13.5.15

Il Salone. Ancora.


Puntuale come l'affitto e tasse ritorna il Salone.
E come ogni anno il mio interesse, dapprima scarso o nullo, finisce per crescere con l'avvicinarsi della scadenza. Non che abbia davvero qualcosa di serio da fare lì, ma con il tempo si moltiplicano gli avvisi, le partecipazioni: «vado al Salone a presentare il mio libro, vieni?!?», gli appuntamenti di un certo interesse - per un amante della sf è difficile sfuggire a un incontro tra Pagetti e Cofferati (?) sull'opera di P.K.Dick -, gli amici che sgobbano per organizzare uno stand etc. etc. Quest'anno, tanto per rendermi sostanzialmente impossibile non partecipare, ci si è messa anche mia figlia, assoldata allo stand degli editori piemontesi e che si farà cinque-giorni-cinque al Salone, con qualche intervallo per mangiare e farsi una doccia. 
In realtà un pochino la invidio, la fanciulla. 
Da quando è finito il rapporto di lavoro con Carocci sono diventato troppo anziano per fare lo standista, non abbastanza danaroso per mettere su un stand personale e troppo elettronico per vendere libri incorporei come gli ultimi usciti per CS_libri. Sicché rimango al balcone e osservo, con il curioso stato d'animo di chi se partecipa si diverte ma se non partecipa vive meglio. Senza contare, infine, il semplice problema dei libri. Ne ho già ora fin troppi di non letti ma sarà inevitabile aggiungere altri desideri di lettura ai troppi già espressi, vedendo crescere ulteriormente la pila che ogni giorno mi adocchia, tentatrice e implacabile. 
Quest'anno, comunque, ho un ulteriore elemento di tentazione, ovvero la presenza come Paese Ospite la Germania. Capisco benissimo che non saranno molti a desiderare di possedere Brecht, Bachmann, Grass, Kafka o Heine in edizione originale, ma il mio superIo non sa resistere e mi ripete: «compralo, compralo, che poi in Germania non hai il coraggio di entrare in una libreria...». Il fatto che per leggere una pagina di uno dei libri mi ci voglia da un quarto d'ora a una mezz'ora non lo tange minimamente. «Dai, che poi diventa più facile». Il che non è vero: fatico già a stare dietro alle mie letture in italiano, lasciamo perdere in un lingua straniera. Ma condividiamo oltre al corpo il portafoglio e ho una mezza idea di come andrà a finire. 
...
Ma, a parte gli scherzi, la letteratura in Italia vive un momento tutt'altro che felice. Il numero di lettori è in caduta da un paio d'anni a questa parte, dal 46% di lettori di almeno un libro (non scolastico) del 2012, al 43% del 2013, al 41,4% del 2014. Personalmente sono convinto che se il governo, la TV, i media continueranno a comportarsi come se il libro non esistesse i risultati non potranno che essere questi, con ulteriori diminuzioni facilmente prevedibili. Ma buona parte della colpa è anche, ahimé, dei grandi editori. Così su «Il Fatto Quotidiano» del gennaio 2014:

Bisogna creare lettori, non dar loro solo quello che vogliono, ha detto Carlos Fuentes, scrittore messicano.
Anni di filosofia manageriale applicata all’editoria avranno forse prodotto utili nel breve termine per grandi gruppi, ma sicuramente hanno contribuito alla desertificazione progressiva del lettore, con l’immissione massiccia dei best seller seriali a cui si riferisce Fuentes. Libri che oggi, vista la crescente standardizzazione di questi “prodotti” e dei loro contenuti, non si vendono nemmeno più nelle quantità di un tempo. Ma che, a causa dell’oligopolio distributivo, occupano la maggior parte degli spazi nelle librerie.

Quando dirigevo una libreria deprecavo la crescente standardizzazione dell'offerta, i libri-fotocopia, gli epigoni e i copiatori seriali, con una particolare antipatia per editori come Newton Compton, un maledetto mesteriante noto per aver messo in vendita libri come «Il ragazzo che saltò dalla finestra ed entrò nel mio letto» o «I sotterranei segreti dei Templari» o, ancora, «Un lungo fatale ultimo addio». Il calo di bibliodiversità già evidente nel 2012 ha finito per prevalere, riducendo il numero di forti lettori (>12 libri/anno) senza riuscire ad attirare nuovi lettori. Ulteriore particolare, il numero di e-book acquistati cresce, ma non  in una misura tale da riequilibrare le mancate vendite. 
Sicché il Salone del Libro, da questo punto di vista, ricorda il famoso valzer eseguito sul ponte del Titanic. 
Un giro tanto per avere conferme (probabili) o improbabili smentite comunque è consigliabile. Ci risentiremo da martedì in avanti.   

 
 

4 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Caro Max, per fortuna che ci siamo ancora noi che resistiamo. Io, nel mio piccolo sto "traviando" tutti i miei nipotini facendogli acquistare l'amore per i libri e per la lettura.
Finirà che diventeremo come i nuovi cristiani nelle catacombe o, peggio, nuovi carbonari.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: cristiani nelle catacombe mi sembra più adatto. Esistiamo ma non lo si dice né lo si ammette. Meno male, comunque, che esistono traviatori come te. Il nostro Fahrenheit 451, in ogni caso, non somiglia a un incubo ma una festa noiosa.

Paolo ha detto...

Poi ci sono fenomeni come mia nipote Lucia, non ancora tredici anni. Come me, Lucia legge tre o quattro libri contemporaneamente. Lunedì, prima di andare al Salone con mia sorella, le lascio in prestito il mio Kindle Paperwhite, perché vogliamo vedere se le piace leggere da un ebook reader: oltre a numerosi testi di storia dell'astronautica, "Alia Evo" e "Il vampiro della bassa" c'è l'edizione integrale di Sherlock Holmes della Newton Compton. Dopo tre ore telefona a sua madre, che sta girando per gli stand, e le dice 'Il Kindle è fantastico, ho già letto due terzi di "Uno studio in rosso!'"

Massimo Citi ha detto...

@Paolo: il problema è anche questo: una minoranza di forti lettori e una maggioranza abbondante di non lettori. Non è una bella Italia, per niente.