27.2.20

Il Mare Obliquo 57

Dopo un piacevole e inaspettato soggiorno nell'antica foresteria dei Gu'hijirr bruni, Kwister, Usif-Lizhi e gli altri giungono fino a Ulfa, ma una brutta sorpresa li attende.
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Un raffinato gioco di contrappesi permette di far scorrere nello stesso modo anche le finestre. La luce pallida del tramonto illumina un vasto ambiente circolare, vuoto e pulito. Lungo un segmento della circonferenza c'è un ampio caminetto e nel centro della sala una scala conduce al piano superiore.
– Non male, non male davvero. – Commenta Harvaiun, tuttora eccitatissimo per aver indovinato il segreto dei Bruni.
– Cristallo. Vero cristallo. – Noro Eban accarezza con la punta delle dita le finestre del loro asilo. – Anche a Dancemarare non saranno più di una trentina i palazzi che hanno veri cristalli alle finestre.
– Invece i bruni lo usavano anche per il semplice rifugio di una piccola guarnigione. Impressionante. Dovevano essere immensamente ricchi e potenti. – Aggiunge Jay Wediliun
– E tutti questi meccanismi? Se pensi che il re dei Gu'Hijirr va fiero solo per aver fatto mettere una cerniera girevole al basamento del suo trono, c'è proprio da ridere. Qui tutti i nostri artigiani avrebbero moltissimo da imparare.
– … e noi un sacco di soldi da fare.
– Proprio vero.
– Dobbiamo riuscire a tornarci.
– Piacerebbe a tutti tornarci. Se non altro perché sarebbe la prova che in un futuro più o meno vicino saremo ancora vivi.
– Hai ragione, Kirzil. Sarà meglio rimandare questi progetti.
– Già. Forse è il caso di accendere il fuoco.
– E cucinare qualcosa.
Liberare il tiraggio si rivela più facile del previsto e ben presto un allegro fuoco illumina e scalda la stanza. All'esterno la tempesta è ripresa, ma il vento e la pioggia battono inutilmente i vetri del rifugio. 
 

– Coraggio! Fuori il cielo è lucido e azzurro come uno specchio e il sole è caldo come il bacio di una donna innamorata. Muovetevi, sbrigatevi!
Una serie di grugniti e di imprecazioni accoglie l'ottimo umore di Kirzil Pennarossa e la luce del giorno che scivola nella stanza dalle finestre aperte dal gu'hijirr.
– Su, belli. Ulfa la bella ci aspetta, con le sue focacce calde alle olive e le sue femmine stanche dei mariti.
– Perché sono stanche dei mariti?
Una risata sottolinea l'imbarazzo di Kirzil, che ha dimenticato la presenza tra loro di Moridee. La bambina spunta con il naso dalla coperta e accanto a lei, seduto a gambe incrociate, Usif-Lizhi sorride maliziosamente. – Allora, Kirzil dei Mappin, perché mai le donne di Ulfa sono stanche dei loro mariti? Spiegalo a Moridee.
– … Ecco…

– Perché i loro mariti sono sempre in giro sul Drew – A togliere d'impaccio il gu'hijirr interviene Mahaderill. La sua voce morbida e profonda risuona nella stanza come una carezza e per un attimo tutti provano la medesima sensazione di abbandono e di pace di un bambino risvegliato dalla madre. – Non si fermano mai abbastanza a casa. – Continua la gwellyniuin – Non le guardano e non le baciano. Così sono stufe di loro.
– E Kirzil e gli altri vogliono baciarle?
– Certo. Così si sentiranno meno sole.
– Bello. – Moridee scivola completamente fuori dalla coperta e fissa bene in volto il gu'hijirr. Sorride divertita. – Devi proprio essere buono, Kirzil. E anche gli altri.
– Già… – Il gu'hijirr scuote la testa e le restituisce un mezzo sorriso perplesso. "Chissà se è giusto educare una bambina a questo modo"



Si lasciano alle spalle il Ghy-dunand accompagnati da un vento fresco e profumato, dopo una colazione a base di biscotti secchi e tisana al tiglio. La strada si incurva leggermente verso il basso, procedendo sul fianco dei monti. Sotto di loro il corso del Drew scivola argenteo e silenzioso, più lontano, oltre i Colli Grigi, il Deserto Scheggiato riflette la luce del sole come una gigantesca lastra di vetro adagiata sull'orizzonte.
– Bello spettacolo, non è vero?
– Devo ringraziare questo mantello magico se posso godere di queste meraviglie. Eppure voi, Duca, forse non sapete quanto possa essere bello il mondo illuminato dalla luce della luna, visto dalla schiena di un ippogrifo. Gli ippogrifi possono salire fin dove l'aria è tanto sottile e fredda che le loro grandi ali trovano appena sostegno.
– Fino a toccare la luna?
– Così dicevano i poeti.

"Oyster il bello raccolse la luna
in seno la nascose e volò
fin sulla schiena della nube più alta
al centro del cielo la depositò
perché le onde rabbiose dell'oceano
non potessero più rapirla al mondo."

– Questo è il Tempo Elisyum, non è vero? Il poema dei Notturni.
– Sì. È la traduzione fatta dal bardo Bylitisan-drai per i Re della Casa degli Odo di Dancemarare. Oyster è un nome che molti delle terre d'Occidente conoscono.
– In realtà la luna è un altro mondo, separato dal nostro da un oceano di vuoto. Così almeno mi hanno insegnato nella mia Marrak. E nessun ippogrifo o altra creatura volante potrà mai raggiungerla. Ma si dice anche che i Notturni provengano proprio dalla luna. E che il desiderio che provano per lei nasca dalla nostalgia.
– Conosco questa leggenda. Bella, come molte leggende, ma altrettanto assurda. E il sole?
– È ancora più lontano, fortunatamente. Le sorti del nostro mondo vi sono unite ed esso vortica come una pietra in una frombola, attorno alla mano che la regge. E grazie al cielo si tratta di una mano instancabile.
– Questo lo lessi anch'io nei libri della mia famiglia. Dufigh il Nero vi aggiungeva che il mondo si avvicina e si allontana al sole e a questo si debbono le stagioni. Ma in questo era contraddetto da Gayun il sottile che invece sosteneva che il mondo fosse rotondo come un'arancia e inclinato. Le terre più lontane dalla sua luce sono le più fredde e le stagioni sarebbero dovute al variare dell'inclinazione del mondo nel corso del suo viaggio intorno al sole.
– Ingegnoso. E quale ipotesi prevalse?
– Dufigh il Nero proveniva da una famiglia più in vista. E così nei nostri libri la sua tesi ha più spazio. Ma ciascuna rocca fa per sé. Nella mia la tesi di Gayun era preferita. Anche perché esistono altri mondi che, come il nostro, ruotano intorno al sole. E il mondo d'argento, per esempio, Urìa, si mostra periodicamente incompleta, come se un altro mondo gli facesse ombra.
– In questo la vostra famiglia sembra contraddire i vostri grandi viaggiatori, che sostengono di essere giunti al limite del mondo e aver visto le acque dell'oceano circolare, il mare obliquo, che cadono oltre l'Orlo e, grazie alla capillarità, ritornano al centro del mondo, alla Sorgente Ultima, a formare il grande ciclo dell'Acqua.
– I nostri grandi navigatori talvolta non si sono mai mossi dalle loro rocche. Ma erano ottimi narratori.
Il duca Kwister ride. – Siete un eccellente conversatore, cavaliere Usif-Lizhi, anche se non mi pare abbiate sufficiente rispetto per le vostre tradizioni.
– Le tradizioni ci stanno uccidendo. Siamo un popolo tanto colto e scrupoloso nel rispettare gli usi degli antenati che nessuno riesce più neppure a soffiarsi il naso senza aver consultato una dozzina di antichi libri. – Una punta di rabbia è penetrata nella voce del notturno, che ha distolto lo sguardo dalla strada e fissa l'aria davanti a sè. – Abbiamo paura di ciò che deve venire, paura delle nuove vite, terrore dell'infanzia. La nostra ansia per la fine che si avvicina è tale da volerla anticipare, rifiutando di dare vita a figli e nipoti. E il nostro popolo ha ormai una mente vecchia, timorosa, pavida. 

 
Educatamente Kwister preferisce tacere. Le riflessioni di quello strano notturno risvegliano in lui l'ansia per la sua missione. A muoverlo è una semplice profezia, versi e parole che da anni nelle marrak tutti si ripetono abbassando la voce. "Da dove vengono venti tanto forti da scuotere Ruthen e Lö?". E mentre Enklu ha attraversato le coste d'occidente, fino a Prospera, l'Isola-Continente, altri Lupi-Drago hanno percorso Uhbarr o le terre Asciutte oltre Klezmer, Lidele e Odeser, gli ultimi castelli di Bartsodesch, il suo compito è attraversare il sud e l'est per trovare finalmente il nemico che da anni i Lupi-Drago attendono.
«Il nostro nemico sta nella cinta di Dancemarare, e come un titanico ragno assassino tesse la sua tela tra Urag, le Porte d'Oriente e il Drew, ormai lo sappiamo. Ma anche qui, in queste terre lontane, vi è modo di combattere contro Konstantin, ferirlo, spezzare i suoi fili e i suoi nodi».


– Fumo. Lo vedete? – Usimbal, il secondo della Goren indica un punto oltre una cresta.
– Oltre quella cresta c'è Ulfa. Circondata dai monti, abbracciata dal fiume, come dicono a Farsoll. – Oakin fa un cenno a due suoi marinai. – Precedeteci. Arrivate alla cresta e guardate cosa accade.
I due marinai accellerano il passo e ben presto scompaiono oltre l'orlo della strada in salita.
– Ulfa è dunque terra gu'hijirr? – Chiede Enklu.
– Un'antica alleanza unisce la Lega delle Chiuse al regno dell'Estuario. – Conferma Oakin, stranamente solenne. – Dovere di ogni suddito del nostro re ("chiunque egli sia in questo momento" sussurra Usimbal)… del nostro re, dicevo, è difenderne le città della Lega come difenderebbero la cinta di Farsoll.
– I Semurgh?
– È probabile. Hanno già preso Villa Lou. Uxsiel Flynnen è deserta come una tomba e se cade Ulfa per la Lega non vi saranno più speranze.

Continuano a camminare in silenzio, attendendo che i due marinai portino loro notizie.
Non è passata più di un'ora che i due gu'hijirr ricompaiono correndo.
– I Semurgh. – Dice il primo di loro. – Hanno circondato Ulfa e hanno grandi macchine da guerra.
– Sono ovunque come formiche e le loro tende affollano i fianchi dei monti come funghi. – Continua il secondo.
– Vi sono anche le tende di cuoio degli Uhban e gli stendardi di Tedeki. – Termina il primo.
– Vi sono segni di resistenza sulle mura della città? – Chiede il Duca Kwister.
Il primo gu'hijirr annuisce. – Gli spalti sono sorvegliati e recano i colori di Ulfa.
– Bisogna andare a salvarli!
La frase di Kirzil, solitamente assai poco guerresco, li prende di sorpresa.
– E come faremo, Kirzil dei Mappin? Siamo appena una trentina. E i nostri nemici sono migliaia. – Risponde per tutti Noro Heban.
– Abbiamo i nostri mezzi, non è vero Oakin?
Il vecchio marinaio sospira e si stringe nelle spalle. – Sì. Ma bisogna ugualmente studiarsela bene. 

 

17.2.20

Il Mare Obliquo 56

Il viaggio verso Ulfa di Usif-Lizhi e dei suoi amici continua a piedi, camminando su un'antica strada dei Gu'Hijirr Bruni. La piccola Moridee che li accompagna si rivela una risorsa inattesa.
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– E questa sarebbe una strada?
Oakin, lontano dalla sua nave e degradato da marinaio a viandante, ogni dieci minuti recrimina e maledice l'antica via scavata dai Gu'Hijirr neri e che procede a mezza costa sui monti Ndy fino a Monte Bilgiam, che domina Ulfa.
– La strada è abbandonata da secoli e solo i Silvani ne conservavano il ricordo. Senza questa strada ci saremmo già perduti nei boschi e saremmo finiti dritti in qualche accampamento di Semurgh.
Oakin sa alla perfezione che il Barone Enklu ha ragione, ma questo non gli impedisce di scuotere la testa e imprecare a bassa voce. – Avremmo potuto procedere lungo la costa, trainando la nave.
Il suo secondo deve averlo udito perché non perde l'occasione per rimbeccarlo. – Dai, Oakin, lo sai che era impossibile. La corrente ce l'avrebbe strappata di mano. Oppure saremmo finiti in mezzo al fiume con lei. La Goren sta bene dov'è, ancorata nell'Ansa del Guaritore. Se torneremo la riprenderemo e viaggeremo comodamente spinti dalla corrente.
– Maledetto Usimbal. Possibile che quelli della tua schiatta non perdano mai la lingua?
Ma dopo quell'ultimo augurio Oakin decide di tacere e guardare dove appoggia il passo. La strada dei Bruni, selciata con pietre tagliate a stella, così accuratamente posate che ben pochi semi sono riusciti ad attecchire tra le connessure, è tuttavia consumata e ingombra di rami e tronchi marciti di alberi caduti. In qualche punto il fondo ha ceduto e la pavimentazione è divenuta il fondo di larghi stagni circolari che li obbligano a complicati giri nel sottobosco fittissimo.
Il cielo non si è rasserenato dopo la tempesta del giorno precedente e grandi nuvole scure lo attraversano veloci stendendo la loro immane ombra sulle montagne.
A intervalli regolari la strada si allarga davanti a piccole costruzioni fatte della stessa pietra del colore della sabbia bagnata che pavimenta la strada.
– Forse ospitavano piccole guarnigioni. Guardie per il controllo della strada – Aveva ipotizzato Kirzil.
– No. – Moridee l'aveva contraddetto con compiaciuta sicurezza. – Erano stazioni per il cambio dei cavalli. Ve ne sono sei come questa, poi una più grande dove era possibile riposare e mangiare. E il ciclo si ripeteva ogni settantasette ghy. Ogni undici ghy una costruzione, al settantasettesimo una stazione di riposo.
– E cosa sarebbe un ghy, signorina Moridee?
– La misura di lunghezza dei Gu'hijrr bruni. Un ghy vale undici fud, ciascun fud vale sette kogdam e ciascun kogdam vale undici flitten. 
 – Sette e undici, curioso. Dovevano avere una vera passione per questi numeri. – Osserva divertito il Duca Kwister.
– È perché possono essere divisi solo per se stessi o per uno. Tutto ciò che hanno fatto i Bruni è basato sull'unicità . – La bambina si stringe nelle spalle. – I bruni erano fatti così.
– E tu come lo sai?
Moridee esita a lungo prima di rispondere. – Mio padre. Mi ha raccontato di loro. Mi ha mostrato i loro libri. 

 
– Scusa. Avrei dovuto immaginarlo.
– Perchè ti scusi, Duca lupo? Mio padre è sicuramente vivo. Quelli come lui, che conoscono tante parole, sono preziosi. Nessuno li uccide. Lui me l'ha ripetuto tante volte.
– Hai ragione. E noi lo troveremo.
Moridee annuisce seccamente, come se anche quella risposta fosse già prevista.
– Ma forse non hai mai visto i nostri libri, Moridee.
La bambina si volta verso il Notturno e fa segno di no con la testa.
– Vi si parla spesso dei Numeri unici. Tutto si può dividere in parti più piccole. Una pietra, un vaso, persino una montagna. Ma i numeri unici si possono solamente ridurre a tante unità, dalle quali ripartire da capo per ricostruire le cose. Solo ciò che vive è indivisibile. Così dicevano i nostri antichi maestri. Ma molte delle cose che hanno scritto sono state lette negli in-quarto dei gu-hijirr bruni. Prima di noi, sono venuti loro. E mi sembra impossibile che un popolo tanto saggio sia scomparso dall'orlo del mondo. – Usif-Lizhi parla piano, in un soffio, come se le montagne avessero orecchie e potessero riferire le sue parole ai loro antichi abitanti. – Tu sei stata fortunata, Moridee, perché hai potuto vedere i loro libri.
– Erano molto grandi e molto pesanti. Mio padre li leggeva tenendo i guanti. Erano in una stanza di cui solo lui aveva le chiavi. E solo lui poteva leggerli. Ma io li ho toccati. – Sorride nel raccontare la sua audacia. – Quando lui non guardava. Ma non li ho mai rovinati.
– Sicuramente sei stata tanto saggia quanto fortunata.
– Un pochino mi annoiavo. Ma solo un pochino. E poi non capivo le parole. Solo qualcuna. Mi piacevano le carte, però, erano colorate. C'era anche il fiume. Il Drew. Lo chiamavano Taifon, loro.
– Erano queste le loro terre? – Chiede Kwister.
– Certo, Duca Lupo. C'erano nelle loro carte. E c'era anche il Kie e le Montagne dell'Orlo. Mio padre diceva che sono nati proprio qui. La loro capitale si chiamava Minìnghal e aveva mille e mille colonne. Era al centro di quello che adesso chiamano il Deserto Scheggiato. Io penso che sia un peccato che adesso non ci siano più. Avevano degli strani abiti, bellissimi.
– Il tempo si porta via le nostre vite e anche le nostre città. – Risponde il Duca, senza davvero rendersi conto di parlare con una bambina di otto anni. E Moridee annuisce solennemente, come faceva quando era il padre a esprimersi sul passato e sul futuro.



– Dove ci fermeremo? Il tempo non sembra abbia intenzione di migliorare. – Disse Harvaiun dopo un paio d'ore di silenzioso cammino.
Sollevano il capo. Il giorno si sta consumando, sconfitto dalla nubi che lo presidiano, massicce e oscure come enormi navi. La strada proprio in quel momento giunge in cima a una cresta e il vento li assale. Si stringono intorno a Moridee e alla fata Mahaderill e debbono rallentare il passo.
– Bella domanda, Share. Qualcuno sa rispondere? – Chiede Oakin.
– Tra poco incontreremo un settantasette-ghy. E ci potremo fermare per riposare. – Annuncia Moridee.
– Un cosa?
Ghy-dunand. I Bruni lo chiamavano così. Erano tutti segnati sulle loro carte. Io però non ne ho mai visto uno. Dalla strada che parte dall'ansa del Guaritore si arriva al ventidue-ghy. Poi ce ne sono stati altri quattro. Tra poco ci dovrebbe essere il settantasette-ghy. Chiaro?
– Perbacco! Chiarissimo. Chi ha detto che a stare sempre in mezzo ai libri si perde tempo? Eh, Oakin?
– Dipende. Se sei tu a farlo, Kirzil dei Mappin, sicuramente perdi il tuo tempo.
Il Ghy-dunand appare subito dopo un lungo e difficile tratto della strada che passava all'interno di un bosco di pini neri e altissimi.
– Quello è il settantasette-ghy. – Dichiara Moridee e si mette a correre.
– Dove vai? Fermati! – Le urla inutilmente dietro Enklu, gettandosi all'inseguimento un attimo dopo. – Può essere pericoloso!
La costruzione dei gu-hijirr bruni è grande come un palazzo di Farsoll e, come un palazzo della capitale dei gu-hijirr, è sollevata dal terreno.
Moridee è arrivata allo spiazzo che la circonda e si ferma a guardarla. Enklu vi arriva un istante dopo e le appoggia una mano sulla spalla.
– Come si entra? – Le chiede.
Moridee scuote la testa. – Questo non lo so. Penso che legassero i cavalli sotto il palazzo per ripararli dal vento e dalla pioggia.
– Ma non ci sono finestre. È tutto chiuso.
– Ci saranno, solo che non si vedono. – Ribatte la bambina con logica stringente.
– Già. E nello stesso modo non si vede la porta.
In breve tutti, marinai e viaggiatori, si dedicano a esplorare palmo a palmo il pavimento e le colonne alla ricerca di un passaggio, di una leva, di un segnale che indichi il modo di penetrare nel Ghy-Dunand.
– Io ne ho abbastanza. – Il primo a cedere è Harvaiun che si siede sul pavimento e si libera rumorosamente dello zaino. – Per me è sufficiente una coperta, un fuoco e un tetto sopra la testa. È vero che la casa è senza pareti, ma di questi tempi ho imparato ad accontentarmi. Avete capito? Lasciate perdere. Qui ci vorrebbe qualcuno dentro, qualcuno che apra. Ma qui l'ultimo ha chiuso la porta e non si è posto il problema di quelli che sarebbero arrivati mille anni dopo.
– Temo che tu abbia ragione, per una volta. Ma mi secca rinunciare. Se riprende la tempesta questo tetto servirà a ben poco. Tu Moridee sei proprio sicura di non ricordare qualche disegno, qualche trucco?
La bambina, pallida, si stringe nello scialle prestatole dalla fata Mahaderill e scuote la testa. – Non lo so, Kirzil, ti giuro che non mi ricordo nulla.
– Pazienza, speriamo nella misericordia degli dei.
Anche Pennarossa decide di seguire l'esempio di Harvaiun e si siede accanto a lui. – Quando avranno finito di agitarsi dovremo accendere un bel fuoco. E metterci sopra qualcosa a cuocere. – Una raffica di vento più forte lo obbliga ad abbassare la testa. – Sempre che si riesca ad accenderlo.
– Hai notato, Kirzil? Ci sono undici colonne. Dieci disposte tutte intorno e una, più grossa, al centro. 

 
– Ovvio. Contavano per undici, questi qua. I palazzi di Farsoll stanno su dodici colonne, tre per quattro. Mi sembra più logico, tre per quattro. E si sale da una botola. Ma qui non ci sono botole.
– Certo che proprio voi gu-hijirr non riusciate a trovare un passaggio. …
– E che cavolo vuol dire? La gente li chiama gu-hijirr bruni giusto perchè avevano la pelle coriacea come noi. Ma non assomigliavano a noi più di quanto un rospo assomigli a una tartaruga.
– Già. Mi sembra un bel paragone. Le tartarughe sono più belle, comunque. Ci sono sette linee scolpite su ciascuna delle colonne. Voialtri non avete mai avuto abbastanza senso artistico per decorare le vostre famose palafitte. Sette linee ondulate, piuttosto belle. Sette, sette, sette, sette, sette…s… otto?
– Come otto?
– La colonna centrale, ci sono otto linee.
– Ma va'. Non sai più contare.
– Giuro. – Harvaiun si alza per controllare. Passa in mezzo agli altri, ancora intenti a scrutare la superficie inferiore della costruzione nel tentativo di scorgere il disegno di una botola da forzare, e si piazza davanti alla colonna.
– Una, due, tre… – Preme con forza il dito sull'anello ondulato di pietra che circonda la colonna. – … quattro, cinque, sei, sette, OTTO! Vist…
Con un cupo cigolìo la parete della colonna scivola verso l'interno, mostrando i gradini stretti di una scala che sale verso l'oscurità e Share Harvaiun, tuttora infervorato nella sua discussione con Kirzil, è il primo a penetrare nella fortezza dei bruni, anche se non con la dignità appropriata.
– E bravo, pesce! – Gli grida Kirzil.

11.2.20

Il Mare Obliquo 55

Dharlemhiun è caduta e il Horr Vamaiun è morto, ma la situazione non è affatto pacificata. L'Arciduca Kostantin sta raccogliendo un'armata e i popoli antichi devono affrontarlo prima che sia troppo tardi.
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Dharlemhiun accoglie in silenzio il vincitore.
Vecchie case dei tetti di ardesia, strade chiare di pietre di fiume, bagnate dalla pioggia e la lunga fila dei nuovi soldati delle Case d'Acqua che salutano Teardraet levando le armi al cielo immobile.
Maldanea cavalca accanto al suo Id'Iun e vede passare i colori delle isole e delle coste dei Syerdwin. Dalla Porta Candeliera, la più antica della città, hanno risalito i quartieri di mare salendo verso la Sirena, la lunga collina dove sorgono le residenze delle più antiche Case e il Fondongiano, che raccoglie nelle sue mura il palazzo reale e la piccola rada di Rarin, dalla quale, ai tempi delle guerre con i Lupi-Drago, partivano e arrivavano i rifornimenti per la capitale assediata.
– Quanti morti, Nivel'iun?
– Non abbiamo ancora terminato di contarli, Liest. In quest'ultima settimana i fedeli di Vamaiun hanno forzato le porte di tutte le grandi case della città. Hanno trascinato via i vecchi vicini al cambiamento e i piccoli appena trovati sulle spiagge. Volevano farne ostaggi per costringerci a cessare l'assedio. Ma molti si sono rifiutati di seguirli, hanno combattuto, anche le femmine e gli anziani. Qualche Casa ha sprangato le porte ed è stata bruciata.
Teardraet annusa l'aria. – Ho avvertito l'odore. E dalla Yinnavaud ho visto gli incendi che coloravano le acque. Che ne è stato degli ostaggi?
– Li hanno rinchiusi nei sotterranei del Fondongiano. Quando i Lupi-Drago di Deshigu sono entrati dal varco nelle mura i fedeli di Vamaiun hanno aperto le chiuse e allagato i sotterranei. Ben pochi si sono salvati.
Teardraet china il capo e macchinalmente risponde al saluto di un gruppo di soldati provenienti da Kirup, l'ultima isola abitata dai Syerdwin prima della seconda linea dei ghiacci. Come gran parte di coloro che hanno abbattuto Horr Vamaiun non sanno ancora nulla di ciò che è accaduto durante il breve assedio della capitale ed esibiscono con soddisfazione le armi e le insegne.
– Abbiamo chiuso la via del mare, le vie di terra. Vamaiun e i suoi non avevano più alcuna speranza. Perché uccidere ancora?
– Forse proprio perché non avevano più alcuna speranza. E la punizione sapevano già sarebbe stata comunque terribile.
Nivel'iun non ama speculare inutilmente su reconditi motivi e lontane ragioni. Non è quello il suo compito. È un soldato, un vero soldato: da lui non otterrà di più.
La strada che sale verso la fortezza è stretta, sinuosa. Non ha nulla di grandioso, regale. È ritagliata tra i palazzi delle più antiche Case d'Acqua, nata quasi casualmente e ora corre nel silenzio, supera muri ombreggiati dal fumo, giardini macchiati di cenere. Dalle finestre sicuramente vi è ancora qualcuno che guarda passare i liberatori e il nuovo Reggitore del Trono delle Acque. Ma ancora per molto tempo ogni mattino come quello sarà occupato dal ricordo di quanti non sono tornati dal Fondongiano.
La strada si apre finalmente su una grande piazzale e sulla porta Airaillon, spalancata dall'interno dai soldati venuti da Baran e Verhida e da Therrelise.
Teardraet ferma la cavalcatura al centro della piazza. Accanto a loro passano soldati, servi, carri carichi di armi e degli oggetti rubati alla città, carri macchiati di sangue dove i difensori dell'usurpatore e le loro vittime giacciono abbracciati.
La porta e le mura non portano segni della battaglia. Le grandi macchine da guerra portate dalla isole, manovrate dalle sue navi alla fonda nel Rarin hanno aperto un grande varco nel Fondongiano dal quale sono entrati per primi i Lupi-Drago e gli Oddinak.
"È stata una manovra notevole" Aveva detto Saisek, il principe Gu'Hijirr che li accompagnava, ambasciatore del nuovo re di Farsoll, Tydly il testardo.


Teardraet in quel momento non aveva potuto trattenere un sorriso. Aveva dedicato un paio di notti, in compagnia dei maggiori ufficiali dell'armata, a studiare un modo per rendere più breve possibile l'assedio.
Fin dall'inizio aveva stupito il nemico con i suoi Oddinak, entrati in Dharlemhiun passando per i Cancelli di Roccia, impresa che nessuno aveva mai tentato. Dalla porta Candeliera, aperta dai guerrieri di Gudlinak, erano poi entrati a migliaia i suoi soldati, in testa le bandiere di Baran e di Wessiun.
Una "manovra notevole", come ha detto Saisek, un grande successo la cui eco arriverà fino alla Reggia di Dancemarare, alle orecchie di Konstantin. Una guerra è fatta soprattutto di parole.
Oltre la porta Airaillon lo attendono i trecento cavalieri dell Fama, da sempre la scorta dei Re delle Acque. Uomini, Lupi Drago, Gu'Hijirr uniti dalla fedeltà al re dei Syerdwin. Davanti a loro Marr Ghenerik solleva la spada all'altezza della fronte. La luce liquida della mattina scivola languida sul metallo rendendo il suo movimento lento, dolce come un carezza. Onore al Re! Gridano insieme trecento voci.
Teardraet abbassa il capo per salutare la sua nuova guardia personale e cerca con lo sguardo gli occhi di Marr Ghenerik.
– Fortunatamente non avete mandato la vostra ultima parola alla Marrak, Marr Ghenerik. È stato un bene per tutti.
– Per molti, Seliest, non per tutti. – Il lupo-drago esita, cerca le parole tra le pietre lucide del cortile. – Se avessimo davvero tradito, se fossimo rimasti accanto a Vamaiun fino all'ultimo istante e non avessimo abbandonato il Fondongiano, probabilmente avremmo evitato di contare tanti morti. Vamaiun e i suoi non si sarebbero sentiti tanto disperati da commettere questa vergogna. Così ho salvato il mio inutile onore. Molti innocenti l'hanno pagato.
– Non dovete tormentarvi, Marr Ghenerik. Gud'jen ark tennet veach. – Mormora il barone Deshigu in ordruke.


La porta del passato è chiusa.
Quella frase non lo abbandona. Mentre attraversa le sale del palazzo reale, devastate e imbrattate, mentre si affaccia alle finestre e ai balconi, saluta i suoi soldati, visita i feriti e rende omaggio ai morti.
Per lui si è riaperta, ora è di nuovo l'unico re dei Syerdwin. Contro di lui in tutte le terre della Corona delle Acque è rimasta solo la piccola armata di briganti riunita da Liest Kaidiun, l'ex-primo ministro dell'usurpatore, già sconfitta da Tamu Hiniun e ora rifugiatasi nella selva di Wentur.
Ancora remoti, indefiniti nelle brume del futuro, ci sono l'Arciduca Konstantin e le innumerevoli schiere dei Cancelli d'Occidente. 
 


– Ci sono prigionieri? – chiede Maldanea.
Sulla grande terrazza che domina il Rarin sono rimasti soli. La sua Id'iun non gli ha rivolto la parola per tutto il giorno ma non si è mai allontanata da lui, eretta sul cavallo, forte e silenziosa come un'antica regina.
La luce grigia del giorno scompare lentamente nella caligine salmastra della sera. Molto sotto di loro un mare opaco stringe i moli scuri e le navi dalle vele grige e nere in un abbraccio freddo e instancabile. Le luci gialle accese sulle torri e sugli alberi dei vascelli navigano inafferrabili nell'acqua. La calma è tornata, una pausa nell'affannoso rotolare di una guerra che deve terminare presto.
– Pochi, mia id'iun. Qualcuno ferito. Li ho veduti poco fa. Portano ancora i colori di Vamaiun come se non capissero che sono divenuti i colori dell'infamia. Se facessi aprire le porte delle celle di loro non rimarrebbero superstiti. E nessuno avrebbe rimproveri da muovermi per un gesto tanto crudele. Tra loro non ci sono ufficiali né membri di Casa Vamaiun. Fuggiti o suicidi. Domani il Liessthion decreterà la cancellazione della loro Casa. I libri dei Nomi saranno bruciati. Sarà come se Vamaiun non fosse mai esistita. Ed io approverò.
– Che ne è stato di Vamaiun?
– L'hanno trovato nella Torre dei Cormorani. Ucciso a coltellate. Probabilmente qualcuno dei suoi debitori d'acqua che voleva ottenere la grazia del nuovo re. Ma nessuno è ancora venuto a reclamarla. Probabilmente gli Oddinak non l'hanno ascoltato. Una fine ben miserevole per un re: ucciso da un vassallo traditore. Anche se il suo sicario non deve aver avuto morte migliore.
Maldanea, appoggiata al parapetto della terrazza, è perfettamente immobile e i tratti del suo viso sono nascosti dall'ombra. Teardraet non vede la sua espressione e gli è difficile immaginarla.
– Un vecchio piangeva nel giardino dei Kurdem'iun. Diceva che solo un Moeld avrebbe potuto assalire il Fondongiano quando così tanti erano gli ostaggi nelle mani di Vamaiun. E insieme al suo nome malediva il tuo. I soldati volevano farlo tacere, ma non glielo l'ho permesso. L'ho ascoltato, fino a quando non mi ha visto. Ha sollevato la testa per guardarmi e non mi ha salutato. Aveva gli occhi pieni di paura per il Cambiamento e i gesti stanchi degli ultimi giorni. I nostri soldati erano a disagio, tenevano le mani sulle spade. "Il vostro regno ha inizio nel sangue, Lie." "No. È Vamaiun ad aver terminato così il suo." Non mi ha risposto. Accarezzava una sciarpa e guardava oltre noi. Me ne sono andata piano, camminando sull'erba secca e bruciata. Mentre gli davo quella risposta sentivo di dire la verità, ma non posso fare a meno di chiedermelo: chi decide qual'è la verità? Ma forse è perché c'è qualcosa di terribile e meraviglioso in questa giornata. Avevo visto Dharlemhiun solo altre due volte, in compagnia del mio padre-zio. Adesso la città ci attendeva, l'ho sentita respirare di sollievo ma anche nascondere il viso per la paura mentre camminavamo per le strade. Ho visto migliaia di syerdwin felici salutarci come divinità e tanti morti quanti non avrei mai neppure immaginato. È questa la guerra, Teardraet? Città, soldati, viaggi sangue e morti? E la paura che ti accompagna sempre, quella che ti spinge a muoverti, fare. Fatico a credere di essere divenuta anch'io la nemica di qualcuno, qualcuno che neppure conosco. Eppure possono colpirmi e uccidermi, perché sono di Casa Wessiun, perchè sono la sposa del re dei Syerdwin. Non ho paura per me, non temere. Ho paura perché una cosa tanto sciocca è divenuta reale. E ciò che è avvenuto qui mi ha mostrato che non esiste un limite. I miei cugini erano ansiosi di partire e combattere. Ma non esistono il coraggio e le bella morte, solo una serie di gesti, ciascuno dei quali provoca il successivo. In questo modo sono divenuta anch'io la nemica di qualcuno. Quanto ci fermeremo a Dharlemhiun?
– Pochi giorni. Davanti all'Isola del Cinghiale incontreremo l'armata di Tidly il Testardo. I soldati della Meridiana di Therrelise sono già arrivati ad Annadille e domani supereranno i confini del regno. Li attendiamo per unirci a loro. Li guiderà Deshigu. La nostra flotta partirà domani e incontrerà le navi del Gu'hijirr e insieme attaccheranno i porti di Konstantin. La nostra sola speranza è la rapidità. Se diamo settimane, mesi ai Cancelli d'Occidente l'Arciduca riuscirà a riunire un'Armata che spazzerà via i popoli antichi.

 
– Non abbiamo altri alleati?
– Quali? I Notturni sulle montagne sapranno della guerra solo quando sarà finita. E il loro tempo è ormai prossimo alla fine. La Lega delle Acque è già stata attaccata e lungo il Drew non abbiamo più amici. Le Porte d'Oriente sono dominate dalla gente nuova e comunque Bartsodesch sa che Konstantin per il momento non intende continuare la guerra. E anche a lui non importa molto della gente antica. Dentro i suoi confini ci sono solo pochi notturni e qualche mercante gu'hijirr che commercia lungo il Defin quando non è chiuso dal ghiaccio. Viviamo con le spalle rivolte al mare e non abbiamo nessuna via di fuga. Questa è l'unica risposta che potrei dare al vecchio Kurdem'iun. Lui ha perduto i suoi nipoti ma tutti li perderemo se Konstantin vincerà.
Maldanea accarezza con il palmo della mano la vecchia pietra del parapetto. Lo stesso gesto faceva sulle terrazze della piccola reggia di Baran. Subito dopo l'alba, davanti al sole pallido e confuso dal vento salato, il vento che portava fin lì l'odore dei ghiacci e le voci delle grandi sorelle dal ventre chiaro che nuotavano oltre gli scogli più lontani.
– Perché Konstantin ci vuole distruggere?
– Gli uomini sono più prolifici di noi, premono su tutti i confini per conquistare nuove terre. E non tollerano più di dover dividere lo spazio con i popoli antichi. I Cancelli d'Occidente hanno iniziato la guerra contro Bartsodesch per respingerlo oltre le Terre Notturne e le Montagne dell'Orlo. Questo era il sogno di Artamiro, che ancora rispettava gli antichi patti tra le genti del tramonto. Ma Konstantin ha compreso che gli Antichi Regni, le terre di Farsoll, Dharlemhiun e Therrelise sono più vicine e più deboli delle Porte d'Oriente. Per questo Bartsodesch non interverrà in questa guerra, almeno finché non sarà certo dell'esito e sia noi che Dancemarare ci saremo abbastanza indeboliti.
– E quando sarà terminata?
– Resterà la prova più dura. Il-Mondo-tra-molti-istanti.


– Seliest?
– Non la senti? È la voce di Bediun.
– La sento.
– Non rispondi?
Teardraet sorride. Alza le mani e la fa scivolare sulle spalle di Maldanea. È una carezza e insieme una richiesta di aiuto. Nessun'altra creatura è mai stata tanto importante per lui. Lei rabbrividisce, ha ossa sottili e fianchi appena disegnati.
– Sono qui Bediun.
Maldanea si volta. – Ti attendono, dunque. – Lo afferra per il braccio e stringe leggermente. – Vai. Ti attendo nelle mie stanze. Per continuare la nostra conversazione.