9.8.12

Me lo sconta?


Non avrei voluto tornarci sopra, ma leggendo interventi, dichiarazioni, lamentele, proteste e rampogne non posso fare a meno di ritornare sul tema dello sconto sui libri. 
Sono un ex-libraio. 
Un ex-libraio cooperatore, quindi per così dire "nato" per fare lo sconto sui libri. Del 15%, 10%, 20%, anche del 25% su titoli invenduti o del 50% su titoli non più in commercio. 
Ho fatto lo sconto per 37 anni di lavoro e non penso che sia stato lo sconto quello che mi ha fatto chiudere, sinceramente. Ciò che mi ha fatto chiudere, a essere onesto, è stata la diminuzione dei lettori, falcidiati da una crisi che non è ancora finita, e la scomparsa reale dei lettori sotto i trent'anni. 
Lo sconto, tuttavia, non è un diritto. 
E non è un gentile omaggio del libraio ai migliori lettori. 
Nonostante la legge Levi - della quale sono in molti a lamentarsi - che ha reso lo sconto un "dovere" per il libraio, è bene chiarire che lo sconto in molti casi è un sacrificio. Sacrificio, nel senso che i costi dell'esercizio sono pesanti, soprattutto per una piccola libreria che non può contare su uno sconto ragguardevole da parte dei distributori e degli editori, come non può contare su termini di pagamento sufficientemente lunghi da poter offrire una varietà accettabile di novità e di titoli di magazzino. In sostanza, tutte le volte che vi viene praticato lo sconto - in una libreria indipendente, ovviamente - l'«impresa libreria» rinuncia a una quota del proprio margine lordo.  Mi rendo conto perfettamente che non pochi dei miei ex-colleghi non meritano molta considerazione: sono antipatici, boriosi, incompetenti e sgarbati, ma il dato di fatto della diminuzione del margine lordo è del tutto reale. Ed è un elemento importante. 
Preferisco parlare di margine lordo, invece che di "guadagno", come si faceva alle elementari, perché acquistando un libro a 7 euro e rivendendolo a 10 si incassano 3 euro soltanto se si lavora da soli, con un tavolino pieghevole come bancone, senza denunciare l'incasso, senza collaboratori, senza assicurazione, senza essere arrivati con l'automobile e andando via a piedi, con una valigia a rotelle come magazzino. Nella realtà le librerie costano, i libri immagazzinati costano, l'erario nazionale e locale pretendono una quota non piccola dell'incasso, il personale - giustamente - costa, l'assicurazione costa, i trasporti da per la libreria costano. E le vostre spese viaggiano comunque, che voi incassiate o meno. 
Sicché, quando un cliente vi chiede: «Me lo sconta, un pochino?» può capitare di vedersi passare davanti tutti costi dovuti al trovarsi lì a vender libri e la prima risposta che viene è: «No, non posso».
Ma non si può, ovviamente. La libreria di catena girato l'angolo fa il 15% di sconto su tutto o quasi e quindi si fa almeno il 10%, o decisamente il 15% e che non se ne parli più. Nel mio caso, poi, essendo un libraio cooperatore, lo sconto ai soci è parte del contratto sociale sottoscritto e quindi è intoccabile. 
Poi, una volta lontano dal bancone, seduto davanti al pc, con sotto mano le fatture, le raccomandate, le richieste, i solleciti vien voglia di inseguire l'ignaro cliente e chiedergli indietro i 2,35 euro di sconto praticatogli.
Ma no, no, così non si fa. 
Solo che i 2,35 euro di sconto non significano soltanto rinunciare a una parte dei margini, ma anche rinunciare ad aquistare un titolo. Moltiplicato per 30-40 clienti al giorno significa essere costretti a ridurre l'offerta, ovvero dover spiegare al 41° cliente perché in libreria ci sono pochi libri di poesia. 
Il che è peggio, siamo onesti.  
Ci si ingegnerà, naturalmente, si cercherà di tenere soltanto il meglio. Il meglio del meglio. Il meglio del meglio del meglio. Non avendo molto tempo, tuttavia, per farsi un'idea personale. E dovendosi fidare delle sparate degli editori. 
No, nemmeno così funziona. 
È ciò che si definisce un serpente-che-si-morde-la-coda. Ovvero una perfida spirale.
Dalla quale si esce aumentando i clienti - che però in tempi di crisi tendono a diminuire e a tirare sul prezzo  -  o diminuendo lo sconto. 
Che non si può fare.  
O chiedendo uno sconto sul 40%, come le librerie di catena, al distributore. 
Come no. 
O chiudendo.


I clienti giovani. Gli under-thirties, dove sono finiti? 
Bella domanda. 
Ne conosco un bel po', avendo una figlia sui vent'anni. Sono bravi giovani, alcuni con entusiasmi letterari considerevoli o con passioni narrative inestirpabili. Non sono né meglio né peggio di chi è stato giovane negli anni '70 e '80. Ma ignorano le librerie. Al massimo pensano che abbiano a che fare con i libri scolastici (orrore!) o universitari (orrore bis!) o che siano esercizi per i ricchi.
In ogni caso non entrano. Anche perché, ansiosi come sono di vedere novità telefoniche o informatiche e abituati all'esistenza dei Centri Commerciali, dove tirano pomeriggio o sera, si infilano molto più volentieri in un esercizio dove i libri occupano un angoletto, tra pc, telefoni, TV, DVD, DVX, lettori MP3 e quant'altro di elettronico vi venga in mente. 
Una libreria è un posto silenzioso, al massimo animato da un po' di jazz o di classica e i giovani vogliono luoghi propri, dove si ritrovano tra loro e possono leggere/ascoltare/assistere/vedere. 
Oppure, e qui di nuovo gli amici di mia figlia mi aiutano, battono le bancarelle, alla ricerca di libri da 2-3 euro. 
O si procurano i libri a mezzo internet o li scaricano sui loro e-reader. 
Quindi niente giovani. 
Nulla di strano, anch'io a 17-18 anni, non potendo scaricare nulla da internet, evitavo le librerie e battevo le bancarelle.  
...
Sono le librerie, temo, ad aver fatto il proprio tempo.
Faccio una fatica impressionante a dirlo e a crederci, ma temo sia la verità. 
E tutto sommato penso sia un'uscita decorosa per la cultura. Nelle librerie di catena i buoni libri soffrono, oppressi da una quantità prodigiosa di bidoni letterari. I grandi editori sono alla ricerca di fatturato, non di lettori, e puntano su libri facili, forzatamente banali, necessariamente ovvi. Libri che entro sei mesi saranno dimenticati per lasciar posto ad altri non-libri, altrettanto easy.  
Avete mai visto qualcuno davvero soddisfatto per aver letto un libro da classifica? Ecco, avete capito. 
I buoni libri con ogni probabilità si stanno nascondendo fuori dalle grandi editrici. Sono - ancora sporchi, disordinati, non corretti, enfatici, ridondanti - pubblicati da autori sconosciuti, pronti a diventare, domani o dopodomani i libri che leggeremo. Sui nostri e-reader o anche, banalmente, su carta, stampati dalla nostra laser.
Comunque, se vi capita di entrare in una libreria indipendente, non siate troppo ansiosi di chiedere lo sconto. Pensate che, molto probabilmente, chi vi sta davanti sta facendo i tripli salti mortali per mantenere uno stock accettabile e, particolare davvero unico, che ha qualcosa di personale. 
E fare qualcosa di personale, di questi tempi, non ha prezzo.


7 commenti:

Romina Tamerici ha detto...

Sono una lettrice al di sotto dei trent'anni. Molto al di sotto. Tuttavia leggo soprattutto libri presi in biblioteca (pochi su internet o in libreria). Quindi probabilmente sono l'oggetto di odio tuo e di tutti i librai del mondo.

Ieri ho finito di leggere "Invio manoscritto. Attendo contratto" di Moscatelli. A parlare è un editore che racconta le sue peripezie nel tentativo di portare avanti ciò in cui crede. Anche se tu sei nella parte opposta della barricata, te lo consiglio. Tieni conto che il punto di vista è diverso dal tuo, infatti non sempre librai e scrittori esordienti escono bene da questo testo! Comunque ne vale la pena.

Massimo Citi ha detto...

@Odio? No, non credo proprio. Il problema fondamentale per chi ha fatto il mio mestiere è quello di avere a che fare con lettori e non con chi è in qualche modo "obbligato" ad acquistare libri. Quindi niente odio. Nemmeno antipatia o disappunto. Nel mio caso, poi, passato dall'essere libraio-editore a essere editore-e-basta non ho nessuna difficoltà a immaginare tutto il male possibile sui miei ex-colleghi. Comunque mon sono più - né per la verità sono mai stato - dalla parte opposta di alcunché. Mi preoccupo dei libri, che poi è un modo di preoccuparsi della cultura in un paese che vive come se la cultura fosse una malattia infantile. Finché riuscirò a fare qualcosa, sotto qualsiasi veste, bene. Altriementi si vedrà.

Argonauta Xeno ha detto...

A me è capitato pochissime volte di chiedere uno sconto. Erano occasioni che, in qualche modo, lo suggerivano. Sono però circondato da sconti "offerti", e immagino che questo possa in qualche modo distorcerne il concetto.

Massimo Citi ha detto...

@Salomon Xeno: l'offerta di uno sconto è un semplice, ovvio, strumento di promozione. Funziona perché i libri, a differenza di altri prodotti, hanno il prezzo prestampato ed è quindi possibile verificare lo sconto applicato. Altrettanto ovviamente, se la libreria che distribuisce il libro è di tua proprietà e se i tuoi concorrenti più importanti sono d'accordo con te - una volta ciascuno non fa male a nessuno -, puoi prefissare un prezzo di copertina più alto sul quale praticare uno sconto del tutto apparente.
"Chiedere lo sconto" è diventata una prassi superata, da un certo punto di vista, più o meno come indossare le sovrascarpe quando piove o chiedere: "Pronto chi parla?". Adesso gli editori, più o meno come le compagnie telefoniche, ti inseguono con i loro maledettissimi sconti :)

Romina Tamerici ha detto...

Forse non mi sono spiegata bene. Comunque continua così!

Massimo Citi ha detto...

@Romina Tamerici: probabile che sia io a non aver compreso la tua celia sull'odio verso i lettori non-acquirenti. Ma ero sincero nell'affermare che non ho nessuna antipatia verso coloro che leggono e non comprano. Anche perché in gioventù facevo di tutto - compreso, ahimé, un paio di volte impadronirmi di libercoli economici senza averli pagati - tranne che lasciare soldi ai librai...

Romina Tamerici ha detto...

Del resto, credo che tu sia d'accordo con me, meglio un lettore non-acquirente che un acquirente non-lettore! Certo, magari non per i librai, ma per il resto, sì!