16.2.13

Lunario dell'eclisse

Un altro calco, forse meno facile da targare dei precedenti. Questa volta, infatti, nemmeno io potrei definire uno o più nomi più o meno illustri al quale collegarlo, mentre non posso dimenticare il genere di soggetti che me l'hanno ispirato. Mia madre - cenno personalissimo - ha l'abitudine di trascorrere ogni anno qualche settimana presso un albergo della riviera dove alloggiano creature di genere femminile, anche piuttosto agées e di gusti "romantici", in un'accezione che non ha molto a che vedere con Schiller o con Coleridge ma che si può senza fatica definire languore, melensaggine e vuoto sentimentalismo. Ovviamente le volte che sono stato nell'hotel in oggetto - due o tre volte negli ultimi anni e per pochissimi giorni - ho sempre evitato come la peste di dover scambiare parola con coloro, ma non potevo evitare - a tavola o in spiaggia - di afferrare qualche frammento del discorso loro o del marito, amante o conoscente. Ciò che ne ho compreso è piuttosto agghiacciante ma si può senza fatica compendiare nel testo che presento: un'immane fatica pur di ottenere e mantenere una buona sistemazione. 

  
SUBLIME

« ... intense emozioni sconvolgono il mio pensiero e l'oceano dell'anima squassa con i suoi potenti marosi la fortezza sterile dell'arida ragione, che mai possedetti pur essendone posseduta. State qui, o mie fragili righe, testimoni della più amara sconfitta e del grande mistero sfiorato..»
Certa di incontrare il Vostro interesse Vi invio il mio «Lunario dell'Eclisse», testimonianza definitiva del mio sentire. Edna Corsieri Bellombra.

Lunario dell'Eclisse
di Edna Corsieri Bellombra

.... Mi guardi tacendo. Ignoro. Trema il mio io bambino disilluso. Il vento aspro si aggrappa ancora una volta a queste rocce venate di umidità, esauste dal lento scorrere dei secoli. Taci ancora, ornandoti di oscurità.
- Non c'è più tempo. - Mormori infine, definitivo come un rintocco, come un sigillo bronzeo sbalzato da ignote e antiche mani sapienti. - Dobbiamo andare.
Tutto è così netto in te, così preciso e privo d'ombra. Mi hai amato? Ti ho amato? Fu semplice intenerirsi, piegarsi di una grande fronda sul mio sguardo intenso di amarezze? O passione rapida come il fuoco che muore vivendo sui ciocchi rugosi che hanno sorvegliato il nostro languire, qui, in queste stanze chiare e dimenticate dal tempo?
Chino il capo. La valigia di vitello di Vuitton®tm, piena di inutili abiti firmati, di fragili gingilli, di serici fremiti ormai scivolati alle mie spalle è pronta al portone, oggetto bello ma cieco e quotidiano che accoglie i miei sguardi senza nulla rendere né ricordare.
- Ricordi...? - Mi mordo le labbra tornando arca di silenzio. Non sollevi neppure lo sguardo, consulti il tuo orologio d'oro, il mio primo dono, acquistato da Arcuri & Bonsonno, design originale di Hirami Tagomo®tm e lancette di Fabergé®tm. Il tuo sorriso allora era stato l'alba di un nuovo, eterno giorno di felicità, ora il tuo tacere è notte di pietra scura dove si frangono le mie emozioni.
- Hai preso tutto? - Chiedi - Che non ho mica voglia di far inversione in galleria.
Tutto, come si può prendere tutto? I nostri respiri, le nostre parole, i nostri sogni inquieti ed i risvegli disperati? Come posso prenderli, come posso recarli con noi, o crudele? Vorrei urlare, strappandomi queste vesti da viaggio disegnate da Valentiniano®tm, dipingendomi di colori rabbiosi e osceni della Mitsunami®tm per ballare nuda per te, mio Abelardo pagano. Vorrei stupirti, farti fremere davanti alla mia anima selvaggia, ai mie gesti eccessivi, alla mia passione estenuata.
- Allora, ti muovi? - Mi domandi. Quale divinità d'acciaio, quale oscura, siderea forza cieca ha fatto di te un gelido notaio delle nostre anime perdute? Afferro il beauty-case in pelle d'alligatore, dono del Cavalier Augusto Ferdinando Corsini, disegnato in sole cento copie da Esteban Malvezzi®tm, ricevuto alla splendida festa tenuta all'Eremo di Montebricco e ispirata all'antico Egitto. Recavo il volto di una dea, allora, mio Anubi dal volto di levriero: ero Iside, lunare compagna di Osiride, e già allora, quella sera, sentivo questo distacco, questo sordo dolore, fattosi sofferenza viva quando ti sei messo ad abbaiare alla luna e sei caduto nella piscina.  


 Esci sbuffando. La porta si chiude alle tue spalle che tante volte ho stretto e graffiato, come un naufrago aggrappato al tronco della salvezza. Sei andato a prendere l'auto, la tua Dover®tm canna di fucile con interni in radica di noce, sedili in pelliccia di ocelot, multitelefono cellulare, antenna parabolica, DVD e DVD-Rom, mobile bar, schermo ad alta risoluzione, sito internet, pilota automatico, radar, sonar, sismografo, oscilloscopio e catapulta di sicurezza, carrozzata da Riccio Faleva®tm.
Fuori sento il ronzare potente del tuo motore. É questo dunque il respiro dell'abisso? Questo tecnologico pulsare, emblema della vita meccanica che sommergerà le nostre spoglie estenuate? Mi siedo accanto a te. Allaccio le cinture.
- Ma che cazzo te ne frega delle cinture? Tanto se mi fanno la multa De Nittis me la fa togliere. - Mi dici.
É questa dunque la tua potenza, mio Suppiluliuma sul carro d'acciaio, mio perfetto Achille? Fremo mentre la cintura mi sale a sfiorare la gola. Eccomi, tua, inerme, abbandonata su questo morbido sedile, avvinta dalle cintura che tu hai voluto in pelle di cobra corallo. Con lentezza mi sciolgo dal loro freddo abbraccio e mi guardo nello specchietto posto fuori dall'auto. Il mio viso appare e scompare, miraggio scandito dal tuo ritmo di guida, fatto di ferine, rabbiose accellerate e veloci frenate. É forse questo il mio destino, essere vera e vivente solo quando la tua volontà mi evoca, fantasma solitario rimasto a celebrare la passione?
Ascolti «Los Paraguagios Scatenados» che eseguono « Salsita Bonita». Il volume è possente, quasi foriero di stordimento. Al telefono dici: - Lo senti, Magnani che volume? Lo senti il mio Atadi Lancelot®tm? Altro che le scoreggine del tuo ciddì da ospizio! -
Il cielo si è fatto gonfio di nubi. La luce cade come un possente coro dal soffitto di grigia attesa della pioggia. Essere unica sacerdotessa del culto di te? Sorrido mentre sorpassi due Tir incolonnati, costringendo una 128 a buttarsi fuori strada per non incontrare la tua ira, i tuoi cento e cento ardenti cavalli meccanici.
Uomo: bambino crudele, dolce tiranno.
Sarò la tua unica papessa, sacrilega e sensibile, il tuo solo tramite per l'infinito e il sublime, per il sottile e lento scorrere del tempo, quando, stanco, tornerai a posare il capo imbiancato sul mio grembo, spenti i tuoi furori, giocati i tuoi ultimi giochi. Quando, infine sconfitta, sarò vittoriosa.




4 commenti:

consolata ha detto...

Che ti sei fumato, Max? Lasciamene un po'. ;-)
E complimenti.

Massimo Citi ha detto...

@Grazie, Conso. Certi ambienti, conversazioni, discorsi inevitabilmente mi affascinano: )

Argonauta Xeno ha detto...

Piacevolmente folle - giusto per non ripetere il commento di Consolata. A "oscilloscopio" ho riso tantissimo!

Massimo Citi ha detto...

@SX: Grazie. Il mio vero problema è che a volte sospetto che dovrei riciclarmi come scrittore conto terzi, smettendo di scrivere in prima persona. Ti serve un brano per un concorso? Eccomi qui, pronto a scrivere a nome dell'interessato negli stili sentimentale, fantasy, Noir, gore o quello che ti serve.