Universo:
ciò che esiste, il tutto, tutto ma proprio tutto quello che riuscite
a immaginare adesso nel passato e nel futuro.
Comprende
la vostra vicina di fronte magra come un deportato che stende il
bucato in sottoveste – crederà mica di essere bella, eh? – la
sedia sulla quale state seduti, Minh Doooooôö il Meraviglioso,
l’Unico Camidarenatore Parallattico della Vacuità Sciadotica del
quale vi parlerà il mio collega di Mistica Intuibile, la forfora del
vostro vicino di posto, il sistema a centodiciannove soli,
millecinquecentosedici pianeti e satelliti e settecento miliardi di
creature intelligenti o un po’ frescone dell’Ammasso di Gadara,
quella foto dove avete la bocca aperta e la faccia da scemo che il
vostro amico non ha buttato via – anzi – anche se gli avete
chiesto più volte di farlo, tutti gli assillanti ricordi di tutti i
vecchietti di tutti i tram di tutti i mondi mai esistiti o che mai
esisteranno.
Questo
rende bene l’idea, non trovate?
Insomma,
per farla breve, l’Universo è tutto, e qualunque oggetto o energia
ne fanno parte.
Secondo
alcune teorie ne esistono di alternativi, un numero infinito,
ovviamente.
Ne
discende logicamente che esiste un universo dove siete riusciti a
preparare le crepes senza attaccarle alla padella e un
universo dove la vostra mamma quella sera aveva mal di testa e nel
quale, quindi, non solo non state ascoltandomi, ma semplicemente non
esistete.
Universi
vuoti, senza forme di vita di alcun tipo e universi caldissimi e
affollatissimi, universi iperveloci e universi ipergravitazionali e
oscuri, universi dove uno di voi è qui al mio posto ed altri nei
quali mi sono dimenticato tutto quello che dovevo dirvi mentre
arrivavo qui e ho improvvisato.
Altri
universi eh? Non questo. Sia chiaro.
E
se tutti questi universi fossero destinati un giorno a cessare di
ampliarsi a velocità relativistiche e, ingranata la retromarcia,
tornassero a essere una semplice singolarità?
È
questa la domanda che scienziati e filosofi incessantemente si
pongono, cercando soprattutto di capire se la cosa li può
riguardare. Ma anche l’ipotesi che le galassie siano destinate ad
allontanarsi all’infinito non è troppo simpatica. E qui nasce un
paradosso: in COSA si allargano gli universi, visto che rappresentano
tutto ciò che esiste?
È
evidente che la domanda è molto più complessa del chiedersi dove va
l’aria che stava davanti a voi una volta che avete messo su un po’
di pancia.
In
questi casi si tratta di avere fantasia e analizzare con attenzione i
termini del problema. Se tutto, ma proprio tutto aumenta di
dimensioni, non è necessario che questo avvenga a spese di
qualcos’altro. Il fuori è un concetto illusorio, un modo per
distinguere il proprio sé dal resto del mondo, ma applicato
all’universo è inadeguato e fuorviante. Parlando di infinito
qualunque ragionamento relativo alle dimensioni diventa assurdo, un
po’ come cercare di misurare l’umidità dell’aria con un metro
a nastro.
Insomma
l’infinito è un dato che deve obbligarci a pensare in un altro
modo, abbandonando i criteri consueti che ci permettono di
sopravvivere nella vita quotidiana. Una volta liberatici delle nostre
spoglie – per così dire – potremo guardarci intorno senza
eccessiva inquietudine, continuando ad avere la netta sensazione di
essere un granello di sabbia di una spiaggia infinita, ma consci che
questa sensazione ci eviterà di passare un’intera serata
raccontando la vita, idee, convinzioni, aspirazioni e persino sogni,
nella convinzione di essere tremendamente significativi.
Si
diventa umili, in compagnia della Totalità.
(Prolusione
introduttiva per “L’Universo: alcuni cenni”, ciclo di lezioni
tenute da Faudo Thinbam, presso l’Università di Colydor, anno
accademico galattico standard 10E+12)
La
biologia competitiva di Miss Marple.
Faudo
Thinbam contempla il grandioso tramonto di Tiepido sospeso oltre le
punte scintillanti d’ametista dei pinnacoli di ghiaccio.
Sorride
alle ombre che scivolano più lunghe sulla neve ambrata, alla sottile
tenebra lavanda scuro disegnata dal suo corpo e si incanta nel
vederla immobile, incurante del vento sottile e gelido che spazza la
superficie della banchisa sollevando refoli di cristalli di neve.
Aspetta
che l’ultimo raggio di sole abbia acceso di lenti riflessi le
creste del ghiaccio, sospira con una punta di rimpianto e si volta
per percorrere a ritroso il passaggio, trapuntato da due file di
picchetti con bandierina che dopo il suo passaggio Fontainbleau, il
suo robot personale, ripone in una sacca arancione brillante.
–
Di quanto è arretrato il ghiaccio oggi, Fontainbleau?
Il
robot consulta un apparecchio estratto da una tasca della borsa e
dichiara: – Otto millesimi di millimetro.
–
Questo significa che Melone Bianco uscirà dall’era glaciale tra…
–
…Due milioni settecentocinquantaduemila anni. Circa. – Il robot
ha una voce bassa e quieta che sa di complicità e di avventure da
ragazzi, la voce giusta per un amico.
–
Accipicchia! Ma lo sai che sei proprio bravo?
Fontainbleau
annuisce e consulta un termometro.
–
La temperatura a questa latitudine diminuisce di otto gradi ogni ora
locale. Credo sarebbe opportuno...
–
Squagliarci. – Il filosofo termina la frase e allunga il passo.
Lancia un’occhiata reverente, quasi timorosa al cielo di un blu
scurissimo, fa un paio di salti a piedi uniti e canticchia nel
respiratore:
–
… La caramella che ti piace tanto… E che fa....?
Il
robot continua a riporre i paletti nella borsa senza rispondere.
–
Cosa fa, Fontainbleau?
–
Chi?
–
La caramella che ti piace tanto.
–
Viene masticata e digerita, suppongo, dando un contributo energetico
variabile tra le 10 e le 20 Kcal.
–
Ma no, fa dudu- dudù, dudu – dudù du dù.
–
Capisco.
–
Vedi che non segui con attenzione le trasmissioni TV della Terra?
–
Ci mancherebbe altro.
–
Eh no! Non ci hanno chiesto un parere estetico: solo un modo per
farli smettere. Dobbiamo individuare il nucleo semantico di quelle
comunicazioni, l’elemento che le sottende, il nocciolo.
–
Il commercio. – Sentenzia spiccio il robot.
–
Ovvio. Ma cosa li induce a costruire i loro messaggi di vendita
intorno a iperboli ed evidenti assurdità? Per esempio, che errore
ha commesso l’ispettore Rock?
–
Non ha usato la Brillantina Linetti.
Thinbam
sorride estasiato. – Ecco, giusto, Brillantina Linetti… Non senti
l’impatto quasi magico di queste due parole? Sembrano parte di un
incantesimo…
–
Volto ad impedire la caduta dei capelli, immagino. – Fontainbleau
non è un filosofo anche se è MOLTO più intelligente di quasi tutte
le persone che conoscete – voi compresi – ed è solito guardare
ai fenomeni in modo pragmatico.
–
Certo, ma come può un prodotto untuoso e profumato arrestare un
fenomeno biologico se non simbolicamente, attraverso una mediazione
magica? – Thinbam inciampa e barcolla. Occhiataccia del robot. Si
stringe nelle spalle, finalmente tace e si decide a camminare più
svelto.
Il
piccolo elicottero che li ha condotti fino in prossimità del limite
dei ghiacci è ancora dove l’hanno lasciato, le pale mestamente
abbassate e un atteggiamento generale di intirizzita tristezza.
Salgono.
Motori avviati. Vum-vum-vum-vum-vum.
Thinbam
si alza di scatto sul sedile, con l’espressione di chi ricorda
improvvisamente di non aver chiuso il rubinetto del bagno della
seconda casa, sei mesi prima.
–
Fontainbleau?
–
Sì?
–
Non avevo una lezione, mezz’ora fa?
–
Mezz’ora fa di dopodomani.
–
Ah, bene.
Il
filosofo si rilassa, guarda dal finestrino dell’elicottero il
limite scintillante della glaciazione allontanarsi a nord- est, come
un confine tra la luce e l’oscurità e si strofina le mani
sorridendo. Canticchia un jingle terrestre e si accomoda meglio sul
sedile, impegnato a chiedersi cosa mai potrà essere «più bianco
del bianco», scartando a priori la possibilità che gli umanoidi
della Terra abbiano una diversa gamma di lunghezze d’onda visibili.
2 commenti:
Sempre più folle ma sempre più interessante e divertente.
Ciao Max e buon w.e!
@Nick: grazie di cuore! È un week-end al freddo - siamo qui per rimettere in sesto la caldaia - ma è sereno e siamo contenti così. In quanto al romanzo siamo solo all'inizio delle follie.
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