6.11.17

Nuove letture o quasi


Il tempo passa e i libri si sommano sull'angolo di libreria dove tengo i libri terminati e non ancora sistemati al loro posto. Arriva un momento nel quale la piletta comincia a dare segni di un'obesità eccessiva e, dal momento che lo spazio disponibile è piccolo, mi vedo costretto a decidere se recensirli, passarli direttamente in libreria o abbandonarli su una panchina.
Due libri che passerò direttamente in libreria senza abbandonarli – giusto perché potrei sempre rileggerli – sono Oltre l'invisibile (Time and again) di Clifford Simak e Domani il mondo cambierà (Stations of the Tide) di Michael Swanwick. 
Per spiegare la decisione per il testo di Simak mi limito a riportare il giudizio che appare nelle pagine di Wikipedia

Simak mette molta carne al fuoco ma non ne cura la "cottura": l'amico invisibile, i superpoteri di Sutton, le creature di 61 Cygni, il viaggio nel tempo, la guerra nel futuro, il valore quasi salvifico del libro che Sutton è destinato a scrivere, la rivolta degli androidi, il destino... sono spunti di valore, che tuttavia non vengono sviluppati a sufficienza. Ciò si traduce in una narrazione un po' zoppicante che lascia molti, forse troppi interrogativi irrisolti.

Per quanto riguarda Swanwick, vincitore con questo romanzo del Premio Nebula e autore che ho in diverse occasioni apprezzato, non posso che rimandare al blog «Il Rifugio di Taotor» di Federico Russo che spiega meglio di quanto potrei fare io i motivi delle mie formidabili perplessità su questo romanzo.
In sostanza devo ammettere che questi due libri non mi hanno lasciato letteralmente nulla. Vaghissimi ricordi che entro qualche mese avrò comunque cancellato, il che, per me, è un limite grave. 
E adesso cominciamo con i libri letti e ricordati. 

Federico il Grande di Alessandro Barbero è, in realtà, una rilettura, nel senso che avevo letto il libro [allora di proprietà della libreria] nel 2007 nella collana «Alle 8 della sera» per ricomprarlo ultimamente, nella collana «La memoria» scoprendo che si trattava di un libro già letto. Ma non è stata una sofferenza rileggere la frizzante biografia scritta da Barbero dove si racconta di un personaggio comunque unico nel suo genere: musicista raffinato, abile flautista, amico e protettore di Voltaire e cultore della filosofia, sia pure di una filosofia che non mancava mai di mostrare il suo disprezzo nei confronti dell'umanità – ma insieme un uomo cinico e amorale e un abile e geniale comandante militare che riuscì a vincere tredici battaglie su sedici combattute: un record.  
La domanda che ha perseguitato i tedeschi negli anni successivi alla seconda guerra mondiale – ovvero se Federico il Grande è stato il fondatore della politica militarista prima prussiana poi tedesca, da Sedan fino ad Hitler – non trova risposta nemmeno in questo saggio, comunque. Barbero preferisce non affrontare il tema, limitandosi a mostrare l'unicità del personaggio e la sua sorprendente modernità. 
Per ulteriori particolari rimando alla recensione a suo tempo pubblicata su LN-LibriNuovi e che ho ripescato per l'occasione. 


Due Sicilie, di Alexander Lernet-Holenia racconta la storia di sette sopravvissuti del reggimento di ulani «Le due Sicilie», i cui componenti erano chiamati «Sizilien-Ulanen». Il reggimento è stato disciolto con la caduta dell'impero Austroungarico ma i sei reduci, sei ufficiali e un sottufficiale, continuano a frequentarsi. Nel 1925, nella Vienna ormai ex-capitale di un impero scomparso i sei ex-ulani sono ospiti di un ricevimento dove uno di loro, Engelshausen, viene ritrovato strangolato. Ma il dubbio che il romanzo voglia vestire i panni di un poliziesco è destinato a essere presto smentito. Uno dopo l'altro quattro dei membri del gruppo di reduci muoiono o scompaiono ma senza che appaia un possibile colpevole. Il secondo a svanire è il sottotenente Fonseca, perdutosi un un quartiere sconosciuto e in apparenza scomparso e dopo di lui è il maggiore Lukawsky a morire di una sorta di consunzione o forse di un crollo nervoso. È poi la volta del colonnello Rochonville, investito da una carrozza e del tenente Silverstolpe, in apparenza intossicato dal contatto con un cadavere A rimanere vivi fino alla fine del romanzo saranno il capitano Von Sera e il caporale Slatin e sarà in loro presenza che il romanzo troverà un'apparente soluzione finale, presto mutata in un ulteriore mistero. 
Alexander Lernet-Holenia fa parte di quel gruppo di autori di lingua tedesca e nazionalità austroungarica che comprende tra gli altri Leo Perutz, Alfred Kubin, Arthur Schnitzler e Hugo Von Hoffmanstahl accomunati dall'essere stati testimoni della fine dell'Impero austroungarico, narratori di un passato perduto e di un presente fantasmatico, sfuggente e onirico. Due Sicilie è, da questo punto di vista, un esempio perfetto di questo doppio sguardo verso il recente passato, svanito da un giorno all'altro, e verso un presente minaccioso, confuso, indegno di essere raccontato senza fare ricorso a categorie peculiari del narrare come il sogno, l'incubo, la visione. Questa è la forza e insieme la debolezza di Lernet-Holenia, spesso accusato di essere un esteta di un fantastico onirico fine a se stesso, senza un profondo legame materiale con i personaggi. 
Personalmente devo ammettere di apprezzare il suo modo peculiare di narrare, l'eleganza dello stile, ben resa dal traduttore Cesare De Marchi e la sottile sensazione di perdita definitiva che riesce a trasmettere nei momenti di rifessione dei personaggi: 

Ma anche lo stesso reggimento e persino il periodo in cui Marschall [Von Sera] era stato negli squadroni di cavalleria, ore gli sembravano non essere mai esistiti. La terra battuta delle piazze d'armi era come avvolta nel velo delle piogge novembrine, le lunghe scuderie con le groppe dei cavalli in fila come immerse nella luce irreale dei sogni. Rivedeva le trincee argillose, i campi di battaglia, gli zampilli di terra sollevati dalle granate – pure questi però non erano più gialli come argilla, ma grigi e irreali.

Un libro forse tradito dai troppo frequenti cambi di prospettiva e di personaggi e nel quale il falso e il vero si scambiano a volte con eccessiva disinvoltura le parti, ma comunque meritevole di attenzione e capace di una prosa in qualche passaggio intensa e malinconica. 


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Il poliziotto di Shangai di Qiu Xiaolong non si può definire «Un nuovo caso per l'ispettore Chen Cao» ma è una curiosa e inattesa biografia del personaggio, seguito dalla giovinezza, segnata dalla persecuzione del padre, un «mostro nero» in quanto ex-piccolo imprenditore, la cui situazione trasformò l'intero nucleo familiare un una «famiglia nera», condizione che rendeva proibitiva qualsiasi speranza del giovane Chen Cao. Con la morte di Mao Zedong e l'ascesa al potere di Deng Xiaoping ha termine la rivoluzione culturale aprendo al giovane futuro ispettore la possibilità di dedicarsi alla sua più profonda passione: lo studio e la composizione della poesia. Il giovane si laurea nella facoltà di lingue straniere all'università di Pechino ma finisce con l'inciampare in una delle pianificazioni previste dal governo comunista:

La pratica dell'assegnazione statale ai laureati era da tempo considerata uno dei vantaggi del sistema socialista, dunque i giovani non avevano la possibilità di compiere scelte autonome. [...] Nel caso di Chen, ogni anno il dipartimento di polizia di Shangai riceveva la sua quota di laureati [...] E Chen non aveva potuto rifiutare, altrimenti l'avrebbero stigmatizzato da un punto di vista politico, e reso inidoneo al lavoro per anni. 

Ma il lavoro di investigatore ha comunque un suo fascino e non passa troppo tempo prima che Chen Cao diventi una sorta di mostro di belle speranze per l'ispettore Ding, il capo del suo ufficio. Dal ruolo di traduttore di manuali di procedura penale americani – l'unico posto che la polizia di Shangai era riuscita a escogitare per un laureato in lingue – il giovane riesce a guadagnare la stima dei colleghi e a divenire membro attivo della squadra. Questo senza perdere la passione per la poesia e per la buona cucina.
Libro curioso, viene da dire: un modo per l'autore di indagare il passato del suo personaggio preferito, dall'adolescenza fino all'età adulta. Ovviamente in tono minore rispetto agli altri gialli con protagonista Chen Cao, ma comunque piacevole.


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Ultimo libro di questo giro, Occhi nello spazio (Far-Seer) di Robert J. Sawyer, edizione originale 1992, primo volume della Quintaglio Ascension Trilogy
Quintaglio è il nome della razza di dinosauri della quale fa parte Sal-Afsan, giovane apprendista astrologo alla corte di Len-Lends, imperatrice della Terra dei sauri. 
Ad aver stimolato la curiosità di immaginare e mettere in scena una forma di dinosauri carnivori di intelligenza paragonabile a quella umana è stata probabilmente una domanda senza risposta: «Se i dinosauri non si fossero estinti per la caduta di un'asteroide alla fine del Cretaceo, avrebbero evoluto una specie intelligente?». E la risposta di Sawyer è sì. Presumibilmente salvati da una civiltà più avanzata, i nostri predecessori vivono su un corpo celeste vicino a un pianeta di tipo gioviano e i Quintaglio ne sono divenuti la specie dominante. 
Ma non mancano i problemi nemmeno tra i sauri. I più preoccupanti sono una religione particolarmente soffocante, terremoti sempre più frequenti e violenti e, last but not least una prossemica attentamente studiata e cerimoniale e qualche accesso di follia omicida, dovute al loro retaggio di carnivori. Ma sulla Terra – il modo con cui i sauri chiamano il loro pianeta – sta comunque crescendo una visione del mondo legata alla ragione più che alla superstizione, più o meno come nel '500 europeo, e il giovane Afsan è il portatore di nuove idee e una nuova visione del proprio mondo. 
Un viaggio intorno al mondo su una nave a vela fa scattare l'interruttore nella mente di Afsan, che si troverà però ben presto a difendere la sua posizione laica nei confronti della religione ufficiale del pianeta e del potere politico. 
Una lotta che si rivelerà più dura di quanto il giovane astrologo – un Galileo Galilei caudato – avrebbe ritenuto possibile e con finale giustamente interlocutorio, come è normale per la prima parte di una trilogia.
Nell'insieme un buon romanzo di agevole lettura, in qualche passaggio appassionante e che riesce a donare al lettore il punto di vista di un dinosauro carnivoro, risultato a suo modo rilevante. A questo punto non posso che ammettere di attendere con una certa ansia l'uscita dei volumi successivi. 
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E per questo giro ho finito. Ci sarebbe ancora l'ottimo I ragazzi di Barrow di Fergus Fleming, eccellente storia di viaggi, scoperte, clamorosi errori, follie, ghiaccio, sabbia e testardaggine che l'editore presenta così: 

un'epopea [...] che Fergus Fleming ha trasformato in ciò che, in realtà, era fin dall’inizio: una commedia nera, percorsa dalla tensione quasi smaniosa che anima tutti i suoi personaggi, protagonisti o comprimari che siano.   

Ma per oggi l'ho già fatta troppo lunga. Alla prossima!