Tempi avari di letture, ultimamente. Continuo a leggere con il consueto ritmo – è questo il bello delle abitudini – ma sinceramente fatico a dirmi completamente soddisfatto di ciò che ho letto ultimamente. In particolare mi riferisco alla sf e più in particolare ad alcuni «Urania» letti da poco che, se da un lato mi hanno divertito, per altri versi mi hanno creato qualche perplessità.
«Bella novità».
No, non ho intenzione di fare polemiche, ovviamente. Conosco la situazione del periodico, non mi illudo siano possibili miracoli e attendo più o meno pazientemente l'ennesima ristampa o la proposta di un romanzo rinunciabilissimo, resistendo alla tentazione di coprire di contumelie la Mondadori o Giuseppe Lippi. Diciamo che si sentirebbe la necessità di qualcosa di molto diverso, di una collana da libreria, di romanzi tradotti tempestivamente – anche per capire in che direzione sta andando la sf – ma non è tempo e i lettori in Italia sono troppo pochi, sicché... Diciamo che Fanucci e Zona 42 fanno ciò che possono – che soprattutto per il secondo non è poco – e non pubblicano romanzi del 1966 (!) come novità.
Quindi diciamo che le ultime letture partiranno proprio dai quattro «Urania» e mezzo letti.
Mezzo perché c'è tra gli Urania letti anche Chiusi dentro di John Scalzi che ho abbandonato a pagina 140.
Illeggibile? No, per carità. La storia ha ottime premesse, con in apertura il racconto della Sindrome di Haden, nata dal Great Flu, «pandemia globale che provocò la morte di oltre quattrocento milioni di persone» e che postula come conseguenza della malattia per i sopravvissuti una paralisi totale che li obbliga a fornirsi di un robot per condurre una vita relativamente autonoma o a farsi «ospitare» nel corpo di essere umani consenzienti, gli integratori.
Dato un panorama siffatto, data una trama chiaramente virata sul poliziesco, cominciano ad emergere quelli che a me appaiono come difetti o limiti. Una scrittura che ricorda troppo da vicino la sceneggiatura di un telefilm come C.S.I. o Law and Order, una descrizione di scene e ambienti sostanzialmente inesistente, tanto che al lettore nasce prepotente il desiderio di affibbiare come sfondo alle interminabili chiacchiere dei protagonisti le sedie e le scrivanie di una centrale di polizia. Eppure la vicenda meriterebbe maggiore attenzione e non mancano minacce di ordine politico, economico e sociale drammaticamente attuali. Ma non sono riuscito a finirlo, ahimé. Il problema è probabilmente mio: per me la descrizione dei luoghi e della loro singolarità è un elemento di importanza centrale in un romanzo di sf. Non so come la pensate voi, ma leggere un dialogo interminabile nel quale è relativamente facile perdere il turno delle battute e condotto da personaggi poco appariscenti, non fa per me. Mi rendo conto, naturalmente, della significatività del tema affrontato ma l'abitudine tipica di John Scalzi di far parlare troppo i suoi personaggi – ricordate Redshirts (Uomini in rosso)? – in alcuni casi finisce per rendere poco digeribile il suo testo.
Passiamo al numero due, Coyote Rising di Allen Steele.
Si tratta del secondo volume di Coyote [ed. orig. 2004], trilogia comprendente Coyote, Coyote Rising e Coyote Frontier. Romanzo collettivo, dove gli abitanti di Coyote, pianeta da poco colonizzato dalla stirpe degli homo sapiens e letteralmente unica risorsa per una Terra sovraffollata e inquinata e dominata da una sorta di comunismo dettato dalla necessità, dovrannno giungere a battersi con l'Unione Astronautica – che ha l'esclusivo possesso delle risorse di Coyote – per guadagnare la propria indipendenza.
Animato e vivace, Coyote Rising ci racconta la storia di una rivoluzione nata gradualmente, della matriarca Hernandez e della sua malefica truppa, dei savant, macchine postumane che alloggiano una mente umana in un involucro artificiale, di un pianeta colonizzato solo per il 5% mentre il 95% è tuttora sconosciuto e disabitato.
Uno dei problemi principali di Coyote è quello di essere l'obiettivo o la sola speranza di tutti coloro che hanno a vario titolo fallito sulla Terra, i Losers, i sostenitori di qualche causa sociale, politica o religiosa che non ha trovato adepti sul pianeta madre – sul modello di Zoltan Shirow e della sua «Chiesa della trasformazione universale» – e gli Outlaw di ogni genere e tipo. L'insieme crea un genere di ambiente che non può non richiamare immediatamente alla mente l'epopea del western americano, sia per i personaggi come Carlos o Maria Montero, leader della rivolta, o come Clark Thompson, sindaco di Thompson's Ferry che (involontariamente) determina lo scontro che dà il via alla rivoluzione, o come Manuel Castro, il Savant numero due dell'Unione astronautica, dannatamente simile a certi ambigui pistoleri in abito rigorosamente nero, ai quali – in genere – non è facile attribuire un ruolo positivo o negativo.
Curioso come il romanzo, nato da una serie di racconti pubblicati separamente, riesca comunque a costruire una vicenda coerente e a creare un frammento di storia possibile di un prossimo futuro. Ovviamente è inevitabile respirare l'aria di un'epica tutta americana, perfettamente esemplificata dall'ultima frase del romanzo, tratta da The Star-Spangled Banner, inno nazionale statunitense. In ogni caso un romanzo che si lascia leggere gradevolmente, nel quale Allen Steele si diverte a colpire talune abitudini e fissazioni tipicamente americani, anche se non lascia molto dietro di sè. Ma va bene così, comunque.
Arriviamo così a Tutti i mondi possibili, seconda parte de The Year's Best Science-Fiction, edizione 2014, curata da Gardner Dozois. Qui potrete trovare la recensione alla prima parte. A questo secondo volume farà seguito una terza e ultima parte in uscita a marzo 2017. Dodici racconti tra i quali testi di Greg Egan, Aliette de Bodard, Alistair Reynolds, Nancy Kress, Michael Swanwick e Alexander Jablokov. Una seconda parte dell'antologia che mi è sembrata comunque migliore della prima.
Molto buono il racconto di Greg Egan, Zero in condotta, sia per la scelta di una protagonista e di un luogo decisamente poco comuni nella sf – una ricercatrice di origine afghana che compie il proprio lavoro in Iran – che per il tono volutamente dimesso scelto nel raccontare la curiosa, incredibile scoperta di Latifa.
Discreto anche se eccessivamente breve Verso le stelle di Aliette de Bodard, potente metafora della gravidanza e della nascita. Curiosi anche se in definitiva non particolarmente significativi i protagonisti de Una mappa di Mercurio di Alistair Reynolds, un genere di artisti estremi che non è raro incontrare. Ottimo il racconto Uno di Nancy Kress, settanta pagine per raccontare la storia di Zack, pugile perdente che acquisisce un superpotere inatteso e imprevisto, oltre che maledettamente scomodo. Grazioso ma nulla di più Assassinio sull'Aldrin Express di Martin L. Shoemaker, mentre sorprendente si rivela Frammenti biografici della vita di Julian Prince di Jake Kerr, la biografia letteraria di uno scrittore che ha narrato la fine dell'America del Nord, distrutta da un asteroide, uno dei pochi racconti che merita rileggere. Il flagello di Ken Liu è letteralmente una freccia, racconto brevissimo ma efficace. Si arriva così a La Flotta di Sandra McDonald, una vicenda post-olocausto crudele e nitida, esattamente com'è (giustamente) crudele e sorprendente Il ghigno segreto della Lupa di Michael Swanwick, una storia complessa di combinazioni genetiche aliene e di clonazioni impreviste. Notevole, in ogni caso, la scelta dell'Io narrante.Cambio netto di atmosfera e clima con il racconto Giornataccia a Boscobel di Alexander Jablokov. In un sistema solare abitato dai discendenti della nostra specie, la storia di un complotto messo in atto da profughi marziani su un asteroide tanto boscoso che i suoi stessi abitanti possono passare la vita su rami e fronde senza avere la necessità di mettere mai un piede a terra. Divertente e animato, conferma la vicinanza narrativa di Jablokov a Vance. L'astronauta irlandese di Val Nolan è un buon racconto, lento e meditato come merita la vicenda e con qualche passaggio tanto pudicamente suggestivo da meritare una seconda e una terza lettura. Ultimo racconto L'altra pistola di Neal Asher, scatenata vaudeville con tre protagonisti a loro modo unici, richiama inevitabilmente alla mente Quentin Tarantino, anche per la quantità di morti, feriti, mutilati e altre vittime che si allineano nel corso delle sue cinquantanove pagine, condotte a un ritmo adrenalinico.
A questo punto non mi resta che attendere il terzo volume di questa ciclopica antologia per azzardare un giudizio complessivo. Aspetto curioso – ma anche qui devo attendere di aver concluso la lettura – è da un lato la relativa povertà di stimoli scientifici (biologici, cosmologici, astronomici, linguistici, geologici, planetologici...), dall'altra la sostanziale rinuncia a forme di narrativa meno comuni (o meno banali). Insomma, si tratta di un fantascienza senza età, un particolare che, perlomeno a me, risulta leggermente allarmante.
Capitan Abisso, Norman Spinrad [1983], uscito per la prima volta in Urania nel 2002 e riproposto nella sottocollana I Capolavori nel giugno del 2015. Una vicenda che richiama immediatamente alla mente storie come Scanners live in vain di Cordwainer Smith o gli Aurei di Samuel Delany, ovvero coloro che possono rinunciare a un aspetto del proprio sé – fisico, psicologico, mentale, caratteriale – in cambio della possibilità di viaggiare nello spazio.
A essere in ballo, nel caso di Capitan Abisso, è nientemeno che la sessualità. Quella di Dominique Alia Wu, pilota di una nave stellare e quella del Comandante del Vuoto, capitano Genro Kane Gupta, la prima artefice dei Salti che permettono alla nave di muoversi nello spazio, il secondo responsabile della nave, dell'equipaggio e degli Onorati Passeggeri con il Domo, Lorenza Kareen Patali, inevitabile deuterogonista e fonte di una passione normalmente trasgressiva.
L'abitudine dei viaggi spaziali, per il ceto altissimo che si fa portare a spasso per l'universo senza essere posto in elettrocoma – gli onorati passeggeri –, prevede un'inevitabile storia d'amore e di sesso tra la Domo e il Comandante del Vuoto, quasi una sceneggiatura predefinita per divertire i passeggeri. Il problema è però che il comandante, Genro Kane Gupta, si innamora, o meglio, prova una fissazione crescente per il pilota, creatura che:
Lungi dall'essere il vettore e il conduttore della nave [...] non è altro che la resistenza psico-organica del Circuito di Salto, un modulo vivente del circuito in un meccanismo ben più grande. Il Circuito Primario induce una configurazione specifica di orgasmo psicosomatico nel sistema nervoso del pilota. [...] i piloti sostengono che l'intervallo del Salto è contemporaneamente atemporale ed eterno, come lo stesso orgasmo, che tutto il resto è un'ombra e che viene raggiunta la vera unione con l'Atman.
In sostanza, i piloti sono creature profondamente disadattate, con una sintomatologia non troppo diversa a quella dell'autismo e non poche difficoltà a entrare in relazione con gli altri umani. Dominique è in apparenza meglio adattata alla vita sociale ma, come tutti i piloti, ha il Salto come unico scopo della sua vita. E il Salto alla Cieca come unico desiderio non espresso.
La vicenda si snoda in un crescendo drammatico, narrata direttamente dal diario del comandante:
Sono Genro Kane Gupta, Capitano del Vuoto del modulo Dragon Zephir, e purtroppo questa è la mia storia di morte. Per necessità, è anche la storia del Pilota del Vuoto Dominique Alia Wu.
Questo è l'incipit del romanzo, un genere di inizio che obbliga a continuare la lettura.
Tra i pochi difetti – anche se probabilmente dovrebbe essere inteso come eccesso di confidenza nei confronti del lettore – l'uso di termini estratti dal tedesco, dal francese, dallo spagnolo, dal latino ecc. e inseriti all'interno dei normali dialoghi, a voler significare (suppongo) il melting pot creatosi in una lingua universale e/o la confidenza con le lingue degli onorati passeggeri. Il risultato non è comunque e sempre eccellente, nonostante l'impegno di Spinrad e di Antonella Pieretti, la traduttrice, Francamente e giustamente insopportabile l'ambiente – pettegolo, meschino, fatuo e vanesio – dei ricchissimi umani che popolano la Dragon Zephir, soprattutto se paragonato all'aspirazione all'orgasmo eterno come passaggio verso il Grande e Unico del Pilota e la folle disperazione del Comandante nel cercare di trattenerla e insieme vivere con lei il suo incubo.
Naturalmente non sono pochi i passaggi dedicati alle attività sessuali del Comandante, ma si tratta in genere di attività frustranti o condotte sul filo della follia, ovvero attività che non è consigliabile leggere in attesa di un appuntamento galante. Ultima riflessione sul crescere dell'insanìa del comandante narrata da lui stesso, simile alla pazzia di una falena che viene inesorabilmente attratta da ciò che non potrà che ucciderla.
E concludo, necessariamente un po' di corsa, con I Riti dell'Infinito di Michael Moorcock, Urania Millemondi di Agosto 2014, formato da tre romanzi: Il veliero dei ghiacci [1966], nella traduzione di Roberta Rambelli, Il campione eterno [1970], prima edizione italiana in Urania Fantasy [1990], con la traduzione di Riccardo Valla e I Riti dell'Infinito [1971] tradotto da Vittorio Curtoni.
Il migliore è indubbiamente il più vecchio, Il veliero dei ghiacci, protagonista Konrad Arflane, comandante di lunga carriera chiamato a guidare la Ice Spirit, nave costruita per sfidare i ghiacci e giungere fino a New York, città divenuta leggenda. Un passo indietro: siamo su una Terra colpita da un'era glaciale senza precedenti e le navi a vela devono viaggiare su pattini da ghiaccio, con il rischio costante di rottura dei dei medesimi e una panne che non può che diventare l'anticamera della morte. Accompagnato dai parenti di Pyotr Rorsefne, ideatore e finanziatore dell'impresa, il povero Arflane sarà costretto a difendersi dalle manovre dei parenti del mecenate, da attacchi da parte di popoli sconosciuti, di rotture dei pattini. diserzioni e tentativi di omicidio. Giungerà infine alla meta un pugno di sopravvissuti che troveranno una situazione del tutto imprevedibile. Ma per Arflane non sarà, probabilmente l'ultima avventura. Ben condotta, con un ottimo ritmo e continui colpi di scena, un'avventura artica degna della biografia di un esploratore.
Non molto da dire sul secondo romanzo, Il campione Eterno, un fantasy che ha per protagonista in immortale con non pochi problemi, Erekosë, in realtà un uomo del XX secolo reincarnatosi in un eroe in un mondo a bassa tecnologia. Potenti battaglie, tradimenti, dubbi, sospetti, omicidi e stragi sono il tema del racconto che si lascia leggere anche se, purtroppo, non sono un amante del fantasy di tipo medievale.
Ultimo il romanzo che dà il titolo alla raccolta, I Riti dell'Infinito, un romanzo di simulacri di Terre create da un'ignota intelligenza e di uno scienziato – Faustaff, ovvero un Faust dotato del corpo di Falstaff – che un po' alla volta troverà la soluzione e riuscirà a incontrare i «Superiori». Un romanzo vivace ma anche piuttosto confuso e in ultima analisi debole. Diciamo che si tratta di un repêchage che si poteva tranquillamente evitare.
...
E sono giunto alla fine.
Mi sono già prolungato abbastanza. Un grosso abbraccio a tutti!
Mezzo perché c'è tra gli Urania letti anche Chiusi dentro di John Scalzi che ho abbandonato a pagina 140.
Illeggibile? No, per carità. La storia ha ottime premesse, con in apertura il racconto della Sindrome di Haden, nata dal Great Flu, «pandemia globale che provocò la morte di oltre quattrocento milioni di persone» e che postula come conseguenza della malattia per i sopravvissuti una paralisi totale che li obbliga a fornirsi di un robot per condurre una vita relativamente autonoma o a farsi «ospitare» nel corpo di essere umani consenzienti, gli integratori.
Dato un panorama siffatto, data una trama chiaramente virata sul poliziesco, cominciano ad emergere quelli che a me appaiono come difetti o limiti. Una scrittura che ricorda troppo da vicino la sceneggiatura di un telefilm come C.S.I. o Law and Order, una descrizione di scene e ambienti sostanzialmente inesistente, tanto che al lettore nasce prepotente il desiderio di affibbiare come sfondo alle interminabili chiacchiere dei protagonisti le sedie e le scrivanie di una centrale di polizia. Eppure la vicenda meriterebbe maggiore attenzione e non mancano minacce di ordine politico, economico e sociale drammaticamente attuali. Ma non sono riuscito a finirlo, ahimé. Il problema è probabilmente mio: per me la descrizione dei luoghi e della loro singolarità è un elemento di importanza centrale in un romanzo di sf. Non so come la pensate voi, ma leggere un dialogo interminabile nel quale è relativamente facile perdere il turno delle battute e condotto da personaggi poco appariscenti, non fa per me. Mi rendo conto, naturalmente, della significatività del tema affrontato ma l'abitudine tipica di John Scalzi di far parlare troppo i suoi personaggi – ricordate Redshirts (Uomini in rosso)? – in alcuni casi finisce per rendere poco digeribile il suo testo.
Passiamo al numero due, Coyote Rising di Allen Steele.
Si tratta del secondo volume di Coyote [ed. orig. 2004], trilogia comprendente Coyote, Coyote Rising e Coyote Frontier. Romanzo collettivo, dove gli abitanti di Coyote, pianeta da poco colonizzato dalla stirpe degli homo sapiens e letteralmente unica risorsa per una Terra sovraffollata e inquinata e dominata da una sorta di comunismo dettato dalla necessità, dovrannno giungere a battersi con l'Unione Astronautica – che ha l'esclusivo possesso delle risorse di Coyote – per guadagnare la propria indipendenza.
Animato e vivace, Coyote Rising ci racconta la storia di una rivoluzione nata gradualmente, della matriarca Hernandez e della sua malefica truppa, dei savant, macchine postumane che alloggiano una mente umana in un involucro artificiale, di un pianeta colonizzato solo per il 5% mentre il 95% è tuttora sconosciuto e disabitato.
Uno dei problemi principali di Coyote è quello di essere l'obiettivo o la sola speranza di tutti coloro che hanno a vario titolo fallito sulla Terra, i Losers, i sostenitori di qualche causa sociale, politica o religiosa che non ha trovato adepti sul pianeta madre – sul modello di Zoltan Shirow e della sua «Chiesa della trasformazione universale» – e gli Outlaw di ogni genere e tipo. L'insieme crea un genere di ambiente che non può non richiamare immediatamente alla mente l'epopea del western americano, sia per i personaggi come Carlos o Maria Montero, leader della rivolta, o come Clark Thompson, sindaco di Thompson's Ferry che (involontariamente) determina lo scontro che dà il via alla rivoluzione, o come Manuel Castro, il Savant numero due dell'Unione astronautica, dannatamente simile a certi ambigui pistoleri in abito rigorosamente nero, ai quali – in genere – non è facile attribuire un ruolo positivo o negativo.
Curioso come il romanzo, nato da una serie di racconti pubblicati separamente, riesca comunque a costruire una vicenda coerente e a creare un frammento di storia possibile di un prossimo futuro. Ovviamente è inevitabile respirare l'aria di un'epica tutta americana, perfettamente esemplificata dall'ultima frase del romanzo, tratta da The Star-Spangled Banner, inno nazionale statunitense. In ogni caso un romanzo che si lascia leggere gradevolmente, nel quale Allen Steele si diverte a colpire talune abitudini e fissazioni tipicamente americani, anche se non lascia molto dietro di sè. Ma va bene così, comunque.
Arriviamo così a Tutti i mondi possibili, seconda parte de The Year's Best Science-Fiction, edizione 2014, curata da Gardner Dozois. Qui potrete trovare la recensione alla prima parte. A questo secondo volume farà seguito una terza e ultima parte in uscita a marzo 2017. Dodici racconti tra i quali testi di Greg Egan, Aliette de Bodard, Alistair Reynolds, Nancy Kress, Michael Swanwick e Alexander Jablokov. Una seconda parte dell'antologia che mi è sembrata comunque migliore della prima.
Molto buono il racconto di Greg Egan, Zero in condotta, sia per la scelta di una protagonista e di un luogo decisamente poco comuni nella sf – una ricercatrice di origine afghana che compie il proprio lavoro in Iran – che per il tono volutamente dimesso scelto nel raccontare la curiosa, incredibile scoperta di Latifa.
Discreto anche se eccessivamente breve Verso le stelle di Aliette de Bodard, potente metafora della gravidanza e della nascita. Curiosi anche se in definitiva non particolarmente significativi i protagonisti de Una mappa di Mercurio di Alistair Reynolds, un genere di artisti estremi che non è raro incontrare. Ottimo il racconto Uno di Nancy Kress, settanta pagine per raccontare la storia di Zack, pugile perdente che acquisisce un superpotere inatteso e imprevisto, oltre che maledettamente scomodo. Grazioso ma nulla di più Assassinio sull'Aldrin Express di Martin L. Shoemaker, mentre sorprendente si rivela Frammenti biografici della vita di Julian Prince di Jake Kerr, la biografia letteraria di uno scrittore che ha narrato la fine dell'America del Nord, distrutta da un asteroide, uno dei pochi racconti che merita rileggere. Il flagello di Ken Liu è letteralmente una freccia, racconto brevissimo ma efficace. Si arriva così a La Flotta di Sandra McDonald, una vicenda post-olocausto crudele e nitida, esattamente com'è (giustamente) crudele e sorprendente Il ghigno segreto della Lupa di Michael Swanwick, una storia complessa di combinazioni genetiche aliene e di clonazioni impreviste. Notevole, in ogni caso, la scelta dell'Io narrante.Cambio netto di atmosfera e clima con il racconto Giornataccia a Boscobel di Alexander Jablokov. In un sistema solare abitato dai discendenti della nostra specie, la storia di un complotto messo in atto da profughi marziani su un asteroide tanto boscoso che i suoi stessi abitanti possono passare la vita su rami e fronde senza avere la necessità di mettere mai un piede a terra. Divertente e animato, conferma la vicinanza narrativa di Jablokov a Vance. L'astronauta irlandese di Val Nolan è un buon racconto, lento e meditato come merita la vicenda e con qualche passaggio tanto pudicamente suggestivo da meritare una seconda e una terza lettura. Ultimo racconto L'altra pistola di Neal Asher, scatenata vaudeville con tre protagonisti a loro modo unici, richiama inevitabilmente alla mente Quentin Tarantino, anche per la quantità di morti, feriti, mutilati e altre vittime che si allineano nel corso delle sue cinquantanove pagine, condotte a un ritmo adrenalinico.
A questo punto non mi resta che attendere il terzo volume di questa ciclopica antologia per azzardare un giudizio complessivo. Aspetto curioso – ma anche qui devo attendere di aver concluso la lettura – è da un lato la relativa povertà di stimoli scientifici (biologici, cosmologici, astronomici, linguistici, geologici, planetologici...), dall'altra la sostanziale rinuncia a forme di narrativa meno comuni (o meno banali). Insomma, si tratta di un fantascienza senza età, un particolare che, perlomeno a me, risulta leggermente allarmante.
Capitan Abisso, Norman Spinrad [1983], uscito per la prima volta in Urania nel 2002 e riproposto nella sottocollana I Capolavori nel giugno del 2015. Una vicenda che richiama immediatamente alla mente storie come Scanners live in vain di Cordwainer Smith o gli Aurei di Samuel Delany, ovvero coloro che possono rinunciare a un aspetto del proprio sé – fisico, psicologico, mentale, caratteriale – in cambio della possibilità di viaggiare nello spazio.
A essere in ballo, nel caso di Capitan Abisso, è nientemeno che la sessualità. Quella di Dominique Alia Wu, pilota di una nave stellare e quella del Comandante del Vuoto, capitano Genro Kane Gupta, la prima artefice dei Salti che permettono alla nave di muoversi nello spazio, il secondo responsabile della nave, dell'equipaggio e degli Onorati Passeggeri con il Domo, Lorenza Kareen Patali, inevitabile deuterogonista e fonte di una passione normalmente trasgressiva.
L'abitudine dei viaggi spaziali, per il ceto altissimo che si fa portare a spasso per l'universo senza essere posto in elettrocoma – gli onorati passeggeri –, prevede un'inevitabile storia d'amore e di sesso tra la Domo e il Comandante del Vuoto, quasi una sceneggiatura predefinita per divertire i passeggeri. Il problema è però che il comandante, Genro Kane Gupta, si innamora, o meglio, prova una fissazione crescente per il pilota, creatura che:
Lungi dall'essere il vettore e il conduttore della nave [...] non è altro che la resistenza psico-organica del Circuito di Salto, un modulo vivente del circuito in un meccanismo ben più grande. Il Circuito Primario induce una configurazione specifica di orgasmo psicosomatico nel sistema nervoso del pilota. [...] i piloti sostengono che l'intervallo del Salto è contemporaneamente atemporale ed eterno, come lo stesso orgasmo, che tutto il resto è un'ombra e che viene raggiunta la vera unione con l'Atman.
In sostanza, i piloti sono creature profondamente disadattate, con una sintomatologia non troppo diversa a quella dell'autismo e non poche difficoltà a entrare in relazione con gli altri umani. Dominique è in apparenza meglio adattata alla vita sociale ma, come tutti i piloti, ha il Salto come unico scopo della sua vita. E il Salto alla Cieca come unico desiderio non espresso.
La vicenda si snoda in un crescendo drammatico, narrata direttamente dal diario del comandante:
Sono Genro Kane Gupta, Capitano del Vuoto del modulo Dragon Zephir, e purtroppo questa è la mia storia di morte. Per necessità, è anche la storia del Pilota del Vuoto Dominique Alia Wu.
Questo è l'incipit del romanzo, un genere di inizio che obbliga a continuare la lettura.
Tra i pochi difetti – anche se probabilmente dovrebbe essere inteso come eccesso di confidenza nei confronti del lettore – l'uso di termini estratti dal tedesco, dal francese, dallo spagnolo, dal latino ecc. e inseriti all'interno dei normali dialoghi, a voler significare (suppongo) il melting pot creatosi in una lingua universale e/o la confidenza con le lingue degli onorati passeggeri. Il risultato non è comunque e sempre eccellente, nonostante l'impegno di Spinrad e di Antonella Pieretti, la traduttrice, Francamente e giustamente insopportabile l'ambiente – pettegolo, meschino, fatuo e vanesio – dei ricchissimi umani che popolano la Dragon Zephir, soprattutto se paragonato all'aspirazione all'orgasmo eterno come passaggio verso il Grande e Unico del Pilota e la folle disperazione del Comandante nel cercare di trattenerla e insieme vivere con lei il suo incubo.
Naturalmente non sono pochi i passaggi dedicati alle attività sessuali del Comandante, ma si tratta in genere di attività frustranti o condotte sul filo della follia, ovvero attività che non è consigliabile leggere in attesa di un appuntamento galante. Ultima riflessione sul crescere dell'insanìa del comandante narrata da lui stesso, simile alla pazzia di una falena che viene inesorabilmente attratta da ciò che non potrà che ucciderla.
E concludo, necessariamente un po' di corsa, con I Riti dell'Infinito di Michael Moorcock, Urania Millemondi di Agosto 2014, formato da tre romanzi: Il veliero dei ghiacci [1966], nella traduzione di Roberta Rambelli, Il campione eterno [1970], prima edizione italiana in Urania Fantasy [1990], con la traduzione di Riccardo Valla e I Riti dell'Infinito [1971] tradotto da Vittorio Curtoni.
Il migliore è indubbiamente il più vecchio, Il veliero dei ghiacci, protagonista Konrad Arflane, comandante di lunga carriera chiamato a guidare la Ice Spirit, nave costruita per sfidare i ghiacci e giungere fino a New York, città divenuta leggenda. Un passo indietro: siamo su una Terra colpita da un'era glaciale senza precedenti e le navi a vela devono viaggiare su pattini da ghiaccio, con il rischio costante di rottura dei dei medesimi e una panne che non può che diventare l'anticamera della morte. Accompagnato dai parenti di Pyotr Rorsefne, ideatore e finanziatore dell'impresa, il povero Arflane sarà costretto a difendersi dalle manovre dei parenti del mecenate, da attacchi da parte di popoli sconosciuti, di rotture dei pattini. diserzioni e tentativi di omicidio. Giungerà infine alla meta un pugno di sopravvissuti che troveranno una situazione del tutto imprevedibile. Ma per Arflane non sarà, probabilmente l'ultima avventura. Ben condotta, con un ottimo ritmo e continui colpi di scena, un'avventura artica degna della biografia di un esploratore.
Non molto da dire sul secondo romanzo, Il campione Eterno, un fantasy che ha per protagonista in immortale con non pochi problemi, Erekosë, in realtà un uomo del XX secolo reincarnatosi in un eroe in un mondo a bassa tecnologia. Potenti battaglie, tradimenti, dubbi, sospetti, omicidi e stragi sono il tema del racconto che si lascia leggere anche se, purtroppo, non sono un amante del fantasy di tipo medievale.
Ultimo il romanzo che dà il titolo alla raccolta, I Riti dell'Infinito, un romanzo di simulacri di Terre create da un'ignota intelligenza e di uno scienziato – Faustaff, ovvero un Faust dotato del corpo di Falstaff – che un po' alla volta troverà la soluzione e riuscirà a incontrare i «Superiori». Un romanzo vivace ma anche piuttosto confuso e in ultima analisi debole. Diciamo che si tratta di un repêchage che si poteva tranquillamente evitare.
...
E sono giunto alla fine.
Mi sono già prolungato abbastanza. Un grosso abbraccio a tutti!
2 commenti:
Beh, complimenti innanzitutto per questa corposa analisi. Davvero utile per potersi orientare nelle ultime (ma non ultimissime) pubblicazioni Urania. Tra questi paradossalmente l'unico che ho letto è quello di Scalzi. Non mi è dispiaciuto. E' un libro che si lascia leggere dall'inizio alla fine, questo sì, ma hai perfettamente ragione quando dici che non è altro che un poliziesco ambientato nel futuro. Ottimo per il cinema, non c'è ombra di dubbio, ma difficile da seguire sulla carta per via dei suoi dialoghi stretti.
Le due antologie "Tutti i mondi possibili" sono invece ancora lì da leggere e spero di riuscire a farlo quanto prima, magari con una stampa di questo tuo post da usare nella duplice funzione di segnalibro e di "guida alla lettura" da consultare all'occorrenza.
Davvero trovi allarmante la fantascienza senza età? In fondo si tratta di un modo per prolungare la vita di un genere che sta scomparendo. Nel senso che la buffa tecnologia del futuro che caratterizzava certa FS anni Cinquanta può essere affascinante per alcuni, ma irritante per molti.
@Obsidian: diciamo che si è trattato di pura pigrizia ciò che mi ha impedito di terminare il romanzo di Scalzi. Ciò detto non posso che ripetere ciò che ho già scritto: non sono riuscito a finirlo, più o meno come spegnere la TV quando mi accorgo che quella puntata di Law & Order non è male ma forse l'ho già vista. Ti ringrazio per l'idea di utilizzare le mie recensioni come una guida alla lettura. Ovviamente devo preavvisarti che si tratta di semplici gusti personali ma questo immagino lo saprai perfettamente. Quanto infine alla sf che rischia di essere sempre la stessa, diciamo che si tratta di due distinte riflessioni che ho malamente mischiato. Da un lato i temi scientifici che rimangono appena accennati, dall'altra parte uno stile di scrittura che - e non escludo la responsabilità dei traduttori - si ripete in un "traduttorese" che è poi quello che i nuovi autori ripetono pedissequamente, convinti che la sf si scriva così. Naturalmente, comunque avrai modo di apprezzare le differenze che in ogni caso emergono. In Egan o in Kress, tanto per citare i primi che mi vengono in mente. In ogni caso buona lettura!
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