L’acqua fluisce lenta e lattiginosa senza creare schiuma ai due lati della barca. Lo scoppiettio del motore risuona amplificato, disarmonico sulla superficie immobile e liquida delle acque che mandano un profumo intenso, insieme acidulo e salmastro.
E.
immerge una lunga pertica. Il fondo è compatto ed elastico, vibra
leggermente come la pelle di una creatura viva. Il cielo, di un
candore abbagliante, è chiuso dalle curve simmetriche di due
montagne lisce e pallide, seminascoste dal riflesso chiaro.
E.
alza il capo con lentezza malinconica e lascia che il suo sguardo si
perda lungo le superfici debolmente illuminate delle due alture, la
mente attraversata da una blanda eccitazione ma il petto oppresso dal
desiderio di abbandonarsi ad un pianto silenzioso.
Le
rive sono immobili, curve, incoronate da una fitta vegetazione scura
e di consistenza cornea che sale ad arcuarsi su di lui. Il motore
ansima troppo forte in quella quiete irreale ed E. decide di
spegnerlo, lasciandosi portare dalla debole corrente.
Va
a poppa e si china sul motore.
Solleva
il coperchio di plastica nera che lo ricopre scoprendo le lucide
pareti curve di ceramica bianca che affondano sotto il livello
dell’acqua priva di riflessi.
Un
movimento brusco della barca spruzza alcune gocce d’acqua sul
pavimento di piastrelle a fiori della barca. Si china a pulirle,
affannato da un improvviso senso di colpa.
Ma
le gocce appena toccano la ceramica si trasformano in spruzzi di
calce impossibili da togliere. Altre gocce cadono sul pavimento della
barca che oscilla pazzamente ed E. sudando, bestemmiando si
inginocchia a grattarle inutilmente. Il motore pulsa più forte ed in
lontananza sente la voce di Mirella che lo chiama: “Edoardo…
Edoardo…”
–
EDOARDO!!!
–…Gram…Hfff…Epr…–
grufola E. agitandosi e cercando di nascondere la testa sotto il
cuscino. Ma data l’assenza di qualunque tipo di cuscino si copre la
faccia con le mani, provando un’intensa quanto passeggera
sensazione di sollievo.
–
Edoardo, vuoi aprire gli occhi? Non sei nella tua cameretta,
angioletto di mamma.
E.
apre un occhio. Vorrebbe rispondere con una frase insieme amara e
sferzante ma si inceppa.
Mirella
sta seduta su qualcosa che assomiglia molto ad un banco di scuola
delle dimensioni adatte a contenere un giocatore di basket. Ma questo
è niente: la stanza che li contiene è circolare e sulle pareti ci
sono gigantesche illustrazioni molto colorate che recitano in corsivo
e in maiuscolo: UVA uva, IMBUTO imbuto, RUOTA ruota, CASA casa, GATTO
gatto ecc.. Insomma c’è qualcosa di strano, bizzarro, singolare,
assurdo, imprevisto ed imprevedibile, anche se nemmeno E. potrebbe
definirlo minaccioso.
–
Ma… – E. guarda anche con l’altro occhio, quello con tre
diottrie in più, senza che nell’insieme cambi qualcosa.
–
Non dormi abbastanza, Edoardo? Non credevo che a fare un tubo come te
ci si potesse stancare. – Mirella accavalla le gambe alla Sharon
Stone mostrando 1.5 cm quadrati di slip neri, con l’intento di
galvanizzare l’ottuso cugino. Oltre alla mini nera da esibizionista
punkeggiante Mirella porta una felpa altrettanto buia con la scritta
«Save the Wild Life: Kill the People».
E.
non riesce – ma a questo è abituato – ad estrarre dal suo
cervello le parole necessarie per una replica, men che mai spiritosa.
Tra l’altro la vista della biancheria intima di Mirella lo illumina
miracolosamente sul luogo del suo viaggio onirico e sulla quantità
di esagerata di ingrandimenti elaborata dal suo subconscio. Si
scombussola ulteriormente arrossendo fino alla radice dei capelli.
–
Dove siamo? – Chiede come un rinvenuto da fumetto.
–
Su un’astronave.– Mirella ha un tono leggero, salottiero, quasi
annoiato. – Il pilota è un coso alto più di due metri vestito di
una tuta argentata. Proprio come nei film di fantascienza a basso
costo che ti piacciono tanto.
E.
si solleva su un gomito e si guarda intorno sorridendo. Inarca anche
le sopracciglia a esprimere elegante scetticismo e raffinata
incredulità: – Mirella smettila di scherzare. Tira fuori una voce
tale e quale il doppiatore di Clark Gable in Accadde un notte,
cult-Movie di mamma.
–
Puoi anche non crederci, caro il mio torzolone. Speriamo che non
passi il controllore.
E.
abbandona i modi impostati e cerca di ridurre a senso compiuto la
frase della cugina, arcinota per avere girato l’intera Europa con
la fotocopia di un biglietto usato.
–
Controllore, che controllore?
–
Chissà. Forse c’é anche qui. – Mirella ridacchia. – Ma stai
tranquillo. Non credo che possano buttarti giù lungo la strada.
–
Mirella, mica parli sul serio?
–
Certo, cuginetto mio. Perchè non guardi la tua bussolina?
E.
si illumina e consulta la bussola- portachiavi che porta perennemente
appesa ad un passante del jeans. – ODDIO! – Urla. – Non c’é
più il Nord.
Mirella
scrolla la testa. – Chissà dov’é finito il tuo Nord.
–
Ma allora é vero.
–
Così pare.
–
Su un astronave! Ma come fai a star lì seduta tranquilla, dov’é
il pilota, dove stiamo andando?
–
Il fatto è che l’ho visto e quindi non potevano lasciarmi andare.
Non è per i giornali della Terra, che tanto nella Galassia non li
legge nessuno. Penso che sia perché poco o tanto romperanno le palle
anche a loro. Avranno anche dei superiori. Rumpus mi ha detto che è
un problema del genere e che comunque non devo preoccuparmi.
E.,
rimbambito dall’emozione, non prova neppure a discutere un’altra
volta con Mirella sulle presunte capacità del gatto – Rumpus per
servirvi – di parlare, e si concentra sugli altri problemi del
momento, il primo dei quali (non in ordine di importanza) è un
fastidioso ronzio ansimante, in tutto e per tutto simile al rumore di
un motore fuoribordo giù di corda.
–
Cos’è questo?
Mirella
si schiaccia la punta del naso con un dito e risponde con la voce
dell’ispettore Callaghan. – È il pilota che fa il caffè.
Le
parole di Mirella arrivano alle orecchie di E. che, come di dovere,
le inviano all’encefalo attraverso il nervo acustico. Là vengono
girate e rigirate con imbarazzo, etichettate con la scritta
«inaccettabili» e spedite in un’area poco frequentata del
cerebro, in attesa che qualcuno venga a reclamarle.
Mentre
ferve questo lavorio inconscio il protagonista maschile della nostra
storia è comunque arrivato ad una conclusione abbastanza definitiva:
anche lui è stato rapito dagli alieni.
Lo
stordimento dura un attimo e lascia posto ben presto a due fortissime
emozioni:
1)
La rabbia per non riuscire a farlo sapere ai suoi amici e soprattutto
a tutti coloro che lo giudicano un cretino.
2)
La paura.
Si
alza in piedi.
L’ampia
stanza insiste ad avere l’aspetto di un’aula di una scuola
elementare. Alle sue spalle, oltre ad un altra fila di banchi c’è
anche una cattedra regolarmente scrostata ed un cestino di rete
metallica che trabocca di cartacce e di schegge di matite temperate.
Non manca nemmeno la lavagna a quadretti, dove spicca la scritta:
“BUONI: Pelagio”.
–
Chi è Pelagio? – Chiede E., conscio di fare la domanda più
cretina tra tutte quelle che gli sono passate per la testa.
–
Boh? Credo che sia il pilota. – Mirella si stringe nelle spalle. –
Un tipo infantile direi, visto come ha arredato la nave. Ma tu come
ci sei finito qui?
E.
spiega brevemente, trascurando solo di citare «Macrosesso». Narra
di un misterioso impulso che lo ha spinto in un luogo isolato, di
ratti vestiti da vescovi che cantavano brani dei Carmina Burana,
della terra vetrificata al contatto con gli scarichi della cosmonave,
dei miliardi di voci che ha udito durante l’atterraggio – da Pink
Floyd prima maniera – della misteriosa arma dell’alieno, dello
stupore nel vederlo intrattenersi con i ratti ed infine
dell’inevitabile oblio.
E.
chiude la bocca soddisfatto. Il quadro del suo rapimento lo soddisfa
e riverbera su di lui una luce di grandezza e di superiore
sensibilità.
Definire
il racconto una grossolana esagerazione, se non proprio una
semipanzana, è senz’altro giusto, ma E. da un decennio e passa le
studia tutte per portarsi a letto Mirella, con esiti finora dubbi o
umilianti. E poi è sempre stata una sua caratteristica arricchire il
poco che gli accade di riflessi fatali e di significati reconditi.
Mirella
ridacchia e lo fissa con i grandi occhi scuri sgranati.
2 commenti:
Un altro capitolo divertente,specie per Eduardo. ;)
@Nick: purtroppo ho dovuto interromperlo a metà per motivi di spazio. Non posso pretendere che un lettore arrivi a smazzarsi 5 o 6 pagine di un testo tramite PC o i-phone. La seconda parte del capitolo arriverà domani (martedì).
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