31.3.10

Postea


Non riparlerò del demente, tranquilli.
È andata male, inutile nasconderlo. Adesso ci aspettano tre interminabili anni di scontri con il PD che strilla e si agita tenendo d'occhio il telefono sperando che Fini o Bossi chiamino.
Detto questo, mi chiedo: possibile che il desiderio di non votare uno stoccafisso come la Bresso e tutta la sua corte di pifferi - o il disgusto di farlo - possa condurre a fare quello che regge lo strascico al Gauleiter Cota?
Lo dico senza animosità. Io stesso ho votato per la Bresso con un certo malessere. Ma il dubbio è se chi non si è scomodato a votare questa volta perché il Demente non prevalga e per salvare l'equilibrio tra i poteri dello stato - ovvero tra potere politico e giuridico-, l'avrebbe viceversa fatto se il candidato di csx fosse stato Vendola. O, putacaso, Grillo. O se proprio non avrebbero votato. Se hanno in animo di non votare mai più, lasciando che i votanti si arrangino con l'Italia così com'è.
Così, una semplice curiosità, tanto per sapere come regolarmi la prossima volta.
Gratissimo a chi vorrà lasciare qui qualche testimonianza.
Poi mi metto a cuccia e giuro che parlerò soltanto di libri, scrittura eccetera.

27.3.10

Il capo del governo e mio nonno




Giorno curioso, di nubi veloci che passano rapide in cielo per scomparire velocemente.
Un cielo rapido e inafferrabile, da nordeuropa.
La gente sembra tranquilla, senza fretta. Qualcuno si ferma in libreria, qualcuno chiede suggerimenti. Ha voglia di chiacchierare, di scambiare opinioni. Un momento di pace, strano e inatteso in un momento nel quale siamo tutti sul limite di qualcosa di ancora sconosciuto ma inquietante. Che ce ne rendiamo conto o meno.
Il demente ha minacciato, giurato, maledetto, digrignato i denti. Si prepara a colpire chiunque si sia posto sulla sua strada. Entro pochi giorni dal voto. È davvero pericoloso, stavolta. La rovina, la galera, il disonore lo minacciano da vicino.
Ho sempre sentito dire in casa, da mia madre, da mia nonna, da mio padre: «Ha un sacco di soldi... chissà come li è fatti...». In famiglia si ricordano ancora di chi faceva borsa nera, di chi aiutava gli ebrei facendosi strapagare - i gioielli, la casa per un passaporto falso. Di chi spogliava i morti e di chi spogliava i vivi. Tutta gente che poi, dal 26 aprile 1945 in poi, ha ripreso a circolare con una nuova dignità, in apparenza immemore di come quei soldi erano stati raggranellati.
«... Chissà come se li è fatti... il demente...?»
All'inizio con la speculazione immobiliare. Aiutato dalla chiesa, ovviamente [cfr. Giovanni Ruggeri, Mario Guarino - Berlusconi, inchiesta sul signor TV - Roma 1987 ... 7 anni prima della «discesa in campo», n.d.r.]. Pagando, corrompendo, mentendo, confondendo... Un tot di peccati e peccatucci prolificati senza risparmio negli anni successivi e che pesano sulla schiena come una maledizione. Nonostante ci si presenti come eroici e spregiudicati imprenditori.
I peccati pesano.
Confondono, rendono ansiosi, conducono a rabbie improvvise e inattese, a produrre smorfie, versi, ghigni. Il demente perde spesso la calma, ultimamente. Non appena ha di fronte qualcuno che non è un suo ossequioso e tristo sicofante. Non appena si alza una voce che nota, osserva, riflette, dubita.
Il demente avanzando con l'età si comporta esattamente come il meno amato dei miei nonni. Non replica a tono ma s'incazza. Minaccia, disprezza, pronuncia qualche scemenza sui comunisti. Si atteggia a eroe pronto ad affrontare i gulag, Stalin, la proprietà dello stato, i trattori guasti delle fabbriche del popolo. Disapprova, alza il dito e ammonisce.
Con l'altra mano, intanto, si tocca sotto per controllare se il pacco c'è ancora.
Quel poco che ne rimane.
Mio nonno questo non lo faceva. Era arterioscleroticamente anticomunista - arterioscleronista , per farla breve, ma serio. O almeno si vergognava a controllare la dotazione davanti a uomini più giovani e ancora in funzione.
Il demente quando non teme comunisti e magistrati svacca e fa il deficiente con le donne.
Le sue e le non sue.
Le sue donne non si ribellano e lo lasciano sfogare. Con quella saggezza un po' ovvia e un po' furbetta che hanno certe donne. Pensano al portafoglio del demente e pensano: «Lascialo sfogare, quel vecchio caprone. Poi gli passa. Anzi, poi passa lui».
Non è così facile dire chi è peggio tra il demente e le sue donne.
Le donne non sue, fortunatamente la maggioranza dei possessori di cromosomi XX, non sopportano i suoi terrificanti modi da tamarro avanti negli anni. Per il quale le donne si dividono in sgnacchere e cessi. Il demente fa fatica a trattenersi quando incontra una donna di una certa età che resiste al suo fascino. Vorrebbe urlarle in faccia: «Vai a fare la calza, cesso!» ma non può. Così fa il cretino con la battutina da oratorio sullo specchio alla mattina.
E un simile demente è il capo del nostro governo.
Signùr, ma ci rendiamo conto?
Come fare capo del governo il mio povero nonno.
Con tutto che...
La gente stamattina forse si sentiva un po' meglio perché è possibile che il demente stia lentamente perdendo terreno. Che le sue fissazioni si rivelino essere, in fondo, soltanto sue. Non che gli italiani - in media - siano poi tanto meglio di lui, ma come mio nonno un po' si vergognano di mostrarsi davanti a tutti.
Il potere logora.
Vero.
Soprattutto perché crea il miraggio che sia superfluo controllarsi. Che laggente ti ami così come sei. Che il governo sia come il tinellino dell'amante, quello con il televisore. Che ci si possa mettere in mutande, canotta e calzini a guardare il Milan prima di trombare.
Il miraggio.
Poi è possibile che vada comunque a finire male.
Che il demente sia premiato per il suoi modi da neo-riccodrillo.
Un modo per rendere l'Italia un paese infrequentabile.
Bondi grasso e sciocco sorridente e soddisfatto in compagnia del capo-spacciatore Cicchitto, del ministro all'offesa La Russa e dello squallido poveruomo Gasparri.
Una galleria di orrori che nemmeno Lovecraft.
Da vomito immediato.
Se va così ho paura che non resterà, col tempo, altra possibilità che una torre sul finisterrae, dalle parti di Lisbona. Come Tabucchi. O una capanna di tronchi sopra Rejkyavik. Dirimpettaio a un grande giallista come Indridasson.
Una fine un po' triste per uno che da giovane aveva sognato la rivoluzione.
...
Dopo questa prometto di non parlare più del demente per un po'.
Frase un po' assurda a pensarci bene.
Come dire negli anni '20: «beh, adesso basta parlare di Mussolini».
Se un po' di gente si è stufata non è detto tutta la gente si sia stufata.
Quindi facciamo che parlerò ancora di quel demente del demente tutte le volte che ne varrà la pena.
Secondo me.
Ultima nota. Non ho fatto propaganda elettorale. Non parlo di Bersani ecc. giusto perché sono solo una tacca sotto il demente come gradimento generale. Il che li rende tragicamente irrilevanti. Votare voterò, ma non chiedetemi consigli. Non sono in vena.
Diciamo che per il bene mio e dell'Italia in generale spero che lunedì pomeriggio ci dicano che il demente non ha vinto. Mi accontento.


11.3.10

I lettori e il cenacolo di lego.


Sto leggendo un libro.
Un ottimo libro, aggiungo.
Non è una novità, sono d'accordo, ma è una rarità, ultimamente.
Per il momento non aggiungo nulla, ci sarà tempo poi per specificare autore, titolo e editore. Adesso mi interessa altro. Per la precisione parlare un po' della lettura.
Perché si legge?
Una di quelle domande del tutto ovvie che chiunque legge non si pone.
Si legge per informarsi, ma anche per comprendere, per immaginare, per vivere altre vite e altre avventure. Ma anche per partecipare alla vita dei personaggi, per vivere una vita più lineare e comprensibile di quella che si vive abitualmente, per cercare di comprendere che cosa frulla in testa «agli altri», ovvero a quell'insieme indiffenziato di individui che ogni giorno incontriamo, dal coniuge ai genitori, ai figli, agli amici, ai conoscenti, fino alle persone con le quali capita di scambiarsi due parole alla fermata del tram, al bar o dal barbiere. Per mettere alla prova se stessi senza rischi reali, per immaginarsi (o illudersi) di essere persone speciali e straordinarie, per comprendere situazioni ai margini del reale senza perdere l'autocontrollo o l'equilibrio interiore, per partecipare a dolori, delusioni, sofferenze, ansie, rabbie di altri che non si sarebbero mai incontrati nella vita reale.
Per dare un colore e uno spessore a ciò che ci avviene, per staccarlo dalla successione di eventi e poterlo giudicare con distacco.
Per resistere nei momenti di scoramento, tristezza, scoraggiamento, stanchezza.
Per risvegliare aspetti di se stessi che si sono dimenticati o rimossi.
Per vivere meglio, in sostanza.
O forse - malignamente - per complicarsi l'esistenza più del necessario.
Tutte cose che si possono fare, ovviamente, anche guardando la TV ma con un grado di partecipazione e di coscienza diversi.
Nel caso dei libri, più intensi e profondi.
Da questo curioso e complesso insieme di caratteristiche nascono le passioni, riprovevoli o semplicemente incomprensibili, di chi scrive o fa un lavoro come il mio.
Chi non si avvicina ai libri, anzi se ne ritrae, che tipo di vita vive e che vita desidera?
Viene da chiederselo, lavorando in un posto - una libreria - dove si vedono, per antonomasia, soltanto lettori. Non è un problema di semplice ignoranza, naturalmente.
Si può pensare a comunità dove l'ignoranza è ormai "endemica", ovvero parte del patrimonio storico e del futuro obbligato. Quartieri senza cielo e senza speranza. Privi di biblioteche come di un sogno che non sia un semplice desiderio di oggetti. Di uno status da privilegiato transitorio.
Ma si può pensare a certe vite grigie e ripetitive. Vite scadute ancora prima di essere vissute.
Con un cielo basso sulla testa e un futuro che arriva al massimo a dopodomani.
Vite deluse e rabbiose che passano senza continuità da una generazione all'altra.
C'è chi si è scontrato con i libri da piccolo. Libri come oggetti acuminati e pericolosi impugnati ed esibiti da individui odiosamente e sterilmente potenti. Insegnanti, professori, presidi, professionisti. La vita è tutto ciò che non si trova nei libri. I libri sono il contrario della vita.
Angoli polverosi popolati da insetti rinsecchiti e pericolosi.
Donne senza tette e uomini senza pippo.
...
Fino a qualche anno fa esisteva ancora un sentimento un po' ecumenico - volendo un po' cattolicheggiante - che spingeva i lettori di buona volontà a preoccuparsi anche di chi non leggeva. Un atteggiamento che aveva anche un cospecifico marxista-leninista, basato sulla necessità del proletariato di «essere istruito per reagire all'oppressione».
Adesso, dopo la "caduta degli ideali" sono rimasti soltanto pochi poveri imbecilli a preoccuparsi del grado di cultura dei propri simili. Oltre a quelli che, come me, fanno questo lavoro.
Lavoro che rischia comunque di scomparire, soffocato e annegato dagli spacci di computer-dischi-libri-telefonini-videogiochi-e-tutto-ciò-che-di-inutile-vi-viene-in-mente. In fin dei conti lo sconto sui libri, come sappiamo tutti, è - insieme a quello sui farmaci - l'unico che si può verificare direttamente. Persino farci due conti. Ventiquattro meno il 15% fa duevirgolaquattro + unovirgoladue, cioè trevirgolasei, cioè venti-e-quattro.
Miii...
E se lo fanno sui libri lo faranno anche sul resto, no?
Può darsi, gente, può darsi.
I supermercati ci contano parecchio su questa illusione/sensazione.
Ma il guaio è che supermercati e spacci puntano sui lettori che già esistono. Su quel ceto medio sempre meno medio e sempre più spiumato dove alligna il piccolo popolo dei lettori.
Al di fuori del popolo dei lettori c'è la plebe, che, come può dirvi chiunque non sia del tutto rimbambito dalle fregnacce neoliberiste, più è ignorante meglio è.
Una plebe ignorante (superstiziosa, zarra, esibizionista, chiassosa) è perfetta per comprare senza banfare, anzi con una sorta di infantile soddisfazione, idiozie assolutamente inutili.
Dalle controfatture della Maga Zorka al cavatappi borchiato di Valentyno.
O, per assurdo, un cenacolo di lego.
Possiamo dire che la plebe è assolutamente inutile (se non nociva) a se stessa e ai propri simili?
Il guaio è che vota, maledizione, e il suo voto è determinato da combinazioni assurde e imprevedibili di scemenze.
«Io voto il Berluska perché fa "amici"»
Minchia.
Questo sarebbe un buon motivo per dedicare tempo e fatica a istruire chi non ne ha la possibilità. A indurlo ad amare i libri.
È probabilmente troppo tardi dirlo, ma non del tutto inutile.
...
Il libro che sto leggendo è la versione economica di «Il nazista e il barbiere» di Edgar Hilsenrath, editore Marcos y Marcos. Il racconto comicamente crudele e surreale della metamorfosi di un ex-nazista dapprima scampato alla giustizia postbellica nei panni di un barbiere ebreo poi, gradualmente, divenuto un convinto sionista e un combattente per Israele.
Libro - scritto da un ebreo tedesco e pubblicato grazie all'impegno di Heinrich Böll - curiosamente e meravigliosamente perfido. Un piccolo capolavoro.


5.3.10

Faticosamente...


È uscito. Sinceramente fino a un paio di mesi fa non ci avrei scommesso. Prima della famosa riunione dei redattori e collaboratori. La riunione dove ho constatato quanto LN fosse ormai, da un certo punto di vista, una rivista «nazionale». «Nazionale» perché per mettere insieme davvero i collaboratori della rivista avremmo dovuto farla a Roma e non a Torino, in modo che i redattori, siciliani, napoletani, toscani ecc. non fossero scomodi per incontrarci.
Torino è in Italia, forse, ma non ne sono poi troppo sicuro.
In bilico sul confine con la Francia, con un passato che di italiano ha proprio poco.
Nel 2006 abbiamo festeggiato l'assedio di Torino, con Pietro Micca che fa saltare i camminamenti per fermare i nemici. Che parlavano francese, esattamente come i nobiluomini piemontesi. Una guerra tra cugini, tra parenti. Cattiva, come tutti i litigi in famiglia.
Torino non sta troppo bene, ultimamente. Con la Fiat che le dà l'ennesimo addio. Un lungo addio. E tutti a chiedersi: «e adesso?». Il cadavere della Fiat è enorme e praticamente indigeribile per la città. Alla fine di corso Traiano hai di fronte la Mirafiori Fiat. Un insieme gigantesco di fabbricati, capannoni, padiglioni che tengono quasi un chilometro quadrato. Poi per ogni lavoratore Fiat ce ne sono altri 4 nell'indotto. A fare stoffa per i sedili, parti meccaniche, plastiche eccetera. Mirafiori, per dire, è un nome regalato al sud di Torino dai Savoia.
Fiat e Savoia sono concresciuti per anni e anni.
Puoi immaginare Torino senza Fiat?
Può esistere?
A fare che cosa? A organizzare olimpiadi tutti gli anni? Con gli operai riconvertiti a camerieri? I quadri a maggiordomi? I dirigenti a sommeiller?
Se se ne va la Fiat - e se ne andrà, ovviamente - che cosa andremo a fare noialtri?
Senza poli di eccellenza di alcun tipo, a veder passare il famoso TAV mezzo vuoto...
...
LN è uscito, dicevo. Con tre mesi di ritardo. Ultimo della vecchia-nuova serie. Una lettrice mi ha fatto notare che se LN cambia formato dovrà cambiargli piano in libreria. Metterlo su un piano più alto. Il che potrà anche far ridere, volendo, ma ha un significato preciso. LN cambia, si trasforma.
Diventa altro-da-sé.
Come Torino, verrebbe da dire.
Speriamo di avere un futuro in questa Italia. Che è quella di Berlusconi, ma per poco.
Ma non chiedete che cosa verrà dopo, per favore. Potrebbe anche essere peggio.
In quanto a me, in questo numero ho scribacchiato qualcosina sulla storia recente di LN. Più punti interrogativi che punti fermi. E un lungo articolo sulle mie ultime letture, ripescando, allungando e arricchendo un articolo uscito su queste pagine.
Per i prossimi numeri conto di fare qualcosa di più.
Ma non troppo, ahimé.
La libreria mi mangia vivo.