5.2.16

Via, verso Ferrara


Sì, parto. 
Passerò quattro giorni nella città degli Este, in compagnia di mia moglie, lontano da Torino, dagli impegni e da internet. 
O forse non del tutto, dal momento che porterò comunque con me il pc portatile. Già, perché mia moglie deve comunque terminare il racconto per ALIA 2.0, in ogni caso, anche sfruttando l'aura magica della città.
Ma perché Ferrara?  
Beh, si tratta della patria del padre di mia moglie — a rigore mio suocero – scomparso nel 1980, ma tuttora ben vivo nei suoi ricordi. Si tratta di una città di cui ho sentito parlare, che ha accompagnato il racconto della vita di mio suocero, venuto a vivere in Piemonte già prima della guerra e primogenito e "condottiero" di una numerosa famiglia che lo ha seguito nella sua avventura in terre straniere. La sua vita è stata prevalentemente piemontese, qui ha combattuto nella Resistenza, qui si è sposato e ha allevato la sua unica figlia, ma il ricordo, vago ma persistente, della tua terra natale era sempre presente nei suoi discorsi e sottilmente, quasi inafferabile, nel suo modo di parlare, al 90% simile a quello di migliaia e migliaia di altri torinesi e per un 10% interamente suo. 
L'ho conosciuto per breve tempo, solo per tre anni, ma quanto basta per alimentare la curiosità per una città dal passato ducale, a un tiro di schioppo dal delta del Po, altro luogo divenuto a suo modo magico nel suo racconto di vite tanto brevi quanto faticose e perdute nel tempo. 


Ferrara è una città dal passato complicato e sorprendente. Patria degli Estensi, una famiglia nobiliare dai tratti singolari, a partire dai nomi propri — Azzo, Borso, Bradamante, Folco, Obizzo, Meliaduse, Marfisa, Leonello, Taddeo, Almerico, Aldobrandino, Contardo ed Ercole —, in qualche momento con qualche problema con il popolino, tanto da costruire un castello nel bel mezzo della città — pronti ad alzare i ponti levatoi e rinchiudervisi dentro, e con la curiosa fissazione per le armi da fuoco. Le officine ferraresi, infatti, diedero ad Alfonso D'Este (un nome normale, per una volta) le bocche da fuoco per la battaglia di Ravenna (1512) dove l'Este utilizzò per primo il tiro incrociato, facendo scempio dei cavalieri spagnoli e dando un generoso contributo alla vittoria dei francesi. 

Il cannone «La Giulia» di Alfonso d'Este. A voi sembra normale dare un nome ai cannoni?

...
Ritornerò il prossimo martedì e sarò regolamente on line dal 9 febbraio. 
Con il racconto di Silvia. 
In ogni caso.
 
 
 

4 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Goditi Ferrara, una città che amo molto ma dove, purtroppo, manco da anni e se possibile prova ad assaggiare la salamina da sugo.
Costosa ma buona.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: la "Salama da sugo" era un must del mio povero suocero. Dubito che sia mia riuscito a mangiarla in Piemonte ma è comunque ben presente nella mia memoria e, fondi permettendo, cercherò di assaggiarla.

Glò ha detto...

Uh che meraviglia! Buona pausa e attendo il racconto ^_^

Massimo Citi ha detto...

@Giò: grazie di cuore! Il racconto di Silvia è diventato una specie di tormentone di famiglia, una cosa tipo:
«Non mi guardare, sto per finirlo»
«Ma io non ti guardavo»
«Senti, io ho avuto molto da fare e per scrivere di vuole almeno un po' di pace»
«Ma non discuto, non volevo mica...»
ecc. ecc.