Saranno i tempi, il cambio di stagione, una forma di spleen senza un precisa spiegazione o i forse terrificanti post di mia moglie, Silvia, che sta metodicamente dimostrando come la situazione di questo pianeta stia rapidamente mutando, divenendo sempre meno ospitale per noi, la specie più diffusa su questo pianeta, ma è un periodo nel quale fatico a leggere normali romanzi e mi abbandono con crescente inquietudine a testi in qualche modo profetici.
La situazione del nostro pianeta non è preoccupante soltanto da un punto di vista ambientale ma anche da (o conseguentemente) nei rapporti intraspecifici. Ci sono più o meno cinquanta (50!?) conflitti in atto in questo momento sul questo pianeta, a cominciare da ciò che accade – citando a caso – nella zone della Siria, Iraq, Iran, Yemen, Nigeria, Somalia, Sudan, Turchia e Kurdistan. E anche in questo caso direi che i problemi sono tutt'altro che facili da risolvere e sembrano precipitare con crescente velocità verso una complicazione sanguinosa e apparentemente senza fine.
Ed è così che mi sono letto in rapida successione due libri che definirei senza indugio ottimi esempi di distopia e che posso consigliare a chi mi legge, anche se, magari, non leggendoli uno dietro l'altro come ho fatto io.
Il primo è Qualcosa, là fuori di Bruno Arpaia, il secondo è 2084 La fine del mondo di Boualem Sansal. Il primo racconta la drammatica fuga di un gruppo di italiani, arabi, nordafricani e altri ex-abitanti del Nord Africa e del Sud Europa verso la Scandinavia, l'unica fascia di terra tuttora abitabile tra una trentina d'anni. 2084 La fine del mondo, Romanzo vincitore del «Grand Prix du roman de l'Académie française» racconta invece dell'Abistan, l'unica nazione tuttora esistente, secondo la propaganda politico-religiosa: uno stato teocratico dominato dalla visione del grande Dio Yölah e del suo rappresentante in Terra, Abi, uno stato tuttora dedito alla Shar, la «Grande Guerra Santa contro i Makuf: i propagandisti della "Grande Miscredenza"».
...
Bruno Arpaia è un autore italiano nato nel 1957 ed è il traduttore italiano di Carlos Luis Zafon. Un autore che ha sempre dimostrato una buona competenza nell'utilizzare sfondi scientifici in romanzi come L'energia del vuoto, ambientato nel CERN, romanzo discusso ma comunque ottimamente concepito, e che ora prova a raccontare che cosa ne sarà del mondo da qui a trent'anni malcontati.
Protagonista è un uomo non più giovane, Livio, uno dei fuggiaschi da un'Italia divenuta invivibile. Il romanzo è organizzato su due piani temporali, da un lato il viaggio di Livio verso l'Europa del Nord – una fortezza praticamente irraggiungibile per gli emigranti del sud del mondo, dall'altro la gioventù di Livio e di sua moglie Leila, ricercatori napoletani allontanatisi dall'Italia e a suo tempo assunti negli USA.
La spedizione verso il Nord del mondo è organizzata militarmente da un'organizzazione di incerta natura che si occupa di trasportare gli emigranti, taglieggiandoli ferocemente e Livio si trova nella situazione – comune a molti emigranti – di dover accettare le condizioni impostegli. Allontanato dagli Stati Uniti dai recenti provvedimenti di un governo di estrema destra – divenuto inaccettabile poiché non-americano – è stato costretto a rientrare a Napoli, divenuta uno dei punti di raccolta di un Mediterraneo divenuto torrido e alla disperazione: una città in piena decadenza, con una situazione di ordine pubblico ormai sfuggita a ogni controllo. Ed è a Napoli che avverrà l'episodio che lo allontanerà definitivamente dall'Italia.
Il viaggio di Livio si snoda attraverso la Svizzera, sostanzialmente abbandonata con i pochi abitanti superstiti che sopravvivono solo gli 1.800 metri di altitudine, giunge a una Germania divenuta un deserto, dove gruppi dispersi di superstiti e di banditi armati difendono le poche aree dove tuttora sono disponibili risorse idriche. E al termine del viaggio, sulle coste del Baltico, i pochi sopravvissuti dovranno subire un'ultimo ricatto o rinunciare senza speranza al loro sogno per poter tentare l'ultimo pericolosissimo balzo. Le navi scandinave sparano...
Seguendo il durissimo viaggio di Livio apprendiamo della situazione generale del pianeta, dove gli accordi internazionali sono saltati uno dopo l'altro, dove la percentuale di CO2 ha raggiunto e infine superato ampiamente il limite di 400 ppm e dove ciascuno dei principali paesi del mondo azzarda proprie soluzioni all'effetto serra cavalcante, provocando ulteriori problemi atmosferici. E insieme alla quantità di CO2 nell'atmosfera cresce il grado di sciovinismo, di intolleranza, di rabbioso populismo, si alzano inutili muri che saranno rapidamente abbandonati come le abitazioni e gli oggetti di ogni giorno.
Raccontare più in dettaglio la vicenda non è facile e non è opportuno, anche perché attraverso la figura di Livio, con una vita cresciuta sotto il segno della ricerca scientifica e terminata aggrappata su un gommone davanti alle coste dalla Svezia, si ha una perfetta summa di una situazione che non è soltanto possibile per molti di noi ma addirittura probabile.
È utile far notare la funebre somiglianza tra la fuga verso terre promesse di rifugiati? È il caso? Arpaia si limita a sottolineare con calma ironia la somiglianza delle storie di chi fugge e non c'è molto altro da aggiungere. Buon libro, in definitiva, forse – ed è strano affermarlo – fin troppo rapido e sommario visto il tema affrontato. Quanto alle ipotesi scientifiche messe in campo – in fondo, pur non essendo un romanzo di sf in senso proprio, la realtà scientifica ha un peso preponderante nel testo – sono le ipotesi correnti e quelle che hanno maggior peso nelle previsioni che riguardano la seconda metà del secolo.
...
La nostra fede è l'anima del mondo.
La sottomissione è fede e la fede verità
L'Apparato e il popolo sono TUTT'UNO, così come Yölah e Abi sono tutt'uno
A Yölah apparteniamo, ad Abi obbediamo.
Erano alcune di quelle novantanove massime chiave che imparavi a memoria fin dalla più tenera età e ripetevi per tutto il resto della vita.
Ati, il protagonista, è nato e vive in Abistan. L'Abistan occupa, in apparenza, l'intero pianeta, «la totalità del mondo», come si ripete ogni giorno e in ogni luogo, anche se si sussurra che esistano ancora dei confini, attraverso i quali tentano di infiltrarsi i miscredenti, i Makuf. L'Abistan è guidato da una teocrazia dotata di poteri assoluti, l'Apparato, non esiste alcuna separazione tra il potere religioso e quello politico, si parla un'unica lingua, l'abiling, dotata di parole di due, massimo tre sillabe, che ha sostituito tutte le lingue preesistenti, creando una forma mentis strettamente legata ai precetti religiosi. Non esiste storia, interamente sostituita dalla propaganda religiosa e non esiste geografia, dal momento che l'Abistan coincide con il mondo. E per quanto riguarda il diritto:
Se un ordine non viene rispettato, sono previste frustate, lapidazioni ed esecuzioni pubbliche ed eventuali dubbi, domande e riflessioni sono vietate. Agli uomini non resta, quindi, che “morire per vivere felici”, come recita il motto dell’esercito abistano. (da un'intervista a Sansal Bouaelem su Huffington post)
L'autore, Sansal Boualem – ex-funzionario statale algerino – dichiara apertamente il suo riferimento a 1984 di George Orwell:
ho preso come modello Orwell, perché lui è stato il più bravo a descrivere situazioni del genere. Sono giunto alla conclusione che quello che è successo [in Algeria] non deriva da comportamenti individuali dei singoli, ma dalla collettività: è come l’influenza, è un virus che circola nell’aria, non colpisce solo chi conduce un certo tipo di vita ma colpisce tutti. [ibidem]
Il racconto di Ati, colpito dalla tubercolosi, narra degli anni trascorsi in un sanatorio in alta montagna, vicino – si mormora – al confine esterno di Abistan, fino al giorno nel quale può ritornare alla città nella quale è nato. Qui riprende il suo lavoro anche se non ha più voglia di partecipare alle spedizioni organizzate dai Credenti Giustizieri Volontari contro gli empi, i miscredenti e i makuf, i miscredenti servi di Shaitan.
La permanenza in sanatorio ha reso tiepido il suo fervore religioso, lo ha spinto a farsi domande blasfeme, a giungere a conclusioni piene di dubbi sulla sua fede, finora vissuta da perfetto credente, senza domande né oscillazioni. I suoi interrogativi senza risposta provocano in lui ansie e desideri di conoscenza che lo spingono a frequentare luoghi sconvenienti e a conoscere personaggi assolutamente empi. In lui è profondamente entrato il desiderio di scoprire scopo, origine e funzione dell'abiling, la lingua che è stata imposta a tutti loro. E da quella domanda nascono le altre.
All'uomo non è dato sapere che cosa sia il Male e cosa sia il Bene, egli deve sapere che Yölah e Abi operano per la sua felicità.
Così recita il Gkabul, il libro sacro dell'Abistan, grottesca e allucinante parodia del Corano. E la domanda sul Bene e sul Male conduce Ati a pensare:
Ciò che la sua mente respingeva non era tanto la religione quanto l'oppressione esercitata sull'uomo dalla religione. [...] [Ma] non c'è rivolta possibile in un mondo ermetico, dove non esiste alcuna via d'uscita. La vera fede consiste nell'abbandono e nella sottomissione.
Quasi a unire virtualmente 2084 con il suo antesignano, 1984, alla fine del romanzo i due testi si riuniscono simbolicamente creando un'unica modulazione di oppressione, basata sull'abbandono e sulla sottomissione.
Il mondo raccontato da Sansal Boualem è, ovviamente, il mondo teorizzato dal fanatismo musulmano, la sottomissione e la regola elevate a unica misura di vita.
Michel Houellebeq, autore di Sottomissione, discusso romanzo uscito nei giorni della strage di Bataclan ha definito il testo di Boualem «Molto peggiore del mio Sottomissione» e non è difficile dargli torto. La profonda conoscenza del mondo mussulmano dell'autore algerino rende il suo ritratto di un possibile mondo islamizzato tragicamente più efficace.
La ricerca di Ati non troverà una risposta definitiva e anche il suo mondo si rivelerà più grande e insieme più meschino di quanto lui avrebbe potuto prevedere. A rimanere e a colpire è la nostalgia per una lingua «bellissima, ricca, suggestiva», sostituita da una lingua che sottomette e annulla i desideri.
Un libro da non perdere.
Ed è così che mi sono letto in rapida successione due libri che definirei senza indugio ottimi esempi di distopia e che posso consigliare a chi mi legge, anche se, magari, non leggendoli uno dietro l'altro come ho fatto io.
Il primo è Qualcosa, là fuori di Bruno Arpaia, il secondo è 2084 La fine del mondo di Boualem Sansal. Il primo racconta la drammatica fuga di un gruppo di italiani, arabi, nordafricani e altri ex-abitanti del Nord Africa e del Sud Europa verso la Scandinavia, l'unica fascia di terra tuttora abitabile tra una trentina d'anni. 2084 La fine del mondo, Romanzo vincitore del «Grand Prix du roman de l'Académie française» racconta invece dell'Abistan, l'unica nazione tuttora esistente, secondo la propaganda politico-religiosa: uno stato teocratico dominato dalla visione del grande Dio Yölah e del suo rappresentante in Terra, Abi, uno stato tuttora dedito alla Shar, la «Grande Guerra Santa contro i Makuf: i propagandisti della "Grande Miscredenza"».
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Bruno Arpaia è un autore italiano nato nel 1957 ed è il traduttore italiano di Carlos Luis Zafon. Un autore che ha sempre dimostrato una buona competenza nell'utilizzare sfondi scientifici in romanzi come L'energia del vuoto, ambientato nel CERN, romanzo discusso ma comunque ottimamente concepito, e che ora prova a raccontare che cosa ne sarà del mondo da qui a trent'anni malcontati.
Protagonista è un uomo non più giovane, Livio, uno dei fuggiaschi da un'Italia divenuta invivibile. Il romanzo è organizzato su due piani temporali, da un lato il viaggio di Livio verso l'Europa del Nord – una fortezza praticamente irraggiungibile per gli emigranti del sud del mondo, dall'altro la gioventù di Livio e di sua moglie Leila, ricercatori napoletani allontanatisi dall'Italia e a suo tempo assunti negli USA.
La spedizione verso il Nord del mondo è organizzata militarmente da un'organizzazione di incerta natura che si occupa di trasportare gli emigranti, taglieggiandoli ferocemente e Livio si trova nella situazione – comune a molti emigranti – di dover accettare le condizioni impostegli. Allontanato dagli Stati Uniti dai recenti provvedimenti di un governo di estrema destra – divenuto inaccettabile poiché non-americano – è stato costretto a rientrare a Napoli, divenuta uno dei punti di raccolta di un Mediterraneo divenuto torrido e alla disperazione: una città in piena decadenza, con una situazione di ordine pubblico ormai sfuggita a ogni controllo. Ed è a Napoli che avverrà l'episodio che lo allontanerà definitivamente dall'Italia.
Bruno Arpaia |
Il viaggio di Livio si snoda attraverso la Svizzera, sostanzialmente abbandonata con i pochi abitanti superstiti che sopravvivono solo gli 1.800 metri di altitudine, giunge a una Germania divenuta un deserto, dove gruppi dispersi di superstiti e di banditi armati difendono le poche aree dove tuttora sono disponibili risorse idriche. E al termine del viaggio, sulle coste del Baltico, i pochi sopravvissuti dovranno subire un'ultimo ricatto o rinunciare senza speranza al loro sogno per poter tentare l'ultimo pericolosissimo balzo. Le navi scandinave sparano...
Seguendo il durissimo viaggio di Livio apprendiamo della situazione generale del pianeta, dove gli accordi internazionali sono saltati uno dopo l'altro, dove la percentuale di CO2 ha raggiunto e infine superato ampiamente il limite di 400 ppm e dove ciascuno dei principali paesi del mondo azzarda proprie soluzioni all'effetto serra cavalcante, provocando ulteriori problemi atmosferici. E insieme alla quantità di CO2 nell'atmosfera cresce il grado di sciovinismo, di intolleranza, di rabbioso populismo, si alzano inutili muri che saranno rapidamente abbandonati come le abitazioni e gli oggetti di ogni giorno.
Raccontare più in dettaglio la vicenda non è facile e non è opportuno, anche perché attraverso la figura di Livio, con una vita cresciuta sotto il segno della ricerca scientifica e terminata aggrappata su un gommone davanti alle coste dalla Svezia, si ha una perfetta summa di una situazione che non è soltanto possibile per molti di noi ma addirittura probabile.
È utile far notare la funebre somiglianza tra la fuga verso terre promesse di rifugiati? È il caso? Arpaia si limita a sottolineare con calma ironia la somiglianza delle storie di chi fugge e non c'è molto altro da aggiungere. Buon libro, in definitiva, forse – ed è strano affermarlo – fin troppo rapido e sommario visto il tema affrontato. Quanto alle ipotesi scientifiche messe in campo – in fondo, pur non essendo un romanzo di sf in senso proprio, la realtà scientifica ha un peso preponderante nel testo – sono le ipotesi correnti e quelle che hanno maggior peso nelle previsioni che riguardano la seconda metà del secolo.
...
La nostra fede è l'anima del mondo.
La sottomissione è fede e la fede verità
L'Apparato e il popolo sono TUTT'UNO, così come Yölah e Abi sono tutt'uno
A Yölah apparteniamo, ad Abi obbediamo.
Erano alcune di quelle novantanove massime chiave che imparavi a memoria fin dalla più tenera età e ripetevi per tutto il resto della vita.
Ati, il protagonista, è nato e vive in Abistan. L'Abistan occupa, in apparenza, l'intero pianeta, «la totalità del mondo», come si ripete ogni giorno e in ogni luogo, anche se si sussurra che esistano ancora dei confini, attraverso i quali tentano di infiltrarsi i miscredenti, i Makuf. L'Abistan è guidato da una teocrazia dotata di poteri assoluti, l'Apparato, non esiste alcuna separazione tra il potere religioso e quello politico, si parla un'unica lingua, l'abiling, dotata di parole di due, massimo tre sillabe, che ha sostituito tutte le lingue preesistenti, creando una forma mentis strettamente legata ai precetti religiosi. Non esiste storia, interamente sostituita dalla propaganda religiosa e non esiste geografia, dal momento che l'Abistan coincide con il mondo. E per quanto riguarda il diritto:
Se un ordine non viene rispettato, sono previste frustate, lapidazioni ed esecuzioni pubbliche ed eventuali dubbi, domande e riflessioni sono vietate. Agli uomini non resta, quindi, che “morire per vivere felici”, come recita il motto dell’esercito abistano. (da un'intervista a Sansal Bouaelem su Huffington post)
L'autore, Sansal Boualem – ex-funzionario statale algerino – dichiara apertamente il suo riferimento a 1984 di George Orwell:
ho preso come modello Orwell, perché lui è stato il più bravo a descrivere situazioni del genere. Sono giunto alla conclusione che quello che è successo [in Algeria] non deriva da comportamenti individuali dei singoli, ma dalla collettività: è come l’influenza, è un virus che circola nell’aria, non colpisce solo chi conduce un certo tipo di vita ma colpisce tutti. [ibidem]
Il racconto di Ati, colpito dalla tubercolosi, narra degli anni trascorsi in un sanatorio in alta montagna, vicino – si mormora – al confine esterno di Abistan, fino al giorno nel quale può ritornare alla città nella quale è nato. Qui riprende il suo lavoro anche se non ha più voglia di partecipare alle spedizioni organizzate dai Credenti Giustizieri Volontari contro gli empi, i miscredenti e i makuf, i miscredenti servi di Shaitan.
La permanenza in sanatorio ha reso tiepido il suo fervore religioso, lo ha spinto a farsi domande blasfeme, a giungere a conclusioni piene di dubbi sulla sua fede, finora vissuta da perfetto credente, senza domande né oscillazioni. I suoi interrogativi senza risposta provocano in lui ansie e desideri di conoscenza che lo spingono a frequentare luoghi sconvenienti e a conoscere personaggi assolutamente empi. In lui è profondamente entrato il desiderio di scoprire scopo, origine e funzione dell'abiling, la lingua che è stata imposta a tutti loro. E da quella domanda nascono le altre.
All'uomo non è dato sapere che cosa sia il Male e cosa sia il Bene, egli deve sapere che Yölah e Abi operano per la sua felicità.
Così recita il Gkabul, il libro sacro dell'Abistan, grottesca e allucinante parodia del Corano. E la domanda sul Bene e sul Male conduce Ati a pensare:
Ciò che la sua mente respingeva non era tanto la religione quanto l'oppressione esercitata sull'uomo dalla religione. [...] [Ma] non c'è rivolta possibile in un mondo ermetico, dove non esiste alcuna via d'uscita. La vera fede consiste nell'abbandono e nella sottomissione.
Sansal Boualem |
Quasi a unire virtualmente 2084 con il suo antesignano, 1984, alla fine del romanzo i due testi si riuniscono simbolicamente creando un'unica modulazione di oppressione, basata sull'abbandono e sulla sottomissione.
Il mondo raccontato da Sansal Boualem è, ovviamente, il mondo teorizzato dal fanatismo musulmano, la sottomissione e la regola elevate a unica misura di vita.
Michel Houellebeq, autore di Sottomissione, discusso romanzo uscito nei giorni della strage di Bataclan ha definito il testo di Boualem «Molto peggiore del mio Sottomissione» e non è difficile dargli torto. La profonda conoscenza del mondo mussulmano dell'autore algerino rende il suo ritratto di un possibile mondo islamizzato tragicamente più efficace.
La ricerca di Ati non troverà una risposta definitiva e anche il suo mondo si rivelerà più grande e insieme più meschino di quanto lui avrebbe potuto prevedere. A rimanere e a colpire è la nostalgia per una lingua «bellissima, ricca, suggestiva», sostituita da una lingua che sottomette e annulla i desideri.
Un libro da non perdere.
6 commenti:
Se non sai che nome dare a ciò che pensi, finirai per perdere quel pensiero... Non puoi pensare ciò che non ha nome. Parole di poche sillabe, frasi di poche parole... Se vogliamo essere o diventare liberi, faremmo bene a ritrovare la pienezza delle nostre lingue.
@Silvia: è questo l'aspetto più agghiacciante del libro, anche se si coglie soltanto sottotraccia. Non c'è futuro per chi ha un lingua povera e questo è vero comunque.
Segnalazioni interessantissime. Cercherò sicuramente questi due romanzi, che tra l'altro hanno qualche interessante parallelismo con una serie di racconti che sto leggendo ultimamente e che usciranno presto con Delos. Grazie mille per questi spunti!
@Giulia: grazie per il commento. I libri si dovrebbero trovare senza troppi problemi dal momento che sono entrambi molto recenti. A questo punto, comunque, mi aspetto almeno una segnalazione dell'uscita di Delos.
Entrambi questi due libri mi provocano un intenso terrore... ma almeno uno dei due lo leggerò. O almeno mi ci proverò.
Grazie, come sempre, per la segnalazione e un caro saluto.
@Orlando: il meno immediatamente terrificante è quello di Boualem, più ricco di suggestioni e di visioni. Più tosto il libro di Arpaia anche se non privo di una sua drammatica suggestione. Un abbraccio.
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