Questo non è un racconto fantastico.
Non che sia poi importante, dirlo, ma da uno che normalmente perde tempo e fatica nell'incolonnare righe su misteriose ombre o su un lontano futuro, ci si aspetta più o meno un piatto del giorno non troppo diverso dal solito.
Non è un racconto fantastico, non ci sono spettri né alieni, ma c'è un tipo di mistero - le bizzarre, imprevedibili contorsioni di una vita altrimenti normale - che non può non interessare anche un autore di fantastico. E un libraio, dal momento che si parla di autori, libri, best-seller e affannose corse a inseguire l'autore del giorno.
Questo racconto fu pubblicato per la prima volta su LN-LibriNuovi 42 del maggio 2007.
E
pensare che l’avevo sempre ritenuto un pirla… non un pirla
pericoloso, questo no, un pirla quieto. Uno che ci mette sempre un
minuto più degli altri a capire una barzelletta – e che magari te
la ripete il giorno dopo, ridacchiando da solo – o che gli dici
«vai a prendere questo» e torna con tutt’altro. Cose così.
Piccole mancanze di prontezza che, tutte insieme, collaboravano a
smascherare la sua pirlaggine.
Eravamo
stati in classe insieme per un paio d’anni, gli ultimi due del
liceo. Non siamo mai stati amici ma avevamo quella dimestichezza
fatta in parti uguali di complicità e d’opportunismo che può
svilupparsi tra due compagni di classe.
Gli
insegnanti lo trattavano con la degnazione frettolosa e talvolta
esasperata o maligna che si concede a un imbecille inopportuno e, in
genere, quando veniva strapazzato tutti ridevano. Bastiano (un
[Se]-bastiano troncato) non se la prendeva più di tanto. Faceva la
faccia smarrita, sul momento, la stessa di quando non capiva una
barzelletta o una battuta e probabilmente la cosa che lo faceva stare
peggio era il non potersi associare alla risata generale. Alle volte,
infatti, avevo l’impressione che sparasse le sue idiozie: «Giovanni
Verga ha scritto Mastro Don Gesualdo per sostenere le sue idee… Di
chi, Rescaldi, di chi? … Mah… di Mastro Don Gesualdo?» anche
per partecipare all’allegria generale e non sentirsi del tutto
fesso.
L’ultima
volta l’avevo incontrato a una tristissima festa di ex-compagni di
scuola. Era stato in quell’occasione che mi aveva regalato un suo
libro di poesie.
Vela
all’orizzonte, era il titolo e ricordo che faticai a resistere
all’impulso di ridere. Si poteva pensare a un titolo più
infelicemente, malinconicamente, ovviamente poetico? Probabilmente si
trattava di rimasticature di Montale, innocue e idiote come la marina
o il paesaggio montano a casa della zia nubile. Del tutto in
carattere con il personaggio patetico che incarnava.
C’era
anche la dedica: «Ad Alex che sapeva quando era il momento di non
ridere». Una dedica curiosamente intelligente, a pensarci bene, che
lasciava intuire la possibilità che Bastiano, in realtà, tanto
imbecille poi non fosse.
Ma
fu un pensiero che mi attraversò la mente per meno di un secondo,
tanto breve e rapido che potei permettermi di ignorarlo.
«Grazie,
sei stato proprio gentile… (non penserai mica che abbia voglia
di leggerlo, verooooo?)»
«No.
Mi fa piacere. Sai che ti ho sempre stimato e so che sei un buon
lettore. Mi farebbe immensamente piacere avere un tuo parere.»
«È
un momento difficile… se avrai un po’ di pazienza… (piuttosto
mi taglio le vene, sia chiaro).
«Certo,
certo».
Adesso
è passato alla prosa.
Il
suo ultimo romanzo: Stasera a cena non aspettarmi è primo
nella classifica dei libri più venduti da tre mesi filati.
Non
l’ho letto, ovviamente. I libri in classifica non m’interessano.
Nemmeno gli altri, per la verità, al massimo qualche thriller
comprato all’edicola della stazione prima di un viaggio di lavoro.
Ma
stasera debbo incontrarlo. Il mio capo – direttore di un’agenzia
di servizi editoriali per i quotidiani on line – si è messo in
testa che proporlo come tuttologo nella pagina culturale sul web di
qualche grosso giornale potrebbe essere una splendida idea. Una cosa
fantastica, mai vista. Lui l’ha letto, io no: debbo ammetterlo. «Se
era un suo compagno di scuola, Dubini, non avrà nessuna difficoltà
a convincerlo». È così che si diventa capi: basta pronunciare
regolarmente il mantra «nessuna difficoltà» e tutte le porte si
apriranno.
È
persino possibile che il mio capo non abbia completamente torto. I
pareri su di lui, anche sulle testate non di proprietà del suo
editore, erano eccellenti: «Un nuovo formidabile talento…
l’autore italiano del nuovo millennio… una miracolosa e
personalissima combinazione di scrittura biografica e passione
civile… un raffinatissimo giocatore che sa come alzare
costantemente la posta e vincere»
Di
che cosa parlino i suoi libri non è facile capirlo, leggendo le
grida di recensori e articolieri. Ho letto che Stasera a cena…
eccetera, parla di mafia internazionale e pedofilia sul web ed è
raccontato da un bambino piuttosto morto, e come una simile
combinazione lugubre (ma di grande attualità, come no) possa scalare
le classifiche e rimanere in vetta per mesi e mesi mi è difficile
intuirlo.
Il
problema è che per mettere sotto contratto Sebastiano Rescaldi
dovrei riuscire a ritrovare il suo maledetto Vela all’orizzonte
che ho ficcato chissà dove se non addirittura regalato alla raccolta
differenziata. Non posso farmi vedere da Bastiano senza che lui mi
chieda – lo immagino allegro, soddisfatto di sé, con quel gestire
stancamente studiato tipico degli Autori – se ho poi mai letto e
che cosa penso della sua marina di provincia. Il successo può fare
miracoli, anche trasformare un patetico imbecille come lui in un
specie di genio. Almeno finché resterà famoso.
Cincischiai
inutilmente ancora per una mezz’ora tra armadi e cassetti ma
dovetti rassegnarmi. Vela all’orizzonte era definitivamente
scomparso. Affondato senza lasciar traccia. Non mi restò che
cambiarmi e scendere in garage per non arrivare in ritardo al
reading.
Mentre
guidavo cercai di ricordare qualche particolare di quell’accidenti
di silloge, raccolta, componimento, antologia, florilegio, epitome.
Nulla. Nulla di nulla. Nemmeno il colore della copertina. Anche
quando l’avevo ricevuto mi ero limitato a un’occhiata frettolosa
alle prime tre o quattro pagine – c’era un’introduzione di
qualche altro fulminato come lui – ed era impossibile cavare
qualcosa di più dalla mia memoria.
Anzi,
più ci pensavo, più tutti i ricordi di quella serata tra reduci
scolorivano e perdevano significato, proprio come un sogno al
risveglio.
Pioveva
ed erano le sei del pomeriggio. Traffico lento e demenziale.
Tutti
i cretini possibili che prendono la macchinuzza per non bagnarsi il
coppino. E io non avevo il libro di poesie di Bastiano.
In
caso di fiasco il capo mi avrebbe scuoiato e appeso la mia pelle ad
asciugare sul balconcino, quello con la bandiera.
Il
reading – pubblica lettura, per i comuni mortali – aveva
luogo nella sala convegni della maggiore galleria d’arte cittadina.
Arrivai con un ritardo non troppo appariscente e mi sedetti nei posti
a metà della sala. Bastiano a un certo punto si voltò e io gli feci
un cenno con la mano, ma il suo viso rimase immoto e impenetrabile.
Non mi aveva riconosciuto o la sua miopia aveva fatto passi da
gigante.
Sul
palco salì un distinto e sorridente coccodrillo, probabilmente un
alto funzionario del commerciale della casa editrice. Fece un breve
discorsetto poco originale per lasciare il posto a una fanciulla
occhialuta che cominciò a leggere senza alcun preavviso.
Leggeva
bene, ma mi parve anche troppo enfatica. A rendere meno letale
l’esperienza e a sdrammatizzare le sue pose intense e le sue arcane
inquietudini una gonna asimmetrica color polenta abbastanza corta da
permettere il balenare delle autoreggenti d’ordinanza e camicetta
aperta fino all’attaccatura del seno.
La
lettura mi annoiava ma era come l’ultima confessione per il
condannato a morte: qualche minuto rubato al destino.
Applausi,
cicaleccio, blablaggi, falsi sorrisi, complimenti enfaticamente fuori
misura: «Ah, Zolà… ah, Moravia… ah, Bevilacqua… ah,
Soldati» e golosa migrazione nella saletta prospiciente, al
cospetto degli impenetrabili camerieri stranieri della ditta di
catering.
Bastiano
era e restava fuori tiro, assediato da parassiti di ogni forma e
dimensione. Temporeggiavo senza risolvermi ad alcunché, isolato in
un angolo della saletta. Quando ci fu un momento di tregua
nell’assalto al povero Autore mi feci coraggio e mi avvicinai.
–
Bastiano…
Si
tolse gli occhiali dal taschino, li pose a cavallo del naso e mi
fissò: – Alex.
–
Sono io.
–
Mi fa piacere che sia qui anche tu.
Mi
parve un po’ impacciato, curiosamente quasi malinconico. Non era
ciò che mi attendevo da lui: – Sei contento?
Annuì
con un movimento quasi impercettibile: – Potrei non esserlo? Almeno
con te…
–
Professore, professore… – A interromperci una donna:
quarant’anni passati da un bel po’ e taglia 42 ormai surclassata
da almeno un decennio, ma ancora jeans e ancora felpa e ancora scarpe
basse. Quel «professore» le ballava sulla lingua come una proposta
oscena, un anticipo d’intimità che nessuno le aveva concesso.
Bastiano l’accolse con cortesia incolore, specificò che non era
professore di alcunché, firmò una copia del suo libro e accettò in
regalo un volumetto dai colori sgargianti: …oh, piccole cose,
racconti di gioventù.
Poco
alla volta il rito andava terminando. Altre copie firmate, altri
spasmodici tentativi di apparire sagaci e divertenti al cospetto di
Lui, dello Scrittore.
Fu
lui a venirmi a cercare una volta che fummo rimasti pattuglia, tanto
da poter vedere i camerieri rilassarsi e scambiarsi qualche parola.
–
Non sei venuto qui per il mio libro, non è così?
Il
pallore delle unghie denunciava la forza con la quale stava
stringendo il libro ricevuto poco prima. Era irritato? Deluso?
Decisi
di giocare pulito: – Sono qui per affari, Sebastiano.
–
Ah. Prudenza vorrebbe allora… – si voltò verso il coccodrillo
del commerciale, intento a massacrare le ultime sbandate tartine
poste a difesa di un vassoio già espugnato. Bastiano aprì la bocca
ma la richiuse subito scrollando la testa. – No, – mormorò, –
vieni, usciamo di qui.
Prese
per un corridoio e lo seguii.
Arrivammo
a un locale di passaggio dalle pareti interamente in vetro, aperto
sulle scale di sicurezza.
–
Qui.
All’esterno
la pioggia continuava, intercettata dalle luci del giardino poste al
livello del marciapiede. C’era un silenzio che è difficile sentire
in città.
–
Tu non hai mai letto le mie poesie –. Non era una domanda ma
un’osservazione.
Ciò
che temevo era accaduto ma stranamente non sentii la terra mancarmi
sotto i piedi né cominciai a sudare. Mentire era impossibile. – È
vero.
Si
tolse gli occhiali e guardò il buio torbido oltre i vetri. – Non
ha molta importanza… o, almeno, non ne ha più. – Sorrise: –
quindi non ti sei mai accorto…
–
Accorto di cosa?
C’era
qualcosa di irreale in quella conversazione in un acquario fiocamente
illuminato dalle luci perdute nell’erba, in basso. Faceva freddo e
c’era troppo silenzio.
–
Era uno scherzo, un piccolo scherzo, – guardò nella mia direzione.
Probabilmente tutto ciò che riusciva a vedere erano poche macchie
pallide. – Un piccolo scherzo… – ripeté.
–
Io sono venuto per chiederti…
Mi
interruppe senza riguardi: – Qual era lo scherzo? Almeno quello lo
saprai.
–
Non l’ho letto, Bastiano. Te l’ho detto –. Cominciavo a
sentirmi irritato. Quel gioco del gatto col topo mi aveva stancato
abbastanza da vincere il senso di colpa. – Se vuoi ascoltarmi,
adesso…
–
Dopo, dopo… – fece un movimento lento e pallido con la mano, che
mi ricordò il guizzare del ventre di un pesce nell’acqua torbida.
– Dopo ti ascolterò. E firmerò ciò che mi chiederai di firmare.
Perché sei qui per un contratto o qualcosa di simile, non è vero?
Quello
non era Sebastiano, o perlomeno non era il Sebastiano che avevo
creduto di conoscere. Mi venne in mente all’improvviso la dedica
sul suo libro di poesia, così poco in tono con il personaggio.
Udii
una voce poco lontana: dottor Rescaldi…
–
Ti cercano. – Dissi scioccamente.
Immaginai
il suo sorriso: – Mi cercano da sempre, ma non mi hanno mai
trovato. Nemmeno tu, Alex. Anche se eri meno stupido della media dei
nostri compagni. Si è fatto tardi, non c’è più tempo. Anche
perché non voglio più parlare di quel libro e di allora. Quel
libro… beh lo scherzo è che quel libro non esisteva. Ne ho
fatto stampare esattamente le copie che mi servivano. Quelle che ho
regalato a voi, i miei amati compagni di scuola. Conteneva una
prefazione estremamente idiota e qualche poesia presa a casaccio, ma
soltanto nelle prime pagine e nelle ultime. In mezzo cento pagine
giuste di nulla, di fogli bianchi. Nessuno di voi se ne è mai
accorto. Nessuno, – rise, una risata senza allegria –. L’unica
cosa sincera di quel libro erano le dediche. Ma molti non hanno
capito neppure quelle… Dio come vi bastava la vostra mediocrità.
Ne eravate investiti come di un grado o di un privilegio.
Passò
qualche secondo. Avevo freddo, le mani intirizzite, i piedi
insensibili incollati al pavimento.
–
Andiamo adesso? – mi chiese. – Possiamo andare? – Uscì dalla
stanza ed entrò nel corridoio illuminato. Si fermò, indossò di
nuovo gli occhiali e sorrise. Era soddisfatto, rilassato. Non aveva
più scheletri nell’armadio né conti da regolare. Aveva una voce
stranamente dolce, il tono di un padre che si rivolge a un figlio non
troppo sveglio quando disse: – Vieni, vieni allora. Andiamo a
firmare un ricco contratto.
Rientrammo
nella luce e nel calore.
Ci
guardarono con curiosità. Immaginarono ci fossimo appartati per
concludere qualche accordo. A essere sulle spine il coccodrillo che,
esaurite le tartine, aveva cominciato a nutrire sospetti deprimenti
di trattative segrete e tradimenti. Tutto normale, insomma. Vita
quotidiana.
Come
promesso firmò il contratto e mi permise di accompagnarlo a casa. Lo
salutai mentre si allontanava curvo sotto la pioggia.
Non
lo rividi mai più.
Ritrovai
il suo libro di poesia soltanto anni dopo, quando dovetti cedere la
casa dove mia madre era morta.
Lo
aprii e lo sfogliai.
Risi
per la confusione e il sollievo ma sentendo anche una punta di
smarrimento, un’imponderabile paura che fino a quel momento avevo
provato soltanto guidando in una notte di temporale, circondato da un
buio indifferente a me e alla mia esistenza.
Una
strana paura che solo lui, Bastiano – il pirla, aveva saputo
risvegliare in me.
Non
c’erano pagine bianche: il libro era scritto in ogni sua parte.
8 commenti:
Bel racconto, e l'io narrante è adeguatamente odioso, direi.
Grazie per la lettura! :)
@ Direi che l'io narrante è quantomeno squallido. Bella l'idea del libro con le pagine vuote. ;)
@LyraNerina: ben contento del tuo gradimento. L'Io narrante è - io temo - una discreta rappresentazione di ciò che temo di diventare. Un buon esempio dello stesso genere è nel racconto apparso sull'ultimo ALIA: Il soffio lontano del vento che so che possiedi : )
@Nick: squallido forse è persino eccessivo, via. Magari un pochino cinico e senza scrupoli, questo sì, come temo si diventi lavorando in certi ambienti. Il libro con le pagine vuote è probabilmente l'ultimo scherzo del buon [Se]Bastiano ai suoi ex-compagni di scuola. Il protagonista ci ha creduto ciecamente, comunque, segno evidente che poi non è così furbo come crede di essere.
Devo mettere in atto questo scherzo...diabolico averlo pensato!
@Marcella: dev'esserci qualcosa di malato in me, evidentemente. Eppure anche a scuola passavo per una persona seria. Ma era troppo forte il desiderio di dimostrare (e dimostrarmi) che non bisogna mai giudicare - per condannare - gli altri.
Fin dal primo istante sono stata dalla parte di Bastiano e ho provato una grande avversione per l'io narrante, devo preoccuparmi? però giuro che non ho mai scritto "Vele all'orizzonte". Smack.
@Consolata: sei proprio sicura? Tutti hanno qualche scheletro nell'armadio :)
La cosa a suo modo divertente è che il protagonista c'est moi o perlomeno lo è in maniera preponderante. Per spiegare meglio che cosa intendo puoi dare un'occhiata alla risposta al commento di LyraNerina. Un bacionissimo.
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