Dopo aver letto il mio post precedente immagino che siano molti (molti in senso del tutto relativo, come dire che 4 è la gran parte di 6) che sospettano che in realtà in questi ultimi mesi abbia letto molto poco. In effetti è abbastanza vero, temo di aver letto da fine gennaio a oggi la miseria di sette libri. O forse sei. Insomma di aver fatto ben poco per erudirmi e, oltretutto, di aver tratto assai poco guadagno dalle mie letture.
In compenso ho – credo – ordinato una trentina di libri che, vista la mia età verranno presumibilmente seppelliti con me, nel caso esistesse una vita dopo la morte. Tra questi il libro di Antoine Volodine, Terminus Radioso, il secondo volume della trilogia dei Tre Corpi, La materia del cosmo, l'ultimo romanzo di Clelia Farris, La consistenza delle idee, il romanzo di Stefano Paparozzi, Madre Nostra, senza contare gli Urania, i saggi e un romanzo inedito di poco più di un centinaio di pagine scritto da un torinese, Giorgio De Maria, Le venti giornate di Torino, pubblicato da Frassinelli proprio in questi giorni… Insomma c'è di che esultare sia per Fronte e Retro che per LN-LibriNuovi, se soltanto avrò il tempo di leggerli.
Intanto, comunque, parlerò dei libri letti, in qualche caso atroci delusioni, in altri delusioni semplici, senza atrocità.
E comincerò proprio con una delle delusioni, sia pure non così dolorosa: I fratelli Friedland di Daniel Kehlmann, Feltrinelli editore, traduzione di Claudia Groff, pp. 270, € 17,00.
Di questo autore lessi e apprezzai debitamente La misura del mondo, che ricordo come una scatenata e assai poco seria biografia del grande Humboldt, perennemente ai ferri corti con la corte prussiana, fatalmente miope e in qualche caso decisamente illiberale. Questo I fratelli Friedland è la vicenda di «un padre disperso e i suoi tre figli», aperta con la scomparsa del padre dopo essere stato ipnotizzato dal Lindemann, un mago di passaggio in città con il suo circo.
L'ipnosi di Lindemann, infatti, ha bruscamente risvegliato il padre, fino a quel momento scrittore di pochi racconti e sostanziamente nullafacente, spingendolo a cimentarsi davvero con il mondo editoriale e del cui successo i figli saranno informati unicamente per mezzo dei giornali.
I fratelli Friedland sono in realtà due gemelli monozigoti, Eric e Ivan, e un fratello più grande, Martin. Il libro ne racconta la sorte e le vicende, di Martin divenuto pastore senza essere credente, di Eric, genio matematico e di Ivan, pittore senza genio. Ciascuno dei personaggi racconta se stesso in prima persona in capitoli separati, ciascuno di loro ricorda il padre senza riuscire a comprenderlo, ognuno di loro vive una tragedia personale – il vuoto per la mancanza di fede per Martin, la maledizione della mancanza di talento per Ivan (alla quale reagisce in una maniera del tutto personale) e per Eric il fallimento delle speculazioni finanziarie nelle quali si è gettato. Arthur alla fine ricompare e domina l'ultima parte del libro, fino all'ultima predizione condotta da un cartomante che gli rivelerà l'ultimo segreto.
Un libro che si lascia leggere ma che mostra la freddezza di un perfetto meccanismo a orologeria al quale non è facile affezionarsi. L'uso – indiscutibilmente abile – del presente nella narrazione ha il risultato di comunicare una apparente urgenza che però non è sempre calzante con ciò che si racconta. Se la scena di Martin, sorpreso a insidiare una giovane allieva dall'intera famiglia di lei, cane compreso, risulta tragicomicamente efficace, non sempre le vicende narrate hanno una tale cogenza da suggerire modi tanto diretti – la prima persona e un presente stringente – e il risultato è quello di avere un lettore che, anche involontariamente, finisce per staccarsi dalla narrazione e considerarla in maniera esterna.
In sostanza, nonostante i riveriti pareri di Jeffrey Eugenides (riportata in seconda di copertina) e di Jonathan Franzen (in quarta di copertina) non posso che riporre il libro da una parte, giurando a me stesso che lo rileggerò soltanto se non avessi null'altro da leggere.
Andiamo sul secondo libro letto, Cosmocopia di Paul Di Filippo, titolo originale Cosmocopia, ed. or. 2008, Urania Mondadori, trad. Marcello Jatosti, pp. 144, € 6,50, seguito dai racconti di Lorenzo Davia (Ascensione negata) e di Silvio Sosio (Ripristino).
Partiamo da un aspetto che potrebbe sembrare secondario ma che ha, in realtà, uno spessore notevole. Parlo di Grucciasentina, la creatura che aiuterà Lazorg, il protagonista, a riprendere la sua scalata verso il successo, l'aliena di umili origini, pronta a condividere il poco che possiede con una creatura esotica e, per lei, vagamente oscena.
Ma adesso cercherò di andare con ordine. Lazorg è un grande pittore e illustratore, ma con una grande carriera dietro le spalle. Un ictus l'ha colpito e ha reso il suo rapporto con l'arte difficile e a tratti intollerabile. La domanda che apre il libro: «Riprenderà mai a dipingere?» fatta da un'intervistatrice, è in realtà il tormentone che riempie la sua esistenza successiva all'ictus in poi. Lazorg non è un uomo piacevole: è presuntuoso, con un esagerato concetto di se stesso, brusco, spesso sbrigativo fino alla brutalità e tragicamente (avverbio che non posso spiegare, pena lo spoiler) geloso di tutti i giovani pittori, illustratori e cartoonist che continuano la loro carriera, prendendo spesso spunto dai suoi lavori.
L'incontro con la sua ex-amante, Velina Malaspina, la conversazione e ciò che avverrà sarà decisivo per il misterioso passaggio per un altro pianeta nel quale dovrà tentare di sopravvivere.
A questo punto entra in scena Grucciasentina, una semplice raccoglitrice che vive in un locale sotterraneo a fa letteralmente molta fatica a unire il pranzo con la cena. Il suo incontro con Lazorg, misteriosamente ritornato a una condizione fisica accettabile, sarà anche una possibilità per lei di lavorare non più da sola. Ma esiste un problema che si porrà subito e con netta evidenza: le caratteristiche sessuali, sie quelle esterne che quelle interiori. Grucciasentina è temporaneamente una femmina, dopo aver attraversato nella sua esistenza diverse fasi in versione maschile. Un meccanismo endocrino, infatti, stabilisce in base alla dinamica dell'accoppiamento, il sesso che un individuo si troverà ad avere. Un elemento centrale della società in cui si trova a muoversi Lazorg, comunque inchiodato al proprio sesso senza nessuna possibilità di poter mutare.
Ma il nostro naufrago ritrova ben presto il desiderio di creare, finendo per affermarsi nuovamente anche nel mondo di Grucciasentina e trovando creature, altrettanto femmine a tempo, ma molto disponibili a rimanerlo per un tempo più lungo.
Senza entrare in particolari, diciamo che le avventure di Lazorg non si fermano qui e ad attenderlo vi è un finale decisamente imprevisto.
Un buon romanzo, che sfiora – pur senza approfondirli – numerosi temi, primo tra tutti il ruolo attribuiti ai diversi sessi e che il mondo di Alice di Grucciasentina si diverte a rovesciare. Accanto a questo, probabilmente il tema più importante per di Filippo, il tema dell'arte moderna che, nella Terra possibile dove Lazorg sopravvive, ha una natura decisamente particolare, tanto da rappresentare insieme la natura profondamente ambigua dell'arte contemporanea, insieme banale, inafferabile, ovvia e memorabile.
In ogni caso un buon libro che non dovrebbe mancare nella vostra biblioteca di appassionati di sf.
Un altro bidone, adesso, anche se per la mia fretta di accappararmi un buon saggio storico.
Si tratta di Imprevisti e altre catastrofi – Perché la storia è andata come è andata di Glauco Maria Cantarella (badate bene al cognome, è una delle ragioni della delusione), acquistato nuovo e incellofanato presso una bancarella in un mercato al prezzo notevole di € 5 contro i 26 euro del suo prezzo originale. Proveniente dal magazzino Einaudi? Da una libreria fallita? Da una TIR rapinato lungo la via? In ogni caso una buona occasione, anche a rischio di essere incriminato per ricettazione.
Lo leggo. E scopro che Cantarella non è Cantarella, ovvero che Glauco Maria – storico medievale, tra l'altro autore del notevole I monaci di Cluny – non è Eva Cantarella, autrice di Passato prossimo. Donne romane da Tacita a Sulpicia, I supplizi capitali, L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donna nell’antichità greca e romana e di diversi altri saggi storici. «Beh, pazienza», penso tra me. Dopodiché mi imbarco nella lettura dell'introduzione al testo, lapalissiamente intitolata: «Per cominciare…» e scopro che il prof. Glauco detesta profondamente la Storia Controfattuale o Ucronia, a là français, per brevità.
[…] La storia sarebbe stata diversa se i due Federico II non fossero mai nati? Se Adolf Hitler fosse stato gasato nelle trincee della Prima Guerra Mondiale […] Se Lenin non fosse riuscito a tornare in Russia? […] Se a Waterloo Napoleone [avesse vinto]? […] Possiamo andare avanti quasi all'infinito e sprecheremmo tempo e parole. Se il blitz che liberò Mussolini riuscì, fu perché c'erano le condizioni […] Tutto qui, molto semplice, molto banale […] La storia controfattuale o del what if, così come la storia per grandi temi sociologici e/o antropologici […] lasciamola a chi non è troppo interessato ad analizzare criticamente né il passato né il presente […]
Ohibò.
Dopo aver fatto una simile intemerata contro la storia controfattuale, in tutto e del tutto simile ai miei vecchi prof di storia al liceo, il buon Glauco si impegna a dimostrare – con uno stile salace e divertito da ospite perfetto – che qualunque elemento storico ha una quota di imponderabile, di natura metereologica, familiare, farmacologica, patologica, temporale o comunicativa – che fa sì che le cose non potevano che andare come sono andate. Oppure, annoto con gusto blasfemo, che potevano andare in millanta altri modi, alla faccia di tutti di gli storici del pianeta.
La storia fatta per particolari ha un indiscutibile fascino, non c'è dubbio, ma condotta senza cercare di cogliere elementi generali come le forme di produzione, i rapporti tra le classi sociali, le disparità nell'organizzazione sociale e nella tecnologia che ne deriva, manca di un elemento centrale e fondamentale, permettendo, in questo caso, di poter favoleggiare molto di più di quanto abbiano fatto tutti i romanzieri controfattuali dell'orbe terraqueo. E il dubbio che viene è che in realtà il buon Glauco Cantarella faccia come chi si affretta a negare, pur non essendo tirato in causa.
Personalmente, e qui mi trovo a parlare del mio lavoro, penso sia assolutamente logico che Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg siano stati uccisi nel 1919, le condizioni lo imponevano, ma che esistesse una possibilità – minima quanto si vuole – che i due riuscissero a sfuggire e che in seguito (e qui le probabilità diminuiscono ancora) potessero guidare la rivoluzione sovietica in Germania, mi sembra sinceramente troppo interessante per lasciarlo cadere. Ovviamente si tratta di narrativa e non di storia e qui non dovrebbero esserci motivi di polemica o di osservazioni ciniche o pedanti. In ogni caso la mia visione della storia risente, probabilmente, un po' troppo della mia visione della fisica quantistica e degli universi che si sdoppiano ad ogni occasione possibile, oltre che dell'insegnamento del mio professore al liceo di Torino, un marxiano e un marxista convinto.
Particolare non secondario, mia figlia Morgana ha commentato con l'aria di chi ha smesso di scandalizzarsi per motivi di salute, che la storia contemporanea a livello universitario vive sempre di più di minuti e talvolta trascurabili particolari, di lavori condotti su piccolezze che chiunque deciderebbe essere poco influenti sull'insieme della socialità di qualsiasi epoca. Il nostro buon Glauco si candida quindi a essere il portabandiera di una storia residuale, una volta discusse fino alla nausea le grandi battaglie e i grandi complotti. Possibile? Io non penso, ma io non sono uno storico professionista.
Per concludere, il libro di Glauco Maria Cantarella è senz'altro leggibile e in qualche caso persino divertente – se si tollera il suo tono spesso fatuo o i suoi continui, golosi e malmostosi, rimandi ai capitoli successivi – ma giusto se avete l'occasione di pagarlo quattro euro e non ventisei.
…
Altro bidone, indiscutibilmente. Perlomeno per me.
John Scalzi, l'autore de Il collasso dell'impero, è un soggetto interessante che, a mio parere, ha spesso scritto qualcosa che ha tutti gli elementi della space opera: imperi galattici, alieni, congiure interstellari, ignote forze colossali che muovono interi sistemi, nobili e plebe, eroici comandanti di astronavi etc. etc. ma senza minimamente volerci credere, un po' come scrivere una perfetta parodia, tanto aggraziata che può essere letta in maniera «ingenua» o in maniera «divertita». Nota a margine, che può agevolmente essere saltata, i commenti di quotidiani e giornalisti riportati in quarta di copertina sono equamente divisi tra un'entusiamo un po' comico e uno scetticismo divertito, quasi a sottolineare l'anima divisa dell'ottimo Scalzi.
La vicenda è, ovviamente, grandiosa. Protagonista in senso assoluto il Flusso, ovvero il sistema spazio-temporale che ha reso lo spazio intestellare accessibile alla specie umana, permettendogli di raggiungere lontani sistemi. Ma, come tutte le formazioni naturali, anche il Flusso non è stabile ed eterno, ma può variare, abbandonando il suo abituale «letto», spingendosi verso altri settori stellari a abbandonandone altri, destinati all'isolamento e a una catastrofica decadenza.
Venendo ai personaggi umani la prima che il lettore incontra è Cardenia Wu-Patrick, principessa imperiale e destinata al trono del padre, Batrin, che sta lentamente morendo. Antagonista della principessa – in realtà una donna piuttosto normale e poco abituata ai fasti e alle cerimonie imperiali, anche perché la sua posizione nella scala di successione fino a poco tempo prima era quella di ultima – è Ghreni Nohamapetan, esponente di una grande famiglia che da anni punta a dirigere l'impero. Un individuo in apparenza fatuo, vanesio, vanitoso e frivolo ma che non mancherà di mostrare presto le sue "qualità". A coadiuvarlo – o meglio a guidare le sue decisioni – la sorella Nadashe Nohamapetan e il fratello maggiore Amit.
Punto di rottura dell'apparente quiete dell'impero è la situazione di Fine, governato dal Duca di Fine, individuo corrotto e poco raccomandabile e le manovre per giungere a detronizzarlo e/o eliminarlo. Tutto ciò mentre il Flusso indica sempre più nettamente la variazione del suo percorso, rendendo Fine (Bello, pregiato in it.) decisamente centrale per il futuro dell'Impero.
Se volete sapere che cosa succede dovete leggervi il libro, qui non si fanno spoiler, ma resta il dato di fatto che lo script del testo (termine non preso a caso) ricorda in modo allarmante i testi delle sitcom più frequentate, come se a ogni battuta dovesse seguire una risata o un applauso del pubblico. Lo stesso si può dire dei pianeti abitati dagli umani, più o meno copie-carbone della Terra con differenze tanto sottili da essere praticamente inafferrabili…
In sostanza un romanzo assai povero di sense of wonder anche se vivace e animato, una delusione per il sottoscritto che non riesce a prendere sul serio la nobiltà del futuro e i pianeti di cartapesta ma che può essere una discreta lettura per qualcuno appena meno fissato di me.
...
Passiamo ora a un romanzo del 1960, ripubblicato inUrania Collezione nel 2004, Venere più X. Mille-Novecento-Sessanta… Dio mio, avevo un decimo della mia attuale età, a quel tempo. Ovviamente si tratta di un romanzo delizioso, ricco, sorprendente e unico, come è sempre il caso dei testi di Theodor Sturgeon.
La vicenda: Charlie Johns, un uomo del tutto normale che vive in pieni anni '50 si addormenta improvvisamente e quando si risveglia si trova in ciò che in breve non può che definire una Terra molto lontana nel futuro, abitata da strane creature, i Ledom, di forma umanoide ma molto più strani, in realtà, di come appaiano al povero Charlie Johns.
In breve tempo l'esponente della nostra specie scopre di essere stato chiamato nel lontano futuro per una strana caratteristica che lui per primo non ha mai apprezzato molto: la capacità di porsi continuamente domande su tutto ciò che lo circonda e anche su se stesso, una vera pulsione a chiedere, come se in lui la curiosità dell'infanzia non sia mai appassita e seccata.
Il mondo dei Ledom appare per molti versi sorprendente e, ovviamente, tecnologicamente avanzatissimo ma ciò che sorprende davvero Johns è il tipo di rapporto personale e umano che i Ledom hanno tra loro e con il loro ospite. Soprattutto impressionante per lui è il dato di fatto che i Ledom non hanno un sesso, ovvero che sono tutti ermafroditi e qualsiasi separazione – di sesso, di genere e di ruolo – è scomparsa nella loro società.
«…Dice che la gente ha fatto il suo primo errore quando ha cominciato a dimenticare le somiglianze tra gli uomini e le donne e ha cominciato a badare soltanto alle differenze. Dice che è questo il peccato originale. Dice che è stato questo a spingere gli uomini a odiare gli altri uomini e anche le donne. Dice che questa è la ragione di tutte le guerre e di tutte le persecuzioni. Dice che questa è la ragione per cui abbiamo perduto tutta la capacità di amare, salvo una parte minima.»
E il commento di Silvia Treves su FB a questa frase è stato: «Ciò che mi piace di questa frase è il fatto che sia adattabile a praticamente tutte le discriminazioni, il sessismo, certo, e ogni tipo di discriminazione di genere, ma anche il razzismo, il fanatismo religioso, i nazionalismi ecc. Quando sottolinei le differenze invece delle somiglianze stai fregando qualcuno o ti stai fregando da solo. Probabilmente entrambe le cose.»
Al di là di ciò che apprende e che rende la sua visione della realtà quantomeno problematica – un po' come specchiandosi in un vetro incrinato – è la sorte che attende il suo tempo a creare le maggiori perplessità, tanto da costituire la sua maggiore domanda, tante volte ripetuta.
Un ottimo romanzo, capace di trascorrere senza sussulti o fatiche dai pensieri della vita quotidiana a temi profondi e inafferrabili come la durata e il senso di una civiltà.
Non posso che consigliarlo e insieme piangere per l'ennesima volta la scomparsa di un tale sommesso e delicato genio della scrittura.
…
Ci sarebbe ancora altro da presentare, oltre al terzo volume del ciclo Canopus in Argos. Una donna armata, esperimenti siriani, ma temo che lo spazio a mia disposizione sia agli sgoccioli. D'altro canto mi dispiace non dedicare nemmeno una riga a un'autrice e a un'opera per me importante, quindi mi limiterò a un breve cenno, rimandando a un altro post un intervento più ricco e motivato.
La donna armata è Ambien, un alto ufficiale siriano (personalmente preferisco l'aggettivo «siriota», meno carico di tutte le disgrazie e i drammi del povero paese medioorientale), parte del gruppo che per conto di Sirio deve coordinare la colonizzazione di Shikasta – ovvero la Terra – da parte dei sirioti. Ma il pianeta è oggetto della colonizzazione anche da parte dell'Impero di Canopus, con il quale Sirio ha raggiunto un accordo, anche se non facilissimo da rispettare, e soprattutto è vittima degli attacchi di Shammat, un sistema ben deciso a intervenire a proprio vantaggio nella situazione della Terra, nel contempo creando problemi di ogni genere ai colonizzatori.
Il racconto di Ambien è sostanzialmente la cronaca, raccontata dal punto di vista di un alto ufficiale, del fallimento dei tentativi sirioti – una civiltà che presenta non poche rigidità nell'approccio ai terrestri – di giungere a una colonizzazione efficace e funzionante. Il gioco a tre che Canopus, Sirio e Shammat giocano nell'antichità del nostro disgraziato pianeta crea continuamente disturbi, problemi, arretramenti, guerre, disordini e violente intolleranze, tanto che Ambien ha sempre più la sensazione che la presenza di Sirio sulla Terra sia un ulteriore problema più che una possibile soluzione.
Ma il generale, la donna armata, non cessa di adoperarsi per tentare di condurre in porto gli esperimenti siriani, pur continuando a pensare tra sé che l'Impero di Canopus abbia metodi e organizzazione migliori di loro.
Un personaggio curioso e ambiguo, Ambien, una donna risoluta e insieme carica di dubbi, ripensamenti ed esitazioni che il il lettore finisce per conoscere con geometrica precisione e altrettanto sottile sensazione di angoscia. Inevitabile pensare che Doris Lessing, figlia di colonialisti – sia pure oneste persone – ricostruisca qui la non facile convivenza con gli indigeni africani così come la difficile sopravvivenza delle famiglie inglesi inviate nell'allora Rhodesia del Sud a creare un proprio ipotetico futuro.
La sf non è una letteratura di metafora? Al contrario: può esserlo in maniera tanto aderente da riprodurre alla perfezione un insieme di tentazioni, errori, orgoglio e fatica.
[…] Una griglia era stata stampata sull'intero continente. Era una rete di rettangoli perfettamente regolari. Avevo sotto gli occhi una mappa, un grafico di un certo modo di pensare… era un modo pensare, un'impostazione mentale resa visibile. Era la mente dei margini nordoccidentali, la mente dei conquistatori bianchi. Sopra la varietà e i cambiamenti e le differenze del continente, sopra i flussi e i movimenti e i cambiamenti della terra […] c'era un marchio di rigidità. […] Era un marchio di possesso, una moltiplicazione dell'unità elementare del possesso territoriale.
Bene, a questo punto smetto.
Ci ho messo qualche giorno a scrivere tutta questa zuppona interminabile e vivo nella convinzione che:
1) scompaia da un momento all'altro e doverla riscrivere da capo.
2) nessuno la legga.
Mentre la prima delle due funeste previsioni è frutto dell'angolo più medievale di me stesso, la seconda nasce dalla convinzione che in internet nessuno sia capace di leggere per più di dieci righe di seguito. Io compreso.
Quindi, basta: via!
6 commenti:
Ho anch'io il problema di acquistare più libri di quanti possa mai riuscire a leggerne in una vita. Alla mia morte mi occorrerà come minimo una piramide, se volessi farli seppellire con me...
Comunque quel Cantarella a 5€ lo avrei preso anch'io, ma più che altro perché titolo e immagine di copertina mi paiono ingannevoli (tutto lasciano pensare meno che il solito elenco, trito e ritrito, di wahtif).
PS: Non pensavo che dopo aver fatto a pezzi "Chiusi dentro" ti saresti cimentano nuovamente con Scalzi... ^_^
@Obsidian: hai ragione, ho già incontrato il buon Scalzi in altre circostanze e non ne sono uscito troppo bene, ma l'autore mi è comunque maledettamente simpatico e quando vedo un suo libro non posso sottrarmi al gusto masochista di leggerlo comunque, anche se è molto probabile che ne sarò deluso. Un paio di libri discreti li ho comunque letti, "Le brigate fantasma" e "L'ultima colonia", quindi qualche motivo la mia simpatia ce l'ha. Quanto allo storico il problema non è tanto quello di ricamare sugli infiniti «what if» ma quello di enumerare i piccoli fatti ("quel giorno Federico II aveva il raffreddore", "a Waterloo la pioggia aveva stancato i francesi", "Federico Barbarossa aveva attraversato un periodo di depressione") tutto per dire che le cose non potevano che andare come sono andate ebbasta. In quanto ai libri dovrei darmi una calmata, lo so, ma avere un altro libro da leggere è un elisir di lunga vita, per me.
Non parliamo di libri comprati e che non si riescono a leggere, purtroppo un sesto (perlomeno) della mia biblioteca è fatto di questi libri.
Purtroppo non riesco a smettere di comprare. :(
@Nick: abbi pazienza per il ritardo nella risposta, ma ho cambiato modem in montagna e ho avuto bisogno di qualcosa come trentasei ore per riuscire a ridurlo alla ragione. Ma proporre una pw scritta con carattere 4 o 5 dove si susseguono numeri rotondi come 6-8-9 (e senza una lente di ingrandimento a disposizione) penso sia almeno logico continuare a persistere a leggere come 88 una coppia di 6. Fortunatamente mia moglie che è un genio - anche se non lo dà a vedere - ha sovrapposto i miei occhiali e i suoi risolvendo magistralmente il problema... In ogni caso il tuo problema è anche il mio, tengo sottocchio la libreria di mia figlia che si va svuotando causa trasloco come un colonialista francese si informa quotidianemente sulle condizioni di salute dello sceicco da tempo malato. Ma è una malattia dalle quale in un modo o nell'altro guariremo, lasciando l'ingombro dei libri da eliminare ai nostri discendenti.
La lettura di millemila saggi che ho acquistato nell'ultimo anno (negli ultimi mesi, in realtà) mi lascia poco o nulla tempo per leggere romanzi, ma Venere + X di Sturgeon l'ho letto anch'io, alcuni anni fa, e l'ho trovato bello, come qualsiasi altra cosa di Sturgeon abbia letto in vita mia, da perfetto ignorante in fantascienza.
Amo molto Doris Lessing e credo che senz'altro mi procurerò Una donna armata, anche per il fatto che la tua recensione mi ha intrigato molto.
Infine: sono, insieme a tutt* voi (Nick, Obsidian, tua moglie Silvia e tua figlia Morgana, Consolata e tutte le persone di cui seguiamo con amore i blog e le produzioni altre) uno che, invece, ama molto i saggi, le recensioni corpose, insomma le cose scritte "lunghe".
Non a caso l'unico "social" che non solo tollero, ma amo, sono e restano i blog. Che sono non solo belli da leggere, ma addirittura UTILI.
Gli stimoli più grossi, che si traducono in libri/articoli/saggi letti e addirittura in nuovi interessi o rinfocolamento di interessi che erano sopiti, derivano per me proprio dai vostri blog (e da trent'anni a questa parte anche da Radio 3).
Quindi grazie!
@Orlando: credo che noi tutti dovremo dichiararci molto onorati dal tuo post, soprattutto perché elogia una parte del nostro lavoro che si tende a mettere un po' "tra parentesi", come se scrivere di un libro (o di un film o di un fumetto) sia un'attività di gran lunga secondaria a quella di scrivere (o fare chissaché di altrettanto godurioso) e quindi da seguire con scarso interesse. Personalmente mi dedico alle recensioni con altrettanta attenzioe, anche se i commenti in proposito sono decisamente meno numerosi di quando pubblico foto dei miei animali. Sarà l'Italia attuale ad essere divenuta un posto inospitale per i lettori e, più inj generale, per chi ama riflettere su ciò che lo circonda? Non mi pronuncio in proposito e lascio a chi mi legge ogni conclusione in proposito.
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