10.7.10

In pratica




Leggetevi con attenzione queste due pagine di autore anonimo.

La vita di Bianca

Era l'alba; la villa vicino al mare, alla periferia della città marinara, era tutta un trambusto; le luci mattutine erano chiarissime, quasi albine; un leggero strato di neve ricopriva la terra fino alla marina, i fiocchi danzavano una ridda di strani balli in vortici capricciosi. Sembrava un gioco di piccoli esseri fantasmagorici, in una allegorìa gioiosa senza fine. E fu allora che lei nacque, nel bianco candore dell'alba, e per questo Bianca la chiamò sua madre. Due cose influirono sulla sua vita: il segno zodiacale del Sagittario, che le darà sempre nuove attività e risorse, e il nome impostole dalla adorata mamma, che le porterà fortuna e continue aspirazioni. La madre era nobile, discendente da un marchesato della Boemia: colta, fine, bellissima e di squisita sensibilità. Il padre coltissimo, studioso assiduo, commediografo, scrittore e poeta. La piccola Bianca venne alla luce con un lungo acuto strillo di protesta. La sua vita era stata meravigliosa, certamente in conseguenza di tutti questi doni ereditari. Era portata per tutte le arti, ed ogni cosa bella le faceva vibrare le fibre più recondite. Cominciò a recitare nella compagnia paterna già da piccola. Adorava lo studio e il sapere in genere, ogni scienza le piaceva e la attraeva. Leggeva moltissimo. In seguito, assunse la regìa della compagnia paterna e la ritenne per anni: scrisse «Poesie a più voci» come lei chiamò, e fece con esse delle recite in molte città, dove adulti e ragazzi impersonavano: alberi, fiori , statue. Vinse parecchi premi culturali, regionali e nazionali. L'insegnamento era il suo lavoro base, amava stare con i ragazzi, trasmettere loro la sua cultura, il suo entusiasmo, tutta sua carica di vita. Scrisse diversi libri: un romanzo, due canzonieri, novelle, racconti e libri di saggistica. I suoi libri ebbero ottime critiche giornalistiche, la prima stesura di ognuno fu venduta in breve tempo, all'esaurimento. Dipinse e fece alcune mostre. Collaborò col padre che idolatrava, e tutta la sua vita fu colma di un'attività creativa, continuamente rinnovata. Com'è bella la vita, soleva dire e ogni cosa le piaceva immensamente. Non conobbe mai: né noia, né ozio. Le fu conferita l'Onorificenza di Cavaliere Della Repubblica, per tutti i suoi meriti e il suo lavoro; fu nominata Accademico dell'Accademia di Pontzen di Scienze ed Arti…

Non c'è bisogno che vi dica perché l'autore è anonimo. Vi basti sapere che il suo nome di battesimo è Albachiara, in modo da poter cogliere i riferimenti autobiografici.

Volevo creare personalmente alcuni piccoli mostri, ma poi per un caso mi sono trovato davanti un inverosimile libretto stampato a spese dell'autrice e ho scoperto che, come sempre, la realtà supera di gran lunga la fantasia.

Bene cosa c'è che non va nel brano di Albachiara?

Lasciamo perdere il tono ultracompiaciuto, lo snobismo demodé denunciato dai riferimenti, la convinzione ingenua che possano esistere personaggi del genere, la visione esclusiva e ineffabile della sensibilità artistica (un tristissimo autogol, non c'è che dire) e la convinzione che esista un destino, scritto nelle stelle o nelle trippe.

Siamo generosi e facciamo finta anche di non notare l'uso improprio o decisamente strampalato di aggettivi e verbi (i doni ereditari... l'allegoria giocosa e senza fine... l'Accademico dell'Accademia... la ritenne per anni... venduta all'esaurimento). Già che ci siamo tiriamo dritto anche davanti all'uso della punteggiatura. La punteggiatura è spesso un problema di sensibilità personale e quindi sì faccia finta di niente.

E la concordanza dei verbi?"
Già, vero. Virare dal passato remoto al futuro è un'operazione che strappa un ohibò anche al lettore più ottuso. Ma sorvoliamo.

La cosa più interessante è la scelta degli strumenti utilizzati per colpire il lettore.

Essenzialmente:

La ripetizione.

La scansione.

L'elencazione.


Strumenti importanti ed efficaci, come vedremo, ma qui utilizzati in maniera sciagurata.


La ripetizione

La ripetizione è uno strumento potentissimo per l'evocazione. Ma perché funzioni dev'essere discreta. Generalmente l'autore accorto dosa con attenzione l'effetto per aggirare l'attenzione del lettore, facendo scattare alcuni meccanismi inconsci. All'uopo vi rimando a Edgar Allan Poe, maestro dell'angoscia insinuante basata sulla ripetizione.

Incipit della “Caduta della Casa degli Usher"

Per un'intera buia, uggiosa e silenziosa giornata d'autunno, in cui le nuvole gravavano basse nei cieli, avevo attraversato da solo, a cavallo, un tratto di campagna insolitamente tetro; e mi ero trovato infine, quando già si addensavano le ombre della sera, in vista della malinconica Casa Usher. Non so come avvenne, ma, appena scorsi l'edificio,. un senso di insopportabile tristezza invase il mio spirito. Dico insopportabile, perché non era alleviato da alcuno di quei sentimenti quasi piacevoli, perché poetici, con cui lo spirito solitamente accoglie anche le più austere immagini naturali di desolazione e terrore. Contemplai la scena che avevo di fronte, la casa disadorna, lo spoglio paesaggio della tenuta, le squallide mura, le finestre come occhi vacui, i pochi rigogliosi falaschi, e i pochi bianchi tronchi di alberi infraciditi, con un'assoluta depressione d'animo che non posso paragonare propriamente ad altra sensazione terrena che al risveglio dell'oppiomane dai suoi sogni, al suo amaro ritorno alla vita di ogni giorno, all'orrenda caduta del velo. C'era una gelidezza, un affondamento, un'affezione del cuore. un'irredimibile oppressione del pensiero che nessuno stimolo dell'immaginazione avrebbe potuto stravolgere in qualcosa di sublime.


Forse per la sensibilità moderna un attacco tanto plateale risulta eccessivo, ma in fondo il lettore altro non chiede che di essere terrorizzato per benino e quindi attua, come dice U.Eco, una sospensione di giudizio nell'attesa di un bello spavento. Poe inanella in poche righe: «Buia, uggiosa, silenziosa.. nuvole gravavano basse... tetro... ombre della sera.., malinconica... desolazione e terrore... occhi vacui... orrenda caduta del velo... gelidezza... oppressione.» Ma non utilizza mai un sinonimo vero e proprio, si avvale di metafore, perifrasi, rimandi, formule letterarie e insinua nel vostro candido cuoricino almeno una parte dell'ansia del protagonista.

Cosa fa invece Albachiara?

Scrive: "Villa vicino al mare, alla periferia della città marinara." E, dopo un incipit tanto rassicurante - sia pure con ripetizione - , attacca col suo maledetto candore:

«chiarissime, quasi albine... neve... fiocchi.. bianco candore dell'alba (sic)... Boemia [come il cristallo, furbetta l'Albachiara]... la piccola Bianca»

Credo che questo eccesso di candore sia almeno in parte inconscio, (è questa la differenza fondamentale tra un dilettante e un professionista, l'essere consci del mezzo scrittura) e che la manovra narrativa di Albachiara risponda allo scopo di evocare nel lettore una sensazione di pulizia, pace interiore, gioia e felicità. Ma essendo i suoi strumenti primitivi e abboracciati non passa l'esame nel lettore accorto, reso già diffidente dal titolo.

Passiamo alla scansione.

I ritorni a capo.

Baricco ne fa un uso tecnicamente sapiente (anche se resta un impostore). Rileggetevi la paginetta di «Seta». In generale il dominio dei ritorni a capo è, per ovvi motivi, il dialogo. Per spezzare il discorso frequentemente dovete avere delle ottime ragioni: una scena molto movimentata, qualcosa di estremamente urgente da comunicare (cautela, il messaggio dev'essere urgente per tutti e non solo per voi), un intento burlesco o satirico (cfr. "Tre uomini in barca"), la mimesi o la parodia, il discorso indiretto/diretto (tornate a Salinger). Se nessuna di queste condizioni è vera il lettore può trarre due conclusioni:

1) L'autore vuole farmi fesso.

2) L'autore non ha voglia di lavorare e cerca di cavarsela con poche frasi a effetto.

Il caso 1 corrisponde alla perfezione al Baricco da Seta e ai suoi ritorni a capo da Capitan Spaventa.

Il caso 2 è invece quello di Albachiara, alla quale non frega un tubo raccontare della giovinezza e della maturità del suo personaggio. Infatti sbriga la sua vita in una facciata per arrivare infine alla sospirata senilità. I frequenti ritorni a capo in questo caso funzionano come i riassunti delle puntate precedenti letti a rotta di collo dalle annunciatrici RAI , quando c'erano ancora gli sceneggiati TV di Anton Giulio Maiano e di Sandro Bolchi. In casi come questi è meglio lasciar perdere e cominciare «in media re». Avrete tutto il tempo del romanzo per spiegare vita, gesta e glorie del vostro personaggio, sempre che ne valga la pena.

L'elencazione

Così elenca Stefano Benni da «Elianto»:

INVENTARIO DELLA VALIGIA CHE EBENEZER SNOBERUS SINFERRU PREPARO' PER IL VIAGGIO NEI MONDI ALTEREI.

Un costume d'angelo completo con parrucca e e ali di vera piuma di cigno.

Un dentifricio con spazzolino.

Un arricciacoda.

Una scatola di lucido per corna «Wild Deer».

Dodici preservativi.

Un pigiama.

Un altimetro.

Uno spaventacroccoli.

Una macchina fotografica e dodici rollini.

Un vocabolario diavolo-angelese e angel-diavolese.

Una motocicletta da cross.

Pinne.

Occhiali e boccaglio.

Un chilo e mezzo di brillantina alla menta.

Una cerbottana con frecce al curaro.

Cime tempestose di Emily Brontë.

Tre paia di mutande con buco caudale.

Toppe di caucciù per le ali.

Due mazzi di carte da poker.

Guanti da saldatore.

Metà della bravura di Benni consiste nella capacità di di costruire elenchi assurdi e insieme rivelatori. Benni di nasconde altrettante storie non raccontate, abitudini, passioni, gusti, interessi, sogni, rimpianti e probabilmente tutte le storie che non avrà mai il tempo per raccontare. Negli elenchi di Benni si riflette tutta la inconcepibile varietà e diversità del mondo. Gli autori surrealisti - André Breton, Boris Vian - avevano una vera passione per gli elenchi e ne costruivano, a cavallo tra prosa e poesia, di fenomenali, godendosi l'effetto straniante e irresistibile di accostare materiali e oggetti - astratti e concreti - non soltanto antitetici ma anche incongrui, assurdi e inattesi. Stendendo un elenco si può sperimentare l'ampiezza semantica del linguaggio e la potenza evocativa della parola. Insieme alla poesia e all'invenzione di nomi e luoghi - l'onomastica - è uno dei piaceri più genuini e meravigliosamente infantili del narrare.

Ritornando ad Albachiara, possiamo dedicare ancora un po' di attenzione ai suoi elenchi:

«Padre coltissimo, studioso assiduo, commediografo, scrittore e poeta... Alberi, fiori, statue... Premi culturali nazionali e regionali... Un romanzo, due canzonieri, novelle, racconti e libri di saggistica...»

L'elenco di Albachiara ha i tristi connotati di un inventario di beni pignorabili steso da un ufficiale giudiziario o, in alternativa, il tono impersonale di un messaggio personale pubblicato «vendo poco usato motorino 75 cc con marmitta al cromovanadio...»

E perché mai?

Essenzialmente perché Albachiara non ha nessun feeling con la lingua che utilizza. La sua prima preoccupazione è quella di stupire il lettore e suscitare ammirazione nei confronti dell'autrice, sforzandosi di riprodurre lo stile di una stagione letteraria tramontata (Liala, certo, ma anche il D'Annunzio più ovvio e dozzinale).

RIASSUMENDO

Ripetizione, scansione ed elencazione sono attrezzi fondamentali. Da utilizzare con attenzione e sensibilità, resistendo al desiderio di mostrare la ricchezza del proprio lessico e la propria finissima sensibilità...

*** attenzione ***

Il manuale - a volerlo chiamare così - continua a cura di Silvia Treves (abbiamo lavorato insieme nel seminario), nel suo blog Esercizi di Dubbio. Da non perdere il suo ricco contributo sul tema del dialogo! Leggerlo e piangere su ciò che avete scritto sarà tutt'uno... Non perdetelo per nulla al mondo!