18.2.09

Fata Morgana, il ritorno


Fata Morgana è un progetto collettivo che esiste da qualcosa come quattordici anni.
I primi due numeri, FM 1 e FM 2 sono nati autonomamente, ovvero senza concorso per la partecipazione all'antologia. FM 1 è una raccolta scelta di interventi e contributi tratti dal seminario autogestito «Il Koro» tenuto per un paio d'anni. Il sottotitolo è «Antologia essenziale di narrativa mimetica (e non)» e raccoglie alcuni racconti «seri», più parodie e soggetti a tema anche sorprendenti o curiosi come «storie con birra», nati come proposta di tipo didattico nell'ambito del seminario.
Nonostante il tempo passato sono ancora molto affezionato a questa vecchia antologia, nata in un momento di entusiasmo, quasi una promessa a una narrativa diversa, più vivace e partecipata. Nick Matassa, la piccolina, Sua Maestà Levomiro Artasio Veniero Ansante IV dei Crociferi, Alessandro «Mannaia» Trombosi e tutti gli altri non mi hanno mai, letteralmente, lasciato. Calchi e parodie più o meno riuscite raccontano frammenti di storie distorte e pasticciate dove è facile e probabile vedere i fili della presenza dell'autore, esattamente ciò che sforzavamo di nascondere nelle nostre scritture «serie».
Ciò che [forse] è accaduto nelle edizioni successive. Partendo da FM 2 «Giochi di carta» dove a partecipare fummo nove + 3 pseudonimi fino a questo FM 12, con 17 autori dei quali due stranieri, una polacca e un cinese.
È importante, questo FM 12.
Non solo perché è l'ultimo nato della famiglia ma perché come tutti i precedenti è unico ma anche, a differenza di questi, l'ultimo.
Dopo 12 anni di concorsi siamo stufi e stanchi.
Le ultime edizioni del concorso hanno visto un numero di partecipanti tendenzialmente simili - 70-80 racconti - ma con una caduta sempre più evidente nella qualità dei manoscritti. Non tanto nei brani migliori, quelli tra i quali finiamo per scegliere i brani premiati, quanto nella fascia media, ovvero nel gruppo dei racconti che non sono né i migliori né i peggiori. Tra questi racconti «medi» è cresciuta gradualmente una terribile, penosa ansia di raccontare se stessi, i propri problemi e sofferenze ignorando bellamente il mondo che non viene né descritto né narrato.
Non siamo Lukacsiani, noialtri, ma avere l'occasione di conoscere e riflettere su qualcosa di diverso da storie d'amore fallite, dolori indimenticati, lutti e sofferenze familiari o, per contrasto, gioie d'amore, amicizie felici e scherzi più o meno riusciti è stato uno dei motivi per i quali abbiamo lanciato il concorso. Leggere decine di racconti che, in modo più o meno riuscito, raccontano le gioie e i dolori di un piccolo cuore borghese - le piccole cose di pessimo gusto - non era lo scopo del concorso. E il fatto che centinaia di autori non si rendano conto di quanto si ripetono, si imitano, si raccontano e ri-raccontano testimonia di un'assenza narrativa sempre più evidente. I tentativi di imitare «gli autori» (ma chi sono gli «autori» in questo terzo millennio partito tanto male?) si è fatta più flebile, sporadica e si limita, in ultima analisi, a un tentativo più o meno ingegnoso di giocare con le parole per ripetere ciò che già sappiamo: lei o lui si sono lasciati (o non incontrati o persi di vista o odiati o dimenticati) per futili motivi. E lui e lei - e questo è l'aspetto più allarmante - non hanno alcun elemento per essere distinti nella folla di personaggi che man mano si sommano e si aggiungono nelle nostre menti.
D'altro canto provando a sollevare lo sguardo e guardando ai titoli di maggiore successo cosa troviamo se non storie minime? Cronache di fallimenti esistenziali tratteggiati a deboli colori in universi familiari banali come in una sitcom seriale?
E non fatevi ingannare dal successo apparente del noir. Si tratta di personaggi e vicende volte al negativo ma che non si distaccano dal vuoto di ispirazione e visioni che domina la narrativa contemporanea.
Siamo diventati incapaci di immaginare una realtà diversa, meno squallidamente familiare, dove incontri e passioni si accendono di luci impreviste e imprevedibili? Le parole raschiano sul foglio e intimamente finiamo per gioire per una serie di vocaboli scelti accuratamente anche se, in definitiva, non aggiungono nulla a ciò che sappiamo del mondo.
Ci accontentiamo di riconoscere ciò che già conosciamo e temiamo l'ignoto, parrebbe.
Più o meno ciò che che ci accade tutti i giorni. Verso il mondo in tutte le sue manifestazioni, temendo tutto ciò che non ha l'odore pantofolaio delle nostre cucine.
Che questo sia un paese vecchio e decotto l'ha detto Alexander Stille...

Il fatto che l’Italia non solo accetti Berlusconi e le sue sciocchezze, ma le condivida pure, è un sintomo di un paese in profonda crisi con una travagliata economia stagnante. Un paese paralizzato e profondamente frustrato, nelle mani di pochi gruppi di interesse, e in una situazione per cui non e’ né in grado né disposto a cambiare qualcosa. Un paese dove la popolazione e’ fondamentalmente disgustata dalla classe politica e per questo vota un uomo che per lo meno non nasconde di voler fare innanzitutto i propri interessi.

Possibile che mi sbagli, ma è difficile non accostare il vuoto di tanta narrativa al disperato vuoto che ci circonda.
Fata Morgana finisce per essere danneggiata - una vittima collaterale - di una situazione disperata ma non seria. Non morirà per questo, certo, cercheremo di proporre qualcosa di diverso. Un'antologia a tema, certo, ma proposta soltanto agli autori già noti e pubblicati.
Ma senza concorso.





11 commenti:

Anonimo ha detto...

Massimo, vuoi dire che io sono arrivato appena in tempo? Nessun altro avrebbe mai pubblicato un racconto come "Dialogo all'uscita dal Nodo"!

Quello che scrivi da un lato mi inorgoglisce (forse a sproposito) e dall'altro mi turba non poco.

L'idea di raccontarmi non mi è mai passata seriamente per la testa, tranne nel caso di un racconto (poi abbandonato per via della lunghezza eccessiva) che avevo iniziato, pensando proprio a Fata Morgana, cinque anni fa. Ma era una storia che si svolgeva su Internet, fra Torino e Proxima Centauri (!) e il protagonista aveva i miei tic e guardava il panorama urbano che vedo tutti i giorni per pura e semplice pigrizia (o per esaurimento dell'immaginazione).

Tutti noi abbiamo in qualche cassetto o su qualche dischetto polveroso dei racconti che ci si vergogna a rileggere, quando non si tratta di un romanzo incompiuto per il quale abbiamo buttato via molte delle migliori serate della nostra vita. Rileggere criticamente è essenziale, anche senza arrivare al gesto drastico e irreversibile. Mi turba il fatto che decine di autori (che, per partecipare al concorso, dovevano almeno avere letto qualche numero di LN e uno di FM) abbiano pensato che qualcuno avesse voglia di leggere dei loro pruriti e dei loro mal di pancia, per quanto ben narrati.

Anonimo ha detto...

Pecato, poprio quest'hanno che havrebbi deciso di provarci con un raconto atobigrafico scrito bennisimo.

Massimo Citi ha detto...

1 vero pecatto, caro annonimo...
...
In quanto a pruriti e mal di pancia non c'è nessuno al mondo che pensa che le proprie non DEBBANO interessare a tutti... Il fatto interessanti è che più sono false più è probabile possano interessare davvero a un editore, uno di quelli veri.

S_3ves ha detto...

Sì, essendomi smazzata tutti i racconti arrivati in 10 anni di concorsi, condivido i dubbi e lo scoramento di Massimo. Anni fa ciò che lamentavamo, nei racconti arrivati, quelli medi - non belli, non infimi - era lo stile. Certo, ogni anno, c'erano anche orridi esempi di scrittura inutile ("ma perché l'hai scritto?" ci chiedevamo un po' angosciati) ma di solito il problema era una scrittura goffa che non sosteneva idee magari nemmeno troppo malvage. Nelle ultime edizioni invece il problema è stato il piattume. I pensieri buonisti, il racconto che dopo aver messo in campo alieni, maghi, o grandi problemi epocali, improvvisamente si ripiega su se stesso e finisce "bene" (o male) senza ragione, strappandoti soltanto uno sbadigliato "ecchisssenefregaaah".
A essere sincera, non ce l'ho con "le piccole cose di pessimo gusto" che, quando ben raccontate, aiutano a cogliere quel vivere e quel sentire comune che - nella loro limitatezza - spiegano il mondo. Ce l'ho con il fatto che gli autori non sono consapevoli di raccontarle, stanno completamente dentro le piccole cose... e non anche fuori, le respirano a pieni polmoni e se ne accontentano. Non si chiedono se siano sufficienti a riempire una vita, non provano a rispondersi sì - o no, o più appropriatamente "anche". Non le colgono come un orizzonte troppo stretto. Le danno per assolute, l'unico modo possibile di essere. Senza dubbi. Senza dubitare dei dubbi. La narrativa dovrebbe mette a fuoco il mondo, in tutti i sensi, quello di renderlo iperreale e quello di fare un falò
delle sue regole.
Non possiamo chiedere a chi scrive di riuscire a fare tutto questo, ma di provarci, di offrirci una ragione di continuare a leggere - magari sì.

Fran ha detto...

Partecipo a FM da pochissimo, ma mi ci ero proprio affezionata.
A prescindere dalla mia (evitabile) presenza tra le pagine, trovo l'iniziativa veramente originale, soprattutto perché raccoglie temi e modalità di descriverli estremamente differenti.
Ecco, mancherà.

Anonimo ha detto...

Silvia, il tuo commento mi fa tornare in mente un'epoca felice in cui mia sorella mi spingeva a leggere i Classici; l'epoca in cui ho maturato un odio imperituro per Jane Austen e ho sbadigliato su ogni pagina di una antologia di Maupassant - salvo svegliarmi di colpo dopo aver iniziato "Le Horla". Proprio su Maupassant le discussioni erano particolarmente aspre: ricordo di aver coniato l'etichetta di "letteratura senza cielo" per indicare quello che mi sembrava un raspare senza senso e senza speranza nelle miserie dell'esistenza umana. Il povero Henry-René-Albert-Guy divenne l'epitome di quello che odiavo in tanti narratori: mi dava un senso di claustrofobia - e purtroppo è quello che ho provato anche leggendo diversi racconti pubblicati negli anni scorsi su FM.

Se mi guardo intorno, nel grande open space della società di informatica in cui lavoro, vedo personaggi e storie per decine di racconti. Ma a chi potrebbero interessare? E in ogni caso mi sentirei terribilmente a disagio a scrivere di persone reali appena dissimulate, a descrivere la quotidianità di gesti ormai automatici - arrivo, saluto i vicini di scrivania, accendo il PC, mentre si connette alla rete mi cambio gli occhiali, apro la posta temendo di trovare un mail che segnali qualche guaio accaduto durante le elaborazioni notturne... Ecco, mi sento a disagio anche a parlarne qui e ora.

Certo, in qualche momento ci ho pensato sul serio. Mi è capitato di ritrovarmi in ufficio da solo a notte fonda, e nella nostra sede attuale l'atmosfera, in quei casi, non è niente male. Non ci vorrebbe molto ad ambientare un horror-fantasy qui dentro alle due del mattino. C'è quasi tutto: la penombra, il silenzio, le mostruose entità appena intraviste nelle viscere misteriose di server e mainframe che aspettano solo una parola magica per destarsi, immateriali ma molto concrete in quello che possono fare (specie quando si svegliano male). Non mi aspetto di vedere uno shoggoth strisciare fra gli armadi, perché i sensori antincendio lo "annuserebbero" prima di me, ma mi viene da pensare che Lovecraft e Clarke si sentirebbero entrambi a casa loro - e si guarderebbero con sorpresa.

Massimo Citi ha detto...

Fantastici gli shoggoth vistuali, davvero. Qualcosa che un italiano medio impegnato nel rappresentare patatine o a rispondere presso un call-center per conto di una grande fabbrica di pentole non potrebbe, necessariamente, immaginare mai.
Ed è un peccato.
Non è questione di fare l'elogio della narrativa fantastica, ovviamente. Gente come la Meyer e i suoi vampiri vegetariani dimostrano come anche i temi più grandiosi possono essere ridotti a poco più che nulla. Ma il problema, anzi i problemi, sono due. Il primo è il successo di libri che riducono lo straordinario a un quadretto familiare, il secondo la mancanza - evidente in Italia – di autori che siano in grado di raccontare ciò che non è immediatamente e quotidiano. O di vedere il quotidiano con altri occhi.
È un problema di sguardo, in sostanza.
Quello con il quale guardiamo il mondo. Non di parole già mille volte dette e ripetute ma di una parola nuova per rappresentare il mondo. Non che sia facile, certo, ma almeno provarci?

S_3ves ha detto...

Sì, è un problema di sguardo. A Paolo in ufficio vengono in mente gli shoggoth, probabilmente perché non solo ha letto Lovecraft ma anche Maupassant (e, oso dire, anche Jane Austin). Voglio dire che occorre imparare a leggere narrativa, per imparare a scriverla. E, sempre Paolo, scarta con ragione la "comoda" soluzione di duplicare la realtà raccontando paro paro i "tipi" e le vicende del suo ufficio.
Resto convinta che non sia inutile raccontare le piccole realtà, i sentimenti prevedibili e quasi ovvi, le chiacchiere sentite in coda alla cassa del supermercato. Ma è molto difficile, occorre essere + bravi (e non -) per rendere eccezionali le banalità. Viviamo tutti vite banali come se fosse normale, ciò che ci serve dalla narrativa e scoprire che non lo sono, che in realtà sono strane, inumane e molto umane, angoscianti e piene di contrasti. Uniche. Troppi dei racconti del concorso FM non ci riescono, peggio, rendono banali perfino le cose "eccezionali" che a volte tentano di raccontare.

Fran ha detto...

Sono d'accordo con Silvia, il "quotidiano" ha parecchi aspetti che si possono esplorare che normalmente rimangono nascosti, invisibili.

Trovo grandiosa l'abilità di alcuni scrittori di "vedere" molto più in profondità una realtà ben poco emozionante, e Jane Austen - per quanto ne dica Paolo - è stata un genio del suo tempo in questo.

Quello che più mi piace in FM è il tema: alcuni autori riescono a toccare il tema in modo completamente inaspettato, parlandone ma non parlandone per niente.

Fran ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Anonimo ha detto...

Silvia e Massimo: finora avevo scartato la "comoda" soluzione di duplicare la mia realtà quotidiana... perché sabato mattina, mentre toglievo dal cucinino la mia vecchia lavatrice che deve essere smaltita in settimana, ho "visto" una storia ambientata nel mio ambiente di lavoro e di cui potrei essere protagonista.

E' stata una reazione a catena, innescata dal commento di Massimo, da certi eventi a cui ho assistito di recente, e da qualcosa che una mia collega ha detto pochi giorni fa. C'entrano Clarke, Lovecraft, Le Carré e perfino la rilettura in questi giorni di "La Ragazza con il Tailleur Rosso Fuoco" di Consolata Lanza. Ho abbandonato la lavatrice accanto ad una libreria, acceso il PC e cominciato a scrivere di getto. Mai successa una cosa del genere. La lavatrice è ancora là, guardata con occhio diffidente dalle mie gatte.

Non anticipo nulla, c'è ancora una piccola ma non trascurabile probabilità che subentri una reazione di rigetto e cancelli tutto. Penso che ne verrà fuori un racconto lungo, forse troppo lungo per FM. No, non ci sono shoggoth né fantasmi - non di tipo vittoriano, perlomeno. Ma c'è qualcosa a cui noi informatici non pensiamo spesso, perché siamo degli esperti, e che per la maggior parte del tempo è solo una fugace fantasia nel retrobottega della mente.