30.10.18

Calibano: Metamorfosi


È stata colpa di Rumpus. Non era tornato a casa alla solita ora e sono uscita a cercarlo. L’ho trovato dopo aver camminato un bel po’, nel giardino di Villa Magistri. Lo so che non si può ma io sapevo come entrare, l’ho visto fare dai bucomani. Comunque Rumpus era con altri trenta o quaranta mici, tutti accucciati in cerchio a guardarsi senza muoversi. Mi hanno ignorata completamente e io non ho avuto cuore per disturbarli: sembravano così concentrati, così convinti. Sono passati anche un paio di tossico che ci hanno guardato e poi sono scappati borbottando qualcosa sul medioevo e sulle streghe. Dopo un’oretta di litigi e soffi i mici hanno smesso di colpo e si sono messi a miagolare tutti insieme. Avresti dovuto sentirli: un vero coro di trapassati che rimpiangevano la vita perduta. Io li ascoltavo godutissima. Pensavo a quanto stavano rompendo le palle al vicinato, a tutte le coppie che avrebbero litigato perché svegliate in piena notte, ai bambini picchiati, ai nonni brutalizzati perché maledicevano i tempi in cui vivevano, ai tossico terrorizzati, a tutti gli imbecilli che soffrono d’insonnia che avrebbero passato la notte a far solitari e mi sentivo proprio bene. Temevo solo che qualcuno avesse il cattivo gusto di chiamare la pula, ma per fortuna…Stavi dicendo qualcosa?
– No.
E. ha rinunciato da tempo a cercare di instillare un po’ di amore per i suoi simili nella cugina. Ma non è che lei si senta migliore, più furba o più intelligente della media. Probabilmente Mirella è solo delusa, un’osservatrice troppo acuta e sensibile per non soffrire delle infinite scemenze e falsità che vede o sente. Come tanti altri «più conosce gli uomini e più ama gli animali» e fa la faccia feroce per non farsi un fegato così. Ma è una brava ragazza, un cuor d’oro. Giuro.
– …Poi, sul più bello del concerto è arrivata la nave e ne è sceso un tizio che si è messo a parlare con i gatti. Parlava in italiano, il che mi è sembrato un po’ strano, e diceva qualcosa sulle condizioni insalubri di vita dei mici. Rumpus ha fatto un paio di osservazioni sull’eccesso di automobili e sulla loro pericolosità e… Ma cosa stavi dicendo?
– Niente, niente… – La scena non é molto diversa da quella alla quale ha assistito lui ed è quindi inopportuno che metta in dubbio le capacità raziocinanti e la conversazione dell’enorme Rumpus, un gatto che per dimensioni e malevola perfidia ricorda Alfred Hitchcock. – Ho visto Rumpus entrare nella nave ed ho gridato. “Rumpus, dove cazzo credi di andare?” L’ultima cosa che ricordo é il pilota che veniva nella mia direzione. Mi sono svegliata qui dentro con una punta di mal di testa e con te che russavi. Tutto qui.
E. la fissa e scrolla la testa.
Mirella é sicuramente capace di gridare dove cazzo credi di andare anche in presenza di un alieno. Dal suo racconto comunque desume un fatto fondamentale: contrariamente alle sue speranze anche la Puffa Cannibale é sprovvista di nozioni sulla loro destinazione e sulla loro sorte. 

 
– Adesso Rumpus dov’é?
– Cosa te ne frega, vuoi pestargli la coda un’altra volta?
– SSHHHT, vuoi farti sentire dal pilota?
– Beh, lì afferma di essere buono.– Mirella indica la scritta sulla lavagna. – Un po’ rintronato, magari, ma buono.
– Non intendevo…cioè …– Cerca di proseguire E.
– Rumpus non si vuole sbottonare, se è per questo che lo cerchi. Dice che ci sono in ballo cose grosse e che non è ancora il momento di spiegarci tutto. Comunque puoi chiederlo al pilota, è proprio dietro di te.
E. si gira di scatto, sentendosi nei panni del dottor Van Helsing nel sotterraneo del castello di Dracula. Ma essendo più lungo e sgraziato di Peter Cushing inciampa nel sacco a pelo gentilmente prestatogli dall’alieno, cade e si aggrappa ad uno dei banchi della prima fila che decide di seguirlo nella sua corsa. Raggiungono felicemente il pavimento insieme producendo un bel frastuono metallico e vocale. Non pago dell’esibizione balza in piedi, giudicando troppo assurdo l’essere sorpreso abbracciato ad un banco da un alieno, e infila un piede nel cestino della carta straccia.
I suoi tentativi di liberare il piede, simili agli sforzi di una distinta signora assillata da un barboncino allupato, non provocano reazioni sul viso rugoso e grigiastro dell’alieno, che si limita a circumnavigarlo cautamente, reggendo nelle mani a tre dita un ampio vassoio. Il vassoio viene quindi posato su un banco alle spalle di Mirella e l’alieno Pelagio dichiara con voce compunta, il viso rivolto verso la parete di fronte: – Il caffè. 

 

 
Di quale strana razza fa parte il pilota alieno? Dove è diretta la sua astronave? È buono il caffè degli alieni o è una sciacquatura di piatti bollente come in certe bettole della provincia francese?
Perchè Mirella ed E. sono stati rapiti? Quale segreto nasconde Rumpus, il gatto senziente di Mirella? Perché Mirella si diverte a spiare l’effetto della sua biancheria intima sul povero cugino?
Tutte tranne l’ultima sono domande di grande rilevanza, e le risposte avrebbero il sicuro effetto di cambiare la vostra concezione del mondo e di accorciare di un buon centinaio di pagine il romanzo.
Ecco perché risponderò solo all’ultima, in quanto decisamente la meno significativa.
Mirella, nata nel 1988, nove anni nel novantantasette come da foto che non allego, con in mano una lucertola e una serie completa di ditate fangose sulla guancia, è sempre stata una creatura tenacemente sovversiva, ironica e disincantata, una specie di versione padana di Marlowe.
Di femminile in senso classico Mirella ha sempre avuto poco: dopo un’infanzia passata a capeggiare gruppi di ragazzini nell’esplorazione di cunicoli e fabbriche abbandonate – abitudine che la madre, donna perbene, attribuiva all’influenza del padre speleologo – dopo un gran numero di scontri all’arma bianca con altri gruppi di ragazzini nemici che avevano reso la sua concezione del mondo molto simile a quella di un sergente cinquantenne dell’Armeé napoleonica, dopo infinite cadute dalla bicicletta e dagli alberi, zuffe nel fango ed eroici assalti a fortini dagli spalti di siepe, un brutto giorno aveva scoperto che il suo petto invece di rimanere piatto e duro come quello di un maschio, cresceva e si rammolliva.
La minuziosa e pedante educazione sessuale ricevuta dal padre le aveva permesso di capire ciò che le stava accadendo ma non l’aveva affatto consolata. Il regalo del primo reggiseno (di cotone bianco a farfalline rosa e gialle) era stato il sigillo della metamorfosi, alla quale Mirella undicenne assisteva con orrore, come il protagonista di un film di fantascienza contaminato da qualche disgustosa malattia.
Inutile era stato anche il rogo del reggiseno, avvenuta in una notte di novilunio in presenza dei ritratti sottratti allo studio del padre di Von Wegener e di Lyell, testimoni rispettabili e concentrati dell’incantamento. 

 
Ma entro pochi giorni Mirella dovette registrare l’inutilità del sortilegio oltre alla scarsa serietà dei geologi passati presenti e futuri. Nelle zuffe, negli assalti, infatti, i suoi stupidi compagni di giochi non sembravano più tanto interessati a vincere, quanto a far durare il più a lungo possibile il contatto, facendo scivolare le mani sul petto incriminato o su altre parti altrettanto metamorfiche.
Infine si era arresa alla verità: i ragazzi non la vedevano più come una di loro. Alcuni, i più misogini, come tanti Padri della Chiesa erano già corsi ai ripari, rimproverando i compagni che svilivano l’impeto guerresco nelle mollezze della sessualità e combinando appuntamenti senza avvisarla.
Si può immaginare lo stupore addolorato di Mirella, sergente malauguratamente divenuto transessuale, e l’amarezza consumata in sella all’eroica bicicletta dalle ruote semiovali, sola nel parco a pensare alle malefiche neotette, infiorellate dal secondo reggiseno.
Si era chiusa in casa uscendo solo per frequentare la scuola. La precoce delusione l’aveva resa amara, accentuando il suo già sviluppatissimo senso critico, tanto da farne uno spauracchio per insegnanti e compagni che temevano il suo umorismo perfido e surreale.
La trasformazione non aveva comunque migliorato il suo giudizio sul sesso femminile, che continuava a ritenere formato per metà da stupide galline e per l’altra metà da noiosissime piagnone, accomunate da un romanticismo da fumetto al quale dedicava i suoi peggiori sarcasmi. Ma quell’atteggiamento così reciso l’aveva privata della confidenza e dello scambio di esperienze, lasciandola, per quanto riguarda il mondo del sesso, nella stessa situazione di un antropologo di fine ottocento laureato a Tubinga appena sbarcato in un isola dei mari del Sud. 

 
La seduzione era rimasta per lei una mera bizzarria, un fenomeno simile alle migrazioni dei Lemmings o all’infanticidio negli orsi. Spiando le compagne di scuola aveva sí scoperto alcuni trucchi base – accavallare le gambe o sgranare gli occhi – ma non aveva mai trovato un ragazzo che reggesse per più di dieci minuti filati al suo humour.
E così, tra tentativi e frustrazioni Mirella aveva girato la boa dell’ adolescenza, trascorrendo lunghi pomeriggi in compagnia una fornitissima biblioteca di orrore e letteratura gotica. Approdata alla convinzione che l’altra metà del cielo non fosse poi tanto più furba, Mirella riusciva a sopportare quasi solo la compagnia del cugino, creatura dal cervello embrionale, ma dotata della serenità stuporosa necessaria a tollerare la sua ironia e di gusti ed interessi talmente rudimentali da non intralciare in alcun modo i suoi.

26.10.18

Calibano: L'Astronave di Jeeves


L’acqua fluisce lenta e lattiginosa senza creare schiuma ai due lati della barca. Lo scoppiettio del motore risuona amplificato, disarmonico sulla superficie immobile e liquida delle acque che mandano un profumo intenso, insieme acidulo e salmastro.
E. immerge una lunga pertica. Il fondo è compatto ed elastico, vibra leggermente come la pelle di una creatura viva. Il cielo, di un candore abbagliante, è chiuso dalle curve simmetriche di due montagne lisce e pallide, seminascoste dal riflesso chiaro.
E. alza il capo con lentezza malinconica e lascia che il suo sguardo si perda lungo le superfici debolmente illuminate delle due alture, la mente attraversata da una blanda eccitazione ma il petto oppresso dal desiderio di abbandonarsi ad un pianto silenzioso.
Le rive sono immobili, curve, incoronate da una fitta vegetazione scura e di consistenza cornea che sale ad arcuarsi su di lui. Il motore ansima troppo forte in quella quiete irreale ed E. decide di spegnerlo, lasciandosi portare dalla debole corrente.
Va a poppa e si china sul motore.
Solleva il coperchio di plastica nera che lo ricopre scoprendo le lucide pareti curve di ceramica bianca che affondano sotto il livello dell’acqua priva di riflessi.
Un movimento brusco della barca spruzza alcune gocce d’acqua sul pavimento di piastrelle a fiori della barca. Si china a pulirle, affannato da un improvviso senso di colpa.
Ma le gocce appena toccano la ceramica si trasformano in spruzzi di calce impossibili da togliere. Altre gocce cadono sul pavimento della barca che oscilla pazzamente ed E. sudando, bestemmiando si inginocchia a grattarle inutilmente. Il motore pulsa più forte ed in lontananza sente la voce di Mirella che lo chiama: “Edoardo… Edoardo…”
– EDOARDO!!!
–…Gram…Hfff…Epr…– grufola E. agitandosi e cercando di nascondere la testa sotto il cuscino. Ma data l’assenza di qualunque tipo di cuscino si copre la faccia con le mani, provando un’intensa quanto passeggera sensazione di sollievo.
– Edoardo, vuoi aprire gli occhi? Non sei nella tua cameretta, angioletto di mamma.
E. apre un occhio. Vorrebbe rispondere con una frase insieme amara e sferzante ma si inceppa.
Mirella sta seduta su qualcosa che assomiglia molto ad un banco di scuola delle dimensioni adatte a contenere un giocatore di basket. Ma questo è niente: la stanza che li contiene è circolare e sulle pareti ci sono gigantesche illustrazioni molto colorate che recitano in corsivo e in maiuscolo: UVA uva, IMBUTO imbuto, RUOTA ruota, CASA casa, GATTO gatto ecc.. Insomma c’è qualcosa di strano, bizzarro, singolare, assurdo, imprevisto ed imprevedibile, anche se nemmeno E. potrebbe definirlo minaccioso. 
 
– Ma… – E. guarda anche con l’altro occhio, quello con tre diottrie in più, senza che nell’insieme cambi qualcosa.
– Non dormi abbastanza, Edoardo? Non credevo che a fare un tubo come te ci si potesse stancare. – Mirella accavalla le gambe alla Sharon Stone mostrando 1.5 cm quadrati di slip neri, con l’intento di galvanizzare l’ottuso cugino. Oltre alla mini nera da esibizionista punkeggiante Mirella porta una felpa altrettanto buia con la scritta «Save the Wild Life: Kill the People».
E. non riesce – ma a questo è abituato – ad estrarre dal suo cervello le parole necessarie per una replica, men che mai spiritosa. Tra l’altro la vista della biancheria intima di Mirella lo illumina miracolosamente sul luogo del suo viaggio onirico e sulla quantità di esagerata di ingrandimenti elaborata dal suo subconscio. Si scombussola ulteriormente arrossendo fino alla radice dei capelli.
– Dove siamo? – Chiede come un rinvenuto da fumetto.
– Su un’astronave.– Mirella ha un tono leggero, salottiero, quasi annoiato. – Il pilota è un coso alto più di due metri vestito di una tuta argentata. Proprio come nei film di fantascienza a basso costo che ti piacciono tanto.
E. si solleva su un gomito e si guarda intorno sorridendo. Inarca anche le sopracciglia a esprimere elegante scetticismo e raffinata incredulità: – Mirella smettila di scherzare. Tira fuori una voce tale e quale il doppiatore di Clark Gable in Accadde un notte, cult-Movie di mamma.
– Puoi anche non crederci, caro il mio torzolone. Speriamo che non passi il controllore.
E. abbandona i modi impostati e cerca di ridurre a senso compiuto la frase della cugina, arcinota per avere girato l’intera Europa con la fotocopia di un biglietto usato.
– Controllore, che controllore?
– Chissà. Forse c’é anche qui. – Mirella ridacchia. – Ma stai tranquillo. Non credo che possano buttarti giù lungo la strada.
– Mirella, mica parli sul serio?
– Certo, cuginetto mio. Perchè non guardi la tua bussolina?
E. si illumina e consulta la bussola- portachiavi che porta perennemente appesa ad un passante del jeans. – ODDIO! – Urla. – Non c’é più il Nord.
Mirella scrolla la testa. – Chissà dov’é finito il tuo Nord.
– Ma allora é vero.
– Così pare.
– Su un astronave! Ma come fai a star lì seduta tranquilla, dov’é il pilota, dove stiamo andando?
– Il fatto è che l’ho visto e quindi non potevano lasciarmi andare. Non è per i giornali della Terra, che tanto nella Galassia non li legge nessuno. Penso che sia perché poco o tanto romperanno le palle anche a loro. Avranno anche dei superiori. Rumpus mi ha detto che è un problema del genere e che comunque non devo preoccuparmi. 

 
E., rimbambito dall’emozione, non prova neppure a discutere un’altra volta con Mirella sulle presunte capacità del gatto – Rumpus per servirvi – di parlare, e si concentra sugli altri problemi del momento, il primo dei quali (non in ordine di importanza) è un fastidioso ronzio ansimante, in tutto e per tutto simile al rumore di un motore fuoribordo giù di corda.
– Cos’è questo?
Mirella si schiaccia la punta del naso con un dito e risponde con la voce dell’ispettore Callaghan. – È il pilota che fa il caffè.
Le parole di Mirella arrivano alle orecchie di E. che, come di dovere, le inviano all’encefalo attraverso il nervo acustico. Là vengono girate e rigirate con imbarazzo, etichettate con la scritta «inaccettabili» e spedite in un’area poco frequentata del cerebro, in attesa che qualcuno venga a reclamarle.
Mentre ferve questo lavorio inconscio il protagonista maschile della nostra storia è comunque arrivato ad una conclusione abbastanza definitiva: anche lui è stato rapito dagli alieni.
Lo stordimento dura un attimo e lascia posto ben presto a due fortissime emozioni:
1) La rabbia per non riuscire a farlo sapere ai suoi amici e soprattutto a tutti coloro che lo giudicano un cretino.
2) La paura.
Si alza in piedi.
L’ampia stanza insiste ad avere l’aspetto di un’aula di una scuola elementare. Alle sue spalle, oltre ad un altra fila di banchi c’è anche una cattedra regolarmente scrostata ed un cestino di rete metallica che trabocca di cartacce e di schegge di matite temperate. Non manca nemmeno la lavagna a quadretti, dove spicca la scritta: “BUONI: Pelagio”.
– Chi è Pelagio? – Chiede E., conscio di fare la domanda più cretina tra tutte quelle che gli sono passate per la testa.
– Boh? Credo che sia il pilota. – Mirella si stringe nelle spalle. – Un tipo infantile direi, visto come ha arredato la nave. Ma tu come ci sei finito qui?
E. spiega brevemente, trascurando solo di citare «Macrosesso». Narra di un misterioso impulso che lo ha spinto in un luogo isolato, di ratti vestiti da vescovi che cantavano brani dei Carmina Burana, della terra vetrificata al contatto con gli scarichi della cosmonave, dei miliardi di voci che ha udito durante l’atterraggio – da Pink Floyd prima maniera – della misteriosa arma dell’alieno, dello stupore nel vederlo intrattenersi con i ratti ed infine dell’inevitabile oblio.
E. chiude la bocca soddisfatto. Il quadro del suo rapimento lo soddisfa e riverbera su di lui una luce di grandezza e di superiore sensibilità.
Definire il racconto una grossolana esagerazione, se non proprio una semipanzana, è senz’altro giusto, ma E. da un decennio e passa le studia tutte per portarsi a letto Mirella, con esiti finora dubbi o umilianti. E poi è sempre stata una sua caratteristica arricchire il poco che gli accade di riflessi fatali e di significati reconditi.
Mirella ridacchia e lo fissa con i grandi occhi scuri sgranati.
E. si sente improvvisamente ridicolo: un goffo cacciapalle pescato in castagna. Si rabbuia e chiede: – E tu come sei stata rapita? 

 

23.10.18

Calibano: letture disperate e altre chiacchiere


L’abitazione di Thinbam e Fontainbleau è un minuscolo cottage dal tetto coperto di paglia che sorge su un’isola coperta di boschi, separata dalla costa da un breve braccio di mare.
All’interno l’aria è tiepida, i pavimenti resi morbidi dai tappeti multicolori, le pareti quasi interamente occupate dalla collezione di calendari del filosofo e da scaffali di legno carichi di romanzetti gialli da pochi soldi scritti da esponenti delle più strampalate e periferiche razze della Galassia.
Il robot svolge alcune piccole incombenze casalinghe, mette in caldo la cena e si siede in poltrona in compagnia di un giallo. Comincia a leggere poi alza gli occhi dal libro e prende gli occhiali. Non è una svista: gli occhiali servono a rallentare la sua velocità di percezione ad una pagina ogni 44 secondi circa in modo da non consumare l’intera biblioteca di casa in meno di un’ora.
Silenzio. Pace. Serenità. Una scena da pubblicità di un piumone o di una camomilla.
Durata totale del quadretto familiare: dieci minuti terrestri.
Ovviamente è Thinbam, intento a restaurare un vaso di artigianato locale volato in mille pezzi nel corso del suo turno di pulizie casalinghe, che ricomincia a chiacchierare:
– L’assassino è Pulverson, l’erede più giovane dell’antiquario Hactar.
Il robot solleva il capo con meditata lentezza dalle pagine, fissa con espressione severa il filosofo, apparentemente di nuovo immerso nel suo restauro, chiude il libro di scatto e si alza a prenderne un altro.
– Questo l’hai letto?
Cenno di diniego.
Seguono altri dieci minuti di lettura, nuovamente interrotti dalla voce dell’autore di Riflessioni Pandiekttiane seduto ad un caffè di Pandiektt.
– L’assassino è l’impiegato, Daint’è, ricattato dalla moena segretaria dell’avvocato Belmont.
Fontainbleau sbuffa: – Non hai detto che non l’hai letto?
– Tiravo ad indovinare.
Il robot consulta le ultime pagine del volume e lo guarda con robotico livore. – Thinbam, non si dicono le bugie.
– Perché hai guardato, Fontainbleau? Se non avessi guardato le diverse possibilità sarebbero rimaste inespresse e quel libro sarebbe stato virtualmente infinito. Tra l’altro, non credo che Pulverson fosse l’assassino.


Il robot guarda il soffitto in legno del cottage, stringe le mascelle, prova lo spasmodico desiderio di urlare o curiosamente di accendersi una sigaretta pur essendo sprovvisto di un apparato respiratorio da deteriorare. Amaro, puntualizza: – Non è divertente non terminare i gialli.
– Dipende. Un giallo senza omicidi…
– Non è un giallo.
– Aspetta, un giallo senza assassinii, ma letto nella convinzione che un omicidio debba esserci… Un romanzo nel quale tu, lettore, attendi un evento rimandato di pagina in pagina ma sempre imminente, un giallo nel quale tutti possano essere vittime e tutti abbiano motivi per uccidere…
Il robot si toglie gli occhiali e guarda il filosofo che tenta inutilmente di staccare le dita incollate ad un frammento del vaso. – Non è un giallo. – Insiste il manufatto prodotto di una tecnologia superiore.
– Non è un giallo lineare, Fontainbleau, è un giallo polirelazionale.
– Nossignore. Il delitto deve avvenire e per motivi intelleggibili e gravi, altrimenti niente giallo e niente pubblicazione.
Thinbam riesce infine a staccare la mano destra dal coccio per contemplare un istante dopo, desolato, la mano sinistra salvatrice tenacemente avvinta al frammento di terracotta decorato con motivi geometrici.
– Ciò che accade nella realtà e nella buona letteratura ha sempre molti motivi, alcuni dei quali decisamente futili. Nel giallo tradizionale l’assassino forma un sistema lineare con la vittima, un campo elementare nel quale vale un unico tipo di relazione. Il rapporto tra il colpevole e coloro che lo ricercano è altrettanto lineare, è un altro sottosistema nel quale valgono relazioni ben definite…
– Ma… – Fontainbleau guarda la copertina colorata del volume, dove una moena (umanoide del pianeta Moe) in camicia da notte trasparente e reggicalze rosso punta una pistola in direzione del lettore. Relazione letale è scritto in alto sulla copertina. Parte della lettera “n” si nasconde dietro la chioma azzurro cielo della creatura, in possesso di enormi pupille scure che occupano l’intera iride.
Il robot pensa: filogeneticamente i moe evolvettero da creature crepuscolari.
E questo è proprio un pensare da robot.
Appoggia il libro di fianco alla poltrona con un sospiro chiedendosi se mai riuscirà a finirne uno senza che Thinbam interferisca.
– Mi segui, Fontainbleau?
– Sì.
– Allora, aldilà di un gruppo di sistemi e sottosistemi lineari, facilmente riassumibili in uno schema o in una formula, cosa abbiamo?
“Il resto dell’universo. E Fontainbleau che tenta di finire almeno un libro” sarebbe la risposta del robot, che però si limita ad un educato e costruttivo: – Infiniti altri sistemi e sottosistemi, immagino. 

 
– Soprattutto abbiamo molti altri metasistemi o sovrasistemi nei quali non valgono relazioni lineari o cronologie precise. Come possiamo definire il rapporto che lega il ricordo della crocchia della zia nubile dell’assassino – ricordo che suscita in lui rancore ed angoscia – e la scultura di filo di ferro che la vittima tiene sulla scrivania?
Fontainbleau perplesso butta un’occhiata fuggevole al libro sdraiato per terra. – Ma la scultura era di pietra ed è con quella che…
Thinbam picchia il pugno sul tavolo e centra il tubetto della colla aperto. Esito previsto e prevedibile: piano del tavolo allagato da “PRONTOSALDO, la colla dei professionisti”. – Non parlo proprio di QUEL libro, parlo di un libro qualunque!
– Dove vuoi arrivare, Thinbam?
– A due conclusioni: la prima è che un giallo perfetto può essere scritto solo ignorando tutti i sistemi non lineari ed ogni forma di relazione che una volta rotta, come quel vaso, non sia maledettamente difficile da rimettere insieme. Più o meno un giallista si comporta come i miei colleghi della sezione di Biologia Competitiva, che ogni giorno replicano il loro duello solitario con una molecola alla volta, aggiustano i risultati per maggior gloria della scienza e propria, e anche quando si masturbano – per non perdere tempo prezioso – leggono la relazione presentata a congresso da un concorrente, convinti che l’universo sia un giallo molto ben scritto ma completamente prevedibile per una mente addestrata e risoluta. Tanto varrebbe che si dessero ai puzzle 3D o ai multirebus.
– La seconda.
– La seconda che?
– Hai detto DUE conclusioni.
– Ah già. Siccome non riesco mai ad azzeccare il colpevole perché mi appassiono della vita dei personaggi o dei dialoghi o dello stile o dell’ambientazione, guardo subito chi è l’assassino…
– I gusti sono gusti. – Fontainbleau scuote la testa. – Ma questa non è una conclusione.
– Lasciami finire. Il fatto è che così facendo scopro la non-complessità del giallo, il suo essere artificioso e limitato dalle categorie causali più banali. Se la zia nubile non avesse portato la crocchia, per esempio?
– Eh?
– Sì la zia nubile, la nonna, la governante, chi ti pare insomma.
Fontainbleau fa ruotare un paio di volte le minuscole antenne circolari della zona temporale. – Ah, sì. – Si stringe nelle spalle. – Avrebbe ucciso la vittima con meno gusto, suppongo.
– O forse non avrebbe commesso nessun omicidio, limitandosi a detestare la vittima potenziale. Lo vedi dove ci porta introdurre categorie probabilistiche o sistemi non lineari? L’assassino avrebbe potuto anche avere una relazione sessuale con la vittima e…
– Dati insufficienti. Xenossuale, omosessuale, eterosessuale, carbosessuale o silicosessuale? La vittima in Relazione letale è un ispettore catastale meteorico, ex- tennista, mentre il colpevole é la Moena, ma sono possibili numerose altre combinazioni.
Thinbam allarga le braccia mandando il frammento di vaso tuttora allegato alla sua mano sinistra a schiantarsi contro il muro.
– Questi sono solo particolari. – Protesta, poi osserva malinconico il coccio multicolore trasformatosi in un insieme incoerente di briciole biancastre sparse sul tappeto.
Fontainbleau insiste. – Resta il fatto che in quel caso l’autore non avrebbe scritto un giallo ma un romanzo qualunque che sarebbe costato tre volte tanto e che io non avrei comprato.
Il filosofo sembra aver esaurito le cartucce e il robot ne approfitta per estrarre dalla tasca della giacca da camera un foglio azzurro ripiegato. 

 
– Lo sai cos’è questo?
– Un sollecito?
– Centro. La Satan e Soci di Gomorra, nella persona del suo amministratore delegato, Ahriman Godetai, ci chiede rispettosamente se siamo giunti a qualche conclusione con quelle registrazioni della TV terrestre che ci ha mandato.
– Certo, sono un popolo di deficienti.
– È un po’ poco. La Satan vuole un sistema per farli smettere. Temono che qualcuno finirà per deteriorare la loro proprietà.
– Di cosa si preoccupano? Tra qualche anno smetteranno da soli, un po’ perché stanno mangiandosi l’atmosfera, un po’ perché le loro trasmissioni stanno raggiungendo un acme di idiozia quasi ipnotica.
– Devo rispondere questo alla Satan e Soci? Credo che volessero da noi qualcosa di più rapido ed efficace.
Thinbam si stringe nelle spalle. – Se vogliono qualcosa di più rapido, quello che serve loro è un’astroflotta da guerra, non un filosofo. Posso ritenere, in base alle due serie di registrazioni che mi hanno mandato, che quella civiltà stia percorrendo la curva di una cuspide catastrofica. – Il filosofo dimentica l’alluvione collosa di poco prima e appoggia la mano sinistra sul tavolo. – Fontainbleau puoi portarmi dell’acqua tiepida, per favore?
Una volta tornato in possesso dell’estremità dell’arto Thinbam prosegue. – I loro programmi sono nati per divertire, istruire e sostenere la posizione dei potenti locali e sono poi cresciuti per diventare un veicolo di vendita. Adesso sono nella loro fase ultima: rappresentano un altro piano di esistenza. È un buon esempio di cosa accade lavorando solo nell’ambito di sistemi lineari, in questo caso produzione – spettacolo – commercio – produzione – eccetera, ignorando i sottosistemi non lineari come il miraggio della felicità o della bellezza eterna. Tra poco saranno arrivati ad un punto di singolarità, cioè ad un livello di ricettività infinita. Sarà una cosa che non apparirà troppo drammatica sul momento, probabilmente sarà una sorta di quiz o di varietà che poco a poco coinvolgerà tutta la popolazione del pianeta. Ci saranno esibizioni di bambini che cantano motivetti su detersivi o deodoranti in compagnia di intere generazioni di personaggi dei cartoni, mentre il presentatore- intrattenitore intervisterà scrittori o campioni sportivi in merito all’astrologia o al loro primo amore in un ambiente decorato con i colori di una marca di caffè. Un comico farà giochi di parole grassocci e sciorinerà battute fiacche sui politici locali che rubano e poi… 

 
– E poi?
– E poi… avanti così! Ci saranno finti incidenti tecnici, una finta diretta dal luogo di una finta rapina, incontri tra amici persi di vista da anni, figli ritrovati, nonni resuscitati, pubblicità di gente felice e ben vestita, la virtù premiata e la malvagità punita, litigi furiosi tra esperti… Ma l’aspetto più interessante della cosa è che il programma non potrà MAI finire, perchè TUTTI o quasi telefoneranno, vorranno partecipare alla grande festa, alla vita in TV, vorranno vincere i miliardi messi in palio dalla grande industria di detersivi… Nessuno vorrà più spegnere la Televisione che avrà raggiunto il punto Omega con I di R di Ricettività infinita, oltre il quale é possibile solo il collasso sociale. Il programma, QUEL programma, non potrà più terminare e ben pochi cercheranno ancora di tornare a vivere in un mondo violento e velenoso, mentre la felicità é davanti a loro, appena oltre una sottile parete di vetro.
– Sei sicuro? – Chiede il robot, suo malgrado scosso.
– No. Ma è un modello ragionevole.
– Devo dire questo alla Satan e Soci?
– Puoi suggerire loro di inscenare qualche apparizione di UFO. Più aumenta il pubblico televisivo piu’ veloce diventa il crollo. Se tutti sono in TV il mondo reale cessa di esistere e la civiltà terrestre scompare. Puf, dopo l’ultimo spot.
– Puf, dopo l’ultimo spot… – Ripete Fontainbleau, mentre un vento gelido fischia all’esterno della piccola casa.

19.10.18

Calibano. Mia nonna ha le ruote, quindi è un tram


Universo: ciò che esiste, il tutto, tutto ma proprio tutto quello che riuscite a immaginare adesso nel passato e nel futuro.
Comprende la vostra vicina di fronte magra come un deportato che stende il bucato in sottoveste – crederà mica di essere bella, eh? – la sedia sulla quale state seduti, Minh Doooooôö il Meraviglioso, l’Unico Camidarenatore Parallattico della Vacuità Sciadotica del quale vi parlerà il mio collega di Mistica Intuibile, la forfora del vostro vicino di posto, il sistema a centodiciannove soli, millecinquecentosedici pianeti e satelliti e settecento miliardi di creature intelligenti o un po’ frescone dell’Ammasso di Gadara, quella foto dove avete la bocca aperta e la faccia da scemo che il vostro amico non ha buttato via – anzi – anche se gli avete chiesto più volte di farlo, tutti gli assillanti ricordi di tutti i vecchietti di tutti i tram di tutti i mondi mai esistiti o che mai esisteranno.
Questo rende bene l’idea, non trovate?
Insomma, per farla breve, l’Universo è tutto, e qualunque oggetto o energia ne fanno parte.
Secondo alcune teorie ne esistono di alternativi, un numero infinito, ovviamente.
Ne discende logicamente che esiste un universo dove siete riusciti a preparare le crepes senza attaccarle alla padella e un universo dove la vostra mamma quella sera aveva mal di testa e nel quale, quindi, non solo non state ascoltandomi, ma semplicemente non esistete.
Universi vuoti, senza forme di vita di alcun tipo e universi caldissimi e affollatissimi, universi iperveloci e universi ipergravitazionali e oscuri, universi dove uno di voi è qui al mio posto ed altri nei quali mi sono dimenticato tutto quello che dovevo dirvi mentre arrivavo qui e ho improvvisato.
Altri universi eh? Non questo. Sia chiaro.
E se tutti questi universi fossero destinati un giorno a cessare di ampliarsi a velocità relativistiche e, ingranata la retromarcia, tornassero a essere una semplice singolarità?
È questa la domanda che scienziati e filosofi incessantemente si pongono, cercando soprattutto di capire se la cosa li può riguardare. Ma anche l’ipotesi che le galassie siano destinate ad allontanarsi all’infinito non è troppo simpatica. E qui nasce un paradosso: in COSA si allargano gli universi, visto che rappresentano tutto ciò che esiste?
È evidente che la domanda è molto più complessa del chiedersi dove va l’aria che stava davanti a voi una volta che avete messo su un po’ di pancia.
In questi casi si tratta di avere fantasia e analizzare con attenzione i termini del problema. Se tutto, ma proprio tutto aumenta di dimensioni, non è necessario che questo avvenga a spese di qualcos’altro. Il fuori è un concetto illusorio, un modo per distinguere il proprio sé dal resto del mondo, ma applicato all’universo è inadeguato e fuorviante. Parlando di infinito qualunque ragionamento relativo alle dimensioni diventa assurdo, un po’ come cercare di misurare l’umidità dell’aria con un metro a nastro.
Insomma l’infinito è un dato che deve obbligarci a pensare in un altro modo, abbandonando i criteri consueti che ci permettono di sopravvivere nella vita quotidiana. Una volta liberatici delle nostre spoglie – per così dire – potremo guardarci intorno senza eccessiva inquietudine, continuando ad avere la netta sensazione di essere un granello di sabbia di una spiaggia infinita, ma consci che questa sensazione ci eviterà di passare un’intera serata raccontando la vita, idee, convinzioni, aspirazioni e persino sogni, nella convinzione di essere tremendamente significativi.
Si diventa umili, in compagnia della Totalità.

(Prolusione introduttiva per “L’Universo: alcuni cenni”, ciclo di lezioni tenute da Faudo Thinbam, presso l’Università di Colydor, anno accademico galattico standard 10E+12)




La biologia competitiva di Miss Marple.

Faudo Thinbam contempla il grandioso tramonto di Tiepido sospeso oltre le punte scintillanti d’ametista dei pinnacoli di ghiaccio.
Sorride alle ombre che scivolano più lunghe sulla neve ambrata, alla sottile tenebra lavanda scuro disegnata dal suo corpo e si incanta nel vederla immobile, incurante del vento sottile e gelido che spazza la superficie della banchisa sollevando refoli di cristalli di neve.
Aspetta che l’ultimo raggio di sole abbia acceso di lenti riflessi le creste del ghiaccio, sospira con una punta di rimpianto e si volta per percorrere a ritroso il passaggio, trapuntato da due file di picchetti con bandierina che dopo il suo passaggio Fontainbleau, il suo robot personale, ripone in una sacca arancione brillante.
– Di quanto è arretrato il ghiaccio oggi, Fontainbleau?
Il robot consulta un apparecchio estratto da una tasca della borsa e dichiara: – Otto millesimi di millimetro.
– Questo significa che Melone Bianco uscirà dall’era glaciale tra…
– …Due milioni settecentocinquantaduemila anni. Circa. – Il robot ha una voce bassa e quieta che sa di complicità e di avventure da ragazzi, la voce giusta per un amico.
– Accipicchia! Ma lo sai che sei proprio bravo?
Fontainbleau annuisce e consulta un termometro.
– La temperatura a questa latitudine diminuisce di otto gradi ogni ora locale. Credo sarebbe opportuno...
– Squagliarci. – Il filosofo termina la frase e allunga il passo. Lancia un’occhiata reverente, quasi timorosa al cielo di un blu scurissimo, fa un paio di salti a piedi uniti e canticchia nel respiratore:
– … La caramella che ti piace tanto… E che fa....?
Il robot continua a riporre i paletti nella borsa senza rispondere.
– Cosa fa, Fontainbleau?
– Chi?
– La caramella che ti piace tanto.
– Viene masticata e digerita, suppongo, dando un contributo energetico variabile tra le 10 e le 20 Kcal.
– Ma no, fa dudu- dudù, dudu – dudù du dù.
– Capisco.
– Vedi che non segui con attenzione le trasmissioni TV della Terra?
– Ci mancherebbe altro.
– Eh no! Non ci hanno chiesto un parere estetico: solo un modo per farli smettere. Dobbiamo individuare il nucleo semantico di quelle comunicazioni, l’elemento che le sottende, il nocciolo.


– Il commercio. – Sentenzia spiccio il robot.
– Ovvio. Ma cosa li induce a costruire i loro messaggi di vendita intorno a iperboli ed evidenti assurdità? Per esempio, che errore ha commesso l’ispettore Rock?
– Non ha usato la Brillantina Linetti.
Thinbam sorride estasiato. – Ecco, giusto, Brillantina Linetti… Non senti l’impatto quasi magico di queste due parole? Sembrano parte di un incantesimo…
– Volto ad impedire la caduta dei capelli, immagino. – Fontainbleau non è un filosofo anche se è MOLTO più intelligente di quasi tutte le persone che conoscete – voi compresi – ed è solito guardare ai fenomeni in modo pragmatico.
– Certo, ma come può un prodotto untuoso e profumato arrestare un fenomeno biologico se non simbolicamente, attraverso una mediazione magica? – Thinbam inciampa e barcolla. Occhiataccia del robot. Si stringe nelle spalle, finalmente tace e si decide a camminare più svelto.
Il piccolo elicottero che li ha condotti fino in prossimità del limite dei ghiacci è ancora dove l’hanno lasciato, le pale mestamente abbassate e un atteggiamento generale di intirizzita tristezza.
Salgono. Motori avviati. Vum-vum-vum-vum-vum.
Thinbam si alza di scatto sul sedile, con l’espressione di chi ricorda improvvisamente di non aver chiuso il rubinetto del bagno della seconda casa, sei mesi prima.
– Fontainbleau?
– Sì?
– Non avevo una lezione, mezz’ora fa?
– Mezz’ora fa di dopodomani.
– Ah, bene.
Il filosofo si rilassa, guarda dal finestrino dell’elicottero il limite scintillante della glaciazione allontanarsi a nord- est, come un confine tra la luce e l’oscurità e si strofina le mani sorridendo. Canticchia un jingle terrestre e si accomoda meglio sul sedile, impegnato a chiedersi cosa mai potrà essere «più bianco del bianco», scartando a priori la possibilità che gli umanoidi della Terra abbiano una diversa gamma di lunghezze d’onda visibili.


16.10.18

Calibano: inarrestabile la marcia della scienza


Immaginate di tirare un elastico molto robusto per i due capi, anzi fate una bella cosa: assicuratene un capo a qualunque sporgenza dia garanzie di solidità e cominciate a tirare allontanandovi lentamente.
Uscite dalla stanza sempre camminando all’indietro, sorridete al vicino di casa borbottando qualcosa su un esperimento scientifico e continuate ad arretrare con calma, senza scossoni. Immaginate di continuare l’operazione per un paio di milioni di chilometri, il più possibile in linea retta. Secondo i calcoli del professor Zephyr Gaalighe dell’Università Anticonvenzionale di Altair 5 quando vi deciderete a mollare il capo dell’elastico, la velocità di avvicinamento tra i due capi dell’elastico sarà pari a 25 volte la velocità della luce, in quanto gli elettroni dei nuclei atomici dell’elastico avranno raggiunto un orbitale talmente energetico da trapassare al livello più basso di energia di un altro universo dove E=mc2 ha il solo significato di una sicura insufficienza nella prova scritta di fisica.
Il fatto che la scoperta sia nata per una scommessa tra il professor Gaalighe e un collega particolarmente pedante, strenuo sostenitore della superiorità del nastro di stoffa sulla cinghia elastica per riunire e trasportare grossi pacchi di elaborati studenteschi, non sminuisce l’importanza dell’evento che ha permesso a tutte le razze senzienti della galassia di raggiungere lontani sistemi, comunicare, azzuffarsi e combinare faraoniche cene.
“Ma come si fa a tirare un elastico per due milioni di chilometri? E come diavolo ha fatto il professor Vattelapesca a vincere la scommessa senza diventare talmente vecchio nel viaggio da perdere ogni interesse per la contesa?”
Semplice: è sufficiente disporre di un megaarrotolatore uncinato, normalmente utilizzato su Altair 5 per riavvolgere tubi da giardinaggio di lunghezza considerevole ed un venti metri di ultraelastico altairiano (meno di venti metri è pericoloso).
Conoscendo questi due elementi: – l’Ultraelastico ed il Megaarrotolatore uncinato – avete in pugno il segreto della propulsione Gaalighe: silenziosa e per niente inquinante, come sanno tutti quelli che hanno incontrato un UFO.

Il Diavolo, probabilmente.
Dopo questa nota, scritta per demolire gli argomenti di coloro che negano la possibilità di incontri ravvicinati con altre civiltà a causa delle enormi distanze cosmiche, immaginiamo di disporre di un’astronave a propulsione Gaalighe e di sbarcare nel quartiere residenziale di Behemoth, su Gomorra, terzo della stella Milton.
Superiamo la linea d’ombra tesa a semicerchio sul pianeta ed entriamo nella zona illuminata in modo da arrivare ad un’ora ragionevole del mattino, quando tutto è quiete, silenzio e pace tra le villette bianche del quartiere e la luce di Milton si stempera lenta su tiepide verande e su giardini ben curati.
La prima forma senziente che vedremo sarà un individuo abbastanza antropomorfo dotato di corna, zoccoli ed una robusta coda, la carnagione rossastra e una statura da cestista. La creatura in questione, fino ad un attimo prima intento alla cura del suo giardinetto all’italiana, guarda prima perplesso poi con livore omicida l’astronave che atterrando ha devastato la siepe appena regolata e si avvicina con minacciosa lentezza, armato di un paio di cesoie e sprizzando scintille dalle pupille rosse.
Visto che sicuramente nessuno dei gentili lettori avrà il fegato di spiegare al padrone di casa il motivo della nostra presenza nel suo giardino, scenderò io, mentre qualcun altro dovrà riarrotolare l’ultraelastico.
Come si può facilmente intuire l’autore – a differenza del protagonista – non corre veri rischi per la sua incolumità. Comunque, dal momento che l’universo narrativo è spesso imprevedibile, ho pensato di portare un regalino per Satan Baal- Zebub, presidente della: BAAL-ZEBUB, LUXIFERUS, AHRIMAN, IBLIS. COSTRUZIONE E GESTIONE PIANETI D’ABITAZIONE, cioé una begonia rossa che Satan sicuramente gradirà.
Al fondo della scaletta apprezzo tutta l’inquietante mole del padrone di casa che, decisamente alterato, agita le cesoie ed ulula che le consegne vanno fatte all’altro ingresso.
– Di là, lo vedi microcefalo? Di là!
Ovviamente Satan Baal-Zebub parla italiano – ossia la Panlingua – lingua universale della Galassia parlata da tutti i membri appena appena istruiti delle principali razze intelligenti, ivi comprese le Lattughe Cefaloidi di Xoor, gli Ooooò-plà Variabili di Kaltex III, i Foulard Fantasia dei pianeti gemelli Stanlio ed Ollio e gli Scubidù di Profumodipane, colonie senzienti di spaghi multicolori.
Sulla Terra l’Italiano è parlato solo dall’uno virgola spiccioli (in diminuzione) della popolazione mondiale, è ben vero, ma c’è una spiegazione: durante la costruzione del nostro pianeta un tecnico, certo Baa’Bel, (nella circostanza piuttosto alticcio) ha scambiato un filo rosso per un filo marrone, cortocircuitando gli impianti della Torre dove erano custodite le matrici glottolinguistiche sintetiche ad uso degli umanoidi spediti sul pianeta.
Ora, il prezzo di una Torre Matrice è tale che la Satan e Soci, impresa costruttrice del pianeta, piuttosto di sostituirla preferì corrompere un funzionario del competente Ispettorato Galattico. Vi invito a rileggere un libro noto come Sacra Bibbia: contiene una rudimentale descrizione dell’episodio, ma raccontato così male da essere irriconoscibile.
Poi non ne è andata più dritta una al povero Satan: niente panlingua, quindi niente abitabilità, licenza edilizia revocata, ricorsi, grane, documenti e studi legali come se piovesse.
Detto di passata, l’ultimo tentativo della Satan e Soci di rendere la Terra un pianeta frequentabile si è concretizzato nell’invio di Achele Inconssupperttraffrà, uno dei migliori poeti dell’Accademia poetica Recondita Armonia, per diffondere l’Italiano tra i terrestri con un poema di sublime bellezza.
Achele eccetera, giunto nella Firenze del tredicesimo secolo con il nome di Dante Alighieri che in Alto Dondolico (Satan e Soci ignorano l’Alto Dondolico) significa “Colui che attacca briga per un nonnulla ed è permaloso come un babbuino”, riuscì a litigare quasi con l’intera città facendosi buttare fuori a pedate. Il poema che scrisse in seguito era sì bellissimo, ma anche maledettamente polemico ed ebbe un successo limitato.
Mentre vi davo questi pochi ma essenziali ragguagli Satan ha continuato a fissarmi con espressione poco amabile ed a aprire e chiudere le cesoie.

– Salve. – Dico. – Sono un romanziere e vengo dalla Terra per farle un paio di domande.
Satan alza gli occhi al cielo ed apre a metà le ali membranose, in un atteggiamento che presso la sua razza ha l’abituale significato di “Mio Dio, di nuovo i Testimoni di Jèhuwa”. Tale setta religiosa è ora scomparsa sul pianeta Gomorra perché spedita a convertire gli Abominevoli Gorgoglioni di Putrido 2, malevole e ributtanti creature ghiotte di coppie di individui vestiti severamente, provvisti di valigetta e di opuscoli a carattere religioso.
– Non sono un giornalista, signor Baal- Zebub, vengo solo a chiederle due informazioni per completare il quadro di un romanzo che sto scrivendo.
– Era proprio necessario distruggermi la siepe per farmi due domande? – Satan è già leggermente meno aggressivo e mostra la stessa punta di curiosità che prende chi si sente interrogare da una grande società per sondaggi.
– Da dove hai detto che vieni?
–… Ehm, dalla Terra, quella che qui chiamate Foxtrot.
– NOOO, ARRGGHH! – Satan abbandona ogni compiacimento, guarda me, poi guarda l’astronave, poi di nuovo me, apparentemente indeciso nella scelta della vittima migliore per un’esplosione di inconsulta violenza.
– Non voglio più nemmeno sentir parlare di quel dannatissimo posto. Ma lo sai, disgraziato, che ho ancora in piedi una dozzina di cause per quella fogna? Con la Sovrintendenza alle Opere Planetarie, con l’Associazione per la Civile Abitazione, con Galassia Nostra, con…
– Il fatto è… – Ho un bel tentare di spiegare: arginare il daimone è come cercare di fermare un treno con un bastone.
–…MA TI RENDI CONTO che mi ha fatto causa anche il governo di Sirio perchè riceveno le vostre trasmissioni televisive? E che sono ancora in lite con il sindacato degli addetti alle Torri Matrici? E che mi ha citato in giudizio anche la Fondazione per la Difesa della Panlingua?… E pensare che mi era sembrata un’idea così bella costruire un pianeta proprio lì, un po’ fuori dalle rotte frequentate, in un posto poco affollato, con un sole normale, unico, non tre o quattro palle luminose che ti impediscono di chiudere occhio, una bella luna generosa, argentea, non una dozzina di sassi arancione come fanno i miei concorrenti, che costano poco ma fanno andare in visibilio gli arricchiti. E con tante razze di piante e di animali, fossili, romantici resti di civiltà precedenti…
– Ma signor Baal-Zebub il pianeta è effettivamente bellissimo…
– Eh, già. Peccato che sia abitato da gentaglia come voi, e abusivamente per giunta.– Satan si gira ostentatamente e riprende a lavorare sui suoi fiori. – Ora, se non ti dispiace togliere il disturbo, tu e il tuo cimelio sdraiato sulla MIA siepe, ho molto da fare. Oggi è festa e io cerco di non arrabbiarmi mai DAVVERO nei giorni di festa.
Guardo la nave, effettivamente un po’ vecchiotta e stringo le labbra. – Volevo solo…
– Volevi solo toglierti dalle farfalle in fretta, vero? Volevi solo questo.
Esito. La mia esitazione nasce da due considerazioni. La prima è che Satan fa circa due metri e mezzo di statura, è armato di un paio di cesoie, VOLA – cosa che né io né voi siamo in grado di fare neppure mangiando molto leggero – è MOLTO spazientito e amareggiato e non gliene importa un tubo di me, di voi e del romanzo.
La seconda è che è un buon diavolo, evasore fiscale come tutti gli imprenditori ma umano nei rapporti con i sottoposti, gentile con tutti coloro che gli chiedono un favore, persona di una certa cultura, amante di fiori ed animali e collezionista di opere d’arte che lascerà in blocco alla sua città quando andrà ad abitare altrove, pratica comune tra gli immortali.
Mi faccio piccolo piccolo, penso ai miei lettori e faccio un ultimo tentativo. Disperato, temo.

– Lo sa che una delle sue navi è caduta su New York?
Satan lascia cadere le cesoie e la mandibola contemporaneamente e mi fissa con l’espressione di un preside sorpreso ad allineare aeroplanini di carta facendo VVUUuuummm quando decollano.
– Quale nave? –
– La Per piacere lavati le mani.– Prudentemente faccio un passo indietro.
– Quella. Lo sapevo. È stato Ahriman a comprarla d’occasione da Nixxon. “Un affarone, costa un quarto di una nuova e va come una freccia…” Io da quel tizio non avrei comperato neppure un tappo, ma insomma, con Foxtrot siamo andati un po’ fuori e a liquido siamo a terra…
– Adesso la sta studiando una commissione delle Nazioni Unite.
Satan scuote la testa: – Il pilota, Neurite, è un perfetto cretino. È Il figlio di Ahriman che abbiamo sistemato. Racconterà tutto…
– Racconterà di ratti e mici…– Insinuo.
– È ovvio. Dirà che ce li abbiamo messi noi per soppiantare gli umani ed io dovrò inventare un altro sistema per recuperare i nostri quattrini… O chiudere.
Satan crolla a sedere sul prato, vinto. Gli offro la begonia per consolarlo e l’imprenditore la guarda con stupito affetto, cominciando ad accarezzarla soprappensiero.
– Era un bella idea, però. – Sussurro.
– Certo che era una bella idea. – Satan non parla guardando nella mia direzione ma fissa la pianta. Solo lei è degna delle sue confidenze. – Una volta che il pianeta avesse ottenuto l’abitabilità io avrei cominciato la pubblicità e miliardi di turisti avrebbero acquistato un bungalow su Foxtrot per guardare i miei chiari di luna, le mie montagne, i miei deserti, le mie cascate… Avrei tirato su una montagna di galattodindi. Era già pronta la campagna pubblicitaria per i più grandi settimanali della Galassia. “…È troppo uno zirlione di Galattodindi per scatenare la felicità?” Poi c’era una olo- foto di Lasciva Ombrosa in slip trasparenti illuminata dalla luna che corre ad abbracciare un viaggiatore e sotto la scritta: Concediti un pizzico di Foxtrot, la quiete ed il desiderio…
Satan guarda mesto la begonia. Fatico a non rattristarmi io stesso.
– Ed ora che faccio? – Mormora.
– Potrebbe riprovare con gli umani.
– Umani…– Nausea, disgusto, livore, rancore, sofferenza, ansia di riscatto e cupidigia di vendetta: tutto in un solo sguardo. – Bah! A parte il fatto che stanno trasformando il MIO pianeta nel cesso di una stazione, sono sporchi, stupidi e chiassosi. Hanno inventato la bomba atomica, l’automobile sportiva, la festa della Mamma, il fuoristrada, il SUV, l’esodo di ferragosto, i concorsi di bellezza, i telequiz, le feste aziendali e lo Zecchino d’Oro. Lo sai quanto mi hanno chiesto di danni quelli di Sirio per aver ricevuto un programma di nome Rischiatutto? 700 milioni di galattodindi! No, gente capace di pagare per vedere Mike Bongiorno non merita una seconda possibilità.
Ci sarebbe da dirgli che ultimamente le cose sono anche peggiorate, ma decido di lasciar perdere. Tra qualche anno quelli di Sirio avrebbero ricevuto Pippo Franco e i comici del Bagaglino o di qualche altro tossicomico e senza aspettare l'apoteosi del reality show sarebbero passati alle vie di fatto, armando una colossale flotta di corazzate stellari e pagando una miseria la Satan e Soci per l’annichilimento del pianeta.
– Ma sei proprio sicuro? – Mi chiede infine Satan.
– Perbacco!
– Sicuro sicuro?
– L’ho letto su una rivista di ufologia, «Occhi eterni», mi pare. Specificavano che la notizia era tenuta nascosta dalla CIA per non creare panico.
Lo so, è deboluccia, ma non sono mai stato capace di raccontare le bugie fino in fondo.
Satan si alza in piedi ed apre le ali. – DOVE l’hai letto?
– Su «Occhi Eterni», pubblicato dalle edizioni Sinistro Pr…
Bene a questo punto sarà meglio che i miei amati lettori abbiano caricato l’ultraelastico perché lo sguardo di Baal-Zebub ha raggiunto l’intensità di un lanciafiamme e rimanere nei dintorni è diventato poco salubre.
– Tanti auguri! – Gli grido chiudendo il portellone dell’astronave, un attimo prima che le cesoie risuonino contro la superficie metallica della nave con un bel clangore.
Mentre dal finestrino guardiamo Gomorra, verde ed azzurro, allontanarsi nello spazio, volgiamo un pensiero riverente ai Padri della Chiesa che hanno definito Satan il Grande Nemico dell’Umanità.
Avevano senz’altro ragione.
Peccato che, non essendo abbastanza informati non ci abbiano spiegato il perché e siano stati costretti ad inventare un personaggio di comodo come Dio per far tornare i conti.