8.2.12

Provando a ragionare


In questi giorni, sia pure affannosamente, capita di avere qualche momento di pausa, di silenzio, nel quale può accadere di spendere qualche riflessione sulla situazione generale dell'editoria italiana.
Nulla di sistematico o di complessivo, soltanto qualche riflessione slegata e poco conseguente, nata dalla mia situazione. 
La CS chiude, come molte librerie che l'hanno preceduta e altre che la seguiranno. La CS è (era) una libreria universitaria di area scientifica, con una sezione abbastanza vasta dedicata alla letteratura - di genere e mainstream - e una presenza massiccia di saggistica scientifica, cioé libri di attualità, aggiornamento, divulgazione e filosofia della scienza.   
La CS è sempre stata sottocapitalizzata, nata com'è da normali ex-studenti di medicina che non hanno mai avuto i capitali per farne una grossa libreria. Si è proceduto così correndo dietro alle occasioni, alle speranze, ai sogni... e ai fornitori. Si è fatto abbondantemente ricorso ai prestiti bancari - anche adesso, mentre scrivo, ho ben presente che debbo tuttora chiudere un fido (ovvero un prestito) di qualche decina di migliaia di euro con una banca - facendo poi le corse per pagare gli interessi. Personalmente non ho fatto i soldi, anzi, è capitato più di una volta di lavorare senza stipendio o di correre a versare fondi personali per raddrizzare una situazione finanziariamente pericolosa, come coprire un assegno non coperto. Il bilancio (quasi) definitivo è catastrofico. Ma fortunatamente o sfortunatamente io non sono un bocconiano e non ragiono soltanto con il portafoglio.
Quindi, sulla cima di questi 37 anni di lavoro, posso affermare - ed affermo risolutamente - che finché è durata è stata grande
Il fatto che, come ha scritto Vera Schiavazzi su «La Repubblica» del 6.2.2012, noi abbiamo «gettato la spugna» è sostanzialmente vero. Arriva un punto nel quale non vedi prospettive credibili. 
Fossero esistite non mi sarei tirato indietro. 
Ma, a parte la lunga serie di motivi elencati nella lettera ai soci, qual è il vero problema, a che cosa si deve questa convinzione? Sono gli e-book? Sono le librerie di catena? Sono i fornitori? È Amazon? È la produzione editoriale contemporanea?
Un po' tutto, d'accordo. Ma dovessi scegliere un vero, grosso, motivo, non transitorio e svincolato dall'attualità, sceglierei l'e-book. 
Io sono un consumatore di e-book e ancora di più lo sarò nel futuro. Non solo, penso che i grandi editori contemporanei dovranno fare i conti con l'editoria telematica, con la disponibilità di libri ovunque, libri che si possono leggere su tablet, su telefoni, pc e su qualunque altro diavoleria elettronica vi salti in mente.  
Necessariamente libri più brevi, più elementari, più banali? No, non credo. Se i libri scompaiono non è così per i lettori. E molti lettori non si accontentano di un libro qualunque, di un metalibro, di un unterlibro. Il gesto di leggere è - curiosamente, o forse non troppo - un gesto in gran parte svincolato dal supporto di lettura. Mia figlia - un soggetto non casuale, me ne rendo conto, ma sicuramente ben inserita nel suo mondo di giovinastri - mi ha chiesto di scaricarle tra i primi libri per il suo tablet Il Castello di Franz Kafka, un libro che non mi pare una lettura così vuota e banale. Magari, ma questo è un altro discorso, si può discutere del gusto «nero e decadente» suo e di molti giovani contemporanei, ma si tratta, evidentemente, di un tipo di discussione che esorbita largamente la dialettica schermo/carta.
E se i lettori sono destinati a rimanere, indipendentemente dal supporto di lettura, così come i classici della letteratura - leggere Guerra e Pace o Madame Bovary o I sette pilastri della saggezza su e-book non è un'assurdità -, la vera domanda è chi non rimarrà?  
Le librerie, certo, scavalcate dalla vendita diretta dei libri da parte degli editori. Ma anche gli editori, soprattutto quelli che in periodo di crisi pensano di sopravvivere di thriller seriali, di confessioni morbose di protagonisti tv, di guide alla microfelicità familiare o di manuali per farsi da sè lo yoghurt alla camomilla, rischiano di essere assorbiti e svuotati dall'onda crescente della disponibilità di e-book gratuiti o semigratuiti. Si può pensare, seriamente, di sopravvivere contando esclusivamente sulla difficoltà di alcune classi della popolazione - sociali e di età - ad accostarsi a uno strumento telematico? 
Tra i motivi che ci hanno indotto a chiudere l'attività c'è stato, innegabilmente, la lenta ma definitiva scomparsa dei giovani lettori. I nostri migliori clienti avevano un'età che superava costantemente i trent'anni-trentacinque anni. Eravamo una libreria generazionalmente condannata. 
Ed è questo un elemento, ahimé, centrale in qualsiasi analisi sulla situazione editoriale.





7 commenti:

Argonauta Xeno ha detto...

C'è anche da considerare che nessuno vende ebook in libreria ma molte grosse catene portano la libreria nel lettore ebook. È così strano ipotizzare che uno entri in libreria e ne esca con un ebook? Sono due cose inconciliabili? (Non sono domande retoriche, sto andando a ruota libera.) Probabilmente l'avvento degli ebook gioca a favore delle grandi catene (e.g. Feltrinelli) che hanno assorbito la novità nei loro shop online o sfruttando il wifi interno. Però il fatto che l'età media dei clienti che entrano in libreria si alza, non è analogo al fenomeno che si verifica, con le opportune differenze, dal fruttivendolo rispetto al supermercato?
Ok, mi sono dilungato un po' troppo.

Massimo Citi ha detto...

@Salomon Xeno: no, non ti sei affatto dilungato e hai reso bene l'idea. Sicuramente la scarsa abitudine dei giovani clienti ad entrare in una libreria che non sia anche un bar, un wifi-center, un vendipiciotti e un cd exposer ha il suo peso e la sua importanza e il paragone con i fruttivendoli mi sembra molto azzeccato. Resta il fatto che nessuno si è preoccupato - volutamente o per banale calcolo - di spiegare ai giovani a che cosa serve una libreria così come una biblioteca, e che i librai siano stati, in buona parte, una pessima pubblicità a se stessi, confondendosi con cartolibrai unicamente preoccupati di piazzare un certo numero di libri di testo e fottendosene altamente della letteratura e della saggistica. In quanto alla distribuzione degli e-book hai ragione, ma credo che il piccolo circuito editore-libreria di catena si spezzerà molto presto - sempre non si sia già spezzato. La tendenza è e sarà quella a cercare l'e-book on line, da Amazon... o anche da e-mule. O presso siti altamente specializzati. La partita è ancora in corso, comunque.

Nick Parisi. ha detto...

Non solo la partita è ancora in corso ma produrrà esiti del tutto imprevedibili; ad esempio io non sono poi così convinto che i nostri gorssi Editori sapranno utilizzare bene il settore eBook. Basta vede i prezzi ridicolmente alti proposti.
Questa storia è appena cominciata, solo che ci saranno ancora molti tra morti e feriti.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: ciao, scusa del ritardo, ovviamente un classico del momento.
Direi che hai ragione, tanto più che gli e-book non hsnno realmente costi di distribuzione. Ma qui si tratterebbe di riuscire a leggere i contratti tra il distributore e l'editore, perché dubito molto che Messaggerie o PDE rinuncino di principio a qualsiasi royalties sulla distribuzione diretta. Oltre a questo c'è da tenere conto dell'IVA 21% degli e-book contro il 4% dei libri cartacei. Una quota da non dimenticare. Resta il fatto che molti libri saranno presto disponibili gratis o quasi e gli autori potranno corrispondere direttamente con i lettori, saltando la mediazione di un editore. Un'idea che può in realtà risultare sinistra tenendo conto del livello della produzione autogestita, ma che è anche foriera di una primavera della produzione libraria che molti aspettano da anni. Chi sopravviverà e che cosa emergerà? Difficile dirlo, ma per il momento siamo qui.

Romina Tamerici ha detto...

I giovani e i libri... ah, che binomio fantastico per dirla alla Rodari! Solo io vivrei dentro una biblioteca? Gli ebook cambieranno l'editoria? Forse, ma, secondo me, il libro cartaceo ha ancora molto da dare al mondo... il suo tempo non è ancora finito! Le librerie devono essere salvate, ma per esserlo bisogna scardinare l'immagine di "libreria = negozio di libri"... perché una libreria non è solo questo, perché i libri non sono beni di consumo come gli altri... perché... mi fermo qui.

Argonauta Xeno ha detto...

Una mia amica che studia sociologia mi ha parlato oggi di un suo progetto: aprire una piccola libreria con angolo cafè, magari con wifi gratuito, dove il cliente può sedersi e sfogliare qualche pagina prima di fare un acquisto, o anche solo bersi un caffè. Forse da qualche parte questi luoghi esistono. È possibile che per attrarre le nuove generazioni la libreria possa trasformarsi e diventare un luogo più stimolante, una sorta di "tempietto" della cultura, anziché un semplice negozio?

Massimo Citi ha detto...

@Romina: hai perfettamente ragione, ma il 90% dei libri che vengono venduti sono stampati e distribuiti industrialmente e editori e distributori liquiderebbero le tue osservazioni come «tipica illusione giovanile». Io ho lavorato per trenta e passa anni cercando di premiare i libri e gli editori che ritenevo importanti e cercando di non esaltare la produzione mass-cult. È stato un lavoro improbo e bellissimo. Mi è stato possibile continuare finché la crisi economica non mi ha prosciugato i pozzi... Sinceramente ho molti dubbi sulle possibilità di sopravvivenza delle librerie, esattamente come ce ne furono, a suo tempo, per quelle di resistenza dei negozi di dischi. Ma adesso sto guardando il cielo dal fondo di una buca, quindi non mi esprimo.
@Salomon: c'è una libreria-caffè a 100 metri da qui, un piccolo, delizioso locale nel quale mi sarebbe piaciuto lavorare. Solo che sotto natale sono passati a chiedermi se ero interessato a rilevare il loro magazzino di libri. Non è per cancellare o irridere i sogni altrui, ma, tradizionalmente, se hai 10 libri ti chiederanno l'undicesimo, se ne hai cento, il centounesimo, se ne hai mille o diecimila... Il grosso problema delle librerie-caffè è il rischio di essere ritenute estranee a entrambi i generi merceologici. FNAC, qui a Torino, ha un grosso caffè con una grande libreria in V.Roma, ma sta per chiudere. Io personalmente non ho mai creduto al la libreria-caffé, essenzialmente perché i lettori spesso NON HANNO TEMPO e se entrano per cercare un libro, vogliono quello, e un caffè o una spremuta d'arancia non lo sostituiscono. Una libreria domenicale o serale sono senz'altro possibili, basta avere un altro lavoro che ti dia da mangiare... :)