18.11.14

L'ingenuità della rete


L'Ingenuità della rete è il titolo di un saggio pubblicato in edizione originale nel 2011 da Evgeny Morozov [The dark Side of Internet Freedom] e tradotto e pubblicato in Italia dalle edizioni Codice nel corso dello stesso anno.
Un libro curioso, se non altro perché uno dei pochi che osa avanzare più che qualche dubbio sull'intrinseca carica libertaria di internet e dei social network, una retorica liberazionista sulla quale - da non dimenticare - è stata costruito il successo di formazioni politiche quale i 5 stelle.
Morozov, bielorusso, giornalista e geopolitico, fa parte della Open Net Initiative, associazione che difende la libertà di espressione a mezzo Internet e collabora con il "Wall Street Journal", "The Economist", "Washington Post" e "Financial Times": una breve nota biografica per dimostrare come l'autore del libro non sia esattamente un vecchio e arruginito professore che detesta internet continuando a preferirgli la carta stampata e le radio a galena. 
Il libro si apre con i disordini avvenuti in Iran all'indomani delle elezioni presidenziali. Una crisi complessa: 

...La società iraniana, combattuta tra le forze conflittuali del populismo, del conservatorismo e della modernità, stava affrontando la sua crisi politica più seria dopo la rivoluzione del 1979...

ma che in Occidente apparve ben presto come il primo esempio di come internet stesse attivamente lavorando per la democrazia:

The Revolution Will Be Twittered fu il primo di una serie di post pubblicati sul suo blog da Andrew Sullivan dell'"Atlantic" poche ore dopo l'inizio delle proteste [...] In un post successivo Sullivan ha definito Twitter come «lo strumento cruciale per l'organizzazione della resistenza in Iran», ma non si è disturbato a citare nessuna prova che potesse supportare tale affermazione.

Da come finirono le cose qualche mese più tardi, con la sostanziale evaporazione di una situazione pre-rivoluzionaria virtuale peraltro mai avvenuta,  emerse chiaramente come il ruolo di Tweet e di internet in generale sia stato largamente sopravvalutato ma che sia perfettamente in linea con la «Dottrina Google», così come si è venuta definendo nel tempo:

«Ci stiamo dirigendo verso un mondo fondamentalmente democratico» [perché] «non puoi lasciare la gente nell'arretratezza una volta che abbia avuto accesso ad Internet».

Uno degli aspetti più interessanti del panorama ideologico che ha accompagnato e sostenuto la «Dottrina Google» è stato il suo collocarsi a destra nel panorama politico americano:

Allo stato attuale la Dottrina Google deve meno all'avvento di Twitter e dei social network che all'inebriante senso di superiorità provato da molti occidentali nel 1989, quando dalla sera alla mattina è crollato il sistema sovietico. 

E la situazione a Teheran in quelle ore e in quei giorni poteva richiamare alla mente la rivoluzione pacifica del 1989, ma si trattava di una semplice illusione che i giornali occidentali favorivano, esaltando i tweet iraniani senza voler controllare se essi provenissero realmente dall'Iran e non, piuttosto, da iraniani che vivevano all'estero. 
La realtà era ovviamente diversa, visto che la "rivoluzione", non guidata da una direzione politica organizzata è presto ritornata negli argini lasciando dietro di sé un quadro politico compromesso, dove il regime iraniano ha presto iniziato a perseguitare i singoli oppositori locali, sfruttando la possibilità di individuarli attaverso i provider. 


Sono qui, in sostanza, i problemi irrisolti del cyber-utopismo presentati e sottolineati da Morozov nel corso del suo saggio. 
Il primo è l'essere una tecnologia essenzialmente americana, anzi, californiana, e come tale ritenuta dall'Iran - come dalla Cina, dalla Russia, dalla Bielorussia  e dagli altri regimi autoritari esistenti nel mondo - una minaccia straniera alla quale reagire facendo appello al nazionalismo e al localismo.
Il secondo il suo essere facilmente tracciabile da qualsiasi governo che non si faccia troppi problemi di rispetto della privacy. 
Il terzo quello di permettere ai sostenitori del governo in carica - sia foraggiati dai servizi locali che felicemente consenzienti - di intervenire a sostenerne la politica, confondendo e mentendo, creando una cortina fumogena virtuale sostanzialmente impenetrabile a chi opera su internet in quel paese. 
Il quarto di essere comunque una tecnologia ricattabile, dispersa sul piano territoriale ma perfettamente normalizzabile per un governo deciso a stroncare qualunque voce d'opposizione, basti pensare alla situazione cinese. Come se non bastasse né Twitter né Facebook né Google sono enti di beneficenza o centri di sovversione e le loro politiche tendono ad adeguarsi ai diktat dei governi in carica, soprattutto se, come è il caso della Cina, il mercato ha dimensioni incalcolabili. 
In sostanza prima di affannarci a cantare le magnifiche sorti e progressive di internet e dei social network Morozov ci invita a tenere presente la situazione politica ed economica interna di un paese dal governo autoritario, l'esistenza e il grado di organizzazione di un'opposizione reale, i rapporti con gli altri stati e gli equilibri internazionali, in pratica proprio quella "politica" che il nuovo media sembrava aver mandato magicamente in soffitta per sempre. 
«Non esistono pasti gratis» è una frase proverbiale americana, di uso comune nella termodinamica nonché in economia, ma sembra particolarmente adatta anche per rappresentare le illusioni nate dal cyber-utopia alla quale ci siamo intossicati anche noi [*]. 

I rischi connessi a una accessibilità sempre possibile per qualunque soggetto fa sorgere altri problemi, dei quali non pochi hanno a che fare proprio con la difesa della democrazia e di rapporti sociali accettabili. Come scrive Morozov: 

Non sottovalutiamo mai il potere di Twitter e di Photoshop nelle mani di persone mosse dal pregiudizio [...] La promozione della libertà di internet deve includere misure per alleggerire gli effetti collaterali dell'aumento di interconnettività [...] il fatto che varie forze antidemocratiche, compresi estremisti, nazionalisti e vecchi gerarchi, si siano trovate improvvisamente a disposizione una nuova piattaforma per mobilitare e diffondere il loro verbo suggerisce che il consolidamento della democrazia possa diventare più difficile, anche più facile. 


Internet non è uno strumento automatico di sviluppo della democrazia, così come non lo sono stati il telegrafo, la radio, la televisione, il fax o la fotocopiatrice, anche se tutti questi strumenti sono stati presentati come la soluzione a tutti i problemi di comunicazione e di libertà personale dell'umanità dell'epoca. Illudersi che un problema politico possa essere risolto da una soluzione tecnologica fa parte di una visione della realtà da Steve Jobs ubriaco. Morozov ci ricorda - e va ringraziato per questo - che l'unico modo per cambiare le cose è quello di partecipare. Come in una vecchia canzone di Giorgio Gaber. 

[*] Non ho intenzione di esprimermi sulla situazione politica italiana, ma la convinzione che internet potesse incarnare una forma di democrazia assembleare costantemente costituita per scegliere e decidere è stato uno degli elementi di forte convinzione del Movimento 5 Stelle, forte quanto le intemerate ricche di insulti di un ex-comico di nome Beppe Grillo. All'atto pratico le decisioni sono state prese da un numero compreso tra i diecimila e le trentamila tra persone, avatar, individui plurimi e nickname, senza alcun controllo nè alcuna garanzia reale di democrazia. 
Via, è troppo facile barare via internet e raccontare ai bimbi che qui si fa democrazia...

 

   

14 commenti:

Il Menestrello ha detto...

Oh che bella ventata di realtà! Al menestrello mancava una cosa del genere e pensa proprio che si cercherà il libro di Morozov... anche se va raccontando a tutti queste cose da quando sono usciti i forum e la gente credeva di navigare velocemente con le prime ISDN.

Purtroppo nessuno dei sedicenti promotori della "democrazia internettiana" si è mai reso conto che tutto il loro mondo è vivo perché qualcuno ha messo a disposizione delle macchine per farli parlare e non lo ha fatto per buon cuore, ma per guadagno e chi paga di più (specie in ambito informatico) è quello che ha sempre ragione :)

Resta da vedere se il futuro sarà delle corporazioni tipo cyberpunk o di un fantomatico grande fratello (o grande libro, magari) che tutto vede e tutto decide... in Cina la situazione sembra essere quella!

Argonauta Xeno ha detto...

Il titolo italiano non mi piace molto, crea aspettative diverse.
Molto azzeccata invece la tua citazione di Gaber, ma su questo siamo tornati più volte parlando (male) di alcuni social network e, più in generale, dell'impegno. Impegno che manca su Facebook, per esempio: ricordo il super referendum sulle nuove norme sulla privacy, largamente ignorato. Mi ricorda molto la "democrazia diretta" presente nel Ciclo di Hyperion di Dan Simmons, in cui in qualsiasi momento i cittadini potevano esprimersi in tempo reale sulle proposte di legge (e forse anche sui singoli interventi dei parlamentari), ma la partecipazione infinitesima rispetto all'enorme bacino legislativo legittimava di fatto un meccanismo rappresentativo con derive oligarchiche. Il web offre enormi potenzialità per la diffusione della democrazia, che però non vengono espresse se non con risultati deludenti o da macchietta (M5S). Forse non interessa?

Massimo Citi ha detto...

@Menestrello: una certa tendenza a voler vedere le cose come non sono è appena appena umano. Sarà una tendenza tipica di chi bazzica con la sf, ma sperare nell'invenzione che risolva una situazione pesa ci rende permeabili a certe suggestioni. Adesso è forse il caso di ripeterlo ancora, soprattutto per evitare l'avvento dei Grandi Fratelli della situazione - una suggestione letteraria, non è fantastico? -, per quanto personalmente io sia piuttosto pessimista in merito.

Massimo Citi ha detto...

@SX: il titolo è effettivamente largamente fuori bersaglio, il libro non parla di ingenuità quanto di fondamentale insensatezza o di calcolo meschino. Facebook non ha nulla di democratico, su questo siamo perfettamente d'accordo, basti pensare all'occhiuta censura perennemente attiva in campo sessuale, per la quale non puoi postare una foto di tua moglie che allatta. Censura stupida quanto un predicatore di campagna del 1880... Il grosso problema della democrazia on line è, nuovamente, il grado di partecipazione richiesta. Per dare un parere un minimo ragionevole devi informarti, riflettere, ponderare... ovviamente cosa che non si ha il tempo di fare. A farlo sono i soliti felici balordi che sceglieranno la risposta più superficialmente giusta. Per praticare una democrazia elettronica è necessario essere liberi, ma chi è libero oggi?

Nick Parisi. ha detto...

Caro Massimo, una volta si diceva che la tecnologia in sé stessa non è né buona né malvagia ma dipende dall'uso che se ne fa.
Lo stesso si dice del Potere.
Però combina le due cose assieme e puntualmente cominceranno i guai.

Il Menestrello ha detto...

Vossignoria dimentica che bene o male il "controllo" è circoscritto allo stato che lo applica, ma quando il controllo lo facessero le società implicate, hai voglia a trovare soluzioni, oggi se la grande G vuole penalizzarti basta che ti venga abbassato il pagerank e il gioco è fatto! :D

Massimo Citi ha detto...

@Nick: "tecnologia e potere", mmmhhh, un titolo degno di saggio di Heidegger o di Wittgenstein. A parte gli scherzi hai comunque ragione, chi comanda sa utilizzare anche gli strumenti più innocenti per i propri fini, fini che non sono inconfessabili, dal momento che puzzano di denaro lontano un miglio. In ogni caso sulla neutralità della tecnologia non posso essere d'accordo: la tecnologia, come la scienza, finisce per andare dove vuole il padrone.

Massimo Citi ha detto...

@Menestrello: fortunatamente sono irrilevante per il grande G. Parlo difficile, non mi segue nessuno, non diverto, non sparo culi e tette come se piovesse e sono moderatamente pessimista... In realtà il libro parla di creare una forma di regolamentazione di Internet, non in senso censorio, ma sarebbe necessaria una forma di governo mondiale, che, senza gli alieni a minacciarci, è abbastanza improbabile.

Il Menestrello ha detto...

Regolamentare una cosa come internet significherebbe però ucciderla. Il bello della rete è proprio avere nello stesso tempo chi disprezza qualcosa e che si farebbe uccidere per averla. Anche senza censura, regolamentare qualcosa come internet, vorrebbe dire tappare la bocca di qualcuno...
...se mai si farà, spero che il governo sia composto da oligarchi tecnocrati e non da gerarchi del gattino o massaie dell'aforisma :)

Paolo ha detto...

Non vorrei partecipare a questa discussione perchè, sia pure in misura minima, mi sento parte in causa (mi sono occupato di domini Internet per qualche anno, in aggiunta al mio abituale lavoro di analista/programmatore in ambiente mainframe IBM). Sono su Internet dal 1997 e il mio pessimismo è aumentato di anno in anno.

Il Menestrello ha detto...

@Paolo non sei il solo che ha questo stato d'animo... purtroppo la comunicazione e l'informatica sono il fulcro della nostra società attuale e per quanto possano far schifo muovono un'infinità di soldi e un settore, il terziario, che in Italia sfama buona parte della popolazione.

Massimo Citi ha detto...

@Menestrello: ho la sensazione - ma forse sto diventando Adam Cacion - che non si voglia regolamentare internet giusto perchè in questa forma da jungla tropicale i cretini e i malintenzionati finiscono perennemente per prevalere. Poi mi rendo conto che regolamentare internet in maniera raffinata è quantomeno molto difficile e comunque temo qualsiasi regolazione che possa ledere la libertà di espressione. Curioso, comunque, che si abbia a che fare molto di più con corporation private che con organizzazioni statali. Qualche cosa di azzeccato nel buon vecchio cynerpunk c'era...

Massimo Citi ha detto...

@Paolo: dal 1997 a oggi credo anch'io che internet sia peggiorato non poco... tieni comunque conto che è anche aumentato in maniera geometrica il numero di connessi e il potere reale della rete. Dove c'è potere c'è denaro,molto denaro, notoriamente.

Il Menestrello ha detto...

Gibson aveva la vista lunghissima :)