30.3.11

Föra dij bal!


L'onorevole Bossi, ministro del governo repubblicano ha così commentato l'attuale emergenza in corso che vede uomini, donne e bambini raggiungere le coste di Lampedusa e della Sicilia nel tentativo di allontanarsi da ciò che accade nel nord dell'Africa.
Si tratta, per il momento, per lo più di tunisini che vorrebbero raggiungere la Francia nel tentativo di ricongiungersi con amici e parenti già a suo tempo emigrati. Ovviamente nulla esclude che a breve siano i libici, stretti da una situazione insostenibile, a fuggire dal proprio paese per raggiungere le coste italiane. Difficile sostenere che si tratti del consueto assalto di poveracci malintezionati alla ricca e potente Europa, più ragionevole cominciare a chiedersi quale dovrà essere d'ora in avanti il nostro rapporto con il Nord dell'Africa e con i milioni di persone che vi vivono. Aprire una riflessione non superficiale e non contingente che non tenti di sbrigare un problema epocale con un pugno di euro o con qualche affermazione dura e ultimativa. Si tratta di aprire negoziati e non limitarsi a fare la voce grossa chiedendo ai nuovi governi di «fermare gli immigrati».
La politica italiana nei confronti del movimento che risale da sud del mondo è stata finora meschina, cieca e idiota. Basata sulla necessità di solleticare le paure delle plebi italiane - formate in buona parte da anziani - rassicurandole che «gli immigrati non passeranno». Hanno inchiodato le barche sulle coste della Libia e della Tunisia e gli immigrati hanno continuato ad arrivare, più faticosamente, dalla Turchia e dell'ex-Jugoslavia. Lontano dai giornalisti e dalle paginate dei quotidiani. Spesso hanno attraversato l'Italia diretti in Francia o in Germania, mentre i legaioli nostrani, si vantavano di aver «fermato il flusso».
Ora il tappo è saltato. Non ci sono più i dittatori a reggere il sacco al governo. E la gente arriva a Lampedusa, dove non è stata predisposta nessuna struttura di accoglienza, nessuna infrastruttura, nulla di nulla, questo sebbene fosse stato ampiamente previsto che migliaia - anche se non «milioni» come profetizzava Maroni - di persone sarebbero presto arrivate.
In un paese appena civile gente come Maroni avrebbe dovuto quantomeno dimettersi.
Ma noi non siamo un paese civile.
Bossi liquida il problema con una frase da commedia dialettale longobarda.
Provate a immaginare di essere un tunisino, un libico, un egiziano, un siriano. Provate a immaginare che qualcuno, gentilmente, vi traduca la frasetta di Bossi.
Provate a immaginare di paragonare la vostra situazione con la miope e stupida idiozia di tanti italiani del nord, così evidentemente fieri di una classe politica del genere.
Qualcuno lo tradurrà a beneficio degli maomettani, statene certi.
Al Jazeera, tanto per dirne una.
Pensate a un governo capeggiato da un vecchio demente incapace di tenere a freno i suoi istinti senili, sostenuto da mafiosi e da capipopolo criptonazisti capaci soltanto di sparare cazzate in longobardo.
Pensate alle bibbie inviate in omaggio alle scuole elementari del Veneto e alla persecuzione degli autori «colpevoli» di aver firmato una mozione a sostegno di Battisti.
A ms. Ruby innalzata al ruolo di nipote di Mubarak e al parlamento italiano che finge di crederci.
Alle centinaia di persone che negli anni scorsi hanno superato il Sahara per finire in un carcere o in un'anonima fossa in Libia.
Pensate alla quantità di infelicità, soprusi e dolore dei quali è responsabile il nostro governo.
Una responsabilità della quale, prima o poi, ci presenteranno il conto.
E dire «ma io non ero d'accordo» non servirà, temo, a molto.

P.S. Calcolando che è statisticamente probabile che qualche lettore mi faccia notare che «fai presto a parlare, tu che non hai immigrati vicini», preciso che nell'appartamento di fronte al mio abita un immigrato albanese - squisita persona, peraltro - mentre al pianterreno c'è una (ahimè) rumorosa famiglia di immigrati nordafricani. La domenica mattina incontro immancabilmente gruppi di immigrati etiopi, somali ed eritrei di ritorno dalla funzione copta che viene tenuta nella chiesa del quartiere, a cinquanta metri da casa mia, mentre davanti all'ufficio postale - più o meno cento metri dal portone di casa mia - stazionano da tempo gruppi di immigrati dall'est europeo che recano a un furgone targato MD (Macedonia) pacchi e involti per i propri cari rimasti in patria.
Ci sono passato in mezzo più di una volta e - a parte non capire una virgola dei loro discorsi - siamo felicemente sopravvissuti, sia io che il mio cane : )

23.3.11

Ma quanto costano i libri?



Già. Ma quanto costano?
Troppo, secondo molti. Poco, secondo le esigenze del mercato editoriale librario.
E cosa intendiamo con il prezzo del libro? E di quale libro parliamo? Di quello distribuito in libreria o al supermercato o del libro che vi arriva per posta da una libreria on line? O dell'e-book distribuito on line? O di quello autoprocuratosi in maniera un po' rocambolesca - e un po' illegale - da e-mule? O di quello scaricato gratis dal il sito dell'autore? O di quello stampato, impaginato e spedito su richiesta?
Ecco, basta un veloce giro di orizzonte per comprendere che i modi per procurarsi un libro sono davvero molto vari ed eterogenei. Se vi ripugna sganciare dei verdoni per mantenere tutto l'apparato libraio-distributore-editore potete scaricare (legalmente) migliaia e migliaia di libri, anche se di autore poco o per niente noto, e leggerveli comodamente con un e-lettore. Se siete appassionati di best-seller potete ugualmente scaricarli (illegalmente) anche se, almeno fino a qualche tempo fa, l'aggiornamento non era troppo tempestivo - niente ultimo Wilbur Smith, quindi, perlomeno in italiano.
Potete impiegare il vostro magico lettore per scaricare a modico prezzo (dalla metà a un terzo del prezzo di copertina dell'originale cartaceo) una gamma finora non troppo ampia di libri in italiano. O qualche milione di libri in inglese.
E, infine, potete comprare i libri in carta e pagine.
Potete comprarli con lo sconto del 30% in occasione dell'ennesima promozione dell'editore o della catena di librerie. Anche qui, però, niente novità, ovviamente, trattandosi di campagne promozionali che riguardano le edizioni economiche, ma comunque libri generalmente discreti e acquistabili a 7 euro contro i 10 di copertina.
Insomma, stringi stringi il problema sembra ridursi all'eventuale disponibilità a basso prezzo o a un prezzo contenuto di:
1. Novità
2. Saggistica per scuole superiori o università.
Lasciamo perdere per questo giro la saggistica e andiamo sulla narrativa.
Facciamo un passo indietro.
Voi avete sempre sognato di fare l'editore.
Chi ha mai detto che si sogna soltanto di essere scrittori? O librai?
Avete un tot di denaro da spendere e volete creare due collan... No, collane non usa più. Due «Nubi», ecco, sul modello delle «nubi degli argomenti» dei blog. Una prevalentemente narrativa, l'altra tendenzialmente saggistica.
Reclutate con una certa fatica 3 o 4 romanzieri - nuovi, interessanti - e altrettanti autori di saggi. È soltanto un inizio, ovviamente. Nel frattempo prendete contatti, prenotate per Francoforte, arruolate traduttori, sentite agenzie letterarie, allacciate rapporti con intellettuali d'oltrealpe, meditate di organizzare un concorso letterario e cercate di risolvere l'annoso dilemma: «Cosa dico ai conoscenti che vorrebbero pubblicare un libro con me?».
Sentite i distributori nazionali, nel frattempo. Volete che quando i libri usciranno trovino subito la strada per la vendita.
Ma l'incontro si rivela un po' meno felice di quanto aveste supposto.
La distribuzione vi costerà un 40-45% del prezzo di copertina. Trenta alla libreria e 10-15 alla distribuzione. Se, come vi viene consigliato, vorrete entrare in una società di promozione dovrete sbucciarvi un altro 2-3%. Ovviamente i sovrasconti e le copie omaggio per le librerie sono a vostro carico. Un altro 2-3%. Totale: da un 50 a un 55% del prezzo di copertina se ne va indipendentemente dalla vendita o meno del libro. C'è poi un 5-6% per l'autore, il 4% di IVA, un tot (variabile) per la stampa e legatura... Senza contare che i pagamenti più lunghi concessi di fronte a ordini più cospicui saranno ancora a vostro carico. Insomma il margine lordo sul vostro libro A è intorno al 25-30%. Se in prima approssimazione avevate pensato a una collana decorosa di un prezzo non superiore agli 11-12 euro dovete riprendere in mano i vostri calcoli e rifarli.
«Se il vostro primo libro a 12 euro riuscirà a vendere cinque o seimila copie... saranno 18.000 euro lordi... con i quali dovrò campare io, mia moglie, i traduttori, Gisella dell'ufficio stampa, macchine, viaggi, telefono, internet... Se il libro lo vendessi a 13 euro? Sarebbero 19.500. Tanto vale... Facciamo 16 euro? Ma che brutto... Però... Vabbè, dai. Sono 24.000 euro. Me li pagheranno a centottanta giorni... Sì, ma poi preso il giro riuscirei a campare... »
Tutto da vedere, ovviamente.
La presenza del nostro nuovo editore non sarà - purtroppo per lui - troppo ben curata in libreria. Tra le librerie private qualcuno farà il possibile ma altri troveranno insufficienti - o scarsi, poco interessanti o chissacosaltro i romanzi - e le librerie di catena non vi metteranno in vetrina (bisogna concedere loro un ulteriore sovrasconto) e i vostri libri finiranno dietro cataste di best-seller. Rese a 60-90 giorni e addebito del distributore che vi arriva prima dell'accredito.
Siete partita da sei mesi e siete già nella m...
Tirate fuori altri libri. Acquistate i diritti di romanzi stranieri. Mettete in graticola il traduttore e riuscite a fare uscire i nuovi libri entro 3-4 mesi. Da 16 euro passate a 18 euro. Si tratta di rientrare, in fondo. Un paio di titoli li fate con copertina rigida. Questo vi permette di sparare 20 euro di copertina senza passare per un affamatore di popolo. Preparate e-video di promozione dei due romanzi, aprite una pagina su facebook e una su twitter, fate l'impossibile per essere presentati, recensiti, notati. Cominciate a pensare a una collana economica per i titoli già usciti... Tutto ciò vi impedisce, naturalmente, di occuparvi dei libri che pubblicate, ma una volta raggiunto un minimo di equilibrio potrete riuscite nuovamente a leggere...
Forse...
Più probabile che gettiate la spugna dopo due o tre anni di superlavoro, avendoci rimesso il piccolo capitale investito. Il progetto di tenere basso il prezzo dei libri è fallito nei primi sei mesi e i libri sono usciti con prezzi che chiunque avrà giudicato «troppo alti».
Ma il fatto di aver chiuso con l'editoria maggiore può anche non significare aver rinunciato del tutto al progetto di diventare editore. Pubblicare e-book o book on demand è ancora possibile, anzi «potrebbe essere il mio futuro».
Lasciare che il nostro giovane editore ritenti (sarete più fortunati...) [1] e fermiamoci un momento a riflettere su ciò che è accaduto. Dov'è il problema?
Il maggiore, ovviamente, è la quota del prezzo di copertina assorbita dal complesso distributore-libraio, una quota anche maggiore se si vuole apparire degnamente nelle librerie di catena. D'altro canto, a meno di avere un parere singolarmente semplificato e primitivo, il distributore si fa pagare per distribuire più o meno capillarmente il libro, recuperare le rese, controllare che i librai paghino a tempo - e già solo questo non è un lavoro tanto piccolo o leggero -tenere in piedi un sito e un magazzino regionale o multiregionale... È vero che, a differenza dell'editore, incassa senza rischiare (troppo) ma i suoi costi sono considerevoli. In quanto lettori possiamo pensare a una forma di limitazione sulla percentuale per ridurre il prezzo di copertina, ma difficile da far passare senza una rivoluzione del proletariato in armi.
Diminuire lo sconto alle librerie.
Fattibile, ma se lo fanno tutti e tutti insieme.
L'ideale - l'ho già detto, lo so, ma lo ripeto - sarebbe spazzare via tutte le campagne di sconto («Compra oggi che c'è lo sconto del 30%!!!!») a abbassare il prezzo di copertina di un 10-15% per tutto l'anno. E vietare lo sconto sui libri - o limitarlo a un 5% o a un 10% per un (breve) periodo ben definito, Come si fa in Francia, in Germania e non so in quanti altri paesi.
Ma qui siamo in Italia, perbacco. Meglio scrivere 10 euro per dodici mesi all'anno e poi scontarlo per due mesi all'anno a 7 euro. Per i polli che ci credono.
Viaggiando a forza di ultrasconti l'unico risultato sarà quello di far chiudere le librerie di prossimità a vantaggio delle megalibrerie del centro o dei centri commerciali. Se vi piace di più comprare i libri (che non saranno gli stessi libri, la quantità si trasforma sempre in qualità) in una megastia illuminata a giorno per 24 ore al giorno, buon divertimento.
E non venite a lamentarvi che i libri costano troppo.
Altri possibili canali non credo che esistano, perlomeno non con questo modello di sviluppo.
Tutti gli altri possibili canali, compreso l'autore che pubblica il proprio libro on line e in cambio vi chiede un piccolissimo obolo per leggerlo («Con 0,99 euro compra e leggi il nuovo libro di Zippolo Zufoli!») hanno qualche possibilità di successo, ovviamente, ma essenzialmente non funzionano nel senso che NON ARRIVANO A UN PUBBLICO SUFFICIENTEMENTE AMPIO.
Non ha importanza se siete sorprendentemente bravi o incredibilmente bestie, non riuscirete a raggiungere un vero pubblico, più o meno come se vi esibiste all'Olimpico senza impianto di amplificazione. Può darsi che gli attuali sviluppi dell'editoria mondiale non vi piacciano, ma in ogni caso temo proprio che non abbiate molte possibilità di essere candidati al prossimo Nobel.
«E come diavolo si fa a far dimuire il prezzo dei libri?»
Non credo esista una formula unica per affrontare il problema e soprattutto non ritengo possibile ottenere libri mano cari - se non marginalmente - nel settore novità. Qualcosa si può fare nel settore economici e non poco per i long-seller. Anche di più se rinunciate in partenza all'idea di avere il vostro libro in copertina e pagine. Certo, un e-book non è un libro come lo intendiamo normalmente, ma avere un prodotto diverso ma con gli stessi contenuti può essere una soluzione decente per il problema.
In realtà il problema, anzi IL PROBLEMA è in primo luogo quello della lingua (l'italiano) e in secondo luogo del numero di potenziali lettori. Una classificazione opinabile, se pensiamo a paesi come l'Olanda che ha un terzo della popolazione italiana e un mercato librario paragonabile al nostro per dimensioni. Quanto basta per stabilire che l'ordine dei problemi deve essere invertito...
Con una metà scarsa di lettori sul totale della popolazione italiana e un gruppo di tre milioni-tre milioni e mezzo di persone che leggono più di dodici libri all'anno (1 al mese...)[2] non è seriamente proponibile l'idea di far scendere il prezzo dei libri. Con tirature che solo raramente superano le diecimila copie è matematico che i libri dei quali potete scoprire l'esistenza in libreria o al supermercato costino (relativamente) cari.
Ma se vi viene qualche idea in proposito, sono qui ad ascoltarvi : )

[1] Un interessante esempio di evasione da questa legge è il progetto editoriale Alga che ha pubblicato nel 2010 cinque titoli di 200-300 pagg. rilegati decentemente e di gradevole aspetto a 3 (tre) euro cad. Ma, in realtà, la legge in apparenza vinta è stata in realtà confermata dal progetto. Il lavoro di progettazione, editing e controllo sui libri usciti è stato curato volontariamente dal (giovane) "gruppo" editoriale e dei loro amici. I libri non sono andati in distribuzione e sono stati distribuiti personalmente nel corso di eventi di ogni genere dal "gruppo" editoriale. In sostanza Alga ha evitato il gruppo distributore-propagandista-libraio e si è avvalso della collaborazione gratuita di curatori, editor, autori e promotori. I 3 euro sono serviti essenzialmente a pagare la stampa del libro e poco spese vive. Un risultato rimarchevole, in ogni caso.
[2] La classificazione di «forti lettori» in Italia viene concessa con almeno dodici libro l'anno.
Non alzate troppo la cresta: in Francia viene concessa con almeno 20 libri all'anno.



16.3.11

Il punto


È passato qualche mese dall'ultima riflessione sullo stato dell'editoria italiana, mesi tutt'altro che quieti e incolori, peraltro. La crisi, finora reale ma a bassa intensità si è fatta intensa e colpisce a fondo le imprese che operano nel settore. La riduzione della disponibilità di liquidi che ha colpito in primo luogo il ceto medio si è profondamente ripercossa sulle piccole imprese, conducendone non poche sull'orlo della chiusura.
Si moltiplicano le chiusure, i fallimenti, le cessioni (forzose) e il passaggio a franchising. È come se una situazione già complessa fosse improvvisamente giunta a una svolta.
Per molti «fare il libraio» è sempre stato un desiderio - o forse un sogno - che per prima cosa faceva passare in seconda linea il naturale desiderio di arricchirsi. In linea di massima chi fa il mio mestiere si accontenta di sapere che riuscirà ancora, ovvero per questo mese, a mettere insieme il pranzo con la cena, tenendo presente che non è affatto detto che sarà così il mese successivo. E così per tutto il tempo del suo lavoro che spesso coincide con il tempo della propria vita.
Beh, a quanto pare anche questo fragile equilibrio si è definitivamente spezzato e sono in molti a decidere che non è più possibile lavorare e sacrificarsi senza un futuro.
A pensarci bene, sarebbe bene se i libri avessero una segnalazione in copertina: «Attenzione, può provocare gravi danni alla vostra salute mentale».
Ma sto parlando di un altro tempo e d'altri libri.
Negli ultimi anni si è andato affermando un altro modello di libraio. Di venditore, a volerlo dire utilizzando il vocabolario anni '90 del perfetto general sales manager, conformato ad alcune semplici regole.
Prima regola del new-venditore è non mostrare il proprio parere sui titoli in vendita. Secondo alcuni g.s.m. l'ideale sarebbe quello di non averne proprio letti: una genuina ignoranza è meglio di un mediocre fingere.
Seconda regola rendere gradevole l'ambiente libreria per il possibile cliente - o customer - al quale gentilmente evidenziare i titoli sui quali l'impresa ha puntato. È quindi consigliabile costruire trappole di cartone e plastica e altri deliziosi marchingegni che richiamino l'attenzione sull'ultimo Baricco o sull'ultimissimo Eco lasciando sullo sfondo il resto, ovvero tutto l'inutile librame che si è costretti a tenere ma che - diosolosa - costituisce un ingombro a basso o bassissimo rendimento.
Terza regola, mai discutere con il cliente di gusti letterari, libri letti e altre sciocchezze ma essere (cordialmente) sbrigativi. C'è sempre, infatti, il rischio di esprimere qualche gusto personale.
Cortesi, anonimi, sbrigativi: la terna vincente del nuovo libraio.
«Sì, ma anche i librai indipendenti sono (ma forse erano...) spesso odiosi. Se la tirano e fanno cadere il loro parere dall'alto».
Vero.
A chi non è capitato di sentirsi un poverocristo di fronte a un Signorlibraio?
O di provare il desiderio di impiccare l'idiota che sorride saputo e un po' sufficiente ascoltando la vostra richiesta?
Ma ho la sensazione che anche questo genere di libraio da storiella sia giunto al capolinea.
Il vero problema non è tanto stabilire l'antropologia criminale del soggetto chiamato a vendervi qualcosa ma stabilire se è possibile e verosimile trovare un libro. Capire se in qualche libreria può essere disponibile - perché crede sia possibile venderlo - un libro, magari uscito due o tre mesi fa, che non faccia parte dei 450-500 che stagionalmente sono «spinti» dalle Grandi Case Editrici. Un libro del quale si ignora felicemente la posizione nella terrificante classifica degli indici di rotazione o iR[1], ma che vogliamo leggere, vogliamo assolutamente leggere, al di là del comportamento più o meno simpatico del libraio.
Ciò che è diventato evidente negli ultimi mesi è che il libro da voi tanto agognato (L.d.V.t.A.) - ammettendo che i vostri gusti si stacchino almeno un pochino dalle classifiche dei piu venduti - sta via via scomparendo. In qualche caso non è disponibile presso le librerie indipendenti per via del costo di immagazzinamento - con l'omino piendisé un po' sgonfiato - come non lo è presso le librerie di catena per via del famoso iR. Insomma, è come se il vostro libro non fosse mai uscito.
Infatti dopo un po' è quello il dubbio che vi assale.
Ma, con un po' di pazienza, è possibile farsi dire che «No, il libro è disponibile» ma che «ci vuole un pochino per farlo arrivare».
Lo ordinate.
Aspettate un tot ma nessuno si fa vivo. Si sono dimenticati? Avete lasciato il numero di telefono con una cifra sbagliata? Il libro non è davvero disponibile? Chiamate un paio di volte ma non trovate mai la persona che ne sa qualcosa. Chi vi risponde vi tratta come un povero alienato, un fissato, un demente.
Mentalmente li mandate all'inferno.
Cazzo, non lo sapevate ma siete divento un fenomeno. Uno bibliofilo scatenato e folle. Un soggetto da barzelletta o da trista vicenda di pazzi e infermieri.
Vi organizzate per riuscire comunque a trovarlo.
Lo ordinate ad Amazon.it.
Nella pagina web di Amazon.it il libro risulta. C'è anche, piccola piccola, la copertina. Ma sotto c'è scritto «Titolo non disponibile» [2].
Già, perché Amazon.it marchia come «non disponibile» tutti i titoli prodotti da piccole e piccolissime case editrici. «Così non si perde tempo a ordinare titolini a casine editrici sperdute e sconosciute».
Logico, a pensarci bene.
Scrivete un'e-mail all'editore per chiedere il vostro L.d.V.t.A..
L'editore risponde che può mandarvelo, certo. Ma vista la fine delle tariffe postali agevolate per la spedizione di libri [3] ricevere il vostro libro vi costerà (almeno) 5 euro di spese di spedizione.
Cinque euro, un terzo del prezzo di copertina.
Confermate l'ordine e vi arriva il libro. Lo scoprite trovando un frammento di fogliaccio che vi invita ad andare a ritirare il vostro libro nel magazzino postale periferico, distante più o meno 15 km da dove vivete e lavorate. Apertura soltanto mattutina. Tempo di ritiro tra le due e le tre ore. [4]
...
Non va sempre a finire così.
Potreste anche rinunciare e accontentarvi di un libro di Camilleri o di Mazzantini. Quelli siete sicuri di trovarli dappertutto. E anche il libraio con-la-puzza-sotto-il-naso sarà ben contento di vendervelo.
Ma c'è qualcosa che non va. Innegabile.
Possibile che decidiate di rinunciare a leggere novità, rileggendo libri già letti o ripescando libri acquistati e mai letti.
Che cominciate a scaricare e-book gratuiti.
Magari potreste ordinate un kiddle per leggere più agevolmente.
Da Amaz...
E no, eccheccazz.
...
La crisi è sicuramente di natura strutturale, questo è indubbio.
Ma è altrettanto indubbio che almeno in parte essa possa e debba essere spiegata come crisi di un certo modello di vendita e di promozione.
Siamo proprio sicuri che imporre a un pubblico molto variato un numero limitato di titoli funzioni ancora? Non si corre il rischio, continuando con questo modello di promozione, il rischio di allontanare frazioni crescenti di lettori dal commercio librario? Non è ciò che sta accadendo?
Sono semplici impressioni, basate semplicemente sul mestiere acquisito in trenta e più anni di lavoro. Lettori stanchi, disorientati da una produzione eccessiva, varia e stimolante come un rosario di suffragio.
Mi rendo conto di tirare a vuoto - ovvero troppo in alto per le mie competenze - ma i nostri geniali editori - italiani e stranieri - non hanno la sensazione di una produzione eccessivamente seriale, troppo raccolta su pochi temi e idee? Che manchino - o che siano poco sostenuti e poco promossi, ovvero praticamente la stessa cosa - nuovi autori o libri realmente originali?
Che la saggistica sia incentrata su (troppi) pochi nomi, che la narrativa vivacchi sul solito consunto thriller più o meno scandinavo, l'ovvio vampiro, la consueta/o quaranta-cinquantenne delusa/o, stanca/o, eccetera/o.
La tendenziale scomparsa dei L.d.V.t.A. temo proprio sia un segnale importante e da non sottovalutare.
È almeno una ventina d'anni (o forse di più) che sottolineo l'importanza di un equilibrio tra una produzione mass-cult orientata e una produzione attenta alla qualità intrinseca del libro, tra una distribuzione focalizzata su pochi grandi punti-vendita e una distribuzione ampia e capillare cercando di non creare o mantenere aree dove i libri non arrivano.
Ovviamente è stato urlare a vuoto.
Siamo tuttora in attesa di una (pessima) legge sul libro interamente commisurata sulle esigenze dei grandi canali di commercializzazione.
E il pensiero ritorna sul compianto Alfredo Salsano, l'ex-direttore commerciale dell'ormai scomparsa Bollati Boringhieri, divenuta una semplice filiale del gruppo Spagnol, ovvero Longanesi/Garzanti/TEA/Guanda, cioé MeLi, colosso della distribuzione editoriale italiana.
Nell'inverno 1999 pubblicammo su uno speciale di LN un intervento a firma di Alfredo Salsano sulla «desertificazione editoriale». L'ho ritrovato e riletto in questi giorni:

«Nel caso del libro, quella che potremmo definire come la monocultura del best-seller minaccia di perfezionare una desertificazione editoriale. Il futuro del piccola editoria, stretta com'è tra la stasi del mercato, difficoltà della libreria e acquisizioni eventuali, appare ben difficile. [...] Forse è giunto il momento di un pacifico divorzio tra gli interessi finanziari che impongono un'inflazione di titoli a bassa tiratura per consentire, con l'occupazione delle superfici, la forte rotazione di un numero inevitabilmente limitato di titoli a prezzi medi gestiti managerialmente, da una parte e gli interessi imprenditoriali dell'editore e del libraio di cultura o di proposta che sopportano rotazioni più lente e prezzi unitari più alti in cambio di una disponibilità nel tempo di un servizio personalizzato, dall'altro.»

All'epoca ricordo che provai qualche resistenza sul tema dei «prezzi unitari più alti», ma se non altro si parlava ancora di case editrici reali e di librerie esistenti.
Adesso siamo ormai andati oltre.
E il panorama - puntualmente - è peggiorato.
Non fa male ricordarlo.

[1] Se siete già passati di qui avrete un'idea almeno vaga di che cos'è un Indice di Rotazione. Altrimenti vi basterà sapere che l'iR indica la velocità di rotazione di un libro (o di un articolo di bullonviteria o di un bastone da tenda) in un periodo ben preciso. Se io ho un magazzino di 1.000 euro del libro A e in quel periodo ne ho venduti per 1.200 euro ne discende che l'iR di quel periodo (tre mesi, per dire) è di 1,2 (1.200 / 1.000). Se il libro B ha venduto per 4.000 euro l'iR è di 4. Ovviamente è poi necessario inserire alcuni correttivi come lo sconto praticato ecc. ma in generale è assolutamento ovvio che mi conviene tenere più copie a magazzino del titolo B. E magari spararlo in vetrina e costruire piramidi e ghirlande per mettere in vista il libro B. Magari cercare l'autore del libro B per organizzare una presentazione e chiedere più sconto all'editore per vendere il libro B.
Facendo parte di una catena libraria i libri B sono, ovviamente, «prefissati» dalla proprietà.
I libri A, viceversa, sono rumenta. Da tenere per 60 gg e rendere velocemente. Se andate a cercarlo al 61° giorno il libro risulterà esaurito, ovvero «disponibile presso l'editore», cioé morto.
[2] potete controllare nel sito http://www.amazon.it/ref=gno_logo. Buona parte dei libri indicati come «non disponibili» sono disponibili. Presso l'editore, ça va sans dire.
[3] provvedimento del consueto Tremonti nell'aprile del 2010. «La cultura non si mangia», naturalmente.
[4] Sono ammesse tutte le possibili varianti a questa vicenda. Compresa la possibilità più rara e termodinamicamente improbabile, ovvero che riusciate a trovare il libro al primo tentativo.


3.3.11

Libri letti, alla rinfusa

Mi piacerebbe che i libri che leggo mi rimanessero in mente un po' di più.
Non nel senso di ricordare perfettamente frasi e descrizioni o di rammentare a menadito trama e intreccio, mi basterebbe ricordare con maggiore precisione e migliore acutezza le emozioni che i libri mi hanno creato.
Viceversa si tratta di una situazione piuttosto rara, regalatami da libri diversi per spunto, tema e intenzione - biografie, saggi, romanzi, pamphlet.
Sospetto che questo genere di ricordi sia appannaggio di una qualità intrinseca al libro, dovuta a una prerogativa che non ha molto a che vedere con le sue caratteristiche quanto piuttosto a qualcosa che ha a che fare al rapporto tra "me" e l'autore.
Un libro può colpirmi ed essere meglio ricordato se colgo un modo di accostare l'argomento che mi appartiene. Un tratto più netto che mi è familiare come potrebbe essere un approccio sottilmente divertito, un'ira sfumata in malinconia, un'ansia nel riflettere su se stesso e sulla propria esistenza. Non ho molta simpatia né riesco facilmente a ricordare i libri che - più o meno consciamente - mi appaiono come artefatti, nati per lusingare (e illudere) il lettore.
Dopo - e soltanto dopo - vengono altri elementi come la competenza specifica (nel caso di saggi), l'impianto della vicenda (se narrativa) o un'altra dozzina di elementi ritenuti importanti dal lettore.
Certo, gran parte dei libri pubblicati è fatto di un mix di astuzia e ingenuità, di calcolo e passione, di intenzione, premeditazione e casualità e ben pochi di essi risultano abbastanza definiti da poter essere ricordati, magari anche a lungo, ma ciò non toglie che sia possibile cogliere un gusto o un colore prevalente che rende più o meno gradita le lettura.
...
Permutation City di Greg Egan non è un libro nuovo.
Anzi.
Faceva parte della collana «Cyberpunkline», puri anni '90. L'editore è ShaKe, altro pezzo originale anni '90 - anche se tuttora operante sia pure a mezzo o un quarto di servizio.
Egan è autore con una pericolosa tendenza all'oscurità e non in un senso tolkeniano. L'oscurità di Egan è di natura puramente concettuale e deriva, temo, da un Q.I. che dev'essere più o meno i quadruplo del mio.
Ordinario australiano di matematica Egan non può evitare, anche se onestamente si sforza, di inserire qualche «teorema facilmente dimostrabile» nelle sue vicende e nelle sue descrizioni rendendo i suoi libri affascinanti ma anche mortali come un trattato di fisica stellare.
Tutto ciò è stato vero per Incandescence, pubblicato da Mondadori in Urania nel 2008, curioso racconto di formiche aliene e intelligenti che vivono su un pianeta satellite di un buco nero, ed è vero anche per Permutation, racconto di un'umanità futura - ma non troppo, dove alcuni individui particolarmente ricchi hanno avuto la possibilità di perpetuare se stessi in eterno in un universo virtuale che tuttavia, vista la necessità di potenza richiesta ai computer per ricreare un universo sensibile, comporta un ritardo rispetto alla vita reale di 1:16 Questo ovviamente comporta qualche problema imprevisto e almeno in parte imprevedibile, come la sostanziale impossibilità di chi si è riprodotto nella realtà virtuale di interagire con il mondo reale. La soluzione in apparenza più assurda (ma più affascinante) può essere quella di «separare» il mondo reale da quello virtuale, creando un complesso e definitivo metaverso destinato a durare più o meno in eterno. Ma anche questa soluzione si rivela ben presto carica di pericolosi risvolti.
Un romanzo ricco, potente e suggestivo, che non sembra aver sofferto della diffusa perdita di entusiasmo per la virtualità possibile. Basti pensare al malinconico destino di Second Life... Persino la proverbiale rigidità di Egan nel rappresentare i personaggi, sempre fatalmente schiacciati dalla magnipotenza dell'infodump, sembra meno nitida, lasciando che emergano caratteristiche personali e frammenti di una possibile storia personale.
Per rimanere nello stesso campo segnalo volentieri un'antologia uscita già da qualche mese e ormai temo sostanzialmente introvabile. Parlo di Pianeti dell'impossibile, Urania Mondadori Millemondi, curata da J. e K. Morrow, dove appaiono sedici racconti di autore europeo (continentale) scelti per conto della SFWA, l'Associazione degli scrittori di sf americana. Racconti di un livello più che discreto con alcuni acuti (il russo Lukjanenko, la finnica Siniselo, il tedesco Eschbach, il polacco Huberath, il danese Ribbeck) un capolavoro assoluto, Il pianeta muto della russa Elena Arsenieva - racconto dedicato a Efremov - e una segnalazione per il racconto di Evangelisti, autore che conosco molto poco (mai letto, lo ammetto) ma che se la cava più che bene con un racconto di ambientazione carceraria - Sepultura, come l'omonimo gruppo heavy metal - un po' gore nell'ambientazione ma di buona efficacia. Ahimé superflui i due racconti di autore francese. Non è xenofobia al contrario, ma semplice intolleranza, forse noia, per un modo di narrare sin troppo autocompiaciuto. Curiosa e memorabile una frase riportata nell'introduzione di Morrow che riporto volentieri: «Per un europeo cento chilometri sono tanta strada, per un americano cento anni sono tanto tempo...»
Cambio di registro e di paesaggio.
Rosa Matteucci, autrice di di Tutta mio padre, edito da Bompiani nel 2010, è una mia vecchia conoscenza, sia pure nei panni di «autore Adelphi». Assolutamente impagabile - da incontrollabile convulso di risa - Lourdes, un libro carico di un'ironia tanto intensa e gelidamente lunare da lasciare il lettore (felicemente) sconcertato. Principale difetto della Matteucci è la sua discontuinità, ovvero ciò che si può immaginare come la necessità di tirare il fiato tra un punngente ritratto o un allucinato quadro e l'altro. Matteucci - e questo può piacere o meno - dimostra un'attenzione scrupolosa fino all'eccesso nel tratteggiare caratteristiche e fissazioni di un personaggio o di un gruppo di personaggi, così deliziosamente pignola da finire per cancellare lo sfondo, uno sfondo che finisce spesso per scomparire completamente o diventare un fondale di cartone di interesse scarso per l'autore come per il lettore.
Spiegate queste poche cose su Rosa Matteucci posso affermare che questo suo Tutta mio padre è qualcosa di più e di diverso da un semplice e genialmente sarcastico racconto lungo. I rapporti tra una donna e suo padre sono difficili e di una complessità non facilmente risolvibile. E lo dico (anche) per esperienza personale (...). Il giudizio di una figlia verso il padre è, nel contempo, spietato e misericordioso, talvolta divertito o sarcastico, disperato o carico di rammarico, grandiosamente assurdo o rabbiosamente irridente. Tutti le facce di un cristallo così complesso che si riconoscono senza difficoltà nel libro della Matteucci, raccontate con gusto e intelligenza. Il suo io narrante - la figlia - racconta la storia del lento, fatale e maliconicamente spassoso crepuscolo della sua famiglia. C'è una sfumatura acida e amara nel suo narrare, un eccesso di confidenza che si volge in una rabbia oscura e mai dichiarata, un senso di delusione ormai acquietato ma non senza dolore, una considerazione fredda e scabra della propria attuale condizione. Un buon libro, senza dubbio, da leggere con attenzione, pronti a sorridere ma senza poter dimenticare la chiave amara del romanzo.
Due libri di storia, ora.
La resa di Roma di Giusto Traina (Editori Laterza) e La battaglia di Anghiari di Niccolò Capponi (Il Saggiatore).
Due libri dedicati a una battaglia fondamentale per la storia di quegli anni, la prima, avvenuta nel 53 a.C., che fermò l'avanzata di Roma in Oriente e la seconda che indirettamente fu la premessa necessaria alla nascita e alla fortuna del Rinascimento.
Almeno parzialmente deludente il primo mentre felicemente riuscito il secondo.
Il problema principale de La resa di Roma - come anche l'autore ammette in diversi momenti del suo libro - è la mancanza o la parzialità di fonti persiane coeve o successive a controbilanciare una storiografia romana ricca ma fatalmente parzialissima, non solo nel raccontare la battaglia e il suo esito ma anche nell'addossare a Marco Licinio Crasso la responsabilità di non aver saputo preparare la campagna, la cieca avidità già dimostrata nel saccheggio dei tesori della Siria e la sottovalutazione delle difficoltà connesse all'attacco a un popolo da secoli maestro di guerra.
Personalmente serbavo un ricordo vago ma sufficientemente netto del giudizio degli storici romani su Crasso: un ricco babbione, avido e sciocco, che superficialmente aveva condotto l'esercito romano a una grave sconfitta, un giudizio probabilmente ingeneroso che il libro di Traina è riuscito almeno in parte a modificare. Le esitazioni, i dubbi, i tentennamenti di Crasso in Siria, incerto se attaccare o meno i Parti sono state utilizzate nella pubblicista storica di autori come Livio, Plutarco, Cassio Dione per evidenziarne la sua vuota albagia e la sua rapacità soprattutto se contrapposta alla temibile potenza dell'Impero durante il quale essi scrivono, mentre a un esame più attento finiscono per emergere i motivi - tutt'altro che disprezzabili - della sua condotta. Non diverso il discorso per la sorte toccata alle spoglie mortali di Crasso che Livio dichiara indegnamente esposte alle intemperie e ai predatori, viceversa - probabilmente - semplicemente abbandonate agli animali necrofori secondo l'usanza zoroastriana.
Con tutto ciò - e questo non vuole minimamente essere un giudizio polemico - il libro di Traina spesso non è nulla di più di una buona esibizione di competenza bibliografica.
La battaglia di Anghiari è un ottimo esempio di come trovare un filo credibile , ragionevole e persino appassionante per presentare un evento militare non dei più importanti e sanguinosi – comunque ben lontano dalla tradizione voluta dal Machiavelli di «battaglia con un solo morto» – ma comunque decisamente importante nella situazione italiana della prima metà del 1400. Il ducato di Milano, guidato da Filippo Maria Visconti, era teso in quegli anni a raggiungere una situazione di predominio nell'Italia settentrionale e centrale, compito reso per nulla agevole dalla presenza di altre potenze italiane e straniere - La Serenissima, la Firenze prima comunale poi medicea, il Papato, l'Impero, il Regno di Napoli - altrettanto assorbite alla tutela dei propri interessi e in qualche caso, come nel caso di Venezia, all'espansione della propria area di influenza.
In un tempo di alleanze incerte e volubili, di capitani di ventura preoccupati in primo luogo della propria personale armata e in secondo luogo della possibilità di ritagliarsi un proprio personale principato, si muovono i personaggi di una complessa e contradditoria commedia dell'arte. In primo luogo l'acuto, infido, opportunista (e obeso) Duca Filippo Maria Visconti in compagnia dell'astuto Signore Lorenzo de'Medici e del suo nemico giurato, Rinaldo degli Albizzi, Papa Eugenio IV, il vescovo Giovanni Vitelleschi, l'imperatore Sigismondo del Lussemburgo, gli Aragone e gli Angiò, i Dogi Foscari e Mocenigo di Venezia e tutti i capitani - Enea Silvio Piccolomini, l'Attendolo, Il Gattamelata, Il Carmagnola, Braccio da Montone, solo per citarne alcuni - a movimentare un panorama politico e militare spesso incomprensibile per un lettore del XXI secolo. Meriti principali del libro: a) rendere comprensibile una situazione altrimenti complessa fino all'inafferrabilità, b) dare un significato a una battaglia «tra milanesi e fiorentini» che ai nostri giorni risulta qualcosa di assurdo, un evento improbabile che sta tra lo scontro da stadio e la baruffa condominiale, c) dare alla battaglia un significato risolutivo per lo sviluppo dell'arte fiorentina e dell'intero Rinascimento. Una lettura che consiglio volentieri, anche per la vivace prosa dell'autore.
Passando a tutt'altro veniamo a Divorzio all'islamica a Viale Marconi di Amara Lakhous, edizioni e/o. Un libro gradevole, divertente e sorprendente fin quasi al termine, con un finale davvero un po' troppo frettoloso. La vicenda narrata è quella di Christian Mazzari, siciliano di genitori tunisini nato a Mazara del Vallo e cresciuto in mezzo ai figli dei pescatori tunisini, capace di parlare l'arabo «come lingua madre» e dotato di un «fisionomia mediterranea». Collaboratore al tribunale di Palermo viene avvicinato da un ufficiale del SISMI che lo arruola per una missione antiterrorismo. Si tratta di tenere sotto controllo un gruppo di egiziani a Roma, sospettati di essere fiancheggiatori di Al Qaeda. Spacciandosi per un immigrato tunisino, Christian si infiltra nella comunità degli immigrati musulmani avendo così modo di raccontare ai lettori il loro stile di vita - o più correttamente di «sopravvivenza»- le abitudini, il modo di vedere se stessi e il loro lavoro, di immaginare il proprio futuro e di interagire con gli italiani e gli altri immigrati.
A fare da contrappunto al racconto di «Issa», pseudonimo scelto da Christian, il racconto di Safia - italianizzato in Sofia - parrucchiera abusiva e moglie di un immigrato egiziano molto ligio a una lettura particolarmente integralista del Corano. Fatalmente Issa e Sofia intorno ai tre quarti del romanzo entreranno in contatto e giungeranno (probabilmente) a coronare il loro sogno d'amore nell'ultima confusa parte del libro.
Romanzo che vien voglia di definire «più furbo che bello», Divorzio all'islamica è comunque una lettura che merita. Un po' per conoscere il modo di vedere la realtà quotidiana di milioni di immigrati musulmani, un po' per capire come loro ci vedono e ci giudicano. Può sembrare strano, ma consiglio a chi vorrà leggerlo di leggere prima di tutto il mediocre finale, ovvero le ultime 4-5 pagine. Dopodiché sarà decisamente piacevole leggerne il resto, senza fretta né ansie.
Ogni promessa di Andrea Bajani è un libro che non recensirò per alcuni buoni motivi. Primo tra tutti il fatto che conosco piuttosto bene l'autore (e finora siamo stati un buoni rapporti... ) e in secondo luogo perché mi sono impiantato ormai da mesi intorno a pagina cento e, nonostante numerosi tentativi, da lì non riesco a proseguire.
«Noia infame?»
Lo so, questa è la prima cosa che viene in mente leggendo di qualcuno che non riesce a finire un libro. Io stesso giungerei alla stessa conclusione se si parlasse di qualcos'altro. Ma non è una conclusione che posso sottoscrivere. Posso fare altre ipotesi. Che, per esempio, la trama del libro sia talmente fitta e sottile da scoraggiare un rapporto prolungato con esso. O che lo sguardo dell'autore sia una specie di succhiello che da ogni minimo gesto riesce a estrarre un mondo completo di emozioni, ricordi, visioni, tanto che un povero lettore sia chiamato costantemente - mentre procede con la lettura - a dover scalare montagne narrative via via più alte e sempre meno praticabili. O, ancora, che lo sguardo del lettore si perda costantemente nel tentare di mettere a fuoco vicende che hanno un andamento incostante, riflessivo, troppo denso. O, infine, che l'intero libro sia stato concepito e scritto da qualcuno che - non facendo parte della specie umana - avverta la costante necessità di rendere efficacemente non soltanto ogni gesto e ogni parola in scena ma anche ciò che ordinariamente non viene espresso né percepito.
In sostanza ho la sensazione di aver urtato in un libro che non sono riuscito - e presumibilmente non riuscirò mai - a far mio. Non escludo la possibilità di finirlo, naturalmente, ma per il momento sono fermo. Più o meno come un viaggiatore sulla Via della Seta davanti all'Oxo in piena primaverile. Immobile, anche se indubbiamente stupito.
Un salto laterale, ora, per un libro che si potrebbe, probabilmente, definire un Urban Fantasy. O un romanzo di fantascienza decisamente fuori squadra. Parlo de La torre del tempo di Sergej Lukjanenko, edizione originale russa 2005. Un uomo ritorna a casa dal lavoro e nel suo appartamento vive ora una donna a lui sconosciuta. Non solo: l'arredamento della casa è radicalmente mutato e nulla lascia intuire che quell'appartamento fino a poco prima sia stato suo. In breve tempo anche i suoi amici e persino i suoi genitori lo eliminano dalla propria vita, dimenticando e rimuovendo la sua esistenza e tutte le esperienze comuni che l'hanno riguardato. Quando la sua incredulità, la confusione e il suo terrore sono giunti al massimo si fa vivo un emissario di una sconosciuta potenza che gli propone di diventare un funzionale...
Un romanzo divertente e decisamente gradevole, capace di conciliare le piccole nevrosi quotidiane di un single trentenne con stupefacenti avventure pluridimensionali, senza dimenticare l'esistenza - una costante per un protagonista russo ex-sovietico - di bizzarre entità ultraburocratiche e metapolitiche che dominano i rapporti della nostra Terra con tutte le altre possibili Terre.
Romanzo in teoria rivolto a un pubblico di teen-ager (o così perlomeno ha deciso Mondadori per l'edizione italiana) ma in realtà ricco di riferimenti letterari che divertono non poco il lettore, soprattutto, ovviamente, se non eccessivamente giovane. Ma evidentemente la sf non dev'essere presentata come tale al lettore, pena il presunto clamoroso fiasco del libro e dell'autore. Meglio, piuttosto, presentarlo come romanzo giovanile, anche se con qualche passaggio sexy e ricco di citazioni letterarie...
Rimanendo nel campo del fantascientifico dell'est europeo lo stupendo La Voce del Padrone di Stanislaw Lem. Un romanzo scritto in prima da un geniale matematico che, tuttavia, pur avendo partecipato al Progetto, è costretto ad ammettere il sostanziale fallimento nel tentativo di comprensione dell'enigmatico messaggio giunto dalle stelle. Per giungere a questa conclusione - già preventivamente ammessa all'inizio della sua lunga confessione - il protagonista racconta dei numerosi e vani tentativi di giungere a un'interpretazione del messaggio alieno e degli assurdi e incomprensibili biofatti nati dall'interpretazione parziale di esso. Narra degli scienziati coinvolti nel Progetto, delle loro debolezze e meschinità come delle interminabili incomprensioni ed equivoci che li contrappongono. Racconta dei tentativi di creare nuove e temibili armi interpretando parti del messaggio e del maliconico fallimento del progetto. Ancora una volta, come accade in Solaris, l'intelligenza umana si mostra sostanzialmente impotente e incapace di comprendere le dimensioni, il senso e le intenzioni di altre creature.

...L'uomo è riuscito a staccarsi, a ricordare, a compatire gli altri, a immaginare gli stati d'animo e i sentimenti... cosa per fortuna non vera. In questi tentativi di pseudoimmedesimazione e di trasfert riusciamo a intravedere in modo vago e imperfetto solo noi stessi. [...] Siamo come lumache, attaccate ognuna alla propria foglia.

Caccia al Pianeta X di Govert Schilling, Springer editore è il racconto del lungo rapporto tra i planetologi e la fascia dei pianetini ultranettuniani, che ha avuto come sua più recente conseguenza il declassamento del pianeta Plutone - in compagnia del suo satellite Caronte - da pianeta maggiore del Sistema Solare a pianetino in compagnia di Eris, Quaoar, Sedna, Santa e altri 150 piccoli pianeti della Fascia di Kujper, limite estremo del sistema. Interessante notare che il brusco - secondo alcuni brutale - declassamento di Plutone nasce in ultima analisi dalla ricerca di un pianeta extranettuniano (il pianeta X) che potesse spiegare le perturbazioni orbitale dell'ultimo dei maggiori pianeti solari. La ricerca del pianeta X e in secondo luogo della stella Nemesi, possibile responsabile della serie di estinzioni di massa che hanno segnato la storia della Terra, è il filo rosso che unisce la lunga e vivace serie di ritratti di planetologi via via allineati nel libro. Come accade molto spesso nei libri di argomento scientifico il volume si chiude rimandando al futuro eventuali conclusioni. La ricerca di nuovi pianeti - sia extrasolari che solari - è tuttora in pieno svolgimento e nuove scoperte sono possibili letteralmente ogni giorno.
Ancora tre libri. Cercherò di essere più veloce.
Quando Dio morì di Nicola Somenzi è uno dei romanzi scelti nell'ambito del progetto Alga.
Buono, anzi ottimo, l'attacco – una vasta area dell'Europa e dell'Asia è coperta da uno strato di nubi che coprono costantemente il cielo – e una vicenda che cresce gradualmente aumentando il peso dei nodi da sciogliere. Alla fine, com'è inevitabile, lo scioglimento si rivela debole e cervellotico, dando a tutta la vicenda una coloritura innaturale e sottilmente assurda. Ma tanto di cappello all'autore per essere riuscito a farsi leggere o leggiucchiare fino alla fine. Da notare lo stile curioso del racconto che può piacere o meno - a me non è piaciuto, ma io sono un pallosissimo e un po' formale lettore di fantastico - ma che impone al lettore una maggiore vicinanza con il protagonista, anzi un'inattesa confidenza. Uno stile che appare mediato dal linguaggio dei messaggi on line o dei blog più disinvolti e autodiretti. Personalmente sono convinto che la lingua sincopata e i modi rapidi siano perfetti per una comunicazione veloce e per presentare se stessi in modo informale, ho - viceversa - qualche grosso dubbio sulla riuscita in campo narativo. Ma rimango disponibile a discuterne.
Meriterebbe probabilmente più spazio I salici ciechi e la donna addormentata di Murakami Haruki. Tanto più trattandosi di un'antologia. Ma siamo alla fine dello spazio (ragionevole) di un post e qualche taglio è necessario.
«Sì, ma perché proprio a Murakami?»
Mah, probabilmente perché questa antologia mi è parsa un po' (troppo) diseguale e non del tutto riuscita. Vagamente ricucita come un collected paper messo insieme nonostante l'autore sia ancora vivo. Un'antologia è una strana creatura. Basta un racconto non del tutto riuscito per proiettare un'ombra su tutto il lavoro, lasciando un'impressione di incompiuto, di goffo. O forse dovrei semplicemente dire che il Murakami breve di alcuni di questi racconti mi è apparso talvolta inuguale, incerto, vago. In ogni caso ho talvolta avvertito la distanza profonda di Norwegian Wood o de L'uccello che girava le viti del mondo. Posso sbagliarmi, ovviamente, e di non pochi di questi racconti potrei dirmi soddisfatto. Probabile che avrei dovuto, semplicemente, leggerne pochi alla volta e non infilarmene ventiquattro in poco tempo. In ogni caso questa non è né vuole essere una recensione. Al massimo un breve consiglio: non leggete Murakami affrettatamente!
La balena del cielo di Luca Masali non è esattamente una novità. Pubblicato nel 2008 da Sironi l'ho letto tempo fa ma dimenticandomi di inserirlo tra i libri recensibili.
Sono tre racconti di lunghezza decrescente, ambientato il primo sul lago di Garda, nel 1927, il secondo a fianco di Nobile sul dirigibile Italia nel 1928, il terzo a Guernica nell'aprile del 1937. Protagonista ancora una volta il capitano triestino Matteo Campini, ex-aviatore dell'Imperial-regia aeronautica austriaca divenuto italiano soltanto alla fine della Prima Guerra Mondiale. L'antologia è anche la terza e ultima parte delle gesta del capitano Campini. Curioso tipo di fantastico, quello di Masali, accortamente ritagliato nelle pagine meno note di storie peraltro famose. Delle vicende dei suoi personaggi, vissuti nella prima metà del secolo scorso, non rimane - non casualmente - nessuna traccia. Una storia «irregolare», curiosamente simile ma qualitativamente molto superiore a certi episodi di x-files, perfetta per personaggi abbozzati con cura e humour. Una produzione non abbondante, quella di Masali, e per certi versi assai poco italiana. Un pregio, visti i tempi che corrono.
...
Fine, ringrazio di cuore tutti coloro che hanno letto questa interminabile sbobba fino all'ultima riga. Non sarà l'ultima volta che abuserò della vostra pazienza, presentandovi libri anche non più disponibili o scarsamente reperibili. D'altro canto, non sono qui per vendere, come probabilmente si sarà capito...

Gordon R. Dickson, una riflessione

Mi attende un nuovo appuntamento con il prox LN, ovvero con i libri letti in questi mesi.
Una pila di rispettabili dimensioni qui sullo scaffale accanto alla scrivania.
E non ci sono tutti.
Ci sono anche i libri riletti, recuperati nella casa di vacanza e letti con un misto di rimpianto, curiosità e diffidenza.
Queste poche note sono dedicate a un autore che più o meno quarant'anni fa ha avuto un certo peso nella mia formazione e che ho recentemente riletto.
Gordon R. Dickson.
Scomparso nel 2001, vincitore di tre premi Hugo con due romanzi e un racconto.
Un autore ritenuto di destra, una collocazione perfettamente confermata alla rilettura del suo ciclo dei Dorsai. I Dorsai sono combattenti nati. Di origine, si intuisce, scozzese. Cresciuti su pianeti freddi e poco popolati. Vogliono rappresentare, nel vasto panorama dell'universo futuro, la razza umana più profonda e sincera, gente in grado di resistere agli inganni e alle lusinghe di una società complessa e raffinata.
Il ciclo del Dorsai ha relativamente poco di fantascientifico nella descrizione dei diversi mondi. E la guerra è narrata con frasi e modi che richiamano immediatamente la Corea, il Vietnam o le Ardenne dell'ultima guerra mondiale. Le astuzie dei Dorsai non appaiono particolarmente geniali o originali - a uno sguardo più attento e meditato, e i raffinati disegni dei politici hanno qualcosa di un po' meccanico. Inevitabile scuotere la testa con un mezzo sorriso.
L'umanità si è divisa e separata secondo le proprie diverse caratteristiche di temperamento e capacità. I mistici, i religiosi, i tecnologici, gli economici, i militari. Ognuno con il proprio pianeta, unito o separato dagli altri dal tipo di controllo condotto sulla mano d'opera. Puoi essere venduto a un altro pianeta senza possibilità di discuterne o essere ceduto secondo la tua disponibilità e i tuoi interessi.
Il modo di trattare il personale specializzato - scienziati, guerrieri, ingegneri, bibliotecari o preti - determina la posizione politica del pianeta nell'universo umano. «Comunista», se è il pianeta a decidere per te, oppure «liberale». Inevitabile constatare ora, anno 2011, tutta la banale semplificazione di questo modello di società futura.
Ma che cosa diavolo mi piaceva allora, a sedici-diciassette anni?
Non è stato facile capirlo ma lentamente ho avuto la sensazione di capire che cosa mi motivava allora e che, probabilmente, tuttora lo fa. Non è tanto la simpatia per il pensiero di destra - anche se debbo ammettere che a sedici anni ero ferocemente anticomunista - ma la sensazione di aver afferrato uno dei tanti fili che spiegano (forse) la nostra esistenza su questo pianeta. Il senso di un Destino - sia pure meno rigido e schematico di quello postulato dal buon Dickson, autore tra l'altro purtroppo ormai semidimenticato - che rende ognuno di noi, povero o ricco, intelligente o ottuso, unico e inconfondibile.
Curiosamente una delle radici del mio pensiero e della mia visione del mondo successiva.
La convinzione profonda che sia possibile arrivare a un mondo dove « da ognuno secondo le proprie capacità, a ognuno secondo le proprie necessità».
Un passaggio curioso, lo ammetto. Da Gordon Dickson a Vladimir Ilic Ulyanov detto Lenin, ma tutto sommato possibile. Al centro la dialettica tra l'umano e la società, una dialettica - ovvero una separazione e uno scontro - che è al centro (inaspettatamente) anche dell'opera di Dickson. Un autore sinceramente laico, giova ricordarlo, che tuttavia non aborre il pensiero mistico, tanto da giungere a immaginare i pianeti Amici dove Dio è immanente, onnipresente (e invadente) e che, pur sconfitti, non scompariranno dal panorama dei mondi umani. A confemare che anche la religione più fondamentalista ha un senso, un colore e uno scopo nell'esistenza umana. Non necessariamente positivo, ma reale.
Una fantascienza un po' infantile e un po' goffa, siamo d'accordo, ma carica di un'ansia d'espressione e di comunicazione che non è facile trovare in ambito letterario.
Mi riconcilio con me stesso, in fondo.
Non ero un fesso fascista, allora, ma semplicemente un fesso avido di nozioni, idee e riflessioni.
Più o meno ciò che sono tuttora.



2.3.11

Libri letti. Anche solo uno per volta...

La crisi.
Una semplice parola che coinvolge la vita e il destino di miliardi di persone.
Basti pensare a ciò che è accaduto e che accade nel Nordafrica. A una crisi che ha già masticato uno stato come la California e altri stati americani. Ma anche l'Islanda, la Grecia, l'Irlanda, e l'Ungheria, solo per citare i casi più noti e discussi. In tutto ciò l'Italia risulta non pervenuta. Pur vantando il rapporto tra PIL e il debito nazionale al terzo posto tra i paesi del mondo continuiamo a sentire il ministro dell'economia del governo Berlusconi ripetere che non c'è motivo per preoccuparsi. Il dubbio è che il deficit sia stato «nascosto sotto il tappeto», pronto a emergere sotto il primo governo post-berlusconiano.
Questa crisi ha sostanzialmente sbriciolato l'UE, dividendola tra paesi d'acciaio come la Germania o la Francia e P.I.G.S:, ovvero Portogallo, Irlanda (o Italia, secondo alcuni), Grecia e Spagna. Sempre più lontana ogni prospettiva di unità politica, l'UE si è ridotta a una fabbrica di norme e direttive cervellotiche, assurde o francamente discutibili.
Che cosa sia stata, sia o sarà la crisi che ha colpito il mondo non è affatto chiaro. Dai quotidiani, in qualche modo schierati nell'universo politico-economico e troppo spesso non sufficiente informati sui temi trattati, risulta sostanzialmente impossibile farsi un'idea sia pure insufficiente e provvisoria della situazione economica mondiale. Sicché non rimane altro da fare che affrontare il tema sulle pagine di un libro.
Personalmente sono sostanzialmente un ignorante in materia economica, anche se - perlomeno - non schierato in prima persona a difesa di un fondo pensionistico o di qualche piccola speculazione. Sono un poveretto, in sostanza, di formazione scientifica, appena appena in possesso di qualche rudimento di dottrina economica marxiana e di qualche disperso elemento di politica economica.
Il libro che ho scelto per tentare di informarmi è pubblicato dalla Feltrinelli. Il titolo (poco incoraggiante) è La crisi non è finita e gli autori sono Nouriel Roubini e Stephen Mihm. Trattasi di due docenti universitari americani. Il primo - di origine turca - è rimasto famoso per aver previsto questa crisi in un suo intervento del 2006 davanti al FMI. Inutile dire che all'epoca non fu preso molto sul serio, anche se adesso «è riconosciuto come uno degli economisti più autorevoli del mondo».
Tesi essenziale di Mr. Roubini (faccio una certa fatica a non scrivere «Houdini») è che «I disastri economici non siano "cigni neri": eventi unici e imprevedibili, privi di cause specifiche. Al contrario, i cataclismi finanziari sono antichi quanto il capitalismo stesso e si possono prevedere».
La crisi, in sostanza, non ha molto di inatteso o di imprevedibile. Nata, in apparenza, dal crollo delle società che operavano nel settore finanziario dei sui mutui edilizi, ha ben presto coinvolto finanziarie e banche negli USA e in Europa. La crisi di finanziarie e banche ha fatalmente coinvolto le banche centrali che sono intervenute a sostenerle aumentando il debito pubblico dei paesi coinvolti e in qualche caso - come in Islanda - giungendo a una sostanziale situazione di bancarotta.
Era necessario e inevitabile intervenire a difendere le Banche e la finanziarie?
A meno di non essere dei sostenitori convinti di Schumpeter e della scuola viennese converremo tutti che - sia pure a malincuore - era necessario sostenere le banche perché la crisi non evolvesse verso ulteriori e intollerabili sviluppi.
Ma a parte l'intervento statale è stato fatto qualcosa per evitare di ritornare ben presto a nuove crisi? Si sono tagliate le unghie alle banche d'investimento rapaci che hanno largamente contribuito alla crisi con i propri strumenti finanziari dai nomi impronunciabili, acronimi di una serie di parole di dubbio significato. I CDO - collateralized debt obligations - nati dai cervelli di Wall Street, che Roubini definisce come:

«Il prodotto di un gioco di prestigio: si prendeva un mucchio di mutui subprime di rating BBB [da wikipedia: "Un mutuo subprime è, per definizione, un mutuo concesso ad un soggetto che non poteva avere accesso ad un tasso più favorevole nel mercato del credito"], incerti e rischiosi, li si impacchettava in un titolo garantito dai mutui ipotecari, sempre di rating BBB, che veniva suddiviso in tranche; a quella di tipo senior [categoria di titoli di reddito più basso ma in apparenza privo di rischi] si dava quindi un rating AAA. Con questo processo si trasformavano rifiuti tossici in titoli placcati in oro, nonostante il fatto che il pool di mutui sottostanti fosse rischioso esattamente come prima».

Ed è grazie a questo genere di «prodigi» e della loro (prevedibilissima) crisi che si è giunti ad avere una quantità impressionante - e fuori dalla realtà - di liquido circolante del quale, inevitabilmente, il mondo finanziario è stato chiamato chiamato a rispondere.
Un fenomeno, quello delle «bolle» finanziarie, che si è presentato diverse volte nel corso della storia del capitalismo, come Roubini riassume all'inizio del suo libro. Dalla seicentesca «mania dei tulipani» che scosse il neonato capitalismo, alla vicenda del XVIII secolo della compagnia francese del Mississipi, alla «bolla» del Perù (inizio dell'800) che colpì le banche inglesi, alla crisi del 1873, basata sulla speculazione sulle ferrovie americane, fino alla famigerata crisi del 1929 negli USA.
Tratto comune di tutte queste crisi il gonfiarsi a un livello eccessivo e assurdo il valore di un bene (dai bulbi di tulipano alle azioni fino ai CDO e simili dell'ultima crisi) fino a quando tale valore non raggiunge il suo massimo per poi schiantarsi miseramente insieme ai beni di tutti coloro che avevano creduto che «questa volta è diversa dalle precedenti».
Uno dei principali problemi creati da quest'ultima crisi e dalla reazione delle principali economie mondiali è, non a caso, l'esborso che i governi mondiali e quello americano in primis hanno dovuto sostenere per sorreggere il proprio sistema creditizio. Un esborso che quasi mai ha previsto un intervento parallelo sulle banche d'affari e sulle società finanziarie che possono tranquillamente la propria attività con CDO e derivati finanziari d'ogni genere, sostenuti da un sistema di agenzie di rating (Standard & Poor's, Moody's e Fitch) che ha più volte mostrato la propria parzialità di giudizio, particolarmente nei confronti di coloro che erano chiamati a controllare - e che risultavano, nel contempo, finanziatori della loro attività. Non solo, anche il sistema di retribuzione del management - assolutamente assurdo nella sua smodata ed eccessiva dimensione - non ha subito le drastiche riduzioni che in molti avrebbero ritenuto adeguate al momento e alla situazione, anche perché un management che guadagna da qualsiasi manovra finanziaria non risulta il soggetto migliore a guidare un'azienda, se non altro perché troppo evidentemente parte in causa.
Giova anche, comunque, ricordare - come Roubini puntigliosamente fa - lo stato particolare del dollaro americano come valuta di scambio, parzialmente slegata dalla semplice circolazione interna americana. Questo significa che gli USA possono giungere a livelli di debito pubblico impensabili per altri paesi e che potrebbero aumentare la circolazione mondiale di dollari senza correre rischi immediati. Il problema principale, in questo caso - esattamente ciò che sta avvenendo - è il riprendersi dell'inflazione che, unita alla crisi economica in corso, viene a creare ciò che gli economisti chiama «Stagflazione», ovvero l'accoppiata solo apparentemente autocontradditoria di inflazione e depressione. Un rischio tutt'altro che improbabile.

«I creditori esteri degli USA [Cina, Russia, Giappone e il blocco di paesi esportatori di petrolio] non resterebbero passivi di fronte a una brusca riduzione del valore reale delle attività denominate in dollari. [...] Il disfarsi in fretta e furia della valuta statunitense, potrebbe provocare un crollo del dollaro, un'impennata dei tassi di interesse a lungo termine e una grave depressione.»

A complicare ulteriormente il quadro si aggiunge il problema di una globalizzazione che, nelle sue modalità più evidenti, colpisce e continua a colpire la forza lavoro dell'occidente, spostando - come sappiamo - lavoro, impianti e lavorazioni in paesi con un costo pro capite del lavoro nettamente più basso.

«Sfortunatamente mentre la finanza si è globalizzata, la sua regolamentazione rimane una questione nazionale. Tutto questo non fa che accrescere la probabilità di crisi future che potrebbero assumere proporzioni globali

Giungere a una regolazione sovranazionale della globalizzazione, graduale sostituzione della valuta internazione di scambio, un controllo più attento ed efficace della finanza: queste sono solo alcuni dei rimedi proposti da Roubini per sventare la possibilità - o la probabilità - di un'ulteriore crisi.
Non ho né la competenza né la preparazione per entrare nel merito delle proposte di Roubini. Sono comunque certo che per comprendere almeno qualcosa della crisi (tuttora in atto) il suo volume sia utile. Forse addirittura indispensabile. Che la crisi in atto non abbia nulla di «straordinario» è un dubbio che mi ha accompagnato negli ultimi mesi. Che le affermazioni ottimistiche di Greenspan, governatore della Federal Reserve, non fossero altro che tentativi di vendere al mondo pietose buglie era un dubbio per me impossibile da sconfiggere.
Ciò che propone Roubini, in breve, è la necessità di imporre un passo indietro al capitalismo rapace di questi anni, capace di arricchire sempre più pochi individui a danno di un numero esorbitante di NIP come il sottoscritto.
Quanto basta per apprezzare il suo lavoro.