2.3.11

Libri letti. Anche solo uno per volta...

La crisi.
Una semplice parola che coinvolge la vita e il destino di miliardi di persone.
Basti pensare a ciò che è accaduto e che accade nel Nordafrica. A una crisi che ha già masticato uno stato come la California e altri stati americani. Ma anche l'Islanda, la Grecia, l'Irlanda, e l'Ungheria, solo per citare i casi più noti e discussi. In tutto ciò l'Italia risulta non pervenuta. Pur vantando il rapporto tra PIL e il debito nazionale al terzo posto tra i paesi del mondo continuiamo a sentire il ministro dell'economia del governo Berlusconi ripetere che non c'è motivo per preoccuparsi. Il dubbio è che il deficit sia stato «nascosto sotto il tappeto», pronto a emergere sotto il primo governo post-berlusconiano.
Questa crisi ha sostanzialmente sbriciolato l'UE, dividendola tra paesi d'acciaio come la Germania o la Francia e P.I.G.S:, ovvero Portogallo, Irlanda (o Italia, secondo alcuni), Grecia e Spagna. Sempre più lontana ogni prospettiva di unità politica, l'UE si è ridotta a una fabbrica di norme e direttive cervellotiche, assurde o francamente discutibili.
Che cosa sia stata, sia o sarà la crisi che ha colpito il mondo non è affatto chiaro. Dai quotidiani, in qualche modo schierati nell'universo politico-economico e troppo spesso non sufficiente informati sui temi trattati, risulta sostanzialmente impossibile farsi un'idea sia pure insufficiente e provvisoria della situazione economica mondiale. Sicché non rimane altro da fare che affrontare il tema sulle pagine di un libro.
Personalmente sono sostanzialmente un ignorante in materia economica, anche se - perlomeno - non schierato in prima persona a difesa di un fondo pensionistico o di qualche piccola speculazione. Sono un poveretto, in sostanza, di formazione scientifica, appena appena in possesso di qualche rudimento di dottrina economica marxiana e di qualche disperso elemento di politica economica.
Il libro che ho scelto per tentare di informarmi è pubblicato dalla Feltrinelli. Il titolo (poco incoraggiante) è La crisi non è finita e gli autori sono Nouriel Roubini e Stephen Mihm. Trattasi di due docenti universitari americani. Il primo - di origine turca - è rimasto famoso per aver previsto questa crisi in un suo intervento del 2006 davanti al FMI. Inutile dire che all'epoca non fu preso molto sul serio, anche se adesso «è riconosciuto come uno degli economisti più autorevoli del mondo».
Tesi essenziale di Mr. Roubini (faccio una certa fatica a non scrivere «Houdini») è che «I disastri economici non siano "cigni neri": eventi unici e imprevedibili, privi di cause specifiche. Al contrario, i cataclismi finanziari sono antichi quanto il capitalismo stesso e si possono prevedere».
La crisi, in sostanza, non ha molto di inatteso o di imprevedibile. Nata, in apparenza, dal crollo delle società che operavano nel settore finanziario dei sui mutui edilizi, ha ben presto coinvolto finanziarie e banche negli USA e in Europa. La crisi di finanziarie e banche ha fatalmente coinvolto le banche centrali che sono intervenute a sostenerle aumentando il debito pubblico dei paesi coinvolti e in qualche caso - come in Islanda - giungendo a una sostanziale situazione di bancarotta.
Era necessario e inevitabile intervenire a difendere le Banche e la finanziarie?
A meno di non essere dei sostenitori convinti di Schumpeter e della scuola viennese converremo tutti che - sia pure a malincuore - era necessario sostenere le banche perché la crisi non evolvesse verso ulteriori e intollerabili sviluppi.
Ma a parte l'intervento statale è stato fatto qualcosa per evitare di ritornare ben presto a nuove crisi? Si sono tagliate le unghie alle banche d'investimento rapaci che hanno largamente contribuito alla crisi con i propri strumenti finanziari dai nomi impronunciabili, acronimi di una serie di parole di dubbio significato. I CDO - collateralized debt obligations - nati dai cervelli di Wall Street, che Roubini definisce come:

«Il prodotto di un gioco di prestigio: si prendeva un mucchio di mutui subprime di rating BBB [da wikipedia: "Un mutuo subprime è, per definizione, un mutuo concesso ad un soggetto che non poteva avere accesso ad un tasso più favorevole nel mercato del credito"], incerti e rischiosi, li si impacchettava in un titolo garantito dai mutui ipotecari, sempre di rating BBB, che veniva suddiviso in tranche; a quella di tipo senior [categoria di titoli di reddito più basso ma in apparenza privo di rischi] si dava quindi un rating AAA. Con questo processo si trasformavano rifiuti tossici in titoli placcati in oro, nonostante il fatto che il pool di mutui sottostanti fosse rischioso esattamente come prima».

Ed è grazie a questo genere di «prodigi» e della loro (prevedibilissima) crisi che si è giunti ad avere una quantità impressionante - e fuori dalla realtà - di liquido circolante del quale, inevitabilmente, il mondo finanziario è stato chiamato chiamato a rispondere.
Un fenomeno, quello delle «bolle» finanziarie, che si è presentato diverse volte nel corso della storia del capitalismo, come Roubini riassume all'inizio del suo libro. Dalla seicentesca «mania dei tulipani» che scosse il neonato capitalismo, alla vicenda del XVIII secolo della compagnia francese del Mississipi, alla «bolla» del Perù (inizio dell'800) che colpì le banche inglesi, alla crisi del 1873, basata sulla speculazione sulle ferrovie americane, fino alla famigerata crisi del 1929 negli USA.
Tratto comune di tutte queste crisi il gonfiarsi a un livello eccessivo e assurdo il valore di un bene (dai bulbi di tulipano alle azioni fino ai CDO e simili dell'ultima crisi) fino a quando tale valore non raggiunge il suo massimo per poi schiantarsi miseramente insieme ai beni di tutti coloro che avevano creduto che «questa volta è diversa dalle precedenti».
Uno dei principali problemi creati da quest'ultima crisi e dalla reazione delle principali economie mondiali è, non a caso, l'esborso che i governi mondiali e quello americano in primis hanno dovuto sostenere per sorreggere il proprio sistema creditizio. Un esborso che quasi mai ha previsto un intervento parallelo sulle banche d'affari e sulle società finanziarie che possono tranquillamente la propria attività con CDO e derivati finanziari d'ogni genere, sostenuti da un sistema di agenzie di rating (Standard & Poor's, Moody's e Fitch) che ha più volte mostrato la propria parzialità di giudizio, particolarmente nei confronti di coloro che erano chiamati a controllare - e che risultavano, nel contempo, finanziatori della loro attività. Non solo, anche il sistema di retribuzione del management - assolutamente assurdo nella sua smodata ed eccessiva dimensione - non ha subito le drastiche riduzioni che in molti avrebbero ritenuto adeguate al momento e alla situazione, anche perché un management che guadagna da qualsiasi manovra finanziaria non risulta il soggetto migliore a guidare un'azienda, se non altro perché troppo evidentemente parte in causa.
Giova anche, comunque, ricordare - come Roubini puntigliosamente fa - lo stato particolare del dollaro americano come valuta di scambio, parzialmente slegata dalla semplice circolazione interna americana. Questo significa che gli USA possono giungere a livelli di debito pubblico impensabili per altri paesi e che potrebbero aumentare la circolazione mondiale di dollari senza correre rischi immediati. Il problema principale, in questo caso - esattamente ciò che sta avvenendo - è il riprendersi dell'inflazione che, unita alla crisi economica in corso, viene a creare ciò che gli economisti chiama «Stagflazione», ovvero l'accoppiata solo apparentemente autocontradditoria di inflazione e depressione. Un rischio tutt'altro che improbabile.

«I creditori esteri degli USA [Cina, Russia, Giappone e il blocco di paesi esportatori di petrolio] non resterebbero passivi di fronte a una brusca riduzione del valore reale delle attività denominate in dollari. [...] Il disfarsi in fretta e furia della valuta statunitense, potrebbe provocare un crollo del dollaro, un'impennata dei tassi di interesse a lungo termine e una grave depressione.»

A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge il problema di una globalizzazione che, nelle sue modalità più evidenti, colpisce e continua a colpire la forza lavoro dell'occidente, spostando - come sappiamo - lavoro, impianti e lavorazioni in paesi con un costo pro capite del lavoro nettamente più basso.

«Sfortunatamente mentre la finanza si è globalizzata, la sua regolamentazione rimane una questione nazionale. Tutto questo non fa che accrescere la probabilità di crisi future che potrebbero assumere proporzioni globali

Giungere a una regolazione sovranazionale della globalizzazione, graduale sostituzione della valuta internazione di scambio, un controllo più attento ed efficace della finanza: queste sono solo alcuni dei rimedi proposti da Roubini per sventare la possibilità - o la probabilità - di un'ulteriore crisi.
Non ho né la competenza né la preparazione per entrare nel merito delle proposte di Roubini. Sono comunque certo che per comprendere almeno qualcosa della crisi (tuttora in atto) il suo volume sia utile. Forse addirittura indispensabile. Che la crisi in atto non abbia nulla di «straordinario» è un dubbio che mi ha accompagnato negli ultimi mesi. Che le affermazioni ottimistiche di Greenspan, governatore della Federal Reserve, non fossero altro che tentativi di vendere al mondo pietose buglie era un dubbio per me impossibile da sconfiggere.
Ciò che propone Roubini, in breve, è la necessità di imporre un passo indietro al capitalismo rapace di questi anni, capace di arricchire sempre più pochi individui a danno di un numero esorbitante di NIP come il sottoscritto.
Quanto basta per apprezzare il suo lavoro.




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