7.8.12

Nel dubbio prendere tempo


Mi è capitato di scrivere, su queste pagine, che un blog è una forma di diario. Un diario particolare, ovviamente, nel quale non si racconta ciò che ti è capitato andando all'ufficio postale o far la spesa né si confessano le proprie indicibili passioni sessuali, ma si cerca di costruire un'immagine di sé che possa tiepidamente interessare il prossimo, si butta giù qualche appunto sulla situazione personale e si tenta qualche riflessione sulla situazione generale, avendo ben presente che l'insieme delle proprie conoscenze, fatti salvi casi particolari, non supera quella di un giornale della sera buttato giù da un apprendista. 
Poi si riferisce, per i pochi a cui può vagamente interessare, sul procedere delle proprie passioni e si socializzano le proprie conoscenze, nel mio caso qualche rudimento sull'arte di scrivere e qualche conoscenza sul mercato librario. Un po' di musica, qualche riflessione improvvisa, qualche riferimento ai blog altrui. Niente recensioni di libri, per quelle esiste già il blog di LN-LibriNuovi out-of-print con il quale collaboro da tempo.
Dai blog altrui c'è sempre qualcosa da imparare. 
Dal blog di Nick, per esempio, che pubblica un buffo e malinconico articolo su U.F.O. - attacco alla Terra, o da quello di Davide, con un interessante articolo sull'arte di scrivere in coppia o, ancora, da quello della Leggivendola, autrice - a mio parere, ovviamente - di un post discutibile sul tema dei libri e della loro commercializzazione. La cosa divertente, in questi casi, è che a leggere e talvolta a commentare gli interventi altrui si "perde" una quantità prodigiosa di tempo, tanto da dimenticare, confondere o annullare il desiderio di scrivere sul proprio. In fondo, ci si trova a ragionare, non avevo nulla di davvero serio e importante da scrivere. Meglio, molto meglio passare oltre e rimandare. In fondo rischio di ripetere cose  che ho già detto, non aggiungere nulla di nuovo, fingere di presentare come novità anche cose già dette e ridette. Magari parlando di ciò che si scrive. 
Ma forse qualcosina di nuovo si può trovare...
...
Una cosa capitata qualche giorno fa, stimolato da una riflessione di mia moglie: «In fondo sei strano, tu, a scrivere. Più di una volta hai iniziato un romanzo, ne hai scritto un bel pezzo e poi ti sei fermato, passando a un altro progetto.».
«Ma, ma... non è vero. Fammi un esempiò!»
«Beh, c'è X. Poi Y, che ne hai scritto per un paio d'anni. Il tuo primo romanzo, che non ci hai mai rimesso le mani. E Z, che cosa succede in Z? La protagonista - me la ricordo benissimo - mi piaceva e tu l'hai lasciata in mezzo al vuoto.E poi...»
«Basta così, grazie. È che non avevo tempo...»
Non mi ha risposto e si è limitata a guardarmi. Uno sguardo molto espressivo. 
Ho terminato la cena un po' turbato. 
Non mi ero reso conto di quante cose non terminate avessi. 
E se è quasi impossibile «piazzare» i romanzi finiti si può facilmente immaginare l'utilità di abbozzi di romanzi non terminati, al massimo con uno scheletro di sviluppo abbozzato e mai scritto. In qualche caso perduto in fondo a un cassetto.
Posso consolarmi pensando che, in fondo, non devo restituire l'acconto per l'opera non terminata a nessuno. Ma una consolazione piuttosto magra, a pensarci. 
Ma perché ho interrotto la scrittura? 
Beh, perché nessuno mi pagava per terminarla. 
Ovvio, no? 
Scrivendo un romanzo capita sempre un punto nel quale si devono «tirare le somme». Un punto nel quale si interrompe la scrittura libera e felice e si deve cominciare a lavorare seriamente.  Rivedere, rileggere, appianare le contraddizioni, eliminare o esaltare un personaggio, tagliare un brano e/o aggiungerne un pezzetto. Eliminare i «rami morti» e far fiorire i semplici abbozzi. 
Un lavoraccio infame, nulla da dire. 
Ma chi ha detto che quello dello scrittore  è un lavoro facile facile? Eliminare dal romanzo un personaggio perché non quadra bene con gli altri... chi non si sentirebbe un volgare killer eliminandolo senza lasciare traccia? 
...
Ho almeno tre romanzi non terminati, per un totale di un migliaio di cartelle. Un romanzo scritto ma che ha disperatamente bisogno di una revisione particolarmente affilata. Un romanzo finito, ma che non mi soddisfa. Qualche altro abbozzo che mi interessa, magari mi affascina, ma che...
Una quantità impressionante di lavoro, indubbiamente. 
Che dovrei sobbarcarmi per una possibile pubblicazione.
Mah. 
Il problema è che alla possibile pubblicazione ho smesso di credere da parecchio tempo. 
Per  ciò che scrivo, per come lo scrivo e per chi dovrebbe teoricamente pubblicarlo. 
Se mai capiterà, se deciderò che i miei testi meritano una possibilità ne discuterò con me stesso e con il mio rabbioso, indomabile superIo ed eventualmente li pubblicherò. 
In piccole tirature, ovviamente. O in e-book.
E, fatalmente, ne parlerò qui. 
In quanto ai romanzi non terminati, beh, quando avrò un momento comincerò da Z. Quello con la protagonista in mezzo al vuoto.
Sempre se riuscirò a ritrovare le bozze... 



8 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Mettiti al lavoro su Z allora, che i tuoi amici aspettano di leggerti.
E grazie per la citazione del mio post. :)

Massimo Citi ha detto...

@Nick: certo, pur di ritrovare le bozze, emigrate - credo - da un pc all'altro in questi anni.
Il vero problema, quello che non sono riuscito a spiegare a mia moglie - che comunque ha anche lei un romanzone mai terminato -, è che terminare un libro è un lavoro molto diverso dall'iniziarlo o condurlo avanti. In ogni caso ritornerò su Z, promesso, anche se è molto diverso da ciò che ho scritto in altri momenti.

Romina Tamerici ha detto...

Ci sono passata anch'io. Di libri abbandonati ne ho un bel po' nel cassetto e per contare i progetti in corso tra romanzi, racconti, fiabe eccetera non bastano le dita di due mani.

Il tempo è insidioso. Io mi sono anche resa conto che a volte mi convinco di non avere tempo e invece si tratta solo di paura. Mi permetto dunque di consigliarti questo mio post (http://tamerici-romina.blogspot.it/2012/05/trovare-il-tempo.html) su questo tema.

In ogni caso scrivere non è mai una perdita tempo, anche quando lo si fa gratis!

Cerca il coraggio e buttati in un'impresa: Z merita il suo finale!

Argonauta Xeno ha detto...

Complimenti per le 1000 cartelle! Io sono un maestro nell'abbandonare i romanzi, ma mi arrendo molto prima. Nel mio caso, però, ho riscontrato anche un problema strutturale nel mio modo di scrivere.

Massimo Citi ha detto...

@Romina Tamerici: complimenti, vedo che non sono il solo a meditare sulle rovine di ciò che non è ancora stato... Uno dei problemi dei testi abbandonati è che il motivo, lo spunto, "l'ispirazione" - a volerla definire così - di un romanzo iniziato non è facile da riacchiappare. Dopo di ché hai ragione, se hai creato un'aspettativa, anche piccola e poco numerosa, hai il dovere morale di terminare il brano, anche se ad attenderlo sono ben pochi o, nel mio caso, una o due persone. Adesso ho un paio di cose più urgenti, ma giuro che terminerò Z : )

Massimo Citi ha detto...

@Salomon Xeno: sarei molto curioso di sapere qual è la componente strutturale alla quale alludi. Comunque di mille cartelle più o meno 600 appartengono a un scientific fantasy che non rinnego per nulla ma la cui chiusura è ancora piuttosto lontana. Finora non ho avuto il tempo per lavorarci su, più che altro per i motivi che ho accennato nel post. Ma adesso, grazie al gentile aiuto di Feltrinelli ed Amazon, avrò probabilmente il tempo per finirlo : )

Argonauta Xeno ha detto...

@Max: Il fatto che non c'era nessuna struttura. Iniziavo a scrivere e, senza sapere né dove andare a parare né come farlo, mi arenavo quando lo slancio iniziale finiva. È possibile che un racconto riuscissi a finirlo, ma non certo un romanzo. Ora non mi muovo mai se non ho una base solida (?) su cui lavorare.

Massimo Citi ha detto...

@Salomon Xeno; fantastico, mi è capitato, qualche volta, ma mai con sufficiente convinzione - o entusiarmo o follia - da iniziare a scrivere davvero. Però è un'idea che mi piace parecchio, davvero. La scrittura comporta, fatalmente, un insieme di dati che troverei faticoso dover mettere insieme per lavoro, ma ubbidire all'«elan vitale» è sacro e merita rispetto.