18.7.08

Parodia, calco, citazione

Il primo volume della serie di Fata Morgana non è come gli altri un'antologia tematica, ma raccoglie una scelta di materiali a suo tempo prodotti dal seminario di scrittura autogestito che tenemmo per un paio d'anni presso la libreria. I racconti pubblicati sono quindi, a tutti gli effetti, esercizi svolti raccolti e pubblicati una prima volta nella prima serie di LN e poi nuovamente pubblicati nell'antologia.
Difficile dire, anche a distanza di tempo, se avevano un valore «letterario» reale o se il loro valore era ed è più modestamente quello di un obiettivo raggiunto o di un lavoro terminato. Curioso constatare, comunque, nel rivederli e rileggerli, il peso che abbiamo dato nel nostro lavoro alla parodia e al calco. Abbiamo lavorato parecchio e con pignoleria sugli stereotipi e sulla prevedibilità, evidentemente, cercando di fissare un sistema di riferimenti che ci permettessero di evitare di cadere nel tranello del già letto, già visto, già digerito. Non abbiamo «citato», insomma ma siamo andati giù più o meno pesanti su alcuni generi e stili che, all'epoca, erano particolarmente frequentati e che comunque non sono caduti nel frattempo nel dimenticatoio anche se forse hanno cambiato nome.
La letteratura «cannibale» o per il testo metropolitano/on the road con frequentissime citazioni di brani musicali fanno ancora parte del paesaggio narrativo, anche se si sono almeno in parte diluiti e mescolati scomparendo sotto l'indistinta etichetta del «noir».
Il «romanzo di sentimenti» del quale forniamo un saggio particolarmente stucchevole a immaginaria firma di Edna Corsieri Bellombra si è fatto più professionale e più schiettamente erotico e la protagonista femminile è ormai in pratica sempre una single con problemi di peso, rapporti di lavoro, casa, denaro ecc. Il romanzo «al femminile» sembra insomma aver abbandonato il campo del parodiabile per entrare direttamente in quello dell'autoparodia più o meno divertita e divertente, pur senza liberarsi completamente del fantasma del matrimonio e della convivenza.
Molto diverso il discorso per il fantasy.
Il nostro immaginario eroe Sakass (nome che richiama certi nomignoli o certe voci schiettamente parte del vernacolo piemontese) , amico e compagno d'arme del vichingo Trotzdem («nonostante», in tedesco) ha un forte debito narrativo - pur nella sua sostanza di parodia - con il Conan di R.E.Howard o, meglio, con i suoi derivati cinematografici. Sakass non è giovane (meno che meno adolescente) e diffida del sesso, tanto da prediligere in ogni occasione il rapporto con gli altri maschi. Questa venatura, se non omosessuale almeno misogina, è una caratteristica piuttosto comune nel fantasy di derivazione howardiana - peraltro molto evidente anche in Tolkien - e, più in generale, nel romanzo d'avventura dagli anni '20 agli anni '70, sia pure talvolta in forma di ironica autoparodia[1].
Il panorama attuale, perlomeno nel campo del romanzo d'avventura e fantasy italiano, sembra tuttavia completamente mutato. Gli e soprattutto le adolescenti sono diventati i soggetti di una letteratura per «giovani adulti» che riutilizza senza risparmio i fondali e i costumi della tradizione fantasy senza, per la verità, aggiungere nulla o quasi di originale o imprevisto, anzi perdendo o deformando qualsiasi riferimento a una preistoria immaginaria (Era Hyboriana) o a un'immaginaria Età di Mezzo, con ciò distruggendo un fortissimo elemento di suggestione. Dovessimo riscrivere la pagina del nostro Sakass, insomma, dovremmo al massimo ringiovanirlo e cambiargli sesso, eliminare le parti che riguardano la perfida e lasciva maga Gerarda, ringiovanire Trotzdem e farne un immortale o semiimmortale elfo, aggiungere qualche drago chiacchierone, qualche insulso goblin e via. Avendo la pazienza e la voglia potremmo anche aggiungere un inizio e una fine e averne un romanzotto da 400 o 500 pagine da mandare a Mondadori o Rizzoli. O a Einaudi, si suppone alla ricerca di un secondo romanzo fantasy.
Una cosa facile, fatta al risparmio e senza dover sudare a inventarsi qualcosa di serio e originale.
Meriterebbe pensarci.
Un'ultima osservazione nata da un commento di mia figlia, sedicenne lettrice di fantasy, sia pure incostante e criticona: «Perché i personaggi fantasy hanno sempre nomi tanto assurdi?»
Già, perché?
È ben vero che un personaggio fantasy di nome Giovanni o Pietro sarebbe come il celebre disco volante che atterra su Lucca di fruttero-lucentinesca memoria ma resta il fatto che la nomenclatura di personaggi e luoghi (date un'occhiata alle immancabili «mappe» in apertura ai romanzi) nel fantasy italiano è quantomeno deficitaria, se non completamente deficiente.
Un segnale di trascuratezza e di disprezzo per il lettore?
Sinceramente, credo proprio di sì.

[1] La mia competenza nel campo del fantasy è piuttosto limitata. Per una documentazione ricca e divertente rimando volentieri alla serie di articoli «Per una storia naturale della letteratura fantastica» di Davide Mana pubblicati sulla rivista LN-LibriNuovi e giunti al numero 36.

10 commenti:

Simone ha detto...

In fin dei conti il fantasy odierno è indirizzato ai ragazzini e al limite alle loro mamme che si accontenteranno di ritrovare i classici eroi colmi di buoni sentimenti.

Non che negli anni '80 fosse meglio: ricordo vagamente romanzi che procedevano in base a regole di giochi di ruolo o ricalcando pari pari i soliti personaggi nano, mago, elfo, guerriero e al limite il ladro se serviva un cattivo.

Probabilmente tutta la letteratura che nasce per ricopiare altra letteratura di maggiore successo è di bassa qualità, inutile prendersela con un genere soltanto. E i nomi stanno sulle scatole anche a me: sono uno dei mille indici che l'autore non ha voglia di star lì a inventarsi qualcosa ma sta solo scrivendo caratteri a caso sulla tastiera.

Simone

Unknown ha detto...

Ehm.... il ladro di solito è neutrale.
[orgoglio di categoria, e che cavolo!]

Nel fantastico (ma presumo si possa farelo stesso discorso per qualsiasi genere o tendenza) esistono dei testi basilari e dei testi derivati.
I derivati sono di solito inferiori, e di rado riescono ad affrancarsi dal loro status di pastiche, spin-off o tie-in.

La differenza fra oggi e gli anni '80, è che oggi i testi di base sono andati perduti.
È come se continuassimo a leggere fumetti di Guerre Stellari senza aver mai visto il primo film (che oggi è il quarto... mah!)

S_3ves ha detto...

Per Max:
Di certi attuali romanzi fantasy hai scritto: "Una cosa facile, fatta al risparmio e senza dover sudare a inventarsi qualcosa di serio e originale". Molto vero.
Ma i testi basilari ricreano un mondo coerente, retto su leggi differenti (che riguardino la magia o la biologia o la sociologia o al limite la semantica) ma almeno suggerite e comunque rigorose. Inventare queste nuove regole è una delle cose più divertenti e coinvolgenti che possa fare un autore di fantascienza o di fantasy. Ma è un'arte difficile e lunga da imparare. Penso ai romanzi di Vance, o di Delany, o di Le Guin, tanto per fare qualche nome. Gente capace di affrontare temi complessi di antropologia culturale, come in «I linguaggi di Pao» di Vance, o in «La ballata di beta 2» di Delany o nella «Trilogia di Earthsea» di Le Guin. Ma questi romanzi sono stati scritti tra il 1958 (Pao) e il 1970 (Beta2), anni nei quali scienza e conoscenza erano considerati strumenti ambigui ma non inutili, e in cui autori e lettori erano ancora convinti che immaginare servisse a capire.
Siamo molto lontani da quei tempi.

Sui nomi dei personaggi hanno ragione tua figlia e Simone: Nomen est omen, il nome contiene già la storia del personaggio. Nome facilone o sciatto = storia di bassa qualità.
Vorrei però spezzare una lancia in favore delle "mamme" dei divoratori di fantasy. Nel bene e nel male la maggior parte dei lettori italiani sono ancora lettrici. Spesso diffidenti verso la letteratura fantastica (in particolare verso la fantascienza, e su questo occorrerebbe fare un discorso più ampio).
Vorrei ancora sperare che non siano lettrici così ingenue...

Massimo Citi ha detto...

Sui nomi, nel fantasy e in sf.
Credo anch'io che «nomen est omen», ma non solo. I nomi, almeno in parte, possono raccontare la storia di un luogo e di un personaggio. I nomi geografici denunciare la visione del mondo di chi vi abita e suggerirne il passato, i soprannomi personali raccontare un mestiere e un'abilità. Lavorare sui nomi può essere un modo per costruire il «proprio» mondo e renderlo unico e inimitabile. Per quanto mi riguarda non riesco ad avere considerazione per chi si limita a riarragiare nomi già letti altrove e a riadattare radici e desinenze pseudoceltiche ricalcate su Tolkien (-nen / -en / -man / -een) e via balbettando. Che cosa ci si può attendere se non storie anonime, intrecci banali e fondali del tutto intercambiabili? A provocare amarezza è che questo genere di pappa premasticata e predigerita sia considerata il fantasy del XXI secolo...

SteamDave ha detto...

La toponomastica del fantastico meriterebbe un trattatello.
Magari un manualicolo ad uso degli scrittori.

Il sistema più semplice e collaudato è prendere un atlante dettagliatissimo, selezionare un'area geografica, copiare i nomi delle località, operare un paio di mix ed un paio di slittamenti eufonici - et voilà!
Esotici, variati e coerenti.
Brutale, ma funziona.

Ma di fatto, il fantasy sano - quello vero, originale ed eccitante - sta bene e vi saluta tutti.
Solo, piace poco agli editori nostrani.
Ed ancor meno ai lettori cresciuti a spazzatura.

Massimo ha detto...

Sakass e' un'icona gay fenomenale. La frase del suo spadone poi e' da antologia...

I nomi di personaggi e localita' sono importanti. Come giustamente dice Davide, non sarei cosi' definitivo. Ricordo ad esempio la serie di romanzi di fantascienza abbastanza recenti di un autore giapponese, Morioka Hiroyuki, che ha creato un'intera lingua spaziale concepita come un'evoluzione (o piuttosto al contrario la forma originale) del giapponese antico, il baronh.

http://en.wikipedia.org/wiki/Hiroyuki_Morioka

http://en.wikipedia.org/wiki/Baronh

Tanto per dare un'idea, ecco un elenco (mi spiace, c'e' solo in giapponese) di linguaggi artificiali presenti in opere letterarie, d'animazione e fumettistiche fantasy e di SF giapponesi e non.

http://ja.wikipedia.org/wiki/%E6%9E%B6%E7%A9%BA%E3%81%AE%E8%A8%80%E8%AA%9E

Diciamo allora che e' qui che la si prende molto sotto gamba...

Massimo ha detto...

L'ultimo link e' rimasto tagliato! Quello corretto e' questo:
http://ja.wikipedia.org/wiki/%E6%9
E%B6%E7%A9%BA%E3%81%AE%E8%A8%80%E8%
AA%9E

S_3ves ha detto...

Uno dei problemi relativi ai nomi è che spesso non funzionano in altre lingue. Per quanto riguarda la produzione corrente di fantasy e FS italiana non credo che il "rischio" di una traduzione sia così incombente, ma ricordo diverse traduzioni poco curate di editori anche grandi e medi: romanzi infestati da nomi - in inglese probabilmente accettabili, persino un po' esotici - che in italiano suonavano malissimo o, peggio, erano involontariamente comici. L'autore di un fantasy per nulla memorabile aveva quasi sicuramente utilizzato il sistema piuttosto efficace ricordato da Davide. Purtroppo si era servito di un atlante d'Italia. Risultato risibile.
Ci vorrebbe un po' di attenzione anche da parte dei traduttori (ma giustamente la loro professionalità è inversamente proporzionale alla cifra pagata loro dall'editore).

Piotr ha detto...

Sui nomi, posso solo dire che io ancora non mi sono ripreso dalla saga di Narnia. Mica per altro (non l'ho letta), ma proprio perchè la città vicina e nemica del mio sito natìo si chiama Narni, e il suo nome deriva dal nome romano che era proprio Narnia. Io non so bene se l'autore (americano?) del ciclo questo lo sa, ma noi ternani siamo ancora sotto shock. Anche perchè il nostro nome latino è molto più figo: Interamna Nahartium. E poi Narnia è davvero una banale colonia romana, mentre noi città umbra e ribelle... insomma, non c'è storia, davvero. Bisognerebbe proprio stare attenti, nella scelta dei nomi...

Davide Mana ha detto...

Narnia è un disastro.
Considerate ad esempio il povero "Prince Caspian".
Se traduco "Caspian Sea" come "Mar Caspio", allora il porello in Italiano si chiama Caspio.

"Chi sei?"
"Sono il principe Caspio!"
"Caspita!"
... e da lì si deraglia....

Io leggo volentieri il fantasy, e leggo molto volentieri il fantasy umoristico.
De Camp & Pratt, ad esempio.
Gordon Dickson.
Pratchett.
Se si osserva da vicino, la chiave per scrivere un buon fantasy umoristico è
. avere una buona idea di cosa ci sia di inerentemente ridicolo nel genere e prenderlo sul serio
. applicare una logica ferrea alle regole dell'universo incui è ambientata la storia

Oh, prima che qualche proprietario di macchina da scrivere passi di qui, legga e si scateni - saper scrivere potrebbe aiutare.