24.12.08

Sera di Natale


Un luogo comune, si dirà. Un'ovvietà assoluta, un banalità.
Oltretutto questa sera - proprio questa sera - mia moglie e mia figlia stanno preparando la cena. Lo sottolineo perchè un evento di quelli che accadono raramente nel corso dell'anno. Non che non vadano d'accordo, ma in genere non c'è molto tempo per cucinare e la possibilità di cucinare in coppia non è molto comune, oltretutto in una cucina di 7-8 m2 dove chi è ai fornelli può arrivare dappertutto senza spostarsi ma dove muoversi in due non è una cosa troppo agevole...
Stanno preparando la cena, dicevo. E io, scacciato dalla cucina dove spesso sono io a lavorare, sono qui ad allineare righe in attesa del fatale grido: «È pronto!».
Come sarà la cena?
Beh, è importante?
No, non penso.
Credo che l'importante sia questa impensabile, inafferrabile possibilità anche solo un paio di settimane fa. Posso morire anche stasera, non che non lo sappia, ma essere qui, ben vivo - ammaccato, ricucito, con alcune parti dolenti, va bene - è un miracolo del quale fatico a trovare un eroe. Ringrazio i medici del reparto di chirugia vascolare delle Molinette, ovvio, e sarei ben felice di regalare a loro un pezzetto di questa gioia leggera. Ma soprattutto vorrei regalare un angolino di questo sollievo - tiepido come una carezza - a tutti coloro che mi hanno letto ugualmente in questi mesi e mi sono stati vicini. Tutti coloro che mi hanno abbracciato, mi hanno regalato un consiglio o un sorriso, sono stati solidali o hanno chiesto mie notizie. Decine e decine di persone che pur conoscendo personalmente mi hanno sorpreso interessandosi alla mia possibilità di recupero e di sopravvivenza. Chi si è preoccupato della mia possibilità di continuare a fare il libraio e chi della mia capacità di allineare righe su un foglio per raccontare una nuova storia. Qualcosa di nuovo e diverso dalla gioia di ricevere un commento positivo. No, un dire: «continua, che le tue storie (vendute o scritte) mi interessano».
Ecco a tutte queste persone vorrei dire un enorme «grazie», qualcosa che con la mia sola bocca faticherei a dire. Dopo di ché prometto di non ritornare sul tema per un pezzetto... Della mia salute penso siamo in molti ad averne le tasche piene. Io per primo.
Ancora soltanto un piccola cosa, molto natalizia.
Capita alle volte di chiedersi - oziosamente - se si è fatto bene a sposarsi. O a fare un figlio.
Poi arriva il momento nel quale il bisogno di qualcuno vicino si fa disperato, un grido muto che soltanto qualcuno può afferrare e al quale rispondere.
S. e M. hanno udito.
Soltanto questo.

19.12.08

The day after


Titolo impegnativo, siamo d'accordo, ma reale.
Ho finito. Con un vistoso cerottone sulla parte destra del collo e in attesa di venire sfasciato definitivamente - il 22/12, per l'esattezza - sono di nuovo a casa. Fatico a fare letteralmente tutto e mi sento stanchissimo ma sono ancora vivo.
Ne approfitto per ringraziare di tutto cuore tutti coloro che mi hanno lasciato un messaggio sul blog o in libreria. In attesa di ritornare al 100% - cosa che, nella mia attuale situazione, assomiglia un po' all'idea di arrivare sulla luna a piedi - mi riscaldo il cuore con le vostre parole e accompagno il mio intervento con un''immagine che, anche senza un motivo preciso, mi ricorda L'Alpha Ralpha Boulevard. Un'immagine molto ben augurante, almeno per me.
Qualcuno di voi l'ha letto? È un racconto di una ventina di pagine e, contemporaneamente, una delle cose più significative siano state scritte nel campo della fantascienza...
Comunque avrete mie notizie in queste pagine. Altrimenti a che cosa serve mai un blog?

13.12.08

Chiuso per...


È arrivata la notizia, ovvero la convocazione.
Domani - domenica 14/12 - sarò ricoverato per la mia seconda operazione alla carotide. Se tutto va bene per giovedì o venerdì sarò di nuovo fuori, questa volta ragionevolmente sano. Sollievo e timore sono le emozioni più persistenti. Oltre a questa, curiosamente, una sensazione di sottile di "vergogna" per abbandonare gli amici della CS nella settimana più intensa di lavoro natalizio. Ancora più forte e quasi intollerabile la sensazione di "lasciare" virtualmente le donne di famiglia - moglie e figlia. Mi auguro soltanto che l'assenza sia breve...
Arrivederci a presto a tutti.

1.12.08

Ancora Natale, uno sguardo più attento

Ormai arrivati praticamente tutti i libri per il Natale è forse il momento di provare a tirare le somme - tendenziali - di un fine anno molto "diverso" dai soliti, segnato da una crisi dalle dimensioni ancora non del tutto definite e che peserà non poco sugli acquisti di tutti.
Un'occhiata a "Bookshop" - ahimé deturpato in copertina da una foto di Sandro Bondi - può essere di una qualche utilità, particolarmente l'articolo che riguarda la Fiera di Francoforte e il suo risultato per le case italiane. Ebbene, secondo «Bookshop» gli italiani questa volta si sono mossi in modo intelligente e accorto, preoccupandosi essenzialmente di vendere piuttosto che di acquistare a ogni prezzo ragionevole o irragionevole il best-seller di successo. Buona nuova che, se ovviamente mette in rilievo i mezzi ridotti dalle grande case editrici italiane, evidenzia anche uno degli elementi fondamentali del nuovo corso italiano: il lancio e il sostegno agli autori di casa. Basti pensare a Paolo Giordano e ai suoi numero primi per capire quanto "pesino" ormai gli autori italiani nel panorama editoriale. Non è ovviamente un problema di qualità - sulla quale anche nel piccolo mondo di LN-LibriNuovi il libro di Giordano ha provocato qualche discussione - ma di un problema puramente di mercato. Giordano (ma anche Fogli, Camilleri, Carofiglio, Vitali, Manfredi tanto per citare gli autori in classifica) è in grado di "reggere" il mercato straniero? O, semplicemente, il suo libro e il suo stile sono ottimi per il mercato italiano e basta?
Comunque sia l'aria che tira è quella di una certa larvata tendenza all'autarchia. I best-seller locali costano meno, questo è sicuro, e un autore "cresciuto" in casa è una sicurezza anche per il futuro.
Ex-allievo di Baricco e della scuola Holden, Giordano viene comunque a dirci che il passaggio attraverso le «scuole»per chi intende "esordire" direttamente nella serie A del libro è fondamentale, praticamente irrinunciabile. Notizia non esattamente buona per tutti coloro che non hanno né il tempo né la voglia e ancora meno il denaro per passare alla Holden… A loro resta comunque la possibilità - Patrick Fogli prima di esordire con Piemme si è sempre occupato di computer - di battere la via del giallo, del thriller, del mistery tutti generi che in questo momento godono comunque di una vita ricca e felice.
Tutto questo significa un miglioramento, un passo avanti per la letteratura italiana? Difficile dirlo. Il libro di Giordano ha una dimensione personale-familiare tutto sommato piuttosto comune nella tradizione italiana degli ultimi cinquant'anni, questo è indiscutibile, ed è onestamente difficile definirlo una fatto nuovo. Più "nuovi" in questo senso sono gli autori teenager che negli ultimi mesi hanno pubblicato romanzi Fantasy. Teenage-Fantasy, chiamiamola così. Fresca, un po' ingenua e inevitabilmente ispirata ai maestri del genere, a cominciare ovviamente da Tolkien. Sono romanzi un po' "riservati", in realtà, nel senso che chi li compra e li legge ha all'incirca la stessa età degli autori. Anche qui voler parlare di valore letterario è almeno arduo. Resta il fatto che un romanzo scritto da un giovanotto diciassettenne costa decisamente meno all'editore della traduzione di un romanzo straniero scritto da qualcuno che non sta più o meno consciamente imitando Tolkien...
Autarchia, si diceva.
Effettivamente il numero di titoli tradotti è in diminuzione. Di qualche piccolo punto percentuale, certo, ma in maniera sensibile. I nuovi autori italiani hanno qualche spazio in più, parrebbe. Se vengono dalla Holden o da qualche altra scuola di scrittura o se hanno 16-17 anni e una fissazione per Tolkien partono comunque avvantaggiati. In alternativa possono dedicarsi al noir (qualsiasi cosa significhi) con qualche fondata speranza di giungere alla pubblicazione.
Un quadro comunque complesso e aperto a molte interpretazioni... In ogni caso non troppo diverso, per lo meno in apparenza, da quello straniero.

23.11.08

Il futuro dei libri

Un paio di anni fa Silvia Treves, mia moglie e scrittrice - tra l'altro - di fantascienza mi fece una domanda in fondo banale per chi si occupa di sf: «Secondo te su un'astronave hanno una biblioteca?»
Tenendo conto di quanto costa trasportare un oggetto a mezzo astronave, la risposta non poteva che essere negativa. «Al massimo», aggiunsi, «possono esserci di quegli e-book che pesano al massimo due etti ma che possono visualizzare migliaia e migliaia di testi».
Silvia annuì ma poi decise ugualmente di inserire una piccola biblioteca sulla sua nave: «L'astronave è molto grande», precisò, «... e comunque per me l'unico rapporto possibile con un libro è fatto di occhio e carta».
Probabile che Silvia, come me d'altronde, sia troppo evidentemente figlia di questi tempi e che non possa né voglia abituarsi a libri/non libri o alla lettura on line. Di sicuro la sua domanda mi è rimasta molto a lungo in testa...
Anche in forme variate come: «Quali sono i possibili sostituti dei libri immediatamente disponibili?» o «Ma esiste un possibile sostituto del libro?»
Due domande "da poco" alle quali non mi sogno neppure lontanamente di dare una risposta ragionevole, definitiva o ferma. Mi limito ad alcune ipotesi e ad altre domande.
I «Sostituti dei libri».
Ne esistono, direi, anche se si tratta di a) fotocopie dei testi esistenti (del tutto irrilevanti ai nostri fini e oltretutto pericolosi per gli autori) o b) appunti di corsi.
Parlando di "veri" libri, ne esistono in forma di libri leggibili direttamente on line. Che si possono leggere a monitor (oddio!) o scaricare su un apposito reader (il Sony, per dire) o su qualche altro arnese equipollente.
Per quanto riguarda il Sony, ho sentito che il prezzo non è - almeno per il momento - esattamente amichevole, ma in caso di successo si può scommettere che diminuirà molto rapidamente. Ha una certa diffusione - scarsissima in Italia - anche se resta molto, molto inferiore a quella dell'i-pod. E qui da una singola domanda ne nascono almeno altre due: «Perché» e «Ha un futuro?».
Un passo indietro.
Negli anni '80 il libro elettronico sembrava a un passo. Negroponte, ve lo ricordate?
La cosa che me lo ha ricordato di più è il Libro elettronico Cybook Gen3, 512 Mb di libri facili da consultare, leggere, spuntare ecc. Il tutto in un arnese con le dimensioni di telefonino.
Anche qui la stessa osservazione: perchè una diffusione così scarsa?
Proviamo ad allineare un paio di riflessioni:
- Il libro, a differenza di (breve) un brano musicale, è impegnativo. Non si presta a una lettura tangenziale o distratta. Non fa "compagnia" come la musica ma pretende un grado non piccolo di attenzione. Certo, a questo punto qualcuno tirerà fuori il Deutsche Requiem di Brahms o i Concerti Brandenburghesi di Bach, ma si parla di gusti medi di un pubblico ampio, quindi poco o nulla a che vedere con gli abituali utilizzatori di i-pod. Ascoltare Brahms o leggere Dostoevskij richiedono comunque uno spazio e un momento di pace e tranquillità, quindi, in definitiva, il discorso non cambia.
- (appunto) la lettura comporta un momento di quiete da "estrarre" dagli impegni quotidiani.
In sostanza per leggere ci vuole tempo dedicato alla lettura senza altri impegni. E questo significa che la lettura non richiede necessariamente un Cybook eccetera ma soltanto qualche momento di pace.
Sarà tutto qui il motivo dell'attuale fiasco dei libri elettronici?
Sarà che è impossibile inscatolare la lettura come si fa con altre attività come ascoltare musica o guardare un film?
Non è detto in maniera assoluta, ovviamente, ma qualche dubbio è ragionevole e giustificato. La lettura è un'attività solitaria e personale che soltanto pochi possono condurre in ambienti rumorosi e affollati. In questo senso è probabile che i libri elettronici abbiano il futuro chiuso in partenza dai telefonini. Un romanzo trasmesso a mezzo SMS non è una follia completa come può sembrare, giura il mio amico Maz Soumarè. Come in Giappone, si riceve la puntata e la si legge mentre ci si sposta a mezzo autobus o treno. Ovviamente è diverso anche il soggetto che si riceve, nel senso che dovrà trattarsi di un romanzo o di un'altra storia relativamente elementare da un punto di vista narrativo e basata su un scelta massima di 500 vocaboli. Qualcosa di diverso dalla narrativa, potrebbe commentare qualcuno. Senza alcuno snobismo, penso sia corretto dargli ragione.
Resta il fatto che il principale ostacolo al libro elettronico pare essere il tipo di vita che conduciamo, l'assenza di momenti liberi da dedicare a se stessi. Insomma, se disporre di uno strumento capace di evocare sul vostro libro elettronico qualche centinaio di romanzi è una gradissima f...ata, non avere il tempo necessario per leggerne nemmeno uno pare essere il nostro destino. I libri su carta non sono più un destino unico e irrevocabile, questo è certo, ma una vita da coatto pare invece diventata davvero la nostra sorte.
Personalmente penso che il libro sarà sicuramente sostituito, del tutto o in parte, ma a farlo sarà probabilmente qualche marchingegno magari dotato di una memoria e di una durata nettamente superiore a quanto finora raggiunto: il libro, infatti, ha una funzione di portabilità non facile da emulare. Non solo: il libro elettronico dovrà avere un prezzo ragionevolmente vicino a quello di un libro on paper per evitare emorragie monetarie a ogni smarrimento e conseguente ritorno al libro su carta. Risultati non facili da ottenere, ovviamente. Ancora meno facili se l'investimento sul prodotto è molto contenuto come ora.
Nel frattempo continueremo a vivere on the edge, in attesa del nuovo libro. E, non casualmente, a riprodurre in modo più o meno legale il libro in forma stampata per ogni possibile uso.

15.11.08

Sospesi nel nulla

Sarà difficile dimenticare quest'autunno.
Chiunque lavori in proprio - nei libri ma anche in altri settori - dorme sonni inquieti e tormentosi. Si sveglia incerto e insicuro e constata, giorno dopo giorno, il calo delle vendite.
Non si tratta solo di un problema delle librerie indipendenti - utile ripeterlo - né di una diminuzione temporanea. Il lettore/cliente è altrettanto incerto e insicuro e, oppresso da pensieri e riflessioni, non ha la voglia di dedicare uno scampolo del suo tempo per visitare una libreria (di catena o meno non importa), farsi un'idea delle novità uscite e magari comprare qualcosa.
Le voci che girano nel settore sono agghiaccianti. Mondadori, ovvero l'editore italiano numero 1, sotto di un 10% abbondante, appena salvato - parzialmente - dai Numeri primi di Paolo Giordano. Obiettivi o meglio budget 2009 drasticamente tagliati presso editori grandi e medi, le Librerie Feltrinelli con una percentuale di vendite in calo tra il -15 e il -20% costrette a bloccare tutti i nuovi progetti di espansione.
Un momento? Una contingenza?
Le previsioni parlano di una recessione che durerà almeno fino a metà del 2009. Nelle ipotesi migliori puntualmente - in ogni caso - smentite da voci di esperti ed economisti.
Per il piccolo commercio la crisi risulterà probabilmente l'ennesima mazzata dopo la lenta e inesorabile agonia degli anni passati.
Magari non c'è molto da rimpiangere il panettiere sotto casa o il droghiere dietro l'angolo ma vederli sostituiti da aderenti a catene immobiliari o da sportelli per il lavoro part-time o a tempo (sempre ammesso che gli spazi vengano occupati) non pare essere un gran guadagno per nessuno. Senza contare che vie e strade abbandonate da commercianti e artigiani sono oggettivamente squallide e pericolose...
Ma una crisi può anche essere un momento di necessaria riflessione - sempre ammesso di passarla... Il modello che ci ha dominato il mercato editoriale negli ultimi anni è stato quello della grande libreria polivalente, ovvero quella del punto vendita che assomma in sé, oltre alla libreria, il negozio multimediale e il bar-ristorante. Qualche centinaio di metri quadrati e uno spazio per i libri che, per la verità, finiscono per soffrire la presenza - in termini di assortimento - di i-pod e di blu ray. Senza contare che la competenza in proposito di personale dotato di scarsa o insufficiente conoscenza è quello che è. Infatti i libri che non siano best-seller di uscita relativamente recente rischiano non soltanto di non essere presenti nel punto vendita, ma persino di essere dichiarati d'ufficio «esauriti». Presso le librerie Feltrinelli, secondo non poche testimonianze - di addetti ai lavori, beninteso -, l'abitudine di dare per esauriti i libri non disponibili sembra essere diventata una prassi comune, favorita se non direttamente suggerita dai dirigenti.
Il risultato di questo genere di politica è facilmente immaginabile: un danno tutt'altro che lieve al settore nel suo complesso.
La necessità di fare 100 subito o quasi finisce per confliggere con il lavoro quotidiano del libraio fatto, come si dovrebbe sapere, di 1+1+1+1+1+... La crisi finisce per essere così una cattiva consigliera.
Spingere i piccoli e medi editori nell'angolo può rivelarsi - e non soltanto da un punto di vista culturale - un autogol.
La crisi, a pensarci bene, potrebbe e dovrebbe servire proprio a questo: a creare nuovi passaggi e nuove rotte nel grande mare dei libri. A tentare, sperimentare, osare. A dimenticare, almeno per un po', i consueti thriller e i soliti saggi inevitabilmente ovvi e risaputi. Potrebbe essere l'occasione per chi fa il mio mestiere di "uscire" e consigliare qualcosa di inatteso e imprevisto ricominciando a fare 1+1+1+1+1+... come un tempo era considerato normale.
I testi non mancano, si tratta soltanto di tentare.
Anche perché, visti i tempi, abbiamo tutti ben poco da perdere...

8.11.08

Da leggere, volendo

La consueta valanga di titoli natalizi è in pieno sviluppo ed è, sinceramente, piuttosto difficile tenere il filo di ciò che arriva e provare a fare qualche scelta per eventuali consigli.
I consigli, infatti, variano parecchio da un soggetto all'altro. Non credo, infatti, si possano consigliare sei o sette libri al massimo e pretendere o pensare che possano andare bene per tutti. Che cosa consiglierò - o meglio suggerirò, metterò in evidenza, sottolineerò - ad alcuni dei miei clienti non è tuttavia materiale che meriti commento. Non per i difetti propri dei libri ma per la semplice banalità del suggerimento. Consigliare l'ultimo libro (postumo) di Oriana Fallaci, Un cappello pieno di ciliege o di Paulo Coehlo, Brida non modifica la visione né apre nuove vie al lettore. Nella migliore delle ipotesi confermerà la sua opinione sul mondo confermando il suo parere e i suoi giudizi, mentre ciò che i libri possono regalare è un giudizio "laterale" e inatteso su fatti e persone, capace di sorprendere per primo il lettore.
I libri dei quali parlerò qui, in sostanza, sono passioni personali o curiosità non ancora saziate. Non si tratta di libri che ho letto - importante dirlo! - ma libri che mi incuriosiscono e che è piuttosto probabile possa leggere a tempi brevi. Sempre che non ne arrivino altri che risveglino maggiormente il mio interesse.
Crociate del Nord di Eric Christiansen, de Il Mulino, affronta un tema poco o per niente noto tra noi, il tema della cristaniazzazione forzata, ovvero condotta manu militari, delle popolazione del Baltico: Balti, Estoni, Finni. A condurre le Crociate del Nord saranno in primo luogo i Cavalieri Teutoni (sì, quelli di Aleksander Nevskij) e le monarchie scandinave che, come sottolinea il libro, "mascherarono, sotto il pretesto della conversione delle popolazioni pagane o ortodosse, aggressive mire colonialistiche". Un libro che impone una certa attenzione - le popolazioni citate sono spesso praticamente ignote al lettore - ma che apre la porta su un frammento di storia e di passato che ignoriamo. Da notare, a questo proposito, la politica del Vaticano sulle popolazioni pagane del nord-est, del tutto coerente con la propria storia...
Ho una certa passione per le storie di mare (forse qualcuno che mi segua con un minimo di puntualità se ne sarà accorto) e non quindi strano se infilo tre-libri-tre di argomento marittimo, anche se la mia competenza reale in questioni di mare è praticamente zero.
La disfatta dell'Invicincibile Armada di Antonio Martelli (Il Mulino) racconta con vivacità e un leggero ma evidente sense of humour la storia della più vanagloriosa - e assurda - impresa marittima condotta dalla Spagna di Filippo II. Come finì l'impresa lo ricordiamo tutti, credo, ovvero con un assoluto fiasco spagnolo e il primo segnale di una tradizione inglese giunta fino ai tempi della Malvinas (o Falkland). Ancora più interessante, comunque, seguire da vicino la vastissima, animata e rissosa popolazione di Caballeros imbarcati sulle navi, perennemente in dissidio e decisamente mal sopportati dai marinai.
Valerio Evangelisti con il suo Tortuga visita a suo mondo di pirati e bucanieri, sottolineandone la curiosa - anche se spesso contradditoria - regola di vita, basata su uguaglianza, pari dignità e solidarietà. Protagonista un nostromo portoghese, Rogerio de Campos, «ex-gesuita dal passato torbido» che «si trova a vivere tra gente sconcertante, dalla vita libera e indisciplinata e dalle imprevedibili esplosioni di violenza».
Ho qualche perplessità sullo stile di Evangelisti, talvolta ripetitivo o sentenzioso - ma il libro mi sembra quantomeno interessante e merita, probabilmente, una seconda e forse anche un terza occhiata.
Un po' di più merita sicuramente Mare di papaveri di Amitav Ghosh, appena tradotto e pubblicato da Neri Pozza. Primo volume di una trilogia dedicata alla storia dell'India, racconta le vicende dei viaggiatori dell'Ibis, un veliero di inizio Ottocento nell'India agitata e cupa della guerra dell'oppio. Personaggi sospesi tra oriente e occidente in un mondo che ha ben poco di noto per noi lettori: «uniti da una comunanza che oltrepassa continenti, razze e generazioni».
Inevitabile una certa curiosità per l'ultimo libro pubblicato in italiano da Helmut Krausser, autore de Il falsario (Einaudi) e Il grande Bagarozy e Melodien (Barbero): I demoni di Puccini. Conosco poco o per niente la vita di Puccini e gli scandali che l'hanno segnata ma ho parecchia fiducia nella capacità di Krausser di raccontare - reinventandola - la vita di un musicista.
Un piccolo "classico" è La penultima verità di P.K. Dick. Storia di una colossale e criminale bugia condotta a danno dell'intera umanità, convinta che l'ultima guerra condotta in superficie abbia distrutto il pianeta e resa irrespirabile la sua atmosfera. La situazione claustrofobica dei sopravvissuti sotterranei al conflitto è resa con una perfezione cristallina, tanto da inchiodare davvero il lettore alla pagina.
Ancora un paio di libri.
Il primo é Al crepuscolo, un'antologia di Stephen King che, leggendo il risvolto di copertina, sembra promettere non poco. D'altro canto un racconto non permette divagazioni o battute a vuoto. C'è chi dice che King abbia ormai sparato tutte le sua cartucce. Per controllare se è proprio così un'antologia è probabilmente un'ottimo campione.
Il collegio di Santa Lucia di Karen Russell sono dieci racconti con per protagonisti altrettanti bambini. Il genere... beh, una sorta di fantasy chiassoso e sregolato, un viaggio nell'assurdo condotto con la serietà un po' forzata tipica dell'infanzia. Difficile dire se si tratta di un capolavoro, ma sicuramente è un libro poco comune...
...
Per il momento mi fermo qui, ma non escludo di ritornare sull'argomento.
Buona lettura a tutti, comunque.

2.11.08

Verso Natale...

Natale, per chi non lo sapesse, costituisce circa un quarto del fatturato annuo di una libreria.
Un quarto è un conto un po' brutale e affrettato, certo, non comprende le librerie scolastiche o universitarie che hanno il grosso del loro fatturato in altri mesi (settembre e ottobre) o le librerie di mare i cui mesi preferiti sono quelli dell'afflusso di turisti, quindi luglio e agosto.
Un quarto o giù di lì è parecchio, comunque. Prova del suo "peso" è anche la quantità di titoli che gli editori stampano nei mesi di settembre e ottobre. Titoli degli autori più noti - due esempi a caso: Feltrinelli ha mandato in libreria nel mese di settembre il nuovo libro di Moccia mentre Rizzoli ha inviato alla fine di ottobre Brisigr di Christopher Paolini -pronti a dividersi la torta delle strenne. Ma l'aspetto più importante di Natale non è solo e tanto l'acquisto dei soliti, consueti, lettori. No, durante le festività ad acquistare e regalare c'è anche massicciamente il pubblico dei lettori meno abituali, i famosi lettori da tre-quattro libri l'anno che superano la porta della libreria alla ricerca di "quel" libro per il collega, l'amico, il capufficio. Anche semplicemente perché un libro costa relativamente poco rispetto ad altri generi (sui 20 euro) e permette di fare una figura almeno dignitosa, soprattutto se il libro è indovinato.
Uno dei risultati di questo processo è l'improvvisa rivalutazione della figura del libraio, chiamato a fornire consigli, suggerimenti, idee e pensate. Curioso: il momento di maggiore necessità del libraio o comunque di personale attento e preparato, coincide con il momento di maggiore afflusso di titoli nuovi... Ovviamente il libraio o chi per lui non ha tempo per leggere nemmeno il proverbiale 1% di quanto arriva. Al massimo di sbirciare la copertina e constatare che l'ultimo libro di Moccia ha per protagonista un quattordicenne. O forse due quattordicenni. O sedicenni. Insomma di adolescenti che acquisteranno il libro per potersi identificare con il protagonista "moccioso". Ma la realtà non è mai così facile. In genere chi vuole comprare il libro di Moccia sa già tutto tutto ciò che serve in proposito. Entra, acquista e se ne va. Il soggetto ideale, in questi casi, è una signora tra i cinquanta e i sessant'anni che vuole un libro "ambientato nel Pacifico", con per protagonista un uomo solitario e misantropo che deve prendersi cura di un ragazzino (o di una ragazzina?... non siamo troppo sicuri) fino a cambiare profondamente.
Naturalmente a nessuno viene in mente un libro siffatto.
«È uscito da poco?»
«Certo, ne hanno parlato per radio l'altroieri»
Si comincia a cercare. Cussler? Rollins? O'Reilly? Buticchi? O magari Coloane. La Allende? Figurarsi. Wilbur Smith? Lahaye? Robinson?
La madama attende mentre altre domande piovono.
«Avete il giallo di quello là di Genova?»
«Quell'horror ambientato in Svezia?»
«Le fate dei fiori, le avete?»
Va bene, va bene, va bene.
Ma il misantropo solitario non appare. «Saranno balle», pensi. Una storia confusa, un vecchio film, un libro in lingua straniera.
Tutti gli anni accadono episodi come questo. Misteri destinati a rimanere tali.
Magari mi capiterà, una volta o l'altra di trovare il libro, di riconoscerlo.
Forse.
Intanto il fantasma del Natale prende lentamente corpo. Preme e chiede, affannoso come una festa che bisogna far riuscire a tutti i costi.
Una festa che non può non riuscire.
...
Quest'anno a Londra il Natale è partito a ottobre, hanno scritto i giornali. I saldi, le offerte sono partite - pare - con due mesi di anticipo. Brutto segno, direi a occhio.
Le novità degli editori continuano ad arrivare con gelida, indifferente sicurezza.
Molti dei libri stampati in questo periodo andranno in resa prima degli altri. Fanno parte di un giro di novità che da gennaio in poi nessuno chiederà più, quindi anche se il libro è uscito a novembre andrà comunque in resa a gennaio.
Il Natale, fondamentalmente, aumenta il numero delle rese. Ingrassa il Grande mare dei libri morti, in sostanza. E Natale di quest'anno è probabile combini anche di peggio.
Non è detto, ma è probabile.
Resta il fatto che un libro è qualcosa di profondamente diverso.
Escono un sacco di porchierie - è vero - ma anche tanti libri che meritano. Non necessariamente in vendita nelle librerie ma anche on line o direttamente dagli editori.
Merita pensarci, credo.

22.10.08

Altri due...

Oliver Sacks.
Un nome che è una garanzia.
Sottile e complesso quanto attento, vivace e capace di tracciare collegamenti, legami, connessioni. Il neurologo che sa mostrare come un piccolo tic possa diventare la cartina al tornasole del rapporto umano con la realtà, il segnale di una lenta, inesorabile deriva dal mondo fino a perdersi nell'area dell'incomprensione e della follia.
Quanti libri sono usciti finora di Sacks?
Sette o otto, direi a occhio.
L'uomo che scambiò la moglie per un cappello e Risvegli, innanzitutto. Poi anche L'isola dei senzacolore, Vedere voci, Un antropologo su Marte, Zio Tungsteno, Su una gamba sola più alcuni altri saggi brevi. Bene o male tutti libri che riguardano o toccano da vicino condizioni paraumane, nel senso di individui (chi vede senza colori o monchi, per esempio) che mancano di qualche caratteristica che li rende indistinguibili da noi.
O che, viceversa, mostrano frammenti o elementi di una possibile diversità aliena che li rende strani e difficili o impossibili da paragonare.
Musicofilia è una lunga - e forzatamente a tratti un po' rapida e sintetica - rassegna di possibili comportamenti umani nati da un aspetto della percezione che è essenzialmente umano: la musica. Possibili comportamenti umani che percorrano e frequentano aree esclusivamente personali, inafferrabili, incomprensibili, assurde o fastidiose per chi non è colpito da sindromi e malattie.
Basti pensare a coloro che vivono perennemente in compagnia "musicale", ovvero accompagnati da una musica interna che li abbandona soltanto nelle ore del sonno. Chi vive colpito da amusia o "perseguitato" dalla presenza del meraviglioso (e terribile) orecchio assoluto, o, ancora, il complicato e ricchissimo rapporto tra musica e cecità e l'universo inimmaginabile di chi "inverte" le modalità sensoriale confondendo suoni e colori.
Il nostro rapporto con la musica è molto più vasto e problematico di quanto siamo disponibili ad ammettere. La musica può essere solamente un elemento separato e temporaneo della nostra vita quotidiana, una colonna sonora che ci accompagna nei nostri spostamenti o - più raramente - nei momenti di relax, ma che un improvviso e minimo squilibrio cerebrale può far divenire una parte indomabile e fatale della nostra esistenza, un elemento centrale intorno al quale il resto della vita dovrà necessariamente riorganizzarsi.
Il rapporto profondo tra musica e parola è poi un ulteriore e complesso problema. Che sia possibile cantare distesamente e farsi capire ma non parlare in forma completa e comprensibile è un ottimo esempio di un frattura profonda tra le due aree cerebrali, tuttora non perfettamente compreso.
Essere colpiti nell'area musicale, che si tratti di una maledizione o di una fortuna è, entro certi limiti, un'avventura personale. La musica è qualcosa di profondamente diverso da molti altri fenomeni cerebrali e Sacks con questo libro ce ne fornisce non pochi esempi.
...
Ratti rossi, di Qiu Xiaolong è un discreto libro.
Un poliziesco (niente a che vedere con il preteso "noir" presentato in copertina) condotto con sicura capacità e un personaggio ormai decisamente "ben rodato", l'ispettore Chen della polizia di Shangai. Questa volta Chen si trova coinvolto in un'inchiesta non soltanto pericolosa per sé ma anche estremamente delicata e complessa, ricca com'è di sottili e inconfessabili rapporti con le più alte (e pericolose) cariche dello stato. Un omicidio in un ambiente "equivoco", legato agli ambienti più corrotti e potenti. Ed è la corruzione, molto diffusa e altrettanto insidiosa - i "ratti rossi", ovvero alti personaggi del partito legati alla mafia delle Triadi - sui quali Chen sarà chiamato a investigare, perennemente incerto sul genuino sostegno dei suoi superiori.
Un discreto giallo, dicevo, ma con un fondamentale difetto.
Ratti rossi, infatti, termina senza terminare, lasciando intuire una seconda e fondamentale parte. Chen, infatti, lascia l'America dove ha (parzialmente) risolto il caso e ritorna in Cina dove è chiamato a una sfida più alta e pericolosa. E noi, purtroppo, lo dobbiamo salutare qui, "L'ispettore Chen era pronto a ritornare a Shangai" sono le ultime righe dell l'autore... e a noi lettori non resta che attendere il quinto giallo della serie.

18.10.08

Caduta degli dei

Periodo infame, questo, indipendentemente - va detto - dalla mie condizioni personali.
È vero che io sono in una situazione non facilissima da spiegare, nella quale l'attesa per la seconda operazione finisce per pesare sulle cose di ogni giorno rendendo tutto complicato, assurdo o troppo faticoso, ma la crisi in atto - o meglio la paralisi autoimposta in attesa della crisi - è diventata un incubo quotidiano, qualcosa che impedisce di ragionare normalmente e che vieta ogni forma di abbandono.
Acquistare un libro, lo sappiamo tutti, è un gesto essenzialmente voluttuario. Si compra un libro per coccolarsi, viziarsi, abbandonarsi a un momento di compiacimento e autogratificazione. Ci sono tanti altri motivi, certo, ma la ragione prima è questa. Tanto è vero che i forti lettori possiedono in genere molto più libri di quanti ne possono leggere entro un tempo ragionevole e per loro qualsiasi sosta in una libreria è un'occasione per aumentare il distacco tra i libri da leggere e quelli già letti.
Questo, perlomeno, in tempi normali.
Tutti hanno i loro momenti no, le loro crisi, i loro periodi di negatività. Ci sono momenti nei quali rifiutiamo la modesta medicina di un libro o ci chiudiamo in casa a tentare di rileggere i libri già letti. Periodi nei quali rifiutiamo il rapporto con la libreria e altri momenti nei quali - Dio solo quanto a ragione - delusi da un autore o da un libro giuriamo di non comprare né leggere più nulla per un po'.
Ci sono momenti nei quali ci consegnamo a un autore e sostanzialmente non leggiamo altro e momenti nei quali leggiamo libri bruttarelli e un po' stupidi o titoli che non si sarebbe creduto di poter apprezzare e che infatti, passato il "periodo" non riusciamo proprio a capire come possiamo avere letto e, entro certi limiti, apprezzato.
Momenti nei quali si ha voglia di rileggere , reincontrare, meditare titoli letti tanto tempo prima e altri nei quali si ha voglia di sorridere dei nostri gusti di un tempo, un po' semplici e un po' generosi.
Le letture sono tante e ubbidiscono a norme e momenti del tutto personali e questo intero genere di fenomeni tocca "a rotazione" tutti i forti lettori, determinandone i moti, le apparizioni, le scomparse e le riapparizioni.
Quando, come in questi giorni, i lettori scompaiono per la quasi assoluta totalità si deve ipotizzare che:
1) siamo nel mezzo di una crisi.
E va bene, lo sappiamo.
2) No, di più. Siamo nel mezzo di una crisi di ignota gravità e sconosciuta durata alla quale i lettori (come gli agenti di borsa, gli speculatori e gli amministratori delegati) non sanno come reagire.
E questo, ammettiamolo, ci fa molta più paura.
È ben vero che una crisi che colpisce per prima la nostra ansia di comportamenti voluttuari ha qualcosa di umano e ragionevole. Nella Germania del 1944-1945, sotto i bombardamenti degli alleati, i giovani tedeschi ballavano e fornicavano in ogni possibile occasione, cercando di disperatamente di dimenticare tutto ciò che li circondava. Oltre un certo livello i comportamenti "voluttuari", insomma, erano non soltanto quotidiani ma anche più o meno socialmente approvati.
Qui siamo soltanto all'inizio, fortunatamente.
Si risparmia.
Si considera meditabondi il saldo in banca.
Ci si chiede se è il caso di vendere o meno quel pacchetto di azioni ricevute o acquistate a suo tempo.
Si compra il giornale tutti i giorni.
Si fanno proiezioni e valutazioni, stime e giudizi. Con la sottile sensazione, comunque, di aver capito poco o niente.
Nel frattempo i camion dei corrieri portano nuove novità presso le librerie.
In vista di Natale.
Osssignùr.
Onestamente, nulla di troppo appetitoso. Nemirovsky, Auster, Roth e Richler tra i bbbuoni ma anche Moccia e Vespa. In mezzo qualcosa di decente comunque c'è, come dice la mia amica Pina di Einaudi. Una caratteristica che comunque fa parte sempre della produzione. C'è sempre qualcosa di buono da leggere.
Non è difficile immaginare come finirà la storia, comunque.
Possiamo arrivare (ovvero scendere) a -20 / -30%, comunque, anche ignorando i giorni di semideserto come questi.
Con un regime come questo CS semplicemente non resisterà e come lei non resisteranno parecchie altre librerie indipendenti.
Che faremo?
Mah, ci penseremo.
Speriamo sia soltanto una paura temporanea...
C'è qualcuno che ha bisogno di un lettore ad alta voce?

9.10.08

Due compiti trascurati

Com'è andata siete in diversi a saperlo, credo.
In fondo ho usato questo blog come memoria e testimone dei miei problemi, sicché chi è passato di qui ha potuto mantenersi informato.
Adesso va un po' meglio (anche se la seconda operazione è imminente), tanto che posso persino fare due chiacchiere - o meglio scriverle - per i libri letti per lo scorso LN (a proposito: il numero 47 esce il prossimo venerdì, il 20/10) e che non ho recensito per LN.
Quanti libri ho letto, innanzi tutto?
Beh, a parte L'ultima flotta dello Zar, recensito qui non più di un paio di settimana fa, si tratta di sette libri, piuttosto vari per genere e tipo.
Quindi comincerò qui con un paio di titoli e poi via, se il pubblico apprezza.
Soltanto una piccola precisazione. Quando scrivo per LN mi preoccupo di mantenere un certo tocco e creare i legami più opportuni con altri libri letti in altri momenti o comunque noti. Il mio stile, pur essendo amicale, si orna di una certa eleganza e mi preoccupo di sintetizzare buona parte del libro. In questo luogo, viceversa, sarò vago e approssimativo, proprio come deve essere un lettore a caso. Se avrò voglio di porre i libri in rapporto a qualcosa lo farò altrimenti ciccia. E lo stesso vale per la trama.
Ciò detto e così avvertiti, vado a iniziare.
...
Il mercato d'azzardo di Guido Rossi, Adelphi.
Un libro uscito all'inizio dell'anno. Dove l'ottimo Guido Rossi - ex-presidente della CONSOB e docente di diritto - preannuncia semplicemente ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni. Sottolineando il ritardo normativo del sistema economico nel disciplinare e organizzare le nuove forme di economia rampante (più corretto chiamarla finanza), avanza il sospetto che presto si sarebbero fatti (o si sarebbero dovuto fare i conti) con la demenza rampante della finanza d'assalto. Il crescente strapotere dei manager sulla proprietà unito all'impotenza e la miopia degli organismi di controllo europei ed americani determina una situazione difficile, al limite di una possibile crisi...
Appunto.
Adesso ci siamo dentro, nella crisi.
Certo, Rossi non dà suggerimenti di cosa farne dei soldi né di dove nasconderli. E che i suoi ammonimenti si rivelino tanto giusti quanto ormai inutili non è certo una consolazione. D'altro canto non era nemmeno suo compito fare la Cassandra della situazione o indurre in poco più di cento pagine gli eventuali speculatori a ritornare sui propri passi. Il passo dei fenomeni economico spazza via le singole volontà senza rispetto per nessuno e per nulla.
Quando ci sei dentro rimangono soltanto paura, panico e disperazione.
E noi ci siamo dentro.
...
Completo cambio di registro per un altro libro, Second Hand di Michael Zadoorian.
Editori Marcos y Marcos, ovvero tra i pochi editori davvero attenti alla propria produzione. Su LN non l'ho mai detto ma qui posso anche scriverlo: Claudia e Marco Zapparoli, anime e corpi delle edizioni, sono veri editori, ciò che a me sarebbe piaciuto essere e fare...
Vabbé.
Second Hand è un frammento della vita del protagonista, un appassionato cacciatore di ciò che potremmo definire «modernariato», ovvero - da un altro punto di vista - di piccole, inutili scemenze. Una volta recuperati gli oggetti (cose tipo una vecchia palla da baseball usata nel corso di una grande partita degli anno '50, un indiano reggistuzzicadenti, una collezione di piatti con il logo di una grande squadra di football ecc.) questi vengono posti in vendita - e generalmente venduti. La caccia è in realtà il motivo fondamentale dell'attività. Trovare e riconoscere i piccoli oggetti è il motivo fondamentale dell'attività. Tutto bene, in apparenza. Un piccolo mondo un po' misogino e claustrofobico, volendo, ma perfettamente adatto a Richard, il protagonista. Senonché una serie di eventi accadono contemporaneamente - la morte della mamma vedova e l'apparizione di Theresa, appassionata e disperata protettrice di animali perduti e abbandonati.
Le due esperienze, ciascuna a modo suo, si rivelano essenziali per la maturità di Richard. Deve abbondonare i suoi modi da bambinone e le sue convinzioni più pigre. Scoprire le pieghe più sconosciute e inattese della vita del padre e della madre e cercare di comprendere i motivi e improvvise ansie, le sofferenze e gli sbalzi di umore di Theresa. Tutt'altro che facile, ovviamente.
Il romanzo viaggia leggero, comunque, senza appesantirsi. In qualche momento appassionante, in altri sinceramente toccante, un romanzo che è un vero amico da reincontrare con piacere.
Se di questi tempi avete voglia di leggere qualcosa che non vi si liquefi in mano lasciandovi parole a vuoto e il ritratto sorridente dell'autore, beh, compratevi questo.
Un difetto, infine, probabilmente del tutto personale.
NON SOPPORTO THERESA.
L'ho detto, finalmente.
Capita.
Non la capisco e ancor meno capisco la fissazione del protagonista per lei.
Sarà un problema di sesso ovvero di vecchio, intollerabile maschilismo.
Può essere.
Ma è anche possibile che sia Zadoorian ad aver creato un personaggio adatto al suo protagonista. Quindi un'altra centro per lui.
Non male.

30.9.08

ALIA!


Siamo alla quinta raccolta. Una per ogni anno dal 2004 in poi.
Fantastico misto, ovvero un mix di temi, suggerimenti, idee, soluzioni che è sinceramente difficile trovare riunito in così poco spazio. Diciamo che in questo ALIA ci sono:

- Un divertito e perfetto episodio rock-satanico
- Un episodio della nostra possibile, interminabile degradazione
- Un fantasy che in coda si rivela piuttosto fantascientifico
- Un sontuosa e delicata storia cannibale/epicospale
- Una sorprendente metafora dell'enigmatica situazione umana
- Un delirante (e spassoso) incubo ultra-iper-consumista
- Il punto zero del degrado urbano
- La sottile separazione tra uomo vivente e uomo replicato
- La furia chimicamente indotta
- Un dialogo davvero definitivo
- Una storia d'amore eterna e quasi
- Rimanere uomini pur essendo, praticamente, qualcosa di molto diverso

Dodici storie non troppo normali e non così «italiane» come siamo abituati a pensare.
Non mi dilungo anche perché esistono ben due prefazioni - una di Vittorio Catani e una di Silvia Treves - e correrei il rischio di ripetere, peggio, ciò che è già stato scritto.
Non mi resta di consigliarvi di leggerla...

23.9.08

Dalle stelle alle stalle


Importante premettere che ho letto questo libro quando la mia operazione era ancora recente. Come dire che non posso giurare sulla veridicità del mio parere, né essere poi troppo certo che il mio parere sia del tutto centrato.
Ciò detto, comunque, non resta che ammettere che questo «L'ultima flotta dello Zar» di Costantin Pleshakov si è rivelato quanto meno parecchio inferiore alle attese.
Domanda successiva: perché?
Beh, cerchiamo di approfondire un minimo.
Nel 1905 è in corso una guerra tra il Giappone e la Russia zarista. Una guerra lontana e un po' sfocata per l'Occidente ma di importanza sostanziale per il futuro dell'area. I giapponesi vincono, non c'è dubbio, e la Russia - nonostante impegno e denaro speso - sta perdendo Port Arthur (base militare sul Pacifico) e con questo la guerra. A qualcuno a Pietroburgo viene in mente l'idea di costruire e inviare una flotta a Port Arthur per tentare di salvare la baracca. Detto / fatto si crea la Prima Flotta del Pacifico, formata per la maggior parte da unità recente alla quale si affianca presto una Seconda Flotta, formata da ferri da stiro, e dopo qualche mese una Terza flotta, formata da ferri da stiro ancora più vecchi e al limite dell'utilizzabilità.
A comandare la Prima flotta viene posto Rozhestvenskij , ammiraglio relativamente giovane e di buona preparazione. Questi ha il compito di condurre la flotta da Kronstadt (golfo di Finlandia) alla Siberia. Il tutto in dieci mesi. Lì giunto deve combattere i nippo, sconfiggerli e liberare Port Arthur.
Ovviamente il povero Rozhestvenskij nutre più di qualche legittimo dubbio su tutta l'operazione, dubbio che, una volta conosciute le navi (le proprie e quelle delle altre flotte) si fa certezza: non ce la faranno mai.
Ma questo non lo ferma.
Con una mentalità degna di un samurai il nostro ammiraglio guida la flotta russa per un folle periplo attraverso tre oceani, arriva al largo del Giappone, affronta i nippo e viene sconfitto - due terzi della flotta russa viene affondata - oltre che gravemente ferito.
In ospedale in Giappone riceve comunque la visita dell'ammiraglio Togo, venuto a portargli i propri omaggi che saranno gli unici, peraltro, che riceverà.
Inutile dire che Rozhestvenskij è necessariamente il protagonista di tutta la vicenda. Non solo protagonista per il suo ruolo di ammiraglio ma soprattutto per la cupa determinazione con la quale guidò la flotta russa all'inevitabile massacro. Un uomo rigido e rabbioso, fedele allo Zar ma anche, nel contempo, perfettamente conscio dei profondi e imperdonabili difetti del sistema autocratico.
Si tratta di una storia che ho letto molte volte. Una vicenda che unisce la fama lugubre delle migliaia di marinai morti a bordo delle navi russe affondate con il disperato impegno di Rozhestvenskij. Non solo. Siamo nel 1905, l'anno della prima rivoluzione e dell'ultima tocco di campana per la casa Romanov.
Ho letto credo quasi tutto ciò che esiste in commercio sull'argomento, sia per motivi "militari" che per motivi politici. Quando è uscito il libro di Pleshakov mi sono affrettato a impadronirmene, sperando - un po' superficialmente - che approfondisse e tentasse un profilo più moderno e completo di Rozhestvenskij.
Un tentativo c'è, non c'è dubbio, ma nulla di risolutivo. Pleshakov accompagna la flotta russa per tutto il suo interminabile viaggio, cercando di tenere sotto controllo Rozhestvenskij e i suoi marinai, gli altri ammiragli, lo stato maggiore e lo Zar e Port Arthur fino alla sua caduta. Di ognuno riferisce non soltanto le notizie ma anche le voci, i sussurri, i pareri e i giudizi. Inevitabili farsi un'idea - molto superficiale, purtroppo - del clima a corte ma senza che questo permetta di afferrare in modo più preciso i motivi e le ragioni di Rozhestvenskij. Si partecipa a tutto il viaggio e si arriva alla battaglia nelle ultime 30-40 pagine (decisamente un po' sacrificate) e al rientro dell'ammiraglio nella Russia ormai vicina alla rivoluzione, che gli renderà (almeno lui) l'omaggio dovuto.
La sensazione, in sostanza, è quella di sfogliare un rotocalco dell'epoca. Con «le donne» dell'ammiraglio, i suoi accessi di rabbia, la sua intolleranza, le sue astuzie e le sue trovate per condurre la flotta fino al porto successivo con i serbatoi pieni. La grandezza quotidiana di Rozhestvenskij rimane in ombra, come rimangono in ombra i suoi motivi e la sua tetragona fissazione. Ad apparire e solleticare il lettore soltanto qualche guizzo e alcuni momenti più o meno allegri.
Troppo poco, davvero. Troppo poco.

17.9.08

Riflettere intorno a un punto

Si procede così.
Mezza giornata al giorno (scarsa) in libreria in attesa del secondo intervento.
Lo so, non si dovrebbe parlare troppo di sé in un blog, ma i pensieri inevitabilmente, ritornano sempre da quelle parti. Quando sono in librerie tutto - debiti, fatture, scadenze, urgenze, necessità - fa sì che temporaneamente cancelli la mia condizione di pseudomalato o di quasi-sano. Sono semplicemente me stesso: non troppo in buona salute - certo -, con un sospetto di rimbambimento senile e con qualche occasione debolezza nell'eloquio, ma complessivamente di nuovo me stesso. Poi ritorno a casa e la mia condizione un po' ridicola di uomo sul filo del rasoio ritorna a farsi viva e urgente.
Ciò che in libreria non mi spaventa (oddio! Tra dieci giorni debbo pagare tizio, caio, sempronio...) o perlomeno non mi spaventa troppo, tra le quattro mura della mia casa mi terrorizza, provoca sudori freddi e orrori indicibili. Se non sono in libreria la mia vita mi sembra un po' meno mia. Anzi, mi sembra un frammento d'incubo, un ricordo posticcio sovrapposto all'arcano silenzio della mia vera vita. Un po' come in un personaggio di P. K. Dick al quale sia stato cambiato il passato. Ma non del tutto, non completamente.
Che cosa ho fatto finora, oltre che pagare Mondadori e Messagerie o cercare di tenere buono Rizzoli?
Ho scritto, certo.
Quello che sto facendo anche in questo momento.
Ma mi manca la gioia di farlo, il desiderio di tornarvi.
Già, perché uno degli spunti della scrittura era proprio il desiderio di allontanarmi (separarmi, alienarmi) dalla mia vita quotidiana.
Niente vita quotidiana = nessuna ansia di evadere.
O forse, semplicemente, si tratta di paura.
Scambiare il nome di un oggetto con l'altro senza che il proprio ego faccia una piega («mi passi il riso? Come "quale riso"?») è una condizione che può destare ilarità o pena ma, in ogni caso, comporta l'impossibilità di scrivere. Sic et simpliciter.
Dare a qualcuno da leggere una cartella zeppa di parole che non sono esattamente le parole che volevate ma altre... beh, prima di questa esperienza era un tipo di terrore che non avevo ancora sperimentato.
Si tratta molto probabilmente di una situazione che mi sono lasciato dietro, certo, ma di molto poco e per poche settimane. Giungere a guardare in faccia i propri delicatissimi neuroni è un'esperienza che non auguro a nessuno.
Questa è la mia situazione che, indegnamente, ho pensato bene di eternare su questo blog per potermela rileggere domani, quando starò di nuovo bene, o perlomeno quando questa fase sarà chiusa.
Ma riflettervi un po' non fa male.
Non credo di doverci tornare ancora sopra, consolatevi, navigatori.
Almeno per un bel po'.

11.9.08

Le rese e/o la scomparsa

Prima metà di settembre, quando si preparano le rese.
Già, le rese.
Questo non è un intervento serio e meditato sulle rese. Nossignore. Semplicemente una riflessione risvegliata dal momento e, tutto sommato, intrinsecamente prevedibile. Prevedibile nel senso che tra un anno potrò riprenderla e ricollocarla esattamente qui.
Nel settore librario si inventa poco, purtroppo. E quello che si inventa... vabbé.
Le rese, dicevo.
Non so come facciano gli altri, ma per noi è relativamente facile. Si stampa un foglio di possibile resa partendo dal foglio del magazzino, si richiede l'autorizzazione a rendere al promotore e via, si comincia.
Sarebbe un compito apperentemente indolore. Si tratta di trovare i titoli richiesti, controllarne la quantità, inscatolarli, chiudere le scatole, apporre i sovrapacchi, chiamare il corriere e via, eccoci pronti a ricevere il prossimo giro.
Sarebbe un compito apparentemente, se non...
«Questo qui vuoi proprio renderlo?»
Tutto sta a vedere a chi affidare il compito di preparare le rese, certo. Ma non cambia mica molto, tutto sommato. In genere a fare le rese viene scelta la persona che ha curato meno di tutti la presentazione, ovvero chi nell'ambito della libreria ha fatto tutt'altro. È una specie di contrappasso o forse un modo per dare a qualche libro un'ultima possibilità.
Forse.
Quando si fa la scelta dei titoli da rendere si guardano (nell'ordine):
1 - la movimentazione del pezzo
2 - il numero di riordini
3 - la data di arrivo
Poi la decisione è, in un certo senso, presa da sola.
I titoli si guardano relativamente poco, anche per evitare conflitti di coscienza.
Fino a qualche anno fa esisteva la possibilità di "graziarne" qualcuno.
Da tre o quattro anni, viceversa, tale possibilità pare essere completamente svanita. I libri sembrano avere perduto il loro passato e, specularmente, il loro futuro. Ovviamente un libro può essere "salvato" senza problemi, ma le sue possibilità di essere richiesto non tendono a cadere gradualmente quanto a scomparire completamente. Spostato dal tavolo o dai piani a esposizione e trasferito sullo scaffale il libro - romanzo, saggio, pamphlet, saggetto - perde colore e forma e diventa sostanzialmente invisibile.
Forse è perché nessuno guarda più i libri a scaffale?
Interessante domanda questa, quasi istruttiva.
Mi ricordo ancora i tempi nei quali cercavo di leggere i nomi degli LP sugli album riposti sugli scaffali. E ricordo benissimo la sensazione di fatica che dava il frequente cambio del punto di inizio e di direzione della lettura. Il bello era che tale fatica era spesso inutile, ma cercare "nella confusione" era un modo serio e maturo di terminare il viaggio in un negozio di dischi.
Adesso cercare negli angoli poco frequentati è diventato assurdo. Sono in pochi a cercare a scaffale e nessuno cerca più nulla nel silenzio e nella confusione. Adesso i libri si trovano subito o mai più.
Sui tavoli o non si trovano mai più.
Parlo sul serio, fin troppo.
Il libro che vi ha incuriosito - interessato, incapricciato, mosso - resta a vs. disposizione per 90/120-giorni-90/120.
Dopo andrà in resa.
Se pubblicato da un piccolo editore andrà in resa anche prima. O verrà eclissato per far posto all'ultima Strazzullata.
Alle spalle premono 55-60mila novità annue in attesa di uscire, pronte ad aprirsi e a risplendere come in un documentario accelerato...
Ha qualcosa a che vedere tutto ciò con i libri?
A voi ogni giudizio.

7.9.08

Soddisfatto a percentuale

Mi è arrivata in questi giorni l'introduzione di Vittorio Catani alla sezione italiana di ALIA, ALIA Italia. Un paio di pagine dove Vittorio, uno dei pochi "nomi" della letteratura fantastica italiana, presenta e commenta i dodici racconti e i relativi autori.
A parte la sensazione di piacevole gioia che dà poter leggere il commento positivo di Vittorio alla propria "storia" - il dubbio che il proprio racconto non sia all'altezza degli altri permane come un piccolo fastidioso disturbo per tutto il tempo della lettura - e la sensazione altrettanto gradevole che anche le altre storie siano risultate all'altezza della necessità (subito seconda nella classifiche dei timori), rimane comunque un grado ulteriore di curiosità. Il racconto ha funzionato, d'accordo, ma quanto? Avrebbe potuto essere migliore? E in che modo?
Ansie e paranoie, d'accordo, ma che chiunque scriva - anche come secondo mestiere - non può fare a meno di porsi.
Un passo indietro.
ALIA Italia è un'antologia tematica, nel senso che accoglie esclusivamente narrativa "fantastica".
"Fantastico" nel senso più ampio che vi possa venire in mente. Per fare un esempio, in questo ALIA trovano posto, rubando la parole a Vittorio: «...dalle musiche diaboliche ai roghi di lettori di libri, dai minatori nello spazio agli avvelenamenti ambientali, dal fascino ambiguo di creature ibride a misteriosi simulacri provenienti dal futuro...», ovvero un mix quantomeno curioso e vario. Bene. Quale domanda un autore può ragionevolmente porsi? Che so, una domanda tipo: «Sì, va bene, ma la mia storia sarà abbastanza vivace? Sarà sufficientemente sorprendente? Mossa? Movimentata? Ci sarà abbastanza azione? Colpi di scena?»... e così via, meditando e immaginando.
Che poi i dubbi, i giudizi a posteriori, le reprimende, i pentimenti abbiano o meno una buona ragione è tutto un altro discorso, in realtà. Personalmente mi dicono che ho qualche resistenza nell'inserire scene "forti", preferendo quasi sempre uscite o soluzioni più sottilmente elusive. Sarà vero? Può darsi. Talvolta mi piace che le scene più violente avvengano "fuori campo" e che i protagonisti si trovino a fare i conti con gli esiti più piuttosto che con le premesse. Tutti elementi che hanno provocato infinite (e amichevoli) discussioni con Catani, sempre concluse con promesse (mie) di essere più "deciso" e da parte di Vic con l'osservazione che, in fondo, può trattarsi semplicemente di gusti. Fino alla successiva occasione. Resta il dubbio se il passaggio alla categoria professionisti possa avvenire quando si ritiene perfettamente adeguato il proprio "pezzo". O no? Secondo me no, per farla breve.
Essere soddisfatti a percentuale (da 65% in su) di ciò che si è pubblicato è diventato per me una sorta di "sigillo", una garanzia che sì, ho dato il massimo di me, ma che avrei potuto fare anche meglio.
Un'illusione, probabilmente, ma qualcosa di curiosamente importante.

3.9.08

Incontri

Obbligato a rimanere a casa per buona parte del giorno, perdo molto più tempo di quanto avrei ritenuto possibile. Non riesco a scrivere recensioni né ho voglia di leggere qualcuno dei tanti libri tra quelli la libreria riceve.
Colpa della produzione?
No, onestamente non credo.
Il problema reale sta, probabilmente, nel troppo tempo passato a leggere.
Nel leggere troppi libri dei quali, sinceramente, non importa nulla o dei libri dei quali importerebbe qualcosa giusto in un altro momento, in un altro tempo, in un altro segmento della propria vita.
È capitato a tutti, no, di leggere qualcosa di importante in quel momento ma del quale, sinceramente, in un altro momento della propria vita non ci sarebbe stato nulla di particolare da ricordare. Posso anche fare degli esempi - L'uomo che fu Giovedì di E.T.Chesterton o Furia dall'ignoto di Lloyd jr. Biggle - due libri a caso tra i tanti che mi hanno regalato e che, letti in un viaggio o nel corso di un soggiorno, mi diedero qualcosa di inestimabile. Poi, una volta ripresi in mano a distanza di tempo, si sono rivelati - nonostante tutto - normali. Eppure i personaggi, i luoghi, la vicenda o l'intreccio non erano cambiati. Era qualcosa in me stesso il problema, probabilmente, qualcosa che non era possibile recuperare se non casualmente e per un breve istante.
C'è qualcosa di sottile e inestimabile che un libro può regalare. E ciascun libro, viceversa, può assumere diversi connotati e fisionomie in attimi differenti della nostra vita.
Che è un po' come dire che cercare furiosamente & disperatamente un libro che finalmente può saziarvi ed essere allineato sullo scaffale d'eccelsa bellezza è, in definitiva, una cavolata.
I libri che valgono sono quelli che vi regalano qualcosa. Magari l'assurda storia degli anarchici-poliziotti di fine '800 o l'avventura di un monco lungo l'asse del tempo della Terra.
O quello che preferite.
E nel momento che preferite.
Il problema - in definitiva- è soltanto quello di riuscire a incontrarla.


30.8.08

Uno e nessuno


31 di agosto.
Un caldo instabile, aria immobile, clima da estate che si va gradualmente disperdendo.
Mi sono tolto i punti, anzi mi hanno tolto i punti. Il risultato è un insieme piuttosto pauroso, sinceramente. Una doppia serie di segni che corre dal sotto la mandibola fino all'inizio della clavicola. Onestamente pensavo a qualcosa di più moderno ed elegante.
Mi chiedo se, quando sarò pronto per il secondo intervento, questo doppio segno sarà stato ingoiato dalla pelle o sarà ancora visibile?
Che effetto farà girare con un doppio tracciato più o meno sanguinoso?
Ben poco, probabilmente.
La malattia è personale, non collettiva, scrive Sacks. La «mia» malattia che mi colpisce è in realtà del tutto normale. Potrei finire su un manuale di chirurgia vascolare e trovarmi a considerare con distaccato disgusto e personale orrore lo stessa lunga serie di segni. Esattamente come possono fare altre migliaia e migliaia di persone.
La malattia conserva in se stessa entrambe le sue nature. La sua natura «sociale» che la rappresenta pubblicamente e la rende riconoscibile e la sua natura «personale» che la rende un bene interamente vostro.
Ciò che vi permette di ripetere ad alta voce: «la mia carotide», come potrebbe essere per un cancro, un escrescenze, un bubbone. Quella sottile o profonda differenza che, mentre vi mette a confronto, vi permette di sentirvi diversi, un po' strani, un po' curiosi.
Anche la morte rimane un po' sullo sfondo, un po' secondaria. Si riunisce nella periferia del gruppo di esperti. Non parla per conoscenze né si esprime per necessità. Ma se qualcuno le chiede qualcosa non ha difficoltà a rispondere. Non ha difficoltà: siamo tutti suoi ancora prima di essere sofferenti e suoi saremo sino alla fine.
No, la realtà è che il «la mia carotide» (o, meglio, le «mie carotidi») vorrei non avessero nulla ma proprio nulla di mio. Vorrei fossero semplici frammenti e attimi. Casuali reperti. Angoli immaginiferi di sostanze assurde e imprevedibili.
Qualcosa che nel passare dal sonno alla realtà (o viceversa) potrebbe essere tagliato via. Sottratto, dimenticato con un sorriso.
Lo so che non è così, ovviamente.
Che ognuno di noi è una creatura senza speranza.
Conviene sorridere, in fondo.
E fare finta che ci siano ancora migliaia e migliaia di giorni.

13.8.08

Imprevisti

Quanto tempo occorre per scrivere una frase?
Quanto tempo occorre per capire il significato di una singola parola?
E di una sillaba, quando tempo ci vuole per capirla?
Quest' estate, nel periodo compreso tra il 5 agosto e oggi, il 22 agosto, ho «perso» - anche soltanto temporaneamente, me lo auguro - la capacità di utilizzare le mie doti più sottili e raffinate.
Per questo numero di LN - il 47 - non scriverò nulla e ringrazio il cielo di aver già praticamente terminato il lavoro condotto per ALIA 5.
Per CS... beh, ieri mi hanno operato e mi hanno sistemato la prima delle due carotidi, la seconda la sistemeranno tra un paio di mesi. Due carotidi che ignoravo, peraltro, di avere in queste condizioni.
Ho messo giorni soltanto per darvi da leggere queste povere, poche frasi...
Penso che mi ci vorranno alcuni mese per ricominciare a leggere e scrivere come facevo prima del 5 di agosto...
Abbiate fede, amici e abbiate pazienza....
E per qualunque dubbio scrivete a Silvia!

29.7.08

Riduzione a Icona

Sono in ferie, quindi almeno per un po' non scriverò sul blog.
In realtà sono in ferie già da una settimana o giù di lì, ma il problema di avere un'attività in proprio è che non si è mai realmente in ferie. C'è il fornitore che ti cerca, bisogna passare in banca, bisogna rispondere a questo e a quello, produrre scartoffie a vantaggio del fisco eccetera. Quando tutti questi enti saranno finalmente chiusi potrò anche concentrarmi soltanto sulle mie ferie. Più o meno come riuscire ad addormentarsi mezz'ora prima che suoni la sveglia...
In compenso, giusto perché non vi dimentichiate troppo presto di me, ho messo in piedi una cosuccia nuova in complicità con Silvia Treves (S_3ves). Si tratta di un romanzo di SF che abbiamo scritto a quattro mani e che pubblicheremo a puntate, secondo la nobile tradizione del feuilleton, su un blog che abbiamo aperto a bella posta.
Romanzo e blog hanno lo stesso nome: Riduzione a icona.
Quanto ai motivi di questa insana e impulsiva decisione vi rimando all'intro che appare sul blog di RaI. In questa sede basterà dire che far girare un romanzo in forma semiclandestina in attesa di essere finalmente «scoperti» da qualche abile e talentoso editor (MA CE NE SONO ANCORA?) è un'operazione patetica, soprattutto se il romanzo è di fantascienza. E pubblicare con CS_libri in tempi di magra come questi non è una grande idea. Oltretutto è sempre possibile che il romanzo valga molto meno di quanto crediamo io e Silvia (che non casualmente è anche mia moglie), ma l'unico modo che abbiamo per saperlo, in fondo, è quello di farlo leggere.
Quindi...
Beh, buona lettura e a rileggerci (anche) su queste pagine.

22.7.08

Una non-recensione a un non-libro

Dai lettori che hanno scaricato - del tutto o in parte - i materiali narrativi che ho pubblicato in rete nel mio blog ho ricevuto diversi commenti. Qualcuno veloce e sintetico, altri più meditati e puntuali, con suggerimenti, rilievi, consigli, osservazioni e critiche. In sostanza la prima fase dell'operazione di autopubblicazione si è rivelata molto più feconda e ricca di quanto avrei onestamente ritenuto possibile. Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno dedicato tempo e pensieri alle mie cose. In particolare ringrazio chi mi ha incoraggiato a persistere e a dare uno sbocco in termini di pubblicazione a qualcuno dei testi ancora inediti pubblicati on line.
Discorso complesso anche e soprattutto perché l'unico editore disponibile a pubblicare un mio testo è CS_libri. Dal momento che autore ed editore nel mio caso coincidono parrebbe una partita facile ma non è così. L'editore, infatti, pretende che un romanzo non sia un «fungo» letterario che spunta all'improvviso e dove gli pare , ma che faccia parte di un progetto, di una collana, di un disegno più ampio. E CS_libri, per dire, NON HA (e non so se avrà mai) una collana di sf... Pensare ad altri editori, d'altra parte - vista anche l'esperienza fatta con Urania - mi sembra quantomeno poco realistico o prematuro.
Quindi?
Quindi Ultimo Spettacolo, il romanzo inedito che ho inserito nello spazio narrativo del blog resterà a lungo a disposizione degli eventuali lettori. Non ho l'età per giocare a fare il «giovane esordiente» e non essendo ancora ridotto alla fame non ho l'assoluta necessità di scrivere un sexy-noir-thriller con per protagonista un commissario buongustaio ma infelice, che sarebbe sicuramente meglio accolto dei miei insani e faticosi testi, troppo ricchi di assurdità e di personaggi. Le molte esperienze fatte mi hanno convinto che ciò che scrivo difficilmente incontra l'interesse di editori sani di mente e giustamente preoccupati per il loro portafoglio ma questo mi rende anche assolutamente libero di pubblicare ciò che mi pare e di cercare autonomamente i miei lettori.
Una consolazione? Può darsi, ma, dati gli esiti avuti finora, una buona consolazione.
...
Ciò che segue è un commento - anzi una vera «recensione» - a Ultimo Spettacolo inviatami da Piotr/Piero, collaboratore della rivista LN-LibriNuovi e membro del terzetto dei Rudi Mathematici. Ai più attenti non sfuggirà la circostanza che il primo libro dei suddetti Rudi Mathematici è stato pubblicato proprio da CS_libri, società della quale sono indiscutibilmente il presidente e responsabile. Con Piotr abbiamo riflettuto un po' sulla circostanza e abbiamo scandagliato i numerosi aspetti bui ed equivoci dell'eventuale pubblicazione della sua recensione (o non-recensione, come lui la definisce). La nostra conclusione è stata che, viste le quantità pateticamente omeopatiche di denaro e potere che CS_libri è in grado di veicolare, potevamo anche correre il rischio di apparire loschi figuri intenti a praticare qualche sordido scambio.
La realtà, molto più semplice e quindi scandalosa, è che a me piace ciò che scrivono Piotr e gli altri Rudi (anche quando questo non mi riguarda) e che quindi sono ben felice di pubblicarli, mentre a Piotr piace ciò che scrivo io.
Semplice e diretto.
Buona lettura.

Giuro, non ci serve niente.
Abbiamo già aspirapolvere, battitappeto, cosmetici, olio d’oliva,
Torri di Guardia, Lotte Comuniste e siamo già abbastanza svegli così. Grazie.


Per molte ragioni, non ritroverete la frase in corsivo scritta su nessun libro. Per molte ragioni, ma – come direbbe Snoopy nei panni del Grande Bracchetto – tutte ragioni sbagliate.
Siccome non è altro che una frase dispersa su un non-libro di quasi trecento non-pagine, ci possiamo permettere una sua analisi dettagliata, da usare come chiave di volta per la lettura (non-lettura?) di tutto il non-libro. Tanto per cominciare, è scritta in italiano; non è cosa di poca importanza. Questo non per revanscismi maldestri da Accademia della Crusca: no, è solo che una frase del genere, di solito, se la si trova scritta in italiano è perché è stata tradotta da altre lingue. Invece questa no, è veramente, originalmente, categoricamente frase italiana. E questo suona strano, no? Vi vengono in mente autori italiani che possono scrivere una frase così? No, non vengono. Visto?
Occorre proprio capire meglio.
Cosa c’è di strano, in questa frase? Possibile non sia estraibile la peculiarità del suo contenuto? In fondo, è poco più di un elenco, e allora sarà facile elencare.
Aspirapolvere, battitappeto (…) Lo sappiamo, ce ne sono ancora, in giro. Girano di casa in casa, di casalinga in casalinga, forse anche di centro sociale occupato in centro sociale occupato. Azzimati, quasi belli, spesso giovani - ma non sempre. Quelli della Vorkwerk Folletto. O forse è meglio dire quelli del Vorkwerk Folletto; o magari solo quelli del Folletto. Arrivano, suonano, entrano, ti presentano l’aspirapolvere come fosse una persona. Mezz’ora per spiegarlo, un’ora e mezzo per la dimostrazione: interi condomini aspettano la visita di quelli del Folletto per avere fatte senza fatica le pulizie di primavera. Spiegano, dimostrano, puliscono, se ne vanno. L’aspirapolvere costa milioni di lire, migliaia di Euro, e qualcuno ne venderanno pure, tra una dimostrazione e l’altra, visto che continuano ancora a girare di porta in porta con il battitappeto,la scopa elettrica, i trecentododici accessori. Quelli del Folletto. Girano ancora, sì: forse ovunque, non solo in Italia: in fondo si chiamano vorkwerk, mica ruscailrusco. Ma almeno in Italia sì, girano di certo.
(..) cosmetici (…) La Avon, come no. Profumi e rossetti, tra studentesse anni sessanta che chiamavano mini le gonne che arrivavano mezzo centimetro sopra il ginocchio, tra madri operaie e contadine che non capivano il contenuto di quasi nessuna bottiglietta di latte detergente, idratante, struccante. Loro, le madri, solo col rossetto; uno solo, e rosso-rosso, rosso forte e deciso, che sennò che senso aveva? E le loro figlie lì, col profumo nella bottiglietta a forma di piramide egizia, tra “adesso lo compro” e “no non lo compro”, fino a “magari lo compro, magari faccio anche io quella che va coll’Avon porta a porta, e se ne vendo dieci magari me ne posso comprare uno”. E una nuova presentatrice era pronta a galoppare con la borsa piena di profumi a forma di piramide.
(..) olio d’oliva (…) Pugliese, di solito. Forte, più verde che giallo, in latte grosse. Nelle città del Nord che traboccavano d’operai del Sud, operai che di giorno fanno i cruscotti delle seicento e la sera vogliono l’insalata coi sanmarzano rossi e sugosi. E se i sanmarzano, dopo mille chilometri a bordo TIR, sono rossi ma non sugosi, anzi un po’ molli e sciapi, che almeno l’olio, almeno quello, sia spesso e forte; e verde. Eccole, le latte d’olio dal Sud, figli d’ulivi grassi e piatti, dispersi su pianure giallastre battute dal sole. Altro che gli ulivi liguri, di confine, limitanei e scazzati come i legionari romani sulle frontiere del Reno o del Danubio. Altro che i piantoni toscani o umbri, alberi di collina, sparpagliati e disordinati come marines durante un’esplorazione nel delta del Mekong. No, qui ci sono le olive grosse e grasse di Puglia, c’è olio denso e forte di sole, come il vino sovraccarico di quelle latitudini. Dal camioncino che si è fatto tutto lo stivale pieno di latte da cinque chili – chili, non litri, che per l’olio è diverso – è salito il venditore d’olio, fino al pianerottoolo. Drin, chi è, è arrivato l’olio, ommadonna, adessocomefacciamo, comelopaghiamo, conquellochecosta.
(..) Torri di Guardia, Lotte Comuniste (…) perché anche la rivoluzione minoritaria passa porta a porta. Prima che Bruno Vespa sputtanasse definitivamente il luogo immaginario e reale, alle porte dei poveri – le uniche accessibili ai questuanti d’ogni ordine e grado – passavano i rivoluzionari. Teologici o marxisti, ma sempre contro il mainstream cattolico e partitocomunistico. Sì, sono testimone e figlio di Geova, ah ah che ridere no, non Genova, proprio Geova, lo so fa ridere, ma non si dovrebbe, è il nome di Dio. E noi pensiamo che questa rivista ti spieghi perché io busso alla tua porta, forse anche perché tu apri in canottiera, barba lunga, e forse anche macchie d’unto (olio pugliese?) sul quel cotone che una volta era bianco. Perché io ti annuncio la salvezza (brzap) io ti porto la rivoluzione, compagno. Quello che dicono alla televisione, ma lo senti anche tu, no? E perché non raccontano di questi 33 minatori iugoslavi morti in miniera? Poginula 33 rudara, altro che Donat-Cattin, cazzo, e dacci un contributo, sottoscrivi e (brzap) e credi sia facile, venire tutti i sabati mattina ad annunciare il Signore, e quel che diceva nostro padre Russell? No, chi è ‘sto Bertrand, no, Charles Taze, nostro fondatore, ed è grazie a lui che abbiamo riscoperto il vero Cristo, quello che lo testimonia davvero, come quando Lui era tra noi e (brzap) e tanto lo sai, compagno, che finché rimani chiuso dentro la tua canottiera unta d’olio e sporca di sanmarzano non cambierà un accidente. Prendi questo giornale, leggi (brzap) prendi questo giornale, leggi (brzap) vieni in cellula, domani sera (brzap) vieni nella nostra chiesa, domani sera, (brzap) fa’ un’offerta, associati, dammi il telefono, ritornerò ritornerò ritornerò (brzap) (brzap) (brzap) (brzap) (brzap) (brzap).
(…) e siamo già abbastanza svegli così.(…) Perché non c’era solo la Torre di Guardia, c’era “Svegliatevi!”, ed irritava di più. Con l’imperativo plurale e il punto esclamativo, e la sicurezza fondamentalista e talebana ante-litteram. E svegliavano davvero, sia gli svegli che i reprobi del Turno C, quelli in fabbrica dalle dieci di sera alle sei di mattina. E alle nove di mattina loro, con gli “Svegliatevi!” sventolati sotto gli occhi: occhi gonfi dell’acciaio incandescente delle ferriere, occhi gonfi di sonno, che non avevano per niente voglia di svegliarsi, specie se dovevano farlo solo per prepararsi all’altro sonno (quello grande di Marlowe? No, quello eterno di Geova). Ma non volavano cazzotti nè vaffanculo, no, quasi mai. Solo tanti “No, grazie”, appunto; oppure solo “grazie”. Come dice la parola finale della frase in esame. Appunto.
(…)Grazie.
BRAZP!
Grazie, dice. Grazie di che, Citimax? Di scrivere un non-libro? Un libro non pubblicabile, senza futuro, un non-libro con vere istruzioni dell’uso, anzi del non-uso? Fosse un libro, scriverei una recensione. La darei al mio editore, che pubblica una rivista di recensioni. Potrebbe decidere di pubblicarla.
Se fosse un libro.
Ma tu no, tu non scrivi un libro, e io non posso scrivere una recensione. E la non-recensione può, almeno, uscire fuori dalle righe e dalle regole, cambiare persona, dalla terza impersonale alla seconda personale e aggressiva, perché tanto le non-recensioni non si pubblicano, tali e quali ai non-libri.
I libri di Adams non sono fantascienza. O forse sono la fantascienza perfetta, quella che non si giustifica, quella che percuote le parole e le idee, e fa sostenere tutto l’impianto narrativo da argomentazioni quali due missili termonucleari che si trasformano in un capodoglio e in un vaso di petunie (o peonie, forse). Quei libri che sono condannati ad essere profondi perché esplicitamente dichiarati leggeri, vacui, tutt’altro che profondi. Si leggono e si possono leggere, si ride e si può ridere, si può far finta di non accorgersi che, ogni due per tre, ci si trovano, travestite da battute, argomentazioni tragiche nella loro precisa immanenza critica. Proprio come se io scrivessi, qui ed ora, in una non-recensione, la ridicola accoppiata di termini “immanenza critica”. Nell’esercizio di scrivere come Adams, la cosa facile, quella che sanno fare tutti, è copiare i missili termonucleari che si trasformano in vasi di fiori; la cosa difficile è scrivere come Adams a prescindere dai missili che si trasformano in vasi di fiori. Qualcuno ci ha provato, a quanto ne so. E copiavano la fantascienza, senza arrivare a sfiorare il vero Adams.
Poi, arriva un Citimax. Scrive Ultimo Spettacolo, che non è una imitazione di Douglas Adams. O meglio, lo è, eccome: lo è nella maniera di raccontare, nella modulazione degli eventi apparentemente sconnessi, nella articolazione dei personaggi persi dentro le loro caratteristiche, che indossano disciplinatamente senza crederci davvero, come ogni perfetto inglese di Islington. Avrebbe potuto parlare della ricostruzione del Globe, questo Ultimo Spettacolo. Avrebbe potuto narrare le gesta d’un nautilo d’acqua dolce. Poteva essere un saggio sul fado portoghese, e sarebbe stato sempre un libro di Citimax: un libro che mostrava di aver saputo estrarre perfettamente quel che c’era da estrarre da DNA. Il DNA di DNA, tanto peer fare facili battute. Gli piaceva un sacco, ad Adams, dire di essere nato/scoperto nel 1952, a Cambridge, e che le sue iniziali erano DNA.
Si poteva parlare di San Salvario, volendo: scritto come è stato scritto, questo non-libro poteva magicamente essere applicato su qualsiasi forma narrativa, mantenendo sempre la sua identità e perfino la sua dichiarata dipendenza adamsiana. Mirella è una donna di Citimax, una donna di Adams, e sarebbe rimasta sé stessa anche fuori dall’astronave. E E. ha le caratteristiche di Arthur Philip Dent, ma non è Arthur Philip Dent, e poteva anche rimanere E., splendidamente abbonato a Macrosesso e deliziosamente imbranato anche sul molo di Loano, oltre che in mezzo alla Galassia.
Mancano, coloro che sanno scrivere come Adams. Quelli che fanno ridere senza ridere, quelli che demoliscono un personaggio grazie a un particolare, quelli talmente abituati a prendere in giro sé stessi che non fanno fatica a prendere in giro il mondo. Ce ne abbiamo uno qua, il Citimax, e ci fa quest’errore. Quest’errore di scrivere un non-libro invece d’un libro.
Citimax, butta via le istruzioni per l’uso.
Sii disonesto, Citimax. Non ricordare a chi legge che stai facendo un omaggio. Cambia la trama quel tanto che basta a renderla irriconoscibile. Togli ogni traccia di Trillian in Mirella, lasciane nessuna di Arthur in E., rendi il robot schizofrenico invece che paranoico. O non fare niente di queste cose. Abbandona la tristezza degli ambienti troppo cupi, troppo noir di alcuni tuoi racconti tormentati. Acquista coscienza che puoi scrivere qualunque, ovunque, quantunque. Hai nella penna molto più di quello che credi. Più ti leggo, più penso che il tuo problema essenziale sia la timidezza.
Mi sono molto divertito, nel leggere US. All’inizio, ero a caccia dei parallelismi: poi li ho lasciati, e ho cominciato a cercare le assonanze di stile. Poi mi sono ritrovato a fatica nel ricercare la trama, che è proprio quello che di solito mi succede quanto un libro mi piace a prescindere da ciò che racconta. E mi sono allora reso conto che era in peccato, che avessi scritto un omaggio: perché così US farà più fatica a partire. Chi lo legge e conosce DNA, capirà i riferimenti. Chi non lo conosce, leggerà le tue istruzioni e cercherà di capire cosa ci sia al di fuori del tuo libro.
Ma è sufficiente quello che c’è dentro.
Sai, tutto sommato, al momento, credo mi piaccia ancora un po’ più Douglas Noel Adams di Massimo Citimax Citi. Però è sorprendente che il Citi riesca a scrivere così bene nello stile di Adams. Sono quasi certo che Adams non saprebbe fare la stessa cosa nello stile di Citi. Se ho ragione, è necessario che Citi perda le ultime timidezze e scriva il suo autonomo e sfacciato romanzo. Senza debiti né citazioni, senza paura di trasgredire né trascendere.
Se devo inventarmi una metafora, è come se ogni storia fosse un frutto. Con buccia, polpa, succo, aspetto, colore, luce. Un frutto disonesto è come le grosse arance rugose, belle a vedersi e toccarsi, che dentro non hanno che spicchi rinsecchiti privi perfino di semi, sterili. Un frutto onesto è un’albicocca sull’albero: dalla forma den definita, facile ad aprirsi, saporita, con il nocciolo ben separato e bello esso stesso. Altri frutti sono meno spudorati: si nascondono, non palesano il contenuto. Una nocciola, una noce è difficile da aprire, anche se poi è estremamente buono ed energetico il frutto.
Tu, sembri a volte una noce di cocco. Duro il frutto stesso, dentro scorza ancora più dura. Nascosto sulla cima di palme altissime, con pochissima voglia di farsi scoprire e aprire. Poi, insistendo e smadonnando, la noce si riesce ad aprirla, infine. E dentro c’è da mangiare e anche da bere: cosa insolita, per un frutto.
Ultimo Spettacolo mostra che puoi scrivere quello che vuoi. Non solo fantascienza, non solo omaggi a grandi scrittori, non solo fantastico. La frase che ho giocato ad analizzare mi ha tenuto allegro per un intero pomeriggio, per questo ho deciso di giocare con la non-recensione del non-libro. Ma le considerazioni scritte da me su quella singola frase è da essa che sono scaturite, che tu lo abbia voluto o meno. Che io lo abbia voluto o meno.
Poiché quella frase è tutto meno che il cuore del libro; poiché è solo una onesta rappresentante delle 270 pagine di Ultimo Spettacolo, io credo che Ultimo Spettacolo potrebbe davvero decidersi a perdere il “non-“ e a diventare un libro. O potrebbe servire anche solo a mostrare a te che puoi scrivere qualsiasi libro.