15.4.11

Raccontare il reale?


Bella domanda, vero?
Una di quelle domande che, se scrivete, cercherete accuratamente di evitare di porvi. O, forse, ve la porrete soltanto quando un vostro manoscritto è stato scartato in un concorso o ha ricevuto un giudizio poco lusinghiero da un lettore di mestiere - un editor, un giurato, uno scrittore.
Ma può capitare di farsi una domanda del genere anche, semplicemente, aprendo il giornale di oggi o scorrendo una pagina on line di politica interna o internazionale.
«Oggi hanno ucciso... sono morte due immigrate... il parlamento ha approvato l'ennesima legge ad personam... la centrale nucleare di Fukushima ha scaricato nell'ambiente cesio e iodio radioattivi...» Potete aggiungere quello che credete e avrete costantemente la sensazione di non essere nemmeno lontanamente all'altezza del reale. Non parliamo poi se, come il sottoscritto, amate particolarmente la narrativa fantastica e la fantascienza. Qualunque trama o intreccio riuscirete a immaginare non riuscirà MAI a raggiungere la raffinata perversione di una realtà contorta e imprevedibile.
È anche vero, però, che frequentemente il reale è di una banalità tanto ovvia e desolante da togliervi ogni velleità di scrivere. Avete un bell'inventare, putacaso, personaggi esemplari, della più imprevedibile perfidia e di un talento stupefacente nell'elaborare complessi, eleganti e barocchi intrecci con esiti imprevedibili e sorprendenti... e la TV vi comunica che il Demente ha appena acquistato altri tre deputati al prezzo di una villetta cadauno, un SUV come nuovo e alcuni passaggi sulla TV del mattino.
E vi cadono le braccia.
Se la realtà è così evidentemente ovvia e scontata merita davvero immaginare vicende tanto complesse, e in definitiva tanto improbabili?
A che diavolo serve aiutare a creare la sensazione che la realtà sia molto più complessa di quel che riuscite a immaginare per poi constatare che spesso non è così e che chiunque possegga beni al sole può facilmente modificare un esito, un'operazione, un tentativo?
Certo, potete anche rimettere le mani sul vostro personaggio e farne un individuo sordido, vendicativo, rabbioso, meschino, calcolatore e furbetto ma questo non vi diverte. E, soprattutto, rischia di non funzionare. Di Dementi, grossi e piccoli, è pieno il mondo e il loro mefitico potere ci ammorba tutti. Tanto che è difficile immaginare il possibile lettore di vicende tanto ovvie.
A pensarci meglio, è probabilmente la Personalità, l'individuo singolo e inimitabile a fallire miseramente, misurando quotidianamente la propria insufficienza. Ed è inutile mettere in scena il semplice contrario di un personaggio grandioso - il personaggio misero e disperato che alla fine si riscatta o il felice scemo che le imbrocca tutte - per avere comunque il ritratto in negativo dell'uomo del XXI secolo. Il problema principale è, probabilmente, che l'io romantico - e simmetricamente l'anti-io grottesco - sono morti e defunti da un bel po'. E che qualunque personaggio dai tratti troppo netti e definitivi, positivo o negativo che sia, risulta irrimediabilmente datato, pletorico, rigido e inutile. Ci si deve forse accontentare di un semipersonaggio, ovvero di un individuo vittima della realtà, che si sforza, spesso senza successo, di comprendere e afferrare tratti del reale, senza nessuna possibilità effettiva di modificarlo. In sostanza un personaggio che ricorda curiosamente certi profili nati con il noir e con il poliziesco di ambientazione metropolitana e germogliati anche nell'ambito della fantascienza meno ovvia e banale. Basti pensare ai personaggi della tetralogia "catastrofica" di J.G.Ballard (Vento dal Nulla, Deserto d'acqua, Terra bruciata e Foresta di Cristallo) per iniziare a costruire un'immagine sociale di questo genere di personaggi.
Curiosamente - e detto senza alcuna vena polemica - si tratta di un genere di personaggi assolutamente inadatti a comparire in un (consueto) fantasy di ambientazione medievale, dove a prevalere sono profili variamente rudi, idilliaci, malinconici, cupi, lirici o violenti, Personaggi con la «P» maiuscolissima che sembrano tenere saldamente in mano la propria vita - o quella altrui.
Qual è il legame con il reale di questo genere di personaggi? Meno di zero, temo.
Riuscite (seriamente) a immaginare l'eroe di un romanzo fantasy alle prese con le insidie barbaramente volgari del Demente o con le fughe di materiale radioattivo di una centrale nucleare?
Viceversa non avrete particolari difficoltà a inserire in quel frammento di reale un personaggio - debitamente stinto, disperato, alcolista e deluso - nato nelle pagine di Ellroy o di Elmore Leonard o di autori francesi come Manchette o Varenne. O personaggi come il celeberrimo cacciatore di androidi di P.K.Dick o i meno celebri - ma altettanto efficaci - Robert Childan de La svastica sul sole o Joe Chip di Ubik.
Per poter scrivere di realtà, in sostanza, sembrerebbe fondamentale scegliere un punto di vista minimale, un approccio parziale e limitato. Adottare, volendo esagerare, la modesta - o malata - visione di un signor Nessuno e farlo coinvolgere in fatti e vicende "più grandi di lui" delle quali il nostro personaggio possa o riesca a cogliere soltanto aspetti, frammenti, immaginarie visioni, o emozioni dovute a illusioni o errori di prospettiva. Si tratta, in sostanza, di un'estetica dell'Errore, qualcosa della quale mi è capitato di parlare nel mio personalissimo (e parzialissimo) manuale di scrittura.
Il che, probabilmente, dimostra che ho poche cose in mente e non posso fare a meno di ripeterle...
In quanto al rapporto con la realtà che ci circonda, parlando da scrittore di fantastico - sia pure di scarsissimo successo - non posso che esprimermi a sostegno di una visione necessariamente parziale ma nitidissima. Per un difetto di visione attentamente calcolato, rappresentando attentamente ciò che ci è vicino per sfumare gradualmente via via verso il grande e lo sconfinato, lasciando che tale remota visione si colori di indefinito, di mitico, di contraddittorio e di un inconsapevole fantastico.
Perché tale finisce per essere, io credo, la nostra personale visione del reale. Perennemente infarcita dei nostri sogni, delle nostre considerazioni, valutazioni, opinioni, idee.
La realtà che ci circonda ha i nostri colori e non possiamo impedire sia così.
E non si può parlare di percepito senza includere nel quadro il percepiente.
E tutti i suoi errori.



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