detto questo, Doppiaelica?– Sara é sicura di essere
vittima di un’allucinazione, probabilmente dovuta a stanchezza, ma
le parole del ratto patriarca l’hanno comunque parecchio irritata.
–
Come no. Ha detto qualcosa anche sul fatto che hai il culo basso e le
tette ipotetiche e che a letto devi essere più o meno come una borsa
dell’acqua calda.
Sara
prima arrossisce poi diventa livida. – Immagino ne abbiate piene le
tasche di stare qui.
–
Siiiiì!
–
Bene. Adesso vi libero.
Conscia
di essere nel pieno di ciò che qualche ora più tardi definirà una
crisi isterica, comincia ad aprire le gabbie ed a far uscire le
cavie. Queste escono velocemente infilando la porta del laboratorio.
Qualcuna la saluta, qualcun’altra si attarda a raccogliere un po’
di cibo prima di uscire.
–
Lasciate perdere quel cibo, é avvelenato. – Urla.
Alla
fine nel laboratorio rimangono solo Doppiaelica ed un paio di femmine
che allattano.
–
Volete venire a casa mia? – Chiede loro Sara in preda ad un
ulteriore impulso irragionevole.
Le
due femmine si guardano e annuiscono. Le sistema in due gabbie più
piccole, ben foderate con stracci e paglia. Avrebbe persino voglia di
piangere, ma il nodo alla gola glielo impedisce.
–
E tu, Doppiaelica?
–
No, grazie, penso che mi fermerò qui. Le cose sono cambiate, Sara:
la cattedra diventerà mia tra qualche giorno. Ci vediamo quando devi
sistemare la tesi. Ciao.
Mentre
guida la sua vetturetta verso casa Sara almanacca qualche scusa molto
scientifica per indurre i genitori ad accogliere in casa di Ottavia e
Sandy, le due femmine, e di tutti i loro piccoli. Nel frattempo le
rattesse chiaccherano tra loro di poppate e pipì e popò dei
rispettivi pargoli.
–
Mia madre diceva… – Sentenzia Sandy a proposito di qualcosa. Sara
ride. Si sente irresponsabile e felice come non le capitava da tempo.
–
Vogliamo parlare con il vostro presidente. – Dichiara il grosso
gatto rosso. Le due guardie si guardano, fissano allibiti i tre mici
ed i quattro grossi ratti che accompagnano il felino.
–
Ehm, a che proposito?
–
Della gestione del pianeta, diciamo. – Spiega uno dei ratti, un
esemplare da incubo metropolitano. – Con permesso.
Le
guardie si spostano ed il piccolo corteo entra nella sede del governo
mondiale.
–
Mi scusi, dov’é lo studio presidenziale? – Chiede la minuscola
micia nera-bianco-rossa all’impettito usciere seduto ad una
scrivania.
–
Diddilà- Balbetta l’uomo.
–
Grazie. – Gli otto eredi della Terra, rappresentanti delle
rispettive razze senzienti, salgono al piano superiore ed entrano
nello studio presidenziale.
–
Buongiorno. – Dice Russell Poe, il micio rosso, all’indirizzo dei
presenti. – Buongiorno signor PRESIDENTE DEGLI UMANI di Mewuirr.
– Ce l’abbiamo fatta, il governo galattico ha riconosciuto mici e
ratti come razze senzienti! – Luxiferus, in abito chiaro da
colonialista e paglietta entra di corsa nella serra della nave e si
ferma di scatto dopo pochi passi.
–
Satan? – Chiama.
Il
daimone, seduto a contemplare la pagina inferiore delle foglie di una
delle sue adorate piante, fa capolino da dietro uno dei banconi e
ringhia.
–
Cosa vuoi Lux? Sono occupatissimo.
–
Abbiamo vinto, Satan. La federazione ha riconosciuto i nostri amici
razze senzienti. Vengono domani a firmare il contrattino per lo
sfruttamento del pianeta.
–
Ah. – Satan, seduto per terra, si gratta il dorso di una mano con
una delle corna. – Sei sicuro?
–
Sicurissimo. – Il grilloide annuisce con enfasi, soddisfatto.
–
Bene. Hai avvisato Ahriman?
–
Certo.
–
Luxiferus?
–
Eh?
–
Domani , per la firma del contratto…
–
Sì?
–
Vestiti da persona seria, almeno una volta in vita tua.
–
Ma, non capisco…
–
Dammi retta, eh?
Il
grilloide si guarda, si toglie la paglietta e se la rigira tra le
zampe anteriori incerto.
–
Ma cosa c’é che…
–
Una cosa sobria, ci siamo capiti, eh Luxiferus? –
–
Va bene, per quanto… – Il socio di Satan esce borbottando e si
chiude la porta della serra alle spalle. Satan sorride, si guarda
intorno e depone un lieve bacio sui fiori di Elvira.
–
Che facciamo, Mirella?
–
Ma, ti dirò che a me piace di più questa Terra qua. – E. e
Mirella mi guardano. Mi stringo nelle spalle.
–
Per me… – Dico.
–
Potremmo…– Inizia E.
–
Fai pure. – Termina Mirella.
–
Ma nemmeno per qualche giorno?– Chiede il mio protagonista, ormai
prossimo a non esserlo più.
–
Fai pure ti ho detto. – Ripete lei.
–
Ma l’Umanità? – Mi chiede E. con fare accorato.
–
C’é sempre quella che hai conosciuto, esclusi quelli che sono
rimasti chiusi nei rifugi ad aspettare la fine del mondo. La
Federazione ha concesso agli umani Demetra, un bel pianeta. Ci
metteranno almeno qualche secolo a rovinarlo. Intanto hanno già
eletto una classe dirigente nuova. Per il momento si tratta di
dilettanti, ma tra un po’ impareranno e l’umanità potrà ancora
contare sui soliti parassiti corrotti ed inefficienti e su un pianeta
inquinato e malsano. Sarà come rimettersi i vecchi panni, anche se
brutti sono più comodi. Tanto ci siamo tutti abituati.
–
No grazie. – Mirella scuote la testa decisa.
–
Eh… – Medita E.– Se il film funziona…
–
Ci pensiamo un momento. – Mi dice infine Mirella.
–
Va bene. Solo per un paio di pagine che devo chiudere. – Rispondo
io.
Eisenstein
visiona le riprese su un monitor grande come un campo da tennis e si
volta.
–
A me pare buono, cosa ne dici D. K.?
Il
regista smette per un attimo di baciare Conan ed annuisce. –
Ottimo.
–
Tu che ne dici, Pelagio?
–
Discreto, ma non funzionerà, adesso vanno cose meno spettacolari.
“La
guerra di Calibano” ebbe un successo travolgente in tutta la
galassia.
Fu
visto da un totale di seicento miliardi di spettatori solo nella
prima settimana di programmazione e i gadget ispirati al film
vendettero per miliardi e miliardi di galattodindi.
Molti
furono colpiti dal fascino di Aquila Yò-yò, nonostante fosse
apparso solo in poche riprese, e quasi tutti trovarono estremamente
esilarante Neurite nei panni del giovane stupidotto, cosa che al
suddetto non piacque del tutto.
Ma
a giudizio di tutti la parte migliore del film furono gli spezzoni di
programmi prodotti dai terrestri sapientemente montati da Eisenstein
nel corso della vicenda.
Pubblicità,
reality show, dibattiti, incontri tra esperti, telequiz, programmi
con l’ospite, scottanti reportage, litigi tra invitati ecc. ecc.
avevano l’effetto sicuro di far rotolare giù dalle poltrone a
forza di ridere i galattici di ogni razza, forma, dimensione e
metabolismo.
E.
e Mirella ricevettero come proventi del film una quantità di
galattodindi sufficiente a mantenerli per l’eternità o quasi,
ragion per cui decidettero di non raggiungere i loro simili su
Demetra e continuare la loro carriera di attori.
Il
loro secondo film, “Un grido sulla scogliera”, fu un fiasco
colossale, distrutto dalla critica e ignorato dal pubblico, segno che
le cose stavano tornando alla normalità.
Attualmente
vivono su Melone Bianco e trascorrono spesso le serate con Thinbam e
Fontainbleu in appassionanti discussioni filosofiche o giocando a
monopoli.
Loro
ospite é Pelagio, temporaneamente in pensione (la pensione tra i
galattici é un periodo di riposo di una trentina d’anni, trascorsi
i quali Pelagio dovrà ricominciare a lavorare).
L’ex-pilota,
dopo aver assolto ai suoi doveri parentali, trascorre il tempo in
compagnia di Theri, una tartoide silenziosa come un gatto ed
altrettanto curiosa, leggendo, facendo lunghe passeggiate sul
ghiaccio e scrivendo un manuale ad uso di stuntmen
principianti.
–
Pelagio perchè la tua sala delle lettere era arredata cosí? – Gli
ha chiesto una volta Mirella durante una lunga passeggiata.
Il
tartoide ha sorriso ed ha scosso la testa.
–
Una volta, la televisione terrestre trasmetteva un programma…
–
Quale? – Gli chiede Mirella.
–
Un programma strano, non ne ho mai visti altri fatti in quel modo.
C’era un tizio, un umano bruno, sorridente, che faceva disegni
velocissimi su una lavagna dai grandi fogli bianchi…
–
Alberto Manzi… – Dice Mirella in un soffio.
–
Ecco, era quello il nome. Mi piaceva molto, quel programma, era così
simpatico, così bravo quel signore… Io ero spesso solo e mi é
sembrata una bella idea arredarmi la sala così. Mi sembrava che
quell’umano dovesse entrare nella mia sala e salutarmi. Poi avremmo
potuto fare due chiacchiere e bere qualcosa insieme… – Il
tartoide scuote la testa. – Che idea stupida. Era colpa della
solitudine.
–
Non é vero, Pelagio. Il maestro Manzi era davvero simpatico.
Mirella sorride e guarda l’orizzonte incerto e gelido. Non era
ancora nata quando Alberto Manzi faceva i suoi schizzi di case ed
alberi alla Televisione, gliene ha solo parlato papà. Ma tanto
Pelagio quello non lo sa.
–
Buongiorno. Immagino che lei sia del personale del residence.
Il
grande magnate della finanza mondiale sbarra gli occhi e si aggiusta
la cravatta per un riflesso automatico.
–
Vuol essere così gentile da portarci due Daiquiri ben ghiacciati?
Il
capitalista, appena sbucato dal rifugio sotterraneo sottostante fissa
impalato i due sauroidi in camicia a fiori, comodamente sdraiati su
due chaise-longue a godersi il sole mattutino e tossisce leggermente.
I
due turisti si guardano interdetti, poi il più vecchio chiede. –
Lei lavora qui, vero, su questo pianeta?
–
Sì. – Ammette il pezzo grosso.
–
Bene, allora ci porti due daiquiri ben ghiacciati. Il bar é di là.
Automaticamente
il potente si dirige nella direzione indicata, stordito ed incapace
di trovare una spiegazione qualunque a quanto gli accade.
–
Li vorremmo per oggi! – Gli urla uno dei due sauroidi.
–
Certo. – Dice l’ex- magnate.
–
Salve talpa. – Un micio, comodamente sdraiato su una poltrona,
pochi metri più in là, lo apostrofa con il nomignolo affibbiato
agli ex- potenti del pianeta che pian piano mettono il naso fuori dai
loro buchi per scoprire che la Terra ha cambiato padrone. Il felino
socchiude gli occhi e aggiunge. – Portami due acciughine, e un
piattino di latte.
–
Certo signore.
–
Veloce.
–
Corro.
–
Vedi, si abituano subito. – Spiega il micio al compagno, mentre il
capitalista trotta rapidamente in direzione del bar.
–
È ovvio. – Gli risponde il suo amico. – A loro modo di vedere
c’é sempre qualcuno che deve comandare e qualcuno che deve
ubbidire. Visto che siamo noi a comandare… – Il micio sbadiglia e
si stira. – Saranno loro a dover ubbidire. Non hanno fantasia.
–
Doppio Kuemmel, tu sei sempre stato gentile con me, anche più che
gentile, ma…
Il
sosia di Richard Harris alla guida del suo miniyacht spaziale si
volta e sorride. – Cosa c’é che non va, cara?
Conan
– Vala Halla guarda fisso di fronte a sè e abbassa gli occhi.
–
Ti devo confessare una cosa.
–
Dimmi.
–
Doppio, io non sono ciò che sembro, non sono una donna come le
altre…
–
Lo so cara, è proprio questo che mi piace di te.
–
Ho un passato burrascoso. – Geme Conan.
–
Non importa.
–
Non capisci, Doppio. Io non sarò mai una buona compagna per te.
–
A me sembra che tu vada benissimo così. – Doppio Kuemmel guida e
non smette di sorridere.
–
Non potremo mai avere bambini! – Insiste Conan.
–
Ne adotteremo uno – Replica il suo compagno.
–
Insomma, Doppio, tu non vuoi capire! – Urla Conan. – IO SONO UN
ROBOT!
Doppio
Kuemmel sorride e si stringe nelle spalle.
–
Nessuno é perfetto.
FINE
(o
quasi)
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