Ratti e gatti sono due specie onnipresenti sulla faccia della Terra, infettiva l’una, fracassona l’altra.
Ciò
che molti non sanno é che topacci e micioni, non più animali di me
o voi, intrattengono rapporti praticamente quotidiani con le civiltà
extra-terrestri che tutti, E. per primo, sognano di conoscere.
Esistono alieni, incuranti della nostra civiltà che giustamente
ritengono destinata ad una rapida scomparsa, che mandano le loro
navi-osservatorio unicamente per incontrare i ratti o per partecipare
a quegli strani riti notturni nei quali molti gatti si riuniscono in
cerchio in un cortile litigando a gran voce.
Se
vi siete mai chiesti dove va il vostro micio di notte o perché mai
gli UFO non si fermino mai a parlare con voi dopo avervi abbagliato
su sperdute stradine di campagna o perché – infine – le
pantegane sopravvivano e prosperino nonostante le imprese di
derattizzazione, ora ne conoscete il motivo.
Ma
se non ci parlano mai! Se non ci fanno capire che sono intelligenti!
Eh
no, onestamente non si può affermare che almeno i ratti non facciano
il possibile per comunicare con noi. Ben consci che non sopportiamo
la loro vista hanno selezionato una razza di insetti che facciano
loro da messaggeri: le blatte. Il guaio è che le povere blatte in
genere non riescono neppure ad iniziare il loro discorso di pace,
amore e bellezza prima di essere spiaccicate o avvelenate.
I
gatti sono più saggi e meno idealisti. Non perdono tempo a tentare
di comunicare: vivono nelle nostre case per spiarci, ci chiamano con
nomignoli affettuosi come Fofo, Birillo, Testadisega, Puzzone,
Trippa, Topomorto ecc., ci concedono di nutrirli e ci osservano con
sufficienza mentre ci affanniamo a mettere insieme il pranzo con la
cena più qualche shopping, con uno sguardo che solo individui molto
ottusi non definirebbero cinicamente divertito.
Durante
la spiegazione E. ha terminato la sua self-orgia. Con lo sguardo
affranto dell’uomo appagato, infila Samantha, Luana, Georgina et
al. nella tasca della portiera, e si dà alla contemplazione del
tramonto di periferia, inquadrato tra un muro di cemento screpolato
ed uno scheletro di lavatrice arrugginito.
E.
contempla per un po’, triste come tutti coloro che hanno conosciuto
i piaceri della carne, poi si concentra su un pensiero molesto
formato da due sottopensieri altrettanto fastidiosi.
Il
primo gli ricorda che mamma tra 17 minuti e qualche secondo comincerà
a telefonare a tutti gli ospedali della città, forse nell’inconscia
speranza che le notifichino il coma irreversibile di E..
Il
secondo concerne la presenza nello spiazzo di almeno duecento ratti
disposti in file ordinate, i musetti aguzzi rivolti verso il cielo e
le code tenute diritte a terra come bastoncini da shangai.
E.,
abbandona la dolce risacca del sesso e, finalmente conscio della sua
inquietudine, osserva il fenomeno per qualche secondo, scuote la
testa, accende il motore, lo spegne, torna a guardare, mette
addirittura la testa fuori dal finestrino, tenta di fischiettare
disinvolto ma non ci riesce, appoggia la mano sulla maniglia per
uscire dall’auto, esita ed infine non esce.
Mentre
Edoardo si agita nel modo caratteristico dell’homo sapiens
sapiens stupefatto, i ratti, seduti sulle zampe posteriori e
levate le anteriori al cielo, digrignano ritmicamente gli incisivi e
squittiscono all’unisono in una passabile imitazione di musica
salsa.
Al
sicuro nel suo cubicolo bordò il protagonista del romanzo pensa
distrattamente che mamma dev’essere già in linea con l’ospedale
“Santissimi Martiri Derelitto e Periscopio” dove la sua voce è
ormai nota come quella di un’annunciatrice, e si chiede cosa mai le
racconterà nel caso di un ipotetico ritorno.
Contemporaneamente
prova la curiosa sensazione che anche i suoi denti tentino di unirsi
al coro incisivale dei ratti e ricorda tutti i film di serie B visti
in compagnia di Mirella, la lillipuziana cugina che talvolta
accettava di uscire con lui.
I
film che ama lei sono quelli dove “La Natura violentata si ribella”
e ratti delle dimensioni di un furgone, formiche grosse come tandem,
gabbiani, api, cavallette, colossali mantidi religiose, dinosauri
appena scongelati, scarafaggi piromani e cozze tossiche fanno scempio
dell’umanità, preferibilmente americana.
Mirella
ne esce sempre tonificata, allegra come una bambina il giorno che la
maestra è malata.
Già
che di evocare incubi si tratta, E. ricorda con un brivido anche
zombi, lupi- mannari, hooligans, vampiri con fauci da squali e i
compagni di scuola che lo chiamavano Arturo Sempreduro davanti alle
ragazze scambiandosi ammiccamenti e risolini sardonici.
In
quelle occasioni era come se un’abbagliante, fortissima luce lo
illuminasse obbligandolo a sbattere le ciglia ed a fare le smorfie,
con grande divertimento dei presenti.
Se
adesso E. sbatte le ciglia e fa le smorfie non si tratta di potenza
del ricordo, ma del fatto che effettivamente una fortissima luce bianco-
violetta lo sta accecando, mentre un grosso arnese di forma
lenticolare si posa maestosamente sulla discarica.
Sempre
coraggiosamente inscatolato come un paguro, E. non sa che il romanzo
è iniziato (Bidone Scala A, condominio Serenità) e ripensa a tutti
gli episodi brillantemente documentati dalle edizioni Sinistro
Presagio – avvistamenti, incontri ravvicinati di ogni tipo,
rapimenti a scopo di studio da parte di creature umanoidi o meno –
e comincia a fischiettare quattro note hollywoodiane nell’abitacolo
dell’auto.
L’astronave
si posa sul piazzale, disturba la ricezione delle previsioni del
tempo su tutte le TV della zona, determina inesplicabilmente
l’istantanea autodistruzione di tutti i furgoni APE delle vie
adiacenti ed un improvviso desiderio di tamarindo nei soggetti più
sensibili.
…
Una parte della lucida parete metallica scivola lentamente
all’interno e nel fascio di luce azzurra si disegna una forma
argentea, di aspetto umanoide, che leva la mano destra in alto in
segno di saluto…
E.
si scaglia fuori dall’auto sollevando a sua volta la mano destra,
fischiando le famose quattro note e insieme tentando di sorridere. Si
ferma a quattro passi dal disco volante, rigido e solenne come il
protagonista di un film di fantascienza degli anni 50.
L’alieno
scende gli scalini (… i suoi movimenti, calmi, misurati,
sprigionano un’immensa forza ed insieme una pacata sicurezza, come
se tutte le misere armi e la povera tecnologia umana nulla potessero
contro di lui…), si avvicina (…nelle sue mani appare un
oggetto metallico argenteo, probabilmente un’arma di inconcepibile
potenza…), gli passa accanto, lo supera, si ferma davanti alle
file dei ratti, fa un lento cenno del capo, si inchina leggermente e
squittisce.
Qualche
tempo dopo dall’astronave decollata dalla Terra parte una
comunicazione indirizzata ad una remota base su un pianeta lontano
lontano.
“Qui
Pelagio, nave Voodoo. Segnalo la presenza a bordo di due
esemplari della specie umanoide abitante il pianeta Foxtrot. In buone
condizioni. Penso. Avvertite Philemus, se vi sembra il caso.
Seguiranno ulteriori comunicazioni.”
Ciò
detto il pilota dell’astronave sbuffa, si toglie il casco e la tuta
imprecando a bassa voce per la solita cerniera inceppata e parte per
le viscere della nave con l’intenzione ancora vaga di mettere
qualcosa sotto i denti e farsi un pisolino, prima che i due umanoidi
comincino a scocciare con le loro domande idiote.
2 commenti:
Tutto l'incipit sui gatti mi ha ricordato molti racconti e romanzi di Fritz Leiber,notorio amante dei felini.
Vediamo cosa succederà nella prossima puntata.
@Nick: bello avere un lettore tsnto attento. In realtà io non sono un grande lettore di Fritz Leiber, che viceversa mia moglie adora, ma immodestamente mi riferisco la grande Cordwainer Smith che, notoriamente, fu tanto amante dei gatti da inventare un personaggio come C'Mel (o G'Mel). Piccolo avviso ai miei quattro lettori: il romanzo parte lentamente ma poi viaggia particolarmente veloce. Spero sia un (piccolo) piacere leggerlo.
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