1.5.12

Ma chi te l'ha fatto fare?


Perché non scrivi la storia della libreria? 
Una domanda che on line - ma anche a mezzo e-mail - mi è arrivata piuttosto spesso, ultimamente. Soprattutto dopo aver postato questo intervento.
Una storia della libreria è, forzatamente, una parte non piccola della storia di me stesso. E sinceramente non riesco a decidere che sia già venuto il momento per un bilancio della mia vita. Tanto più in un momento come questo, nel quale, forzatamente, qualunque bilancio sarebbe necessariamente negativo. Ma non ho gettato via l'idea e penso di poterci provare, anche se la struttura deve ancora essere pensata e costruita. Le cose che riescono meglio, più spontanee e vitali richiedono strutture ferree e un'attenzione feroce. Non è ancora il momento per progettare, ma non è facile fare previsioni, in questo momento, e non è detto che non inizi presto. 
...
Un'altra domanda che mi hanno fatto in molti, chi più gentilmente, chi meno, è stata: «Ma a te, chi te l'ha fatto fare?»
Dal mio sventurato padre, che ha dovuto intervenire più di una volta negli ultimi due anni di vita della libreria e poi nella sua chiusura - perché ovviamente i libri ceduti durante una chiusura valgono un decimo di quanto teoricamente inserito a bilancio - ad alcuni miei ex-colleghi a diversi altri soci e amici, più o meno amichevoli, dispiaciuti o divertiti. 
La risposta a questa seconda domanda non è facile da dare, può essere una risposta lunga e in definitiva indistinta o incerta, ma che forse merita un tentativo. 
L'amore per i libri, o meglio per la lettura, può essere la prima e probabilmente la più importante. Da quando ho un po' di memoria di me stesso ricordo di aver sempre avuto un interesse - o forse è meglio dire curiosità - più o meno smodata verso i libri.  Una passione che in realtà superava largamente anche la semplice passione per la lettura. Mi piacevano - e mi piacciono - i libri per le immagini della copertina, per l'impaginazione, per i caratteri impiegati, per l'odore delle pagine. Mi piacciono nuovi, con le copertine ancora lucide e smaglianti e mi piacciono da vecchi: letti, riletti, maltrattati o ben conservati. Mi piacciono perfettamente allineati nelle librerie o disposti a casaccio in una scatola, scartabellati malamente, con i sedicesimi che cercano ognuno una propria strada nella vita e perfettamente ordinati, con i sedicesimi allineati come reclute germaniche. È un amore o una passione che viene prima del giudizio, della riflessione, della valutazione, della sentenza. Non riesco a rimanere indifferente davanti a un libro aperto, anche da qualcun altro sull'autobus o in metropolitana, devo assolutamente conoscerne il titolo, provare a immaginarne il genere, il tipo, i personaggi, la coloritura... se è un libro da pochi giorni, da leggiucchiare in coda alla posta o seduti a una mensa, o se si tratta di un libro più impegnativo, più importante per chi legge. La posizione del lettore permette di fare ipotesi, più o meno come il grado di concentrazione, l'angolo della testa con la schiena, la frequenza del battito delle ciglia... Nulla da fare, se incontro qualcuno che legge non posso fare a meno di chiedermi se il libro che sta leggendo è importante per lui o per lei, se il passaggio al quale è giunto ha un'importanza particolare, se ricorda qualche frammento della propria vita o promette qualche istante inatteso, qualcosa al quale non si era finora pensato. 
Non nego che questo genere di curiosità - sempre sul filo della maleducazione o della ficcanaseria più impudente - sia alla base della mia scelta per un mestiere tanto improbabile. O forse si è trattato essenzialmente di un'occasione. In fondo molto avviene per caso o per un'incontro inatteso. 
Che poi essere mossi da un sentimento di curiosità tanto indiscreto risulti utile o fruttuoso, nel mio caso non posso proprio affermarlo. Come ho sottolineato anche durante l'intervento su Radio RAI 3, il mio lavoro è sempre stato fatto con pochi o pochissimi soldi, recuperando qualche cinquanta (mila o euro) quando capitava, avendo sempre in mente che a 60 o 90 o 120 gg. avremmo dovuto pagare Tizio, Caio, Sempronio o Vattelapesca edizioni. 
La passione per i libri ho comunque scoperto che è una passione che si può vivere e affrontare in due. Una vera folie-a-deux. Qualche volta persino a-trois, contando anche mia figlia. 
Fortunatamente né mia moglie né mia figlia mi hanno chiesto «ma a te chi te l'ha fatto fare?». Immagino che in fondo lo sapessero benissimo da sole, anche se avrebbero fatto un minimo di fatica per spiegarlo. Più o meno la stessa fatica che ho fatto io, anche senza riuscire a rispondere davvero
Ma, d'altro canto, se le risposte ci rendono saggi, sono le domande a renderci umani.

8 commenti:

Argonauta Xeno ha detto...

Proprio non è una domanda leggera...

Nick Parisi. ha detto...

Ahhh, le domande degli amici! Sapessi quante volte a me in questi mesi "amici", "vicini" e "conoscenti" mi hanno chiesto tra il divertito e l'ironico com'era la situazione in Fabbrica.
Non devi spiegazioni a nessuno, solo alla tua passione.

Massimo Citi ha detto...

@Salomon Xeno: vero. Ma le domande che mi hanno sempre rivolto non sono più facili, né più simpatiche. Diciamo che la risposta è una sorta di tentativo di discolpa...
@Nick: non voglio fornire spiegazioni, ma mi preoccupo, come tutti, della famiglia. A loro devo tutte le risposte. E mi fa piacere che la mia passione le abbia, comunque, portato via anche loro...

Romina Tamerici ha detto...

Questa è una delle domande peggiori! Per esperienza però ormai ho capito che, quando qualcuno mi fa questa domanda, non ha capito nulla di me e nel 90% dei casi vuol dire solo che sto facendo la cosa giusta. La strada più ripida è spesso quella giusta da seguire, solo che il mondo preferisce le scorciatoie e vuole che tutti le preferiscano, così si sente meglio. Non so tu, ma io preferisco le strade poco affollate. Se la gente ti chiede chi te lo ha fatto fare e tu rispondi "la passione per i libri" direi che in quella discussione hai vinto tu!

Piotr Rezierovic Silverbrahms ha detto...

Mah. La domanda "Ma chi te lo ha fatto fare?" è una sineddoche, una parte per il tutto. La domanda completa è: "Ma chi te l'ha fatto fare, visto che hai faticato tanto e non sei diventato ricco?" oppure, in tempi di crisi come questo, "Ma chi te l'ha fatto fare, visto che adesso fai fatica a campare?".
Ergo, sono domande squisitamente economiche. Come tali, hanno senso solo in una società che vede nel successo economico la causa prima di ogni aspetto della vita.
Uno si sceglie un lavoro, lo fa con passione per trent'anni e più: un lavoro con alta valenza culturale e sociale, con fini di ottenere una vita dignitosa e non per scopi di lucro, e alla fine deve sentirsi rivolgere certe domande?
E' sbagliato.
Sarà naturale farle, certe domande, ma sono indice del fatto che questo modello sociale non funziona a dovere. E, un po', anche che chi fa queste domande è perfettamente allineato alla logica di questo modello sociale.
Per quel che mi riguarda, e sempre che tu mi permetta un minimo di turpiloquio in questo spazio di tua proprietà, comincio seriamente a rompermi le palle del fatto che tutto, proprio tutto, sia ormai leggibile solo in termini di valenza economica. I giornali parlano solo di come va la borsa e lo spread, e lo scopo finale d'uno Stato sembra quello di apparire seducente a quell'ente misterioso e devastante che è "il mercato". Le nazioni in minigonna e tacchi a spillo, e i mercati che gli guardano il sedere per vedere se meritano l'acquisto di un paio di bund o btp ad un tasso ragionevole.
E ad un libraio che ha fatto, fa e sa fare il suo mestiere si chiede "Chi te l'ha fatto fare?", come se avesse scelto di dedicare la sua vita ad una setta satanica o a Scientology.
Capisco sempre meno, sono stufo sempre più.

Massimo Citi ha detto...

@Romina: verissimo, ma mi sembra logico, nella mia situazione, chiedermi se ciò che ho fatto abbia avuto un senso o meno. Poi, dentro di me sono (abbastanza) convinto di avere avuto ragione per molti, molti anni. Ma resta il fatto che attualmente sono a piedi e non manca chi, anche per affetto, mi rivolge la famosa domanda. O chi, pur tacendo, non può fare a meno di farmela.Ecco, a queste persone dovevo qualcosa. Una spiegazione, una ricapitolare anche per giungere comunque a ripetere: "Sì, l'ho fatto. E ho fatto bene", più o meno ciò che suggerivi tu.
@Piotr: hai indubbiamente ragione. Non si può giudicare ogni cosa unicamente sulla base di ciò che ti ha reso. La bilancia degli antichi dei egizi pesava i cuori, non i portafogli. E temo che tu abbia ragione nella tua rapida e impietosa analisi della situazione. Ma la mia situazione nasce da una crisi molto profonda. Probabilmente la stessa cui accenni tu, ma che merita comunque una riflessione non puramente e giustamente umorale. È la storia degli imprenditori che si suicidano o degli operai che passano l'inizio della primavera appesi su torri e piattaforme sospese. Come è potuto succedere? Mi preoccupa chi sembra non capire e si chiede "Perché, perché" quando la risposta è a portata di mano. Basta, come suggerisci, dare una scorsa ai giornali.

Lucrezia Simmons ha detto...

Certo che hai fatto bene.
Sei un libraio eccellente. E questo non smette solo perchè "hai chiuso bottega".
Ti mando via email una immagine che ho conservato per te, molto a tema.

Come dici tu le uniche persone a cui devi rispondere sono quelle della tua famiglia, che a quello che trapela dalle pagine è sempre stata con te e lo è ancora.

Attendo la storia della libreria.

Massimo Citi ha detto...

@Lady Simmons: la storia della libreria arriverà. Non subito, magari, dal momento che si tratta di carne viva, per quanto mi riguarda, ma arriverà.
Ti ringrazio per il giudizio sulla mia professionalità e per aver intuito anche ciò che non ho scritto.
Grazie per l'immagine, davvero azzeccata... a propòs, il mio indirizzo personale è: massimo.citi[et]fastwbnet.it