30.11.12

M.A.d.u.L.p. 6.


Un M.A.d.u.L.P. dedicato al lungo viaggio verso l'automazione e alle sue fatali controindicazioni. In genere chi inizia a lavorare adesso trova sul posto di lavoro il pc già pronto e windowscattante. Qui si racconta una storia meno brillante e spero più divertente.
 
Quando ho iniziato…
Frase pericolosa, che può indurre qualcuno a involarsi o a passare ad altra lettura: «eccolo qua il reduce che comincia a scassare con le sue nostalgie». Ma in questo caso posso assicurare che l’incipit è necessario. Significativo. Inevitabile.

Quando ho iniziato il pc in libreria non esisteva.
Non era nemmeno una vaga possibilità.
Si sapeva che Zanichelli usava un «calcolatore elettronico a schede» per gestire il magazzino, ma era come parlare della NASA o del batiscafo di Jacques Cousteau. Miti, storie da marinaio. O, se preferite, capricci, eccentricità, manie.
In libreria – se vogliamo chiamare «libreria» le famose soffitte di Fisiologia che tuttora mi capita di sognare – si prendeva nota a mano di che cosa si vendeva, nel caso fosse l’ultima copia. Non si prendeva nota da nessuna parte, viceversa, di che cosa arrivava. Ci si limitava ad aprire le scatole e disporre i libri su tavoli e scaffali. Dopo esserseli andati a prendere in fondo a quattro piani di scale. Senza ascensore, rigorosamente. Sempre che il corriere di turno fosse riuscito a farsi udire (mancava il citofono) e non ci lasciasse le scatole ai piedi della scala dopo essersi firmato la bolla da sé.
Normale che la stima di quel che si vendeva fosse abbondantemente spannometrica. Si riusciva a capire che Il nome della rosa era un best-seller giusto perché finiva in continuazione, ma di come si vendessero realmente i «Nuovi testi» Feltrinelli o i «Centopagine» Einaudi non era poi così facile capirlo. Infatti dopo un mesetto per sapere quante copie fossero arrivate di un titolo o di un altro non restava che andare a cercare la bolla di consegna originale e controllare.
Mettendo in disordine le bolle del contabile.
Che la prendeva come un fatto personale.
Quindi si finiva per non controllare sulle bolle e provare a supporre.
A forza di supposizioni, inevitabilmente nebulose, arrivammo ad avere un magazzino record, un ensemble di libri che con i nostri ritmi di vendita saremmo riusciti a vendere soltanto in sette anni e qualche mese.
Ma questo arrivammo a scoprirlo soltanto dopo che qualcuno di noi ebbe seguito un breve corso di aggiornamento professionale alla Lega delle Cooperative. Un corso rudimentale e informale rispetto alla famosa Scuola Librai, ma già allora utile. Il soggetto inviato a formarsi – io – ritornò inorridito dalla spedizione.
D’altro canto non era poi così strano che non riuscissimo a tenere sotto controllo il mostro-magazzino (lo stock, per essere on trend). Avendo un’idea soltanto vaga di che cosa acquistavano i nostri clienti non era facile decidere che cosa avremmo fatto bene a evitare di acquistare. C’erano i libri meritori perché unzaccodisinistra che andavano tenuti comunque, i classici perché non siamo mica dei barbari, gli economici ed economicissimi perché siamo dalla parte del proletariato, i romanzi sudamericani perché siamo contro gli amerikani, i primi libri sulle medicine alternative per combattere le grandi case farmaceutiche, i libri per crescere bambini liberi e liberati, la filosofia e storia della scienza perché siamo di formazione scientifica, ma anche la filosofia e la semiotica sempre perché (di nuovo) non siam barbari, i giovani scrittori perché…
Insomma, si comprava quasi qualsiasi cosa seguendo dei criteri un po’ politici, un po’ culturali e un po’ bibliotecari. Del risultato si è detto.
A risolvere parzialmente il problema fu un furto con destrezza condotto da ladri-atleti che in un agosto non ancora ammalato di effetto serra s’involarono i libri più costosi lasciandoci bellamente sulle croste tutta la saggistica politica, i dibattiti, i pamphlet e le testimonianze di rivoluzionari di ogni luogo, tempo e sesso.
Eravamo assicurati, grazie al cielo.
Smaltimmo un po’ per volta i vibranti appelli e i roventi saggi.
Il fatto che nemmeno i ladri li avessero voluti, nemmeno gratis, ci aveva aperto gli occhi. Si era in tempo di riflusso e noi rifluimmo in un negozio, piccolo ma asciutto e tiepido, in via Ormea. Facemmo il trasloco a mano, uno scatolone a testa per quattro piani.
Giù e su. Giù e su. Giù e su.
Fino a ultimare il trasporto.
Più morti che vivi.
A quel punto, anche memori della lezione alla Lega, decidemmo che era necessario sapere con precisione che cosa si vendeva.
Inventammo espedienti di ogni genere. In primis i reparti, ovvero una rudimentale distinzione tra narrativa, alcuni tipi di saggistica, bambini, universitario e altre cose (fotocopie, penne e quaderni ecc.). Anche questo semplice sistema ci permise di uscire dalle nebbie dell’autoillusione e della buona intenzione. C’erano argomenti che non interessavano. O che interessavano per un po’ e poi basta. Poi, con l’avvento del registratore di cassa dovemmo inventarci altri codici segreti, ulteriori cifrature, ennesime formule. Il codice Enigma dei nazi al confronto era banale come un film di Neri Parenti.
Troppa complessità, ma in compenso nessuna gestione a titolo.
L’ISBN era già stato inventato, ma non tutti i libri ne erano provvisti. Particolarmente i manuali universitari ne erano privi. E poi, anche «scaricando» in qualche modo un libro venduto da che cosa l’avremmo scaricato? Dalle famose bolle? Impensabile.
All’epoca erano appena nati gli home computer. Commodore 64, Spectrum, TI 99.
Servivano a infilarci quattro righe di comandi in basic e ottenerne un segnale acustico sgradevole (boop), seguito da «bad name».
Uno di noi (lo stesso che aveva partecipato alla scuola quadri, pardon, al corso di formazione) sacrificò tempo (molto) e denaro (poco) a cercare di creare un database di uso relativamente agevole. Fece pateticamente fiasco – gli home computer servivano soltanto a mettere insieme videogiochi che visti adesso sembrano il parto di un cerebroleso – ma il tentativo servì a comprendere che «ci serviva un computer». E un programma. 


 

Il problema di CS sono sempre stati i soldi.
Anche adesso, per la cronaca.
Quindi di fare come facevano le librerie serie non si parlava proprio.
Niente M20 o M24 con programma altrettanto serio per «gestione libreria».
Oltretutto erano programmi pensati per librerie che smerciavano libri dotati di ISBN e noi ne avevamo una buona quota che sfuggivano a ogni tentativo di classificazione. Libri di medicina, a dimostrare quanto il settore fosse avanzato e attento al progredire dell’innovazione nel settore commerciale.
Era necessario inventare qualcosa.
Il qualcosa fu un programmino tuttofare della Lotus che si prestava a mettere insieme un database utile persino per noi. Elastico, malleabile e installabile (legalmente) su n computer senza doverne comprare ogni volta un’altra copia come invece prevedeva il confratello della Microsoft di Bill Gates. Nulla da stupirsi che, come in una fiaba cattiva il nostro Bill sia l’uomo più ricco del mondo, mentre Lotus è stata comprata da qualcun altro. Nel nostro mondo le fiabe hanno quasi sempre questo finale.
Di fiabe cattive, per esempio, si potrebbe scriverne una su un omino che costruiva condomini semillegali protetto dalla curia milanese, che in seguito trasmetteva illegalmente su tutto il territorio nazionale perché amico di un tizio con una «X» nel nome (che non era Darix Togni) e che poi finisce per diventare presidente del consiglio italiano. Ma anche la fantasia ha un limite. E questo sono memorie, non un pezzo di narrativa.

Spalleggiati da Lotus entrammo trionfalmente nell’era informatica della gestione del magazzino. Dovemmo diteggiare uno per uno circa ottomila titoli nel PC – si era nel 1991 – ma poi potevamo caricare, scaricare, inventariare, incrociare, sondare, preoccuparci e inorridire in un tempo (all’epoca) brevissimo. Ci mettemmo poco a capire che, comunque fosse, i titoli erano troppi e il magazzino troppo costoso.
Da questo problema non ne siamo ancora usciti, per la cronaca.
Ma soprattutto si evidenziò per la prima volta un tipo di problema che non avevamo calcolato né previsto. Un po’ quello che accadde a suo tempo al dottor Frankenstein o al dottor Jeckyll.
Avevamo generato un doppio virtuale del magazzino. Un fantasma elettronico, un’ombra che, come nel romanzo di Von Chamisso, costantemente si ribella al suo padrone. Un fantasma che ci perseguita anche cambiato il programma, cambiati i PC, cambiata sede…




Una volta, quando al telefono qualcuno chiedeva se un libro era disponibile si rispondeva «Un attimo, controllo» e si partiva alla volta degli scaffali. Dopo un tempo ragionevole si tornava al telefono e si rispondeva: «Sì», oppure «No». Adesso non c’è nemmeno bisogno di alzarsi. Si passa al file del magazzino, si controlla la giacenza e si risponde.
In genere è solo dopo aver posato il ricevitore che si è assaliti dai dubbi. «Sarà vero?». Il PC indica la giacenza virtuale. Poniamo che sia «1». A questo numero scritto nella casellina verde della giacenza corrisponderà un volume in pagine e legature? Non resta che andare a controllare. Si arriva alla sezione «economici», dove il libro dovrebbe trovarsi. Nulla. Non c’è. Nemmeno fuori posto. «Già, ma si tratta di una biografia scientifica». Si riparte verso lo scaffale che ospita «Storia e filosofia della scienza – Biografie scientifiche». Nemmeno lì. Nella sezione «Biografie – Epistolari». Niente. Il soggetto per un po’ ha scritto fantascienza. Si guarda nella sezione «Fantascienza & Fantasy». Naturalmente nulla.
Si comincia a sudare freddo. Il cliente al quale si è detto che il libro era disponibile viene da Pinerolo: «Dove il libro non si trova, non si trova proprio».
«Poesia», «Informatica», «Chimica»…
Nulla.
«Libri in offerta», «Bambini»…
Si sparge il panico.
Lo si cerca in due, poi in tre.
Nelle viscere del PC il malefico Doppelgänger del magazzino sogghigna, pronto a ripresentare il suo malefico «1». Infatti, qualcuno, ritardatario, ricontrolla e dichiara, pletorico: «Ehi, ma qui dice che ce n’è ancora una copia». C’è un principio di rissa. Un cliente entrato proprio in quel momento viene liquidato brutalmente con un: «Non c’è, vada nella libreria successiva».
Dopo un’oretta a qualcuno viene in mente una cosa: «Ehi, ma era XY? L’ho messo nella scatola della resa a Z… dovevo dirtelo, lo so. Ma mi è passato di mente… Beh, perché fai quella faccia?»
Da ogni macchina che ferma potrebbe scendere il cliente turlupinato dal malefico software. C’è un silenzio da Mezzogiorno di fuoco.
«Glielo dici tu a quello che viene da Pinerolo».
«Ah…»
Si apre la porta.
È il postino.
Sospiro di sollievo.
Suona il telefono: «Pronto, qui Libreria Righe & Quadretti. Scusate, avreste il libro XY? Abbiamo detto a un cliente che c’era. Abbiamo controllato sul computer e sembrava ci fosse, ma poi… Potreste prestarcelo?»




In genere il cliente di Pinerolo ha sbagliato numero e va a fare il diavolo a quattro all’altro capo della città.
Comunque dopo qualche avventura di questo genere adesso controlliamo.
Sempre.
O quasi.
E diffidiamo del PC e dei suoi voodoo elettronici.
Paradosso di Shlemil: «Gradi crescenti di tecnologia comportano guai di complessità tendente a infinito».

Il prossimo MAduLP sarà interamente dedicato a…
Non lo so ancora. Sarà una sorpresa.
Anche per me.

29.11.12

Un meme assassino


Eccomi qui, dopo che il buon (buon ?!?) Salomon Xeno mi ha tirato in ballo, istigato da una sua amica e motivando la sua scelta con la mia (pretesa) cultura, a dover compiere un omicidio letterario a spese di un buon libro e un buon autore per proporne uno di mio gusto. Il tutto per poter continuare un opinabile «gioco letterario». 

Sembro seccato? 
No, non lo sono. 
Ma debbo ammettere di dover combattere con la molesta sensazione di giocare con i libri e con i loro autori in un arguto e spossante gioco di società. Molto probabilmente una sensazione sbagliata, ma perché mai soltanto undici? Perché non 37 o 91, tanto per rimanere nel campo dei numeri primi? Non viene il dubbio che in questo modo, forzatamente, si finirà per fare il consueto gioco dell'attribuire un secondo premio Nobel, senza rischiare nulla inserendo un libro o un autore discusso o addirittura un libro di genere?
E poi i libri hanno tutti - beh, perlomeno quasi tutti - un loro peso specifico e una loro gravità, proprio come le stelle, e non credo che a nessuno verrebbe mai in mente di organizzare un campionato stellare enumerando undici stelle (Vega, Aldebaran, Alpha Centauri  B ecc. ecc.) e chiedendo di sostituirne una. 
La prima tentazione di chi ha una mentalità perversa e una profonda malignità intrinseca come il sottoscritto sarebbe quella di inserire CHA 110913-773444, subnana bruna poco più grande di Giove.
E nel mio caso inserire Mick Spillane, Alfred Elton Van Vogt o Fabio Volo.
Ma non lo farò.
No, no, se delitto deve essere che sia almeno veloce e relativamente indolore. 
Questa è la lista trasmessa dal malefico SX:

 1. Ingeborg Bachmann, Malina
2. Ira Levin, Questo giorno perfetto (This perfect day)
3. Ágota Kristóf, Trilogia della città di K. (Trilogie)
4. Elfriede Jelinek, La pianista (Die Klavierspielerin)
5. Joe R. Lansdale, In fondo alla palude (The Bottoms)
6. Ray Bradbury, Fahrenheit 451
7. Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit)
8. Virginia Woolf, Orlando (Orlando: A Biography)
9. Jeffrey Eugenides, Middlesex
10. Sandro Campani, Il paese del Magnano
11. Primo Levi, La chiave a stella

dalla quale lui ha tolto Christa Wolf, Medea. Voci (Medea: Stimmen), per inserire Fahrenheit 451 di Ray Bradbury
Il mio problema, a questo punto, è quello di eliminare qualcuno per mettere al suo posto il libro da me prediletto. 
Lo ammetto, ho la tentazione di rimettere al suo posto Christa Wolf buttando fuori il primo che capita, magari il primo in ordine alfabetico di cognome, ma non mi pare serio. 

Cercherò di comportarmi da bravo bambino e inserirò un grande scrittore, autore di un libro che mi ha fatto compagnia per molti anni della mia vita. 
E lo farò di giovedì, dal momento che per il venerdì avevo altri programmi. O meglio, altri programmi possedevano me. 
Si tratta di Foto di gruppo con signora di Heinrich Böll (Gruppenbild mit Dame). Un libro che ha la curiosa caratteristica di fare compagnia, ovvero di intrattenere senza mai annoiare, proprio come un vecchio amico. Dopodiché ammetto di avere un'altro centinaio di papabili - uno per un motivo uno per l'altro, - ma la misura è di undici e a quello mi atterrò.   
In questi undici ci sono alcuni libri davvero notevoli, come La pianista di Elfriede Jelinek (non l'avete mai letto? Fatelo!), Malina della Bachmann o Trilogia della Città di K di Agota Kristof o Viaggio al termine della notte di Céline e altri libri in qualche modo più discutibili per svariati motivi. 
Mi ha onestamente sorpreso incontrare tra questi 11 il libro di Campani, Il paese di Magnano - un buon libro, d'accordo, del quale consiglio la lettura, come noma soltanto la seconda prova di un autor giovane (oltre tutto musicista, sia gloria a lui!) che avrà ulteriori ottime occasioni per scrivere un libro da consegnare ai posteri. Quindi lo tolgo senza troppi sensi di colpa, augurando nel contempo di tutto cuore a Campani un luminoso futuro. 

Il nuovo elenco è quindi: 

 1. Ingeborg Bachmann, Malina
2. Ira Levin, Questo giorno perfetto (This perfect day)
3. Ágota Kristóf, Trilogia della città di K. (Trilogie)
4. Elfriede Jelinek, La pianista (Die Klavierspielerin)
5. Joe R. Lansdale, In fondo alla palude (The Bottoms)
6. Ray Bradbury, Fahrenheit 451
7. Louis-Ferdinand Céline, Viaggio al termine della notte (Voyage au bout de la nuit)
8.
Virginia Woolf, Orlando (Orlando: A Biography)
9. Jeffrey Eugenides, Middlesex
10.
Heinrich Böll, Foto di gruppo con signora (Gruppenbild mit Dame)  

11. Primo Levi, La chiave a stella 
 
E colui che sarà chiamato al prossimo venerdì al mio stesso penoso compito è Silvia Treves




27.11.12

La testa fra le nuvole, ovvero dannatamente steampunk...



L'avevo preannunciato qui, probabilmente con un anticipo eccessivo, ma non è stata del tutto colpa mia. 
In realtà nei giorni successivi mi sono trovato a dover fronteggiare un'ispezione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la susseguente necessità di aggiornare tutti i libri sociali e i libri IVA della società, che - pur se moribonda o decisamente morta  - evidentemente poteva ancora creare qualche sospetto nell'occhiuta Polizia Zarista, pardon, nella brillante burocrazia italiana. Mentre  raggranellavo i dati per il ministero, nel frattempo annotavo le ultime operazioni, compivo gli ultimi pagamenti, inseguivo gli ultimi creditori, distruggevo alla presenza di un funzionario di banca la carta di credito aziendale. 
Il tutto negli ultimi quindici giorni. 
Oltre a questo il file della novella (+ lungo di un racconto, ma + breve di un romanzo) mi ha dato numerosissimi grattacapi, fino alla comica assurdità di essere considerato validate per epubcheck 2 ma non conforme per LuLu...
Ma alla fine ce l'ho fatta e la mia storia «Verniana» è ora disponibile per lo scarico gratuito. 
Nulla di che, sia chiaro, soltanto un piccolo omaggio a un grande autore, scritto con uno stile mimetico (per ciò che mi era possibile) e con una sottile ironia in parte tipica di Jules Verne, in parte del tutto anacronisticamente personale. 
...«A chi il cielo?»
«A noi!»
 Appunto. Anacronisticamente personale. 
Buona lettura a tutti!
Per scaricare la novella potete cliccare 


o scaricarla direttamente dall'angolo in altro a sinistra della homepage. 

 

25.11.12

Outside


I miei rapporti con la produzione di David Bowie sono sempre stati piuttosto ondivaghi, di volta in volta attirato e respinto dai suoi esiti artistici. Avevo un certo interesse e non poca curiosità per il Bowie bel gigione dei tempi di Ziggy Stardust & the Spiders of Mars o per il Bowie nietzschiano dell'album The Man who sold the World, con un titolo così visibilmente ispirato a Cordwainer Smith. Diamond Dogs mi lasciò solo tiepidamente soddisfatto e da allora seguii in modo discontinuo la carriera di Bowie, apprezzando non poco canzoni come Hero o Chinese Girl ma senza pacquistare nulla di suo. Fino alla collaborazione con Brian Eno e l'uscita di Outside.
...
La mia copia del CD è piuttosto consumata. Ho dovuto sostituire la custodia in plastica, qualche pezzo si incanta (den-den-den-den-den) come fanno i CD... 
Accompagnato da Outside con il suo detective Nathan Adler e i suoi miracolosi soli di pianoforte ho scritto il romanzo a quattro mani con mia moglie – Riduzione a Icona, scaricabile gratuitamene dal suo sito, qui a sinistra. Alcuni brani del romanzo richiamano frammenti musicali e viceversa: un'esperienza davvero sorprendente, mai avvenuta con tanta nitidezza con altri brani musicali. 
Il brano presentato è Hello Spaceboy, prima in versione da studio, poi in Live.
Da ascoltare in cuffia, a un volume sparato.


     
 

23.11.12

M.A.d.u.L.p. 5

Questa volta parlerò dei libri universitari. Universitari scientifici - in particolare -, medico-biologici. E della fotocopiatura selvaggia. Resistete alla tentazione di scappare: è possibile che il tema non appaia come uno dei più affascinanti, anzi che appaia anche sottilmente perfido nell'accusare il vasto popolo degli studenti di ciurlare nel manico, ma non è (del tutto) così. Tengo famiglia, come insegnava Leo Longanesi, e ho imparato sulla mia pelle che cosa significa il prezzo eccessivo di un libro. Ma in un certo qual modo rimango fedele al mio punto di vista. I libri che di comune accordo con mia figlia abbiamo ritenuto «essenziali» sono stati regolarmente acquistati. 
Buona lettura a tutti. 



Ho cominciato vendendo libri universitari.
Tuttora (sic!) CS vende libri universitari, anche se sono diventati una parte molto meno importante del fatturato (del sell-out, perdinci!) dell’azienda. Per tanti motivi, primo tra tutti l’introduzione del numero chiuso nella facoltà di Medicina e Chirurgia, in secondo luogo per il capillare diffondersi del fenomeno della fotocopiatura, in terzo luogo per il trasferimento (esilio?) delle facoltà di Agraria e Scienze Forestali e di Medicina Veterinaria, in quarto luogo per il graduale, anche se ancora insufficiente, emergere di testi di dimensioni e prezzi ridotti per corsi di durata ridotta (18 ore, 40 ore, 60 ore ecc.).
All’inizio (al mio inizio) il mercato universitario medico era affollato di titani dai nomi che ricordavano le corazzate e gli incrociatori di inizio ventesimo secolo. Il Dianzani come il Giovanni dalle Bande Nere, il Testut-Latarjet come la Viribus Unitis, il Lenti (di biochimica) come… come… se a qualcuno viene in mente il nome di un vecchio ferro da stiro nato obsoleto e affondato il giorno del varo può completare il paragone. A me non viene in mente nulla.
Erano megalibri dalle mille pagine in su, degni di adozione soltanto se composti da almeno due volumi. Trattati che si sforzavano di esaurire o quasi la materia, nati o curati da generazioni di accademici che in primis cercavano di renderli inaffondabili ai perfidi siluri dei colleghi degli atenei del resto del paese. Libri esorbitanti e, a loro modo, ammirevoli, ricchi di informazioni essenziali come di informazioni sostanzialmente inutili allo scopo ma suggestive (in genere caritatevolmente stampate in corpo minore), in qualche caso summae totalizzanti nate nell’Italia liberale dei galantuomini, adeguatamente rimpinzate in epoca fascista e ulteriormente ingrassate negli anni del boom economico. Templi del sapere, piramidi di conoscenza. Abissi di follia se lo scopo era quello di cavarne le informazioni necessarie a superare un esame.
Navigare nelle loro pagine significava entrare in un mondo ancora largamente premoderno, stare in compagnia di pagine che davano del Voi al lettore, che evitavano la semplicità o la scorrevolezza della lettura come un santo evita le profferte amorose di una donna perduta. Un po’ meglio si andava con i libri tradotti dall’inglese (memorabile il Lehninger di biochimica, libro delizioso ma ahimè insufficiente per gli allora titolari del corso di biochimica per medicina, coevi del dottor Van Helsing), anche se il loro utilizzo era all’epoca scarso e sporadico.
Scopo degli editori era quello di accaparrarsi il parto pluriennale del luminare di turno, stamparlo rigorosamente in carta patinata per renderlo illeggibile sotto una luce da tavolo, applicargli un prezzo sufficientemente vertiginoso e cercare di renderlo il testo di riferimento per tutti i cattedratici italici della medesima materia che non avessero ancora affidato la loro scienza alle stampe.
Le tirature non erano altissime, naturalmente, ma con ondate di studenti che annualmente si rovesciavano sulle insufficienti strutture della facoltà di Medicina la semplice adozione da parte dell’autore/titolare poteva permettere un utile se non considerevole, almeno dignitoso. Buona parte degli allievi, infatti, compravano. Le fotocopie era antieconomiche, all’epoca.
Per indurre il luminare a scrivere era necessario proporgli diritti d’autore non esattamente modesti, ma, d’altro canto, la torta era ricca e abbondante e ce n’era davvero per tutti.
La ricchezza della torta era dovuta anche al costo ridotto della distribuzione libraria, in qualche caso rudimentale, dilettantesca o semplicemente semiclandestina. I grandi editori del settore (UTET, Piccin, Minerva Medica, CEA) possedevano proprie reti di distribuzione, ovvero agenzie che si occupavano della vendita alle librerie e della vendita rateale ai professionisti dei titoli del catalogo professionale. Gli editori medio-grandi, medi o piccoli, viceversa, facevano circolare i propri libri per mezzo di grossisti nazionali o multiregionali che molto spesso si occupavano personalmente dello smercio, della promozione e della consegna dei volumi. Promotori-grossisti-camionisti tanto spregiudicati quanto ricchi di iniziativa, veri e propri corsari coi quali ogni trattativa aveva il fascino romantico di una transazione nella Chicago anni Venti del Piccolo Cesare.
Non solo: forme di commercio ritenute obsolete come il baratto ritornavano allegramente in voga:
Per dieci Battistini, sei Pequod-Melville+venti tavole murali del pisello rugoso.
Il Pequod-Melville è un cimelio. Ci studiano giusto i fuoricorso dell’Ottocento. Mi servono quattro Tannhaüser di Riabilitazione proctologica. Li hai?
Dieci. Dieci Pequod-Melville e in più ti metto un dizionario medico russo-tedesco, due atlanti di anatomia del dito indice di Katagawa e cinquanta tavole murali del pisello rugoso.
E il Tannhaüser?
Quello non ce l’ho.


CS, nata con intenti severamente rivoluzionari (Diritto allo studio! 20 per cento di sconto a tutti!) non ebbe vita troppo facile. Le librerie e le cooperative (genovesi) già esistenti non approvarono la nostra generosità egualitaria e bolscevica e per prima cosa si rivolsero agli agenti dei grandi editori (Utet ecc., già citati) diffidandoli dal venderci anche solo una pagina. Il blocco funzionò anche se non troppo bene per qualche anno, almeno fino a quando CS non atterrò in via Ormea dopo qualche anno di lotta dura e senza paura nelle mitiche soffitte di Fisiologia. La nostra resistenza (pagata con agghiaccianti rossi di bilancio) fu salutata con l’accessibilità alle forniture da parte degli editori maggiori e con una campagna di sconti feroci (20 - 30 per cento) proposta e praticata dalla già citata supposta cooperativa genovese. CS, che era sopravvissuta grazie ai camionisti del libro scientifico, capaci di trovare qualsiasi libro in barba a esclusive e zone d’influenza, fu costretta a farvi nuovamente ricorso, questa volta per trovare sconti sufficienti a resistere.
Sconti del 30-35-40 per cento non sono così usuali nel settore librario. Ma il settore universitario scientifico era (e in parte tuttora è) una zona franca – o forse sarebbe bene dire zona grigia – dove la relativa certezza dell’investimento (adozione universitaria) e gli alti prezzi di copertina contribuiscono a moltiplicare gli intermediari. Grossi volumi di acquisto determinano ribassi di prezzo anche molto vistosi, secondo principî commerciali tipici del mercato ortofrutticolo. Mentre il mercato strettamente scolastico è più o meno rigidamente regolamentato, quello universitario è stato per molto tempo luogo d’incursione e di felice invenzione distributiva. Margini anche molto bassi su grossi volumi di vendite erano sufficienti a figure di vario genere per inserirsi nel meccanismo commerciale proponendo sconti straordinari e pagamenti in tempi geologici. Medi o piccoli editori, titolari di uno o due titoli «pesanti» nell’università italiana e in grado di garantire sconti molto elevati, potevano rivelarsi elementi di mediazione molto interessanti, divenendo carta di scambio e valuta franca.
CS, aggrappata a margini lordi che non superavano il 5 per cento riuscì a resistere anche agli «sconti folli» (che non hanno comunque smesso di apparire, sia pure sporadicamente in un mercato in profonda crisi), approdando finalmente (???) alla stagione d’oro della fotocopiatura.


AIE stima in circa duecento milioni di euro la quota di fatturato di libri universitari annualmente sottratta a editori e librai dalla fotocopiatura.
«Pazienza. In fondo c’è stata gente che ha straguadagnato negli anni scorsi».
Vero, o almeno in parte vero. Almeno in parte perché i grandi editori già citati non è esattamente che se la siano sfangata troppo bene in tempi recenti. UTET è stata acquistata da DeAgostini (che, detto per inciso, non è più un gigante dell’editoria ma una sorta di biscazziere parastatale), CEA da Zanichelli, colosso dell’editoria scolastica. Minerva Medica ha attuato una profonda revisione dei propri piani editoriali puntando su titoli di dimensioni ridotte, e Piccin, sia pure in ritardo, la segue sulla stessa strada. Gli anni d’oro, fatti di colossali acquisti da parte delle case farmaceutiche per aggiornare specialisti e omaggiare mutualisti e di decine di migliaia di matricole iscritte a Medicina e Chirurgia sono lontani anni luce. Non che il settore sia ridotto alla fame, naturalmente, ma adesso molto più di un tempo l’offerta del catalogo è fatta di traduzioni. I luminari, in un’Italia costretta a confrontarsi con la produzione scientifica internazionale, sono passati di moda come i cerini o i mangiadischi. Non sono del tutto scomparsi ma vestono ormai i panni di professionisti più o meno quotati. Il loro insegnamento non è più Verbo Incarnato ma di volta in volta istruzione o prassi. I libri universitari hanno perso aura e considerazione. In molti casi ritenuti un supporto didattico velocemente obsoleto e troppo costoso hanno l’opzione della fotocopiatura inscritta nel codice genetico. A salvarsi quasi sempre i libri ritenuti a vario titolo davvero «importanti» oppure i libri per i quali è basilare l’uso dell’illustrazione a colori. Atlanti, testi di anatomia, di istologia, di radiologia. Testi di medicina interna, manuali di terapia medica. Per gli altri la fotocopiatura è una tentazione resa ancora più efficace dall’esistenza di centri di smercio di libri già precedentemente fotocopiati. Entro una settimana dall’inizio dei corsi i cloni dei testi adottati sono pronti, a prezzi che vanno dalla metà a un terzo del listino dell’editore.
Le tasse universitarie in costante crescita e i costi per il mantenimento di un figlio all’università (soprattutto se fuori sede) sono altrettanti elementi che spingono a scegliere il testo fotocopiato. D’altro canto il libro fotocopiato è una minaccia non tanto remota per la possibilità di produrre nuovi libri. Il libro scientifico prevede un lavoro di impaginazione, verifica, correzione e traduzione (nel caso) necessariamente più accurato del normale libro di saggistica, anche scientifica. A questo lavoro preparatorio si debbono i costi nettamente più alti dei manuali universitari ed è proprio per questo che la fotocopiatura si rivela vantaggiosa. Ma consulenti, traduttori, redattori debbono essere pagati, anche poco, anche saltuariamente e in ritardo, anche se in questi anni il lavoro editoriale si è frammentato, parcellizzato e decentrato quanto basta. Se a tirature già comunque basse – le tirature su misura per corsi divenuti troppo piccoli sono scese sotto l’orizzonte dell’editoria industriale – si aggiunge il rischio di un rientro delle spese troppo lontano nel tempo, è molto più facile gettare la spugna e rinunciare alla pubblicazione di un nuovo titolo per dedicarsi al (finto) aggiornamento di un libro ancora acquistato.
E così meno titoli (davvero) nuovi, molte traduzioni affrettate e tanti libri-collage fatti di capitoli scritti da docenti della stessa disciplina di diversi atenei e una presenza crescente dell’editoria in lingua inglese. Sconti alle librerie che diminuiscono avvicinandosi sempre più alle condizioni di sconto dello scolastico (18 per cento netto sul prezzo di copertina) e prezzi che comunque salgono, incentivando la fotocopiatura in un meccanismo destinato ad avvitarsi e che è difficile immaginare come interrompere.
Una situazione non esattamente rosea.
Non diversa, comunque, da quella più generale di un paese dotato di una classe dirigente e di un ceto imprenditoriale che hanno sfruttato i momenti buoni senza la fantasia, l’immaginazione e la lungimiranza di immaginare quelli cattivi. Di una Università che non riesce a laureare nemmeno la metà degli iscritti ma, in compenso, mette in fuga i migliori cervelli per favorire di volta in volta diversi gruppi di potere, cordate, consorterie e corporazioni. Un paese di dubbia civiltà, armato di una proverbiale corta astuzia bertoldesca che elegge un venditore di pentole e gli permette di obbligare ogni famiglia a possedere almeno quattro pentole…


Ultima nota: l’origine bolscevica e massimalista di CS permette di comprendere le ragioni di molti fotocopiatori. Fotocopiatori bradi, sia chiaro, soggetti che coscientemente decidono di rinunciare a un libro magari mediocre per fornirsi di un succedaneo malrilegato e monouso. Ma c’è una componente di mediocre e stupida furbizia e di disprezzo per la cartaccia (per la cultura? Vogliamo dirlo? Osiamo dirlo?) in molti di coloro che si gettano alla ricerca del libro fotocopiato – e lo trovano praticamente sempre nei posti giusti che nessuna Guardia di finanza riesce a scovare – in nome di una prepotente urgenza di giungere comunque al risultato con il minimo costo. Il risultato è, naturalmente, il pezzo di carta che garantisce denaro, potere e una o più grosse automobili. Soggetti che sono sempre esistiti, sia chiaro, ma che appaiono ultimamente aumentati ed esibiscono una stolida, allarmante sicurezza. La stessa di tutti coloro che credono che le leggi valgano soltanto per i fessi.
E io sono un fesso.
Fesso, che lavora con altri fessi.
In una libreria di fessi.
Come molti italiani.
Speriamo siano, in fin dei conti, la maggioranza.

Al prossimo giro si ritornerà sul leggero.
Sul perché una libreria non funziona mai come dovrebbe e sul complesso rapporto tra libraio e PC .
Questo era un eufemismo, comunque.