Ma l'idea mi ha colpito, è innegabile.
Si può scrivere un romanzo, sia pure breve, in soli sei giorni? Beh, per potere evidentemente si può. Davide lo spiega meravigliosamente nel primo dei suoi quattro post, quando incolonna i punti necessari: «Struttura / outline di massima ecc.». Ovviamente è meglio se la famiglia aiuta tenendosi sullo sfondo o se si trova decisamente altrove. E se non ci sono impegni di lavoro a breve termine in vista.
I motivi per tentare un'impresa del genere possono essere tanti ma tutti legati a una sola esigenza: dimostrare che scrivere non è un esercizio per soli genii o apprendisti tali e che l'ispirazione non è qualcosa che si possa rivendicare senza metterla all'opera.
Sacrosanto e indiscutibile.
Personalmente mi è mai capitato di impormi un tale tour de force?
Non mi pare. Ricordo di aver composto il romanzo breve per mia figlia, titolo «Coralinda» in tre o quattro mesi. Con una scadenza fissa settimanale, come un Balzac fuori tempo massimo. Ma si trattava di un caso davvero particolare, dal momento che il lettore destinatario dell'opera era costantemente presente e maledettamente insistente. Ma al di fuori di quel caso non ci ho mai messo meno di 6 mesi-1 anno.
Mi sono sempre sforzato di produrre qualcosa di simile a un prodotto finito, con poche riletture e correzioni ex-post. Probabilmente per purissima pigrizia, detesto cancellare più di una riga o due. Se riuscivo a scrivere un capitolo breve o anche soltanto un paio di pagine dopo 3-4 ore di lavoro avevo la sensazione di non aver sprecato il mio tempo.
Adesso, poi, la mia produzione è ulteriormente rallentata. Scrivo al massimo una pagina per ogni sessione. E, in genere, all'inizio della sessione successiva ricorreggo la prima stesura della stessa pagina, e ritorno indietro, al testo teoricamente già terminato, per modificarlo, rivederlo, ripensarlo.
Un modo di procedere - o di non procedere - che non mi soddisfa particolarmente ma che non mi sembra possibile cambiare.
È un problema di età, certo. Magari anche di quel minimo di insicurezza creatami dall'ictus del 2008, che mi ha lasciato qualche traccia non del tutto trascurabile. Ma soprattutto sospetto si tratti di una crescente coscienza della difficoltà di scrivere.
Lo so, lo so. Esiste il rischio di giungere a metterci una stagione - a parità di tempo impiegato - per scrivere una singola frase. Magari bellissima, ma soltanto una.
Ma forse può essere la sensazione dell'assenza di qualcosa di davvero nuovo da scrivere.
O semplice stanchezza.
O la mancanza di commesse decenti da parte di editori degni di questo nome. Che nel settore sf, peraltro, neppure esistono.
Può essere il dubbio che la space opera - ciò che sto scrivendo in questo momento - sia morta e che a nessuno interessi leggerla. E che dedicare tanta fatica a raccontare di curiose creature - peraltro inesistenti - sia uno sgobbo degno di un vecchio babbione come il sottoscritto.
Fatto sta che in sei-giorni-sei riuscirei a scrivere più o meno una paginetta, cioè 400 parole per 2500 caratteri.
...
Già, ma che cosa intendevo con «crescente coscienza della difficoltà di scrivere»?
Beh, per molto tempo ho avuto la sensazione che il mondo esistesse per essere raccontato da qualcuno. Nella fattispecie dal sottoscritto.
Ho giocato con questo pensiero, creato parodie di diverse scritture, improvvisato storie incredibili per pubblici del tutto inventati. Ho scritto racconti e romanzi, ma anche recensioni, pamphlet, elzeviri, note e riflessioni. Ho sicuramente raccontato un angolino di mondo, ma con la faticosa e costante sensazione che il mondo, man mano che veniva raccontato, si allargasse, scivolasse via, più grande e più complesso del mio povero incantesimo. Tanto da divenire inconoscibile, da moltiplicare la sua immagine in milioni e milioni di frammenti impossibili da ricomporre.
Accanto a ciò che scrivevo cresceva un gigantesco romanzo fantasma che conteneva tutte le parole che non utilizzavo, le situazioni impreviste, i dialoghi mancanti, i caratteri assenti, gli episodi dimenticati.
Ciò che è cresciuto, in realtà, è il non-romanzo. Il non-testo che non scriverò. Ciò che mi accompagna adesso ogni volta che inizio a scrivere.
...
A scrivere on line siamo in diversi. E tenere aggiornato e interessante il proprio blog è già un lavoro non leggero. Tanto è vero che io non ci riesco. E, per la verità, non ci provo nemmeno. Ma scrivere narrativa, scrivere narrativa... no, quella è proprio un'altra cosa. È l'Alfa e l'Omega del nostro scribacchiare, l'ultima Thule del nostro impegno. Essere letti e apprezzati per il nostro scrivere. Non solo complimentati o sostenuti, ma approdare, sia pure su una spiaggia solitaria, nei territori dell'arte.
Parola maledetta che non è facile comporre sulla tastiera.
Ma anche scribacchiare un romanzo veloce, senza troppe pretese, è comunque corteggiare l'Arte. Magari fingendo scarso interesse, un virile disprezzo per tutti qui tizi ben azzimati per farfugliano rotonde scemenze sull'essere artisti... No, nulla del genere. Noi si sta in penombra, appoggiati al pianoforte attendendo, senza contarci ma anche senza disperare, che l'Arte si accorga di noi, disprezzando gli sciocchi che vorrebbero sedurla. Da Humprey Bogart o, italiamente, da Fred Buscaglione.
Il semplice gesto di comporre un testo in modo che altri possano leggerlo è però compiere un gesto intrinsecamente artistico e non serve fingere che si tratti di un gesto quasi casuale, un tic, una sfida, una piccola concessione a una fissazione purchessia. Si scrive perché si crede - a torto o a ragione - di avere qualcosa di urgente e importante da comunicare.
...
Scrivere è necessariamente qualcosa di più del semplice gesto di porsi davanti a una tastiera e improvvisare qualcosa. Improvvisare è divertente, perbacco se lo è. Come lo è un pubblico preparato e accorto, disponibile a una serie di veloci citazioni, passaggi arguti, buffe osservazioni, scimmiottature, caricature, parodie divertite e divertenti.
Ma tutto ciò rischia di essere soltanto un rimandare il confronto con la scrittura. Un confronto che, a ben vedere, ha poco di divertente, anche nel caso che ciò che esce dalla tastiera risulti innegabilmente comico.
Scrivere può essere un lavoro, può impegnare per ore e ore, tanto da trascurare la famiglia, gli impegni, il mondo. Si può scrivere un «dannato romanzo» in sei giorni. O creare Round Robin a N partecipanti.
Ma la scrittura, lenta e sorniona, comunque aspetta.
Ed è con quella che è necessario misurarci.
P.S. È anche possibile che sia stata la mia proverbiale pigrizia, ispirata dall'invidia, a dettarmi questo lunghissimo articolo. Un romanzo in sei giorni è un exploit che alla mia età non posso più permettermi.
Spero comunque che l'ottimo Davide non si adonti. Lui, ovviamente, non è responsabile dei curiosi pensieri che talvolta mi prendono.
I motivi per tentare un'impresa del genere possono essere tanti ma tutti legati a una sola esigenza: dimostrare che scrivere non è un esercizio per soli genii o apprendisti tali e che l'ispirazione non è qualcosa che si possa rivendicare senza metterla all'opera.
Sacrosanto e indiscutibile.
Personalmente mi è mai capitato di impormi un tale tour de force?
Non mi pare. Ricordo di aver composto il romanzo breve per mia figlia, titolo «Coralinda» in tre o quattro mesi. Con una scadenza fissa settimanale, come un Balzac fuori tempo massimo. Ma si trattava di un caso davvero particolare, dal momento che il lettore destinatario dell'opera era costantemente presente e maledettamente insistente. Ma al di fuori di quel caso non ci ho mai messo meno di 6 mesi-1 anno.
Mi sono sempre sforzato di produrre qualcosa di simile a un prodotto finito, con poche riletture e correzioni ex-post. Probabilmente per purissima pigrizia, detesto cancellare più di una riga o due. Se riuscivo a scrivere un capitolo breve o anche soltanto un paio di pagine dopo 3-4 ore di lavoro avevo la sensazione di non aver sprecato il mio tempo.
Adesso, poi, la mia produzione è ulteriormente rallentata. Scrivo al massimo una pagina per ogni sessione. E, in genere, all'inizio della sessione successiva ricorreggo la prima stesura della stessa pagina, e ritorno indietro, al testo teoricamente già terminato, per modificarlo, rivederlo, ripensarlo.
Un modo di procedere - o di non procedere - che non mi soddisfa particolarmente ma che non mi sembra possibile cambiare.
È un problema di età, certo. Magari anche di quel minimo di insicurezza creatami dall'ictus del 2008, che mi ha lasciato qualche traccia non del tutto trascurabile. Ma soprattutto sospetto si tratti di una crescente coscienza della difficoltà di scrivere.
Lo so, lo so. Esiste il rischio di giungere a metterci una stagione - a parità di tempo impiegato - per scrivere una singola frase. Magari bellissima, ma soltanto una.
Ma forse può essere la sensazione dell'assenza di qualcosa di davvero nuovo da scrivere.
O semplice stanchezza.
O la mancanza di commesse decenti da parte di editori degni di questo nome. Che nel settore sf, peraltro, neppure esistono.
Può essere il dubbio che la space opera - ciò che sto scrivendo in questo momento - sia morta e che a nessuno interessi leggerla. E che dedicare tanta fatica a raccontare di curiose creature - peraltro inesistenti - sia uno sgobbo degno di un vecchio babbione come il sottoscritto.
Fatto sta che in sei-giorni-sei riuscirei a scrivere più o meno una paginetta, cioè 400 parole per 2500 caratteri.
...
Già, ma che cosa intendevo con «crescente coscienza della difficoltà di scrivere»?
Beh, per molto tempo ho avuto la sensazione che il mondo esistesse per essere raccontato da qualcuno. Nella fattispecie dal sottoscritto.
Ho giocato con questo pensiero, creato parodie di diverse scritture, improvvisato storie incredibili per pubblici del tutto inventati. Ho scritto racconti e romanzi, ma anche recensioni, pamphlet, elzeviri, note e riflessioni. Ho sicuramente raccontato un angolino di mondo, ma con la faticosa e costante sensazione che il mondo, man mano che veniva raccontato, si allargasse, scivolasse via, più grande e più complesso del mio povero incantesimo. Tanto da divenire inconoscibile, da moltiplicare la sua immagine in milioni e milioni di frammenti impossibili da ricomporre.
Accanto a ciò che scrivevo cresceva un gigantesco romanzo fantasma che conteneva tutte le parole che non utilizzavo, le situazioni impreviste, i dialoghi mancanti, i caratteri assenti, gli episodi dimenticati.
Ciò che è cresciuto, in realtà, è il non-romanzo. Il non-testo che non scriverò. Ciò che mi accompagna adesso ogni volta che inizio a scrivere.
...
A scrivere on line siamo in diversi. E tenere aggiornato e interessante il proprio blog è già un lavoro non leggero. Tanto è vero che io non ci riesco. E, per la verità, non ci provo nemmeno. Ma scrivere narrativa, scrivere narrativa... no, quella è proprio un'altra cosa. È l'Alfa e l'Omega del nostro scribacchiare, l'ultima Thule del nostro impegno. Essere letti e apprezzati per il nostro scrivere. Non solo complimentati o sostenuti, ma approdare, sia pure su una spiaggia solitaria, nei territori dell'arte.
Parola maledetta che non è facile comporre sulla tastiera.
Ma anche scribacchiare un romanzo veloce, senza troppe pretese, è comunque corteggiare l'Arte. Magari fingendo scarso interesse, un virile disprezzo per tutti qui tizi ben azzimati per farfugliano rotonde scemenze sull'essere artisti... No, nulla del genere. Noi si sta in penombra, appoggiati al pianoforte attendendo, senza contarci ma anche senza disperare, che l'Arte si accorga di noi, disprezzando gli sciocchi che vorrebbero sedurla. Da Humprey Bogart o, italiamente, da Fred Buscaglione.
Fred Buscaglione |
...
Scrivere è necessariamente qualcosa di più del semplice gesto di porsi davanti a una tastiera e improvvisare qualcosa. Improvvisare è divertente, perbacco se lo è. Come lo è un pubblico preparato e accorto, disponibile a una serie di veloci citazioni, passaggi arguti, buffe osservazioni, scimmiottature, caricature, parodie divertite e divertenti.
Ma tutto ciò rischia di essere soltanto un rimandare il confronto con la scrittura. Un confronto che, a ben vedere, ha poco di divertente, anche nel caso che ciò che esce dalla tastiera risulti innegabilmente comico.
Scrivere può essere un lavoro, può impegnare per ore e ore, tanto da trascurare la famiglia, gli impegni, il mondo. Si può scrivere un «dannato romanzo» in sei giorni. O creare Round Robin a N partecipanti.
Ma la scrittura, lenta e sorniona, comunque aspetta.
Ed è con quella che è necessario misurarci.
P.S. È anche possibile che sia stata la mia proverbiale pigrizia, ispirata dall'invidia, a dettarmi questo lunghissimo articolo. Un romanzo in sei giorni è un exploit che alla mia età non posso più permettermi.
Spero comunque che l'ottimo Davide non si adonti. Lui, ovviamente, non è responsabile dei curiosi pensieri che talvolta mi prendono.
6 commenti:
Beh! Io al massimo adesso come adesso riuscirei a scrivere qualche breve raccontino nei tempi morti.
Se mi mettessi a fare un esperimento come quello di Davide, mia moglie mi ammazzerebbe al secondo giorno.
@Nick: mia moglie scrive anche lei. Questo comportebbe accordarsi in anticipo, sperando che nostra figlia non intervenga con qualche problemino personale da risolvere... Ma il vero problema è che cosa scrivere. E non correggere, ricorreggere e ricorreggere ciò che si è scritto.
Se non mi sbaglio, Dostoevskij ha scritto un suo libro (credo, "Il giocatore") in una sola notte. Io non credo che riuscirei a scrivere un romanzo in sei giorni. In genere impiego un anno (tra scrittura e revisione). L'ultimo per varie vicende è ancora in corso dopo quasi due anni. Se comunque avessi sei giorni liberi (lasciatemi beare un po' in questo sogno) mi piacerebbe provare, anche perché ho già in mente idee per diversi altri libri che mi piacerebbe sviluppare, ma dovrei "trovare tempo" (argomento del mio post di oggi). Mi è piaciuta tantissimo la tua riflessione e credo anch'io, che al di là della bellezza della sfida, sia la scrittura riflessiva e curata nei dettagli a essere la "vera" letteratura (illustri eccezioni a parte). Bel post!
@Romina Tamerici: anch'io sarei ben contento di riuscire a dedicare alla scrittura 6-giorni-6, ed è molto probabile che sia stata la mia invidia a motivare il mio intervento. Anche se poi, fatalmente, ho finito per ragionare sulla mia personale scrittura e sul modo di condurla. Citando Dostoevskij, comunque, temo che scrivere in poco tempo un romanzo - una notte o una settimana - sia indice di una necessità impossibile da tacitare.
Da un punto di vista professionale, invece, credo che scrivere a intervalli predefiniti (domani mi dai un capitolo, la prossima settimana un altro ed entro tre mesi hai finito il tuo libro) sia la vera sfida. Non troppo divertente, temo.
Mah del post di Davide quando lo ho letto mi ha colpito proprio la sua frase "Ho una voglia dannata di scrivere questa storia. "
Ecco al di là del tempo (che mai avrò) e della resistenza che invece sospetto di avere(quando studiavo ero una vera macina), la cosa che non ho è la dannata storia.
Quando comincio a scrivere mi succede ESATTAMENTE quello che dici tu.
Il non-scritto mi si palesa nitidissimo e mastodontico e mi schiaccia. Lì so che devo sbrigarmi perchè se non mi sbrigo a finire la storia, lui mi inghiottirà come il Nulla della Storia Infinita.
Ma per me sbrigarmi è una roba alternativa con la scrittura.
Ci ho messo 3 mesi a scrivere un raccontino di 5000 parole.
E' vero che ho studiato come una matta nei primi due mesi l'ambientazione e tutte le robe che mi venivano in mente (ora sono una vera speleologa di Roma!Chiedimi qualsiasi cose sugli acquedotti e io ti risponderò...).
Robe che poi manco compaiono nel racconto perchè dopo averle studiate per bene mi sono accorta che non erano quel che serviva.
Eppoi c'è quello strano fenomeno del non scritto che comincia a rosicchiare le certezze e trasforma quello che volevo raccontare man mano che scrivo.
Insomma anche io sono piuttosto lenta e mi succede quello che dici tu.
Scrivo un pezzo che o va buttato o va corretto ma poco.
Sono simile a un ritrattista che fa direttamente il disegno a china e corregge pochissimo, solo che per questo occorre molta riflessione prima di fare un tratto sul foglio.
Ho seguito l'esperimento di Davide con grande fermento e con grandissimo interesse proprio perchè piacerebbe anche a me farlo, ma so che non mi riuscirebbe.
Insomma quell'entusiasmo che provi quando vai al circo e vedi fare dei numeri divertenti da guardare e difficilissimi specialmente per te che sei assolutamente impacciato, con i riflessi di un bradipo e poco agile.
Ma che ti appassionano comunque moltissimo.
Per inciso, come va la space opera?
@Cily: la space opera prosegue ma con una lentezza snervante, Il problema principale è che ho superato la metà e so come andrà a finire. E io NON DEVO SAPERE come andrà a finire, altrimenti non riesco più a scrivere. Non ridere, + è proprio così.
In quanto all'erculeo gesto di Davide penso che siamo molto diversi e che quando scriviamo non intendiamo scrivere lo stesso genere di cose. Il suo è stato un ottimo lavoro ed è molto probabile che meriti leggerlo. Ma, ahimé, non mi riguarda, né punto nè poco. E non mi insegna molto, dal momento che non mi vanto di scrivere capolavori o meraviglie narrative. Non aspetto l'ispirazione e non credo di essere particolarmente dotato di talento. E comunque quando scrivo mi sento esattamente come ho scritto, oppresso da tutto ciò che mi sono lasciato indietro scrivendo in questi anni.
Last but not least: l'hai poi finito UKR o ti sei massacrata dagli sbadigli? Non preoccuparti di essere brutale, in fondo al momento non è nemmeno un romanzo terminato...
Posta un commento