13.4.15

Après l'amour, ovvero dopo aver scritto < F I N E >


Cosa resta da fare una volta terminato un romanzo? 
Lo so, lo so, c'è tutto il lavoro che rimane, non meno complesso e molto più pesante di riordino del testo per renderlo potenzialmente leggibile. E poi semplici banalità come stendere un'introduzione, scrivere i ringraziamenti, verificare l'impaginazione e successivamente la trasformazione in un file .epub e .mobi. Tutti lavori molto meno gradevoli e soprattutto molto meno creativi.
In apparenza, lo so. 
In realtà è proprio rivoltando le pietre di ciò che si è scritto che talvolta appaiono dei piccoli tesori, la possibilità di regalare al lettore - e a se stessi - cammeo di personaggi imprevisti o ricordi che emergono rendendo un personaggio, una vicenda, un istante abbastanza vividi da sembrare reali.
Uno dei problemi della sf come genere è la necessità - relativa quanto si vuole ma comunque reale - di mantenere un buon passo, senza lasciare che la vicenda si blocchi per pagine e pagine nella descrizione di qualcosa o - peggio che mai - nel raccontare un'emozione o un ricordo. È il peccato originale della sf e insieme la conseguenza delle sue umili origini, nata come pagina di narrativa aggiunta in calce a riviste di elettrotecnica o di radiocomunicazione negli anni '20 dello scorso secolo, quindi con storie brevi, veloci e tecniche a sufficienza da incontrare l'interesse di elettricisti e radioamatori. La sf è molto cambiata, da allora, ma la necessità di "non farla troppo lunga" è rimasta profondamente inscritta nel suo DNA. E, ovviamente di chi la legge. E la scrive.[*]
Sicché devo lavorare rimanendo all'interno di un alveo di regole non scritte ma cercando ugualmente di narrare un personaggio, una situazione, un ricordo, facendo uso di poche parole, capaci di essere profondamente evocative.
«Hai detto niente».
Già. E rivedere il testo significa rendere il brodo più appetitoso senza allungarlo.
Vabbé, in qualche modo farò. 
Adesso, per chi avesse voglia di leggerlo, un frammento della prefazione al testo che sto scrivendo in parallelo a queste note:






«Settembre» è nato da un moto dell'animo e da una ispirazione che, in questo caso, confina con un'intenzione.
Il moto è nato leggendo, ascoltando e vedendo i semplici combattenti e le donne di Kobane, che per mesi hanno resistito all'attacco delle truppe del Califfato giungendo infine a scacciarli.
L'intenzione è quella di mostrare, scrivendo, che l'IS, ovvero il Califfato Islamico - ma anche Boko Haram e Al Shabaab - sono un pericolo per l'umanità non troppo diverso, nonostante la distanza nel tempo e nell'ideologia, dal nazionalsocialismo, e che questo genere di entità devono essere combattute con tutte le armi possibili, escludendo, quando è possibile, le armi da fuoco.

È la prima volta che scrivo un testo guidato da un'intenzione, una categoria di pensiero che più volte mi sono trovato a criticare in veste di recensore. Ma non ho cambiato idea, nonostante tutto, e continuo a pensare che i romanzi a tesi possano risultare ricattatorî verso i lettori. 
Bisogna vivere a lungo per riuscire a smentirsi.  
Chi non vuole sentirsi ricattato, in ogni caso, non legga questo romanzo.


[*] Qualche giorno fa, nel corso della discussione con un amico, è emersa una tendenza a suo parere più o meno inevitabile della sf a creare volumi sempre più vasti e numerosi anche a partire da piccoli spunti. Ma in questo caso non credo c'entri la sf come genere ma la tendenza evidente da parte di editori, produttori e manager a sfruttare finché è possibile la gallina dalla uova d'oro. E quindi a prolungare oltre i limiti della decenza anche storie già molto spremute.    

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