Re Artamiro sente il tempo passare senza riuscire ad incontrare il suo nemico e il tempo che passa lo logora fino ai limiti della follia. |
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Il
generale Kataiud si inchina profondamente e mormora: – Attende,
Vostra Volontà.
Artamiro
scaglia lontano la piccola tabacchiera d'ambra dono di Niby Ornoll,
Signore dei Gu'Hijirr, ed impreca.
– Bartsodesch
non ha motivo per muoversi. – Spiega il generale. – Inoltre il
tempo è inclemente e la neve, cominciata a cadere questa notte,
copre già per molti pollici le vie e ed i passi.
–
Ed è destino che io debba svernare qui, ad attendere dei rinforzi
che non verranno mai ed un nemico che non ha fretta. Già, non ha
fretta, aspetta che questa armata sia divenuta un immenso gregge di
ladruncoli, mercanti e sodomiti per allungare la mano, spazzarli via
come si disperde una colonna di formiche, arrivare a Dancemarare in
un giorno e passare la notte nel mio letto con le mie concubine.
L'anziano
generale non rileva il tono amaro e sarcastico di Re Artamiro.
–
Sono in corso molte esercitazioni per tenere la truppa pronta allo
scontro, Vostra Volontà.
Artamiro
sembra non udire e accarezza con espressione ispirata l'interno
vellutato del suo mantello.
–
Hai mai udito, Kataiud quella canzoncina infantile che recita:
Cerca
il drago
per
cento foreste
cerca
il drago
senz'acqua
né cibo
né
vesti né fuoco
senz'armi
e soldati
cerca
il drago
alla
porta di casa
sarà
sempre lui
a
trovare per primo te
–
Dimmi, allora, l'hai già udita?
Il
generale socchiude gli occhi ed aggrotta la fronte. – L'ho udita,
Volontà, quando ero così piccino che una spinta di una delle mie
sorelle poteva mandarmi a terra. – Kataiud sorride. – L'ho udita
cantare da loro e non so perché, al termine del ritornello toccava
sempre a me portare l'acqua o cercarle tra i cespugli e gli alberi.
Artamiro
trae un profondo sospiro. – È proprio così, Kataiud. Essere Re è
quando l'ultima sillaba del ritornello ti sceglie una volta per
tutte. E nessuno lo vuole ricantare una seconda volta se non per
ucciderti. Sono così stanco, così annoiato…Potrei chiamare qui
tutto il teatro di Dancemarare per divertirmi, ma anche i loro guizzi
e i loro sberleffi non potrebbero allontanare da me questa noia
rabbiosa… Che accade Kataiud? Chi ha steso una magia su di noi? Chi
conduce fin qui fantasmi, tornadi, mostriciattoli partoriti dal cuore
stesso dell'Inferno? Chi ha chiamato l'Innominabile ad occupare le
terre del giorno? … Quale greve stanchezza domina il nostro cielo?
Non sarebbe forse meglio uscire in armi e cercare la giustizia tra le
lance dei nemici, chiamare qui l'Ombra di Sangue e dimenticare ogni
cosa nel furore, nell'ansimare cieco della battaglia?
Artamiro
si alza e corre alla soglia della tenda aprendola di scatto.
–
Neve, la bianca sorella dei cieli. Hai notato Kataiud come tutto
abbia lo stesso colore quando nevica? Terra, cielo, alberi, acque…
Solo noi creature di carne e sangue corriamo come lupi sulla pelle
nuova del mondo. La neve porta a noi tutti nuova vita, ma noi la
calpestiamo senza vedere, senza capire fino al carnevale della
primavera. E primavera dopo primavera la nostra morte si avvicina,
allegra e idiota come una contadina dal ventre scaldato dal vino. E
noi ci rotoliamo con lei, con gioia e disprezzo, ne ridiamo nel
nostro cuore pallido e malato… Camminerai su questo grande lenzuolo
di innocenza che cancella tutti i nostri orrori? Lo calpesterai,
generale?
Kataiud
fissa lo sguardo sull'orizzonte brumoso all'esterno della tenda senza
che il suo volto coperto di rughe lasci trasparire nessuna emozione.
– La mia vita non è in mio potere, Volontà, ma in vostro.
Artamiro
ride. – Bravo, bellissima risposta. Come canta la canzoncina del
drago. Sarà sempre lui/ a trovare per primo te. Un uomo che
ubbidisce non può sbagliare… Sarà il suo Signore a sbagliare, a
creare odio e rancore. Vai pure Kataiud, torna alle tue manovre. Sei
un servitore prezioso, non c'è dubbio.
Il
generale si inchina rigido ed esce dalla tenda, camminando il più
leggermente possibile, quasi cercasse di non lasciare tracce sulla
neve fresca.
Artamiro
trascorre ancora qualche minuto a contemplare il moto incessante e
silenzioso della nve, a tratti percorso da soldati o servitori che
procedono sollevando leggeri scricchiolii, con la cautela ed insieme
lo strano compiacimento che sembra prendere ogni creatura quando
calpesta per prima la superficie soffice e rilucente.
"Come
bimbi" Riflette il re. "A fingere una guerra che non c'è,
un nemico appena oltre gli alberi o dietro un dosso." Una figura
scura e sottile sta venendo nella sua direzione. Cammina esitante,
trascinando il passo, il capo abbassato e coperto da un ampio
cappuccio.
Quando
si trova a tre passi da Artamiro questi lo riconosce: – Tiatikenn!
– Grida, facendolo sussultare.
Il
mago accenna un piccolo inchino. – Posso entrare, Volontà?
–
Certo. Come stai?
Tiatikenn
entra nella tenda e rovescia il cappuccio sulle spalle senza
rispondere.
Artamiro
trasale vedendo i segni lasciati sul volto del suo primo Mago dalla
rabbia di Canddermyn. Egli sembra aver perduto trent'anni di vita, la
pelle del suo viso sembra aver assunto la consistenza di quella di
una piccola mela avvizzita, gli occhi si sono infossati ed hanno
perso lucentezza ed i pochi capelli che ancora il mago ospitava sono
scomparsi, lasciando posto ad un labirinto di cicatrici rosee che
disegnano lettere di ignoti alfabeti sulla pelle chiarissima del
cranio.
–
Sono come un naufrago, Volontà. Come un bottegaio che abbia veduto
il suo esercizio bruciare in una sola notte. Non posso neppure più
ordinare ad una mosca di correggere il suo volo, né posso indurre in
alcuna nessuna emozione se non disgusto per le mie misere condizioni.
Artamiro
tace ed arretra fino a tornare al proprio scranno coperto di morbide
pellicce. Anche la voce del mago ha perduto forza e si è fatta
debole ed incerta come quella di un vecchio.
–
Ma ho sentito, Artamiro, ho percepito il brivido che corre sulla
pelle del mondo. Come un novizio che si stupisce nell'intuire la
oscure forze che reggono il palcoscenico del mondo, ma che può solo
sognare incubi angosciosi da raccontare ai compagni per spaventarli.
–
Cosa hai sentito, Tiatikenn? – Chiede Artamiro con voce resa
cavernosa dal lungo silenzio.
–
Ho sentito i Mondi sconfitti, i Mondi dimenticati che cercano di
ritornare. Ho udito le voci di coloro che non sono mai nati, il
lamento dei dimenticati dalle molte creazioni dell'Orlo del Mondo,
gli spettri del Mare Obliquo che agitano le nubi dei nostri cieli e i
giganti di cristallo che scuotono le loro gabbie di pietra per
tornare a posare i piedi sull'orlo del Mondo. Questo e molto altro ho
visto e sentito.
Artamiro
sorride. – L'abitudine di spaventare chi è più forte e ricco di
te non l'hai perduta, Tiatikenn. E nemmeno la capacità di far
credere che sai molte più cose di quante realmente tu ne conosca.
–
Io ho visto, Artamiro e posso mostrarlo a chiunque desideri vedere il
mondo che ci attende.
–
Da Primo Mago e Primo Astrologo della mia corte. È questo il tuo
desiderio?
Tiatikenn
abbassa il capo e ripete. – Vieni con me, Artamiro, e vedrai.
–
E va bene. – Il re si alza di scatto e marcia fino a porsi davanti
alla figura sottile del mago. – Vengo, Tiatikenn. Ma se ciò che
vuoi mostrarmi non mi soddisferà non avrò pietà della tua misera
condizione.
Il
mago ride, una risata breve e stridula. – Sarai soddisfatto,
Volontà.
–
Cos'è questa vecchia costruzione? –
–
È la Torre di Dortrendiuna. – Spiega Drjol, il giovane mago
Gu'Hijirr che dopo l'episodio dell'apparizione durante il banchetto è
divenuto membro costante del seguito di Artamiro. – Ho udito che i
fantasmi del Signore di questi luoghi e di suo fratello trucidati
dall'antico Re di Odo si aggirino ancora per questi luoghi.
Artamiro
fissa lo sguardo sulla neve che scivola leggera sulla terra e
sorride. – I Re di Odo sono stati i predecessori della mia Casa
Reale. I miei antenati li hanno massacrati durante un banchetto. Devo
quindi ritenere che gli spettri che abitano questo luogo mi debbano
della riconoscenza per aver fatto giustizia dei loro assassini.
Giusto?
Tamu
Hiniun, il Liest Syerdwin ride. – Giusto, Volontà.
–
Bene. Allora, Tiatikenn mi hai portato qui per farmi incontrare due
spettri ingrati?
–
Ben di altro si tratta, Volontà.
–
Cosa dobbiamo fare qui? – Chiede il Duca Rossiter, il volto
arrossato dal freddo.
–
Che dobbiamo fare, allora Primo Mago? Hai udito il Duca?
Tiatikenn
non risponde e scende da cavallo con i movimenti lenti ed incerti di
un malato.
–
Avete visto Duca? Bisogna camminare. – Scherza Artamiro.
Intanto
Tiatikenn percorre lo spazio che li separa dalla torre di pietra
chiara, parzialmente diroccata, nella quale si aprono grandi finestre
ovali senza più vetri né sbarre.
Gli
altri membri del gruppo scendono da cavallo e lo seguono procedendo
tra gli arbusti nudi cresciuti nell'antico giardino della rocca dei
Dortrendiuna, che la neve rende eleganti e preziosi come raffinate
sculture.
Giunto
davanti alla grande porta aperta della torre il Mago esita e si volge
verso il seguito di Artamiro.
–
Siete certo di voler vedere, Volontà?
Tutti
i presenti si volgono verso Artamiro che stringe le labbra e chiede.
– È uno dei tuoi trucchi, Tiatikenn?
–
No. Seguitemi. – Si limita a replicare il mago, scomparendo
nell'ombra del portale.
All'interno
una sala ampia e spoglia li attende, il pavimento coperto di foglie
secche e fango.
Hiniun
alza il capo verso il soffitto, dove gli stemmi dorati della
famiglia, incastrati negli spazi disegnati dalle travature di legno
scuro, sono semicoperti dalla muffa e dalle ragnatele. "Ecco il
destino." Pensa il giovane Liest, sentendosi improvvisamente un
intruso.
–
Venite, di qua. – Li incita Tiatikenn. – Sulle scale.
Percorrono
la scala avvitata sulla parete della torre, cercando di non scivolare
sui gradini viscidi di fango gelato ed abbassando il capo per evitare
le ombre scure che pendono dai soffitti bassi. Il mago li conduce ad
una delle stanze del secondo piano, dove si affacciano due delle
grandi finestre ovali visibili dall'esterno.
–
Ecco, Volontà. Vi prego di affacciarvi a quella finestra. – Dice
Tiatikenn con voce piana.
–
Quale?
–
Non ha importanza.
Artamiro
procede con cautela sul pavimento di legno che lancia dolorosi
scricchiolii ad ogni passo fino a giungere davanti alla finestra di
sinistra.
–
Allora? – Chiede irritato.
–
Vi prego, Volontà, osservate con attenzione il paesaggio che si gode
da lì.
Artamiro
si stringe nelle spalle e lascia che il suo sguardo si posi sul
vecchio giardino coperto di neve, sul bosco poco lontano: un'ombra
scura avvolta dalla candida coperta della neve.
Poi
un movimento leggero, quasi impercettibile attira il suo sguardo. Una
figura si muove lentamente sulla neve, un'ombra che non lascia tracce
dietro di sé.
–
Cos'è quello? – Chiede Artamiro senza voltarsi.
La
voce di Tiatikenn ripete: – Osservate con attenzione, Volontà.
Alle
spalle della strana forma che procede un po' strisciando ed un po'
correndo sulla neve ne è sorta improvvisamente un'altra, che procede
eretta e rigida come camminerebbe un albero se potesse muoversi.
Artamiro osserva la scena senza capire, contempla gli strani
movimenti dei due esseri che procedono senza orme su una neve che
somiglia a gesso o ad una liscia superficie di pietra. Il cielo ha
mutato colore, si è fatto scuro e denso come una bassa cupola che
partendo dall'Orlo del Mondo lo ricopra completamente.
Improvvisamente il Re si accorge che l'aria che penetra dalla
finestra non è più l'aria frizzante e gelida del mattino ma una
brezza tiepida e snervante che odora di polvere, come l'aria di una
stanza tenuta chiusa per troppi anni.
Un
leggero urto lo fa sobbalzare. Accanto a lui si è affacciato Drjol e
Artamiro può udire il respiro accellerato del giovane Mago
Gu'Hijirr. Poi il Re si accorge di riuscire a sentire anche il
respiro delle creature che popolano il cortile della torre divenuto
una superficie livida e opaca. Sono sospiri senza ritmo, quasi che le
creature che li emettono non abbiano bisogno di respirare o siano
costretti da un'orribile maledizione a farlo senza poter dimenticare
una sola volta di farlo.
Accanto
a lui Drjol recita a bassa voce alcune frasi, senza distogliere lo
sguardo dagli esseri che corrono e si inseguono come bimbi ciechi.
Artamiro chiude gli occhi per riaprirli un secondo dopo sullo stesso
paesaggio: le montagne scabre e spezzate che scompaiono sullo sfondo
nero del cielo ed i margini netti e chiari del cortile, come se egli
si trovasse dentro la finestra di una torre nel gioco degli scacchi.
"Un
Re ed un Torre" Pensa per un istante Artamiro."Un cielo
chiuso ed un gioco che non posso comandare."
Torna
a guardare le creature che hanno cessato di muoversi ed oscillano
debolmente, come se una corrente marina li inclinasse dolcemente.
Artamiro
vorrebbe distogliere lo sguardo da quei movimenti che gli sembrano
sbagliati, incompleti ma sente alle sue spalle lo sguardo divertito
di Tiatikenn e non cede, resistendo al suo corpo che vorrebbe
strapparlo da lì.
Quando
una delle creature alza il capo verso di lui, mostrando il volto
privo di occhi e la grande bocca scura, priva di labbra, simile ad un
taglio operato con il più tagliente dei rasoi, il Re sente il cuore
nel petto fermarsi.
Una
strana, incomprensibile tristezza spira da quei tratti incompleti,
come abbozzati dalla mano di un bimbo.
–
Mi ha guardato! – Urla gettandosi lontano dalla finestra.
Tiatikenn
scuote leggermente il capo. – Vedono, ma non guardano. Noi
possediamo il loro sguardo.
Artamiro
si volta di scatto. – Drjol, via di lì! – Grida.
Il
mago Gu'Hijirr non risponde, appoggiato al bordo della finestra.
Rossiter
e Tamu Hiniun lo strappano dalla sua contemplazione e nel farlo il
loro sguardo si posa per un attimo sull'incredibile paesaggio che si
vede dalla torre.
Nessuno
dei due parla, ma il volto divenuto livido parla per loro in modo
eloquente.
–
Via di qui, presto! – Grida Artamiro sconvolto.
Drjol
lo sguardo fisso ed il corpo senza forza, simile a quello di un
manichino viene portato via a braccia.
Una
volta giunto al piano inferiore Artamiro esita.
La
voce di Tiatikenn lo scuote come una frustata. – Fuori di qui è
tutto come sempre, Volontà.
Il
cortile della torre coperto di neve, il cielo chiaro e senza
profondità li attendono apparentemente quieti ed immutabili.
Artamiro
sale a cavallo. Esita nel lasciare che il suo sguardo abbracci il
mondo, come se esso potesse scomparire alla sua vista da un attimo
all'altro. Si stringe nella folta pelliccia. Improvvisamente il
freddo si è fatto più forte.
Nuovamente
solo nel proprio laboratorio Re Artamiro fissa il drappo di seta
rossa che copre Idùn, lo Specchio d'Ombra. La luce alle sue spalle,
guidata dai moti del suo animo, lampeggia di un colore verde freddo,
il colore della paura. Esita, il sovrano di Dancemarare, ma intuisce
che l'unica spiegazione di tutti gli strani eventi accadutigli non
può che essere custodita nel buio solido di Idùn.
Non
ha mai tentato di comunicare direttamente con le forze che sorreggono
la sostanza dello specchio ed il respiro stesso del Re si fa leggero
e quasi inaudibile per non risvegliare le strane entità che dormono
appena oltre la stoffa. Per un attimo si chiede se anche Teardraet,
attraverso il gemello di Idùn, Andòden, saprà delle sue paura,
della sua confusione. Stringe i denti, Artamiro, raccoglie il sudore
freddo che corre a inumidirgli le sopracciglia bianche, chiude gli
occhi rivedendo nitido come in una visione il volto bruno del
Conte-Mago dei Syerdwin. Lo vede muoversi lentamente, come se
procedesse nell'acqua, lo vede immergere il volto nella liscia
superficie scura di Andòden, provocando piccole onde che si spengono
sulla cornice dorata dello specchio.
Un
lamento, un debole rantolo nasce e si spegne sulle labbra di
Artamiro. Il sovrano di Dancemarare strappa con un movimento rabbioso
il drappo di seta gettandolo dietro di sé.
–
Idùn! – Grida, come se stesse chiamando un servitore malaccorto.
Lo
specchio immobile ed opaco non risponde.
–
Idùn! – Grida nuovamente Artamiro, improvvisamente incerto.
Un
filo di luce accende il bordo dello specchio, un filo di luce che
guadagna man mano spazio sul buio fino ad occupare l'intera
superficie. Il re si avvicina nuovamente a contemplare il riflesso
argenteo di un luogo che non si trova in quella stanza: un lago forse
o un mare illuminato da una luce grigia priva di sfumature, il cui
limite si perde in lontananza senza confini tra acqua e cielo. Una
calma assoluta domina quella visione, come se in quel mare nessuna
creatura si muovesse, nessun alito di vento giungesse mai a
perturbarne la superficie. "Il mare Obliquo" Pensa
Artamiro, risvegliando un vecchio ricordo udito o letto chissà
quando e dove.
–
Idùn, voglio sapere cosa sta accadendo. – Stacca bene le sillabe e
la parole il Re, come se parlasse con uno straniero o con un bimbo.
"Nulla
che non sia già accaduto, Mirei."
Artamiro
sobbalza: quella voce, formatasi nella sua mente, appartiene ad
Harruet, la sua governante personale alle quale i suoi genitori lo
affidavano bimbo piccolissimo. Ed a Harruet appartiene anche quel
vezzeggiativo che il suo Maestro gli ha insegnato poi a disprezzare
Lui ancor piccolo che annuncia ad Harruet: "Cessate di usare
quel nomignolo altrimenti sarò costretto a farvi frustare."
Quel
ricordo, seppellito sotto milioni di altri, torna in superficie
all'improvviso e Artamiro sente il proprio viso farsi di fuoco, lo
sguardo piegarsi davanti alla quieta sorpresa di lei, come allora.
–
Cosa vuoi dirmi Idùn? Perchè mi tormenti?
"Nulla,
nulla che tu non abbia già provato o saputo, Mirei. Nulla esiste che
qualcuno non abbia già sperimentato, nulla che non sia conservato
oltre il Mare Obliquo, dove tutti i ricordi attendono solo di essere
risvegliati. I tuoi, Mirei, quelli di chiunque tu abbia conosciuto o
che tu mai conoscerai. Un oceano di sogni e di ricordi che uniscono
passato e futuro, ricordi che verranno e ricordi già vissuti,
ricordi mai vissuti da nessuno e altri che nessuno oserà mai
ricordare."
–
Cosa vuoi dirmi, Idùn? La visione alla finestra… È solo un
ricordo? Ma di chi, di cosa?
La
voce di Harruet si fa ancor più lenta e carezzevole, come quando si
sforzava di spiegargli qualcosa che la sua mente bambina non riusciva
ad afferrare. "Si può scomparire in questo mare, Mirei, perdere
il senso del tuo tempo. Esistono ricordi che non hanno menti né
corpi: essi sono come un'onda che sale dagli abissi più profondi per
ricoprire l'Orlo del Mondo, sono i ricordi che nessuno desidera
ricordare."
–
Come questo, Harruet? Come quando…? – La voce di Artamiro si
spezza, vinta da un'emozione che lo fa rabbrividire come se si
trovasse all'esterno, nella neve che precipita lenta da ogni luogo.
Il volto privo di lineamenti della creatura scorta dalla finestra di
Dortendiuna impallidisce davanti ai suoi occhi chiusi dalle lacrime,
ed ora Artamiro può riconoscerlo. Il burattino che aveva bruciato
per allontanare da sé ogni traccia dell'infanzia, per darsi un
dolore che l'avrebbe spinto a crescere come desideravano da lui.
Il
volto colorato del burattino si era fatto nero al contatto della
fiamma, il naso di stoffa era scomparso, volato nel camino, gli occhi
di vetro si erano velati e spezzati e solo la bocca semiaperta,
rigida e netta come un taglio era rimasta spalancata come a cercare
aria per l'ultima volta.
Artamiro
finalmente singhiozza disperato come non aveva fatto da bimbo, quando
aveva guardato a labbra strette la dolorosa morte di Heini – ecco
qual'era il nome – un milione di volte dimenticato, del suo
compagno di giochi da bimbo solitario, perso nelle grandi stanze
della Reggia di Dancemarare.
La
superficie dello specchio è tornata al suo abituale buio opaco, ma
il Re, il volto nascosto nelle braccia raccolte sotto di sè, non lo
vede più. Ricorda con uno strano, doloroso compiacimento, cercando
nella sua mente tutto ciò che il tempo e la sua volontà hanno
cancellato, tutto ciò che non avrebbe mai creduto di poter vivere
una seconda volta.
La
luce che illumina il suo corpo contorto sulla nuda pietra è divenuta
chiara e forte come un faro al limite di un mare ignoto.
2 commenti:
Piano piano sto cercando di recuperare tutto,poco alla volta rileggerò le parti che hai postato quando ero offline.
Ciao Nick. Vai tranquillo, in tutti i casi pubblicherò in forma di e-book il testo, probsbilmente anche prima della fine.
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