30.7.16

Dopo e prima della montagna.


Come forse qualcuno avrà intuito ho passato la scorsa settimana e buona parte di questa in montagna. Non per altro, essenzialmente per riuscire a sopravvivere all'infernale caldo urbano. E non mi ha migliorato l'umore aver appreso da Tecnobarocco di Mario Tozzi, che nell'ambiente cittadino, grazie al traffico di automobili e al condizionamento d'aria, la temperatura media è di 3-4° più alta anche semplicemente che in zone di scarsa urbanizzazione...
Resta il problema dei contatti a mezzo internet, ovviamente ridotti a un livello minimo in ambiente montanaro. Ma forse il tutto non è poi così negativo, anche perché ho trascorso il mio tempo a leggere e nella valutazione di alcuni manoscritti che mi sono portato dietro. L'uno è Il Fantasma del Mare Imbrium proveniente dall'instacabile Paolo S. Cavazza, l'altro è Iaxelin, un testo fantasy affidatomi da una gentile fanciulla [*].
Non azzardo alcuna valutazione, dal momento che il lavoro sui testi è tutt'altro che terminato, ma mi hanno colpito alcuni aspetti sul lavoro di editing sui quali forse merita riflettere. 
Il lavoro di editing, innanzitutto, è uno strano genere di lavoro che teoricamente dovrebbe condurre da un testo grezzo a un testo pronto per la pubblicazione. 

Dovrebbe segnalare all'autore i difetti formali – come la pura e semplice ortografia, la grammatica, i generi, i tempi, le persone, le ripetizioni, fino alle apparenti banalità come nomi e cognomi dei personaggi – ma anche le debolezze nella vicenda, le aporie caratteriali dei personaggi, le ambiguità della vicenda, la povertà o la sovrabbondanza delle ambientazioni, l'elàn eccessivo della vicenda o la sua insanabile/ intollerabile lentezza. Segnalare le lungaggini o la povertà formale del testo, valutare se l'intreccio funziona o meno, sottolineare le cadute e i punti forti, il tutto cercando di mettere il silenziatore al proprio personale gusto, evitando di trasformare le vicende in un modo che maggiormente mi aggradi – che aggradi me e non l'ipotetico lettore – modificare i personaggi in una maniera aderente allo stile e ai modi dell'autore e non procedendo in modo che sembri probabilmente solo a me più efficace. Cercare di calarmi nei panni dell'autore, dell'ambiente e della situazione creata, in definitiva.
Un lavoro defatigante se condotto con un minimo di onestà, tenendo anche conto che non si può – e soprattutto non si deve – risultare sbrigativi o brutali con gli autori, sottovalutare lo scopo ultimo del loro scritto o ridicolizzarne le intenzioni. Qualunque variazione non va imposta ma discussa, punto per punto. Cosa ancora più complessa se si tiene conto che praticamente tutto il lavoro va condotto via e-mail o a mezzo FB. 
Già, ma a me che cosa ne viene, da tutto questo lavoro?
A parte le possibilità ricadute in termini di editoria, ovviamente. 
Beh, non è facile tirare le somme di un lavoro così altamente dispersivo e di esito incerto, ma sono convinto che in definitiva possa essere utile all'editor come all'autore. E non parlo di idee rubate o simili fregnacce da novellino ma di lavoro ad alto ingrandimento su un testo. 
Leggere un testo ad alta voce, ripetere un passaggio che non convince, cercare un sinonimo-che-non-è-un-sinonimo ma quasi, tagliare una larga parte – lavorare su PC lo permette – e vedere l'effetto che fa o magari spostarlo altrove o anticipare l'intervento di un personaggio o ritardarlo o eliminarlo. Tutti lavori che si fanno scrivendo e, nello stesso modo, li si fa lavorando su un testo altrui.
Ma a colpire davvero sono i grandi interrogativi: «Ma perché hai scritto questo testo? Qual è il suo significato? La sua funzione? Il suo scopo – sempre che abbia senso attribuire uno scopo a un testo? A chi si rivolge? 
Tutte domande che, prima o poi, ci si è rivolti o che sarebbe bene porsi. 
Comunque  

 
 
[*] Nel nome di una malconsigliata parità Silvia ha da leggere altri due-tre testi...

2 commenti:

Orlando Furioso ha detto...

Ho dovuto cercare ben due termini del tuo articolo... la mia ignoranza trascende l'abissalità! :)
A parte gli scherzi (...), ecco perché sono così felice di amare tanto la lettura ma di non aver mai sentito l'esigenza di scrivere. O meglio, quando si è presentata taaanti anni fa, l'ho ben bene presa a calci valutando quale sarebbe stato il piacere maggiore, se leggere o scrivere, e ha vinto tipo 1275 a 1 la lettura! :)))
Al di la di questi inutili autobiografismi, continuo a leggere con enorme interesse i tuoi articoli sull'argomento. Anzi, i tuoi articoli in genere.
Un carissimo saluto e a presto!

Massimo Citi ha detto...

Grazie per la tua lettura. Quanto alle parole non le scelgo per il piacere di obbligare un malcapitato lettore a controllarle ma unicamente perché mi balzano in mente e mi sembrano adeguate. In ogni caso mi scuso: la prossima volta cercherò di essere più comprensibile, giurin giuretto. Quanto alla scelta tra la lettura e la scrittura non so bene come risponderti. In realtà il desiderio di scrivere mi ha sempre accompagnato. Posso probabilmente farlo risalire ai tempi della scuola media quando un'insegnante di italiano lodava (eccessivamente) i miei temi o forse perché mi è capitato troppo spesso di non essere d'accordo con l'autore su una svolta o su una chiusura. In ogni caso ho perso non poco del mio tempo a scrivere (ma anche di più a leggere)e riconoscere ora di aver solo perso tempo non sarebbe bello... *_*