28.11.19

Il Mare Obliquo 44

La spedizione militare in soccorso di Artamiro è pronta e sta per partire. Ma non è così chiaro quali siano gli obiettivi reali di Teardreat, che a sua volta, parte per visitare i suoi domini a Verhida.
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La piccola flotta si è riunita alla fonda di Rewkai, il più grande porto di Baran, l'isola principale.

Si tratta di dodici navi, otto più lente e tozze, adatte a trasportare soldati e cavalli e quattro veloci e ben armate a far da scorta a quelle. Sui moli poco meno di un migliaio di soldati e di cavalieri con le insegne nero-grigie del Signore delle isole attendono di salire per raggiungere l'armata del moribondo Artamiro.

– Tutto bene? – Chiede Teardraet al proprio primo ministro Aue Bediun.

– Certo. Entro una settimana l'Armata giungerà al porto di Nomoj ed in un'altra settimana sarà al campo di Artamiro, sempre che il tempo sia clemente, il che data la stagione…

– Non è eccessivamente importante. – Il Moeld lancia uno sguardo alle navi scure ed ai suoi soldati che lentamente scompaiono nel capace ventre delle più grandi. – Fammi chiamare Nivel'iun.

Il comandante dell'armata giunge ben presto al palco dal quale il Conte-Mago assiste alle manovre d'imbarco.

– Buongiorno Liest Nivel'Iun. – Lo saluta Teardraet con frettolosa cordialità. – Penso che sappiate molto bene cosa mi attendo da voi.

Il generale, un Moeld dalla pelle fortemente pigmentata e di statura non comune si inchina leggermente all'indirizzo di Maldanea seduta alla destra del Conte-Mago. – Certo, mio Signore. Provvedere al più presto all'acquisto o alla requisizione di un numero di cavalli ed altri animali sufficienti per trasportare l'intera armata. Aggiungersi senza unirsi, condurre manovre separate, acquartierarsi in luogo isolato, evitare ogni incontro ed ogni confidenza, in ogni caso risparmiare le forze ed evitare di ubbidire agli ordini degli emissari di Horr Vamaiun. In caso di sconfitta o di scioglimento dell'armata di Artamiro ritirarsi nelle terre Syerdwin ed aprire il messaggio consegnatomi.

– Benissimo. Mawaniun, il Mago che vi accompagna, possiede i mezzi per mettersi rapidamente in contatto con me, se necessario. Vi auguro buon viaggio.

– Buon viaggio Generale. – Aggiunge Maldanea che ha seguito il dialogo ostentando un sorriso enigmatico.

– Vi ringrazio mia Signora. – Nivel'iun si inchina più profondamente e seguito da una mezza dozzina di ufficiali del suo seguito si allontana in direzione dei moli dove proseguono le manovre di imbarco.

Entro un paio d'ore l'armata si trova a bordo pronta a far vela.

– Cinquecento cavalieri, cinquecento arcieri, piccardi e alabardieri, tre grandi macchine da assedio, cinque più piccole, servitori, intendenze, chirurghi, cerusici, cuochi, erboristi, negromanti e maghi, fabbri, falegnami, artigiani eccetera. In totale più di un duemila persone. – Bediun ripiega l'elenco consegnatogli dal comandante dell'ammiraglia e lo consegna al proprio valletto. – Una forza non grande ma rapida, ben addestrata e ottimamente comandata.

Teardraet annuisce. – Il continente non vede le mie armi da molti, molti anni. – Lancia un'occhiata al suo primo ministro. – Dobbiamo fare in modo che non le dimentichi troppo in fretta.

Il Conte-Mago ed il suo seguito abbandonano il porto quando anche l'ultima nave ha preso il mare aperto e prendono la strada della residenza quando già la debole luce del sole declina.

– Credete Id'iun che la vostra piccola armata si troverà a dare l'assedio alla reggia stessa della Casa d'Oriente? – Chiede Maldanea affiancando il proprio cavallo a quello del Conte-Mago.

– Alludete alle macchine d'assedio?

– Certo. Perché portarsi dietro attrezzi tanto pesanti? Non credete che altri si porranno la stessa domanda?

Teardraet studia per un attimo l'espressione della giovane Syerdwin e scuote il capo. – Bartsodesh ha fortificato il proprio campo.

Questa volta è Maldanea a scuotere il capo. – Ha forse costruito un'alta muraglia di pietra il nemico?

– Mia Id'iun, la vostra attenzione e la vostra competenza in arti tanto poco femminili non so se giudicarle più riprovevoli o inaspettate. Quale strano tarlo vi rode? 

 

– E quale strano tarlo rode voi, Teardraet? Il trono di Horr Vamaiun forse? Credete che non sappia che al momento lo stesso Re dei Syerdwin non può schierare una forza tanto ben organizzata ed armata?

Teardraet non risponde, lascia che il suo sguardo si posi sulla vegetazione rada e contorta, sulle macchie di erica ormai imbrunita dal freddo, sugli altissimi, spettrali pini che affiancano la via che li conduce alla Residenza. – Non le trovate tristi queste isole? – Le chiede infine.

– Non più. Se me lo chiedete per sapere se non vivrei meglio alla Reggia sono costretta a deludervi. Hanno un fascino discreto queste isole, come un veleno lento ma tenace. E del resto anche voi non potreste più amare la città, i suoi traffici, il suo odore.

– Dite mia Id'iun? Ma nelle città corre il futuro di questo mondo. – Teardraet si interrompe e il suo sguardo si fa cupo. – Come un uccello ammaestrato ripeto un gioco insegnatomi tanto, tanto tempo fa. – Alza gli occhi per fissarla. – E forse il futuro del quale parlo non esiste semplicemente più. L'Orlo del Mondo si fa irriconoscibile mentre io continuo a giocare una partita iniziata quando il tempo sembrava interminabile. Sì, voglio sedere sul trono di Vamaiun, lo sapete molto bene. Il nostro popolo un tempo occupava il centro del Mondo e la nostra voce ed il nostro volere lo scuotevano come il vento scuote un giovane arbusto. Poi è venuta la gente nuova e su cosa regnano le nostre Case? Su isole coperte di ghiaccio, coste battute dai venti del Nord, terre fredde, dimenticate.

– Sono le terre delle nostre origini. – Osserva Maldanea.

– Nulla ritorna alle proprie origini, Id'iun. Gli eterni cicli sono una favola che si racconta ai nostri giovani per indurli alla rassegnazione. Il mondo cambia e non ritorna, e se lo fa è per beffarsi delle nostre povere menti che credono di ravvisare il volto già noto nella trama di ciò che è oscuro. Lo credete tanto odioso, tanto riprovevole detronizzare un incapace per dare ancora una speranza alle Case di Mare? – Teardraet ride. – E poi quei soldati fanno parte del contratto con Vamaiun, il contratto grazie al quale ho ottenuto voi.

Maldanea annuisce senza parlare e sprona il proprio cavallo per raggiungere la testa del piccolo gruppo di cavalieri. A differenza di molti dei suoi simili ama cavalcare, sentire in viso la carezza del vento, provare la sensazione di forza e di leggerezza che dà il contatto con la schiena dell'animale che corre sotto di lei. Teardraet vuole fare dei Syerdwin dei cavalieri: la sua armata dovrà attraversare le piane del continente in groppa a quegli animali che il suo popolo ha incominciato solo da poco ad addestrare. Il pensiero la diverte: per il Conte-Mago sembrano non esistere usi, abitudini, tradizioni: soltanto sfide da vincere, nemici da sconfiggere.

Mentre cavalca si chiede se non sarebbe stato più bello correre sulle pianure con gli altri della sua gente a stupire la gente nuova e quella antica, combattere gli uomini che non possiedono né la loro leggerezza né la loro grazia, la stessa che avevano un tempo i Notturni con i loro strani cavalli alati, ormai scomparsi da quel mondo divenuto così stanco, così mediocre e volgare.

Teardraet ed il suo seguito sono ormai alle sue spalle, scomparsi dietro una curva della strada.

Maldanea si ferma per assaporare il gusto della solitudine. Nulla si muove intorno a lei, la natura dorme il suo primo sonno, profondo ed insieme fragile prima di cadere nel buio dell'inverno. Potrebbe spingere il cavallo nell'intrico buio del bosco che affianca la strada e scomparire così per sempre, lasciandosi dietro la fatica di quella vita che non ha potuto scegliere. Le voci degli altri cavalieri la raggiungono, stanche, rarefatte.

Sorride e si volta ad attenderli.



– Altri soldati, altre guerre. Basta, basta, non voglio saperne nulla! – Dama Pascalina posa la tazza del brodo e scuote il capo con forza. – Dietro la guerra viene la carestia e dietro la carestia le malattie. Le Case si svuotano e rimangono solo vecchi come me a rubare un raggio di sole, rimbambiti dalle lacrime e dalla fame.

– Ma, Pascalina, la guerra c'è da tempo tra le Case d'Occidente e d'Oriente.

– Era una guerra lontana da noi. Ma già che il tuo T rovesciata non riesce a stare lontano dai guai troppo a lungo.

"Non è il mio T rovesciata" vorrebbe spiegare Maldanea, ma si limita a sorridere, stupita per quello sfogo inatteso dell'anziana governante.

– E la sua ombra poi? Quel Bediun che sicuramente ha fiocinato e mangiato i suoi genitori, la sua anima nera che arriva dove non arriva il tuo Id'Iun con le sue bizzarrie.

– Aspetta Pascalina, non arrabbiarti. Teardraet ha mandato solo un po' di soldati e molto lontano da qui…

– E se le cose dovessero andare male? Svuoterebbe le isole per mandarne altri ed altri ancora ed alla fine partirebbe anche lui. E alla fine partiresti anche tu, Debah, a morire sulla groppa di quegli animali dementi che la Gente Nuova ci ha insegnato ad addestrare…

Maldanea non sorride più. Ha chiuso gli occhi per ascoltarla ancora una volta, come faceva da piccola, quando era soltanto Debah e Lie Maldanea di Baran e Verhida non era neppure un sogno. La voce di Pascalina si è fatta più incerta, meno sicura da allora e Maldanea si sente prendere da una paura nuova, quella che segna il passaggio nell'età adulta. L'anziana governante, insieme a Difiduanna, è l'unico legame rimasto con la sua vita a Casa Wessiun, ma anch'ella non è eterna, il cambiamento dev'essere ormai molto vicino. Il mondo di Casa Wessiun, divenuto già più piccolo e grigio, meno colorato e vivido nei suoi ricordi, diventerà presto una pagina voltata e dimenticata. Quante volte Teardraet ha provato quella sicurezza così gelida?

– Perdonami, perdonami Maldanea. Non dovevo insultare così il tuo Id'Iun. Chi sono io per farlo? Una vecchia governante resa opaca dagli anni come un piatto di peltro troppo usato. Ti prego dimentica queste mie parole.

– Dimenticarle, perché? Io non voglio dimenticare nemmeno una delle tue parole, sono sagge, care. Quando era soltanto Debah ti ho trovato tante volte noiosa, così attaccata a vecchie regole ed usanze. Ma tu avevi ragione ed io torto. – Vorrebbe spiegare a Dama Pascalina il mondo che vede il suo Id'Iun, un mondo che soltanto ora lei stessa comincia ad intuire, ma le parole scottano sulla sua lingua, scompaiono prima di assumere suono e sostanza.

– Non è vero, non è vero. Tu sei sempre stata un po' speciale, come diceva il tuo Padre-zio. E quando lo diceva si vedeva un po' di orgoglio nel suo sguardo ed un sorriso rapido come un raggio di sole riflesso in uno specchio rotante….

Il pensiero del cipiglio serio ed assennato del Padre-Zio, delle sue frasi così piene di ponderato e – soltanto ora lo comprende – faticoso equilibrio fa traboccare il suo cuore. – Basta basta, Pascalina, non discutere ancora. Ritiriamoci ti prego, domani mattina Teardraet ci condurrà in visita a Verhida e bisognerà levarsi di buon mattino.

Dama Pascalina annuisce solenne e si alza diretta verso il suo piccolo appartamento prospiciente a quello di Maldanea, ma fatti pochi passi si immobilizza. – Ci condurrà? – Chiede con voce malferma.

– Proprio così, Dama Pascalina. Non ti piace l'idea di un giretto su una nave? – Ride la giovane Syerdwin.

L'anziana dama non risponde, scuote la testa e leva le braccia al cielo in un gesto che Debah ben conosce.

– Buonanotte Pascalina. – Le sussurra un attimo prima che la governante chiuda la porta alle sue spalle.

– Buonanotte Debah.

Non è sicura che abbia usato quel nome per salutarla, ma le piace pensarlo.



La nave di lucido legno nero le attende alla fonda dell'insenatura alle pendici della Residenza di Teardraet. È una giornata grigia ma insolitamente luminosa e chiara, battuta da un vento profumato di neve. Sul piccolo molo una trentina di soldati a altrettanti marinai fanno ala al suo passaggio e ad attenderla appena oltre lo stretto ponticello oscillante teso tra la murata della nave e la terraferma c'è il suo Id'Iun.

– Buongiorno Lie Maldanea di Baran e Verhida Nata Wessiun. Buongiorno Dama Pascalina. – Le saluta molto formalmente.

– Buongiorno Liest Teardraet. – Risponde. Accanto a lui, in piedi avvolto in un ampio mantello verde c'è Mastro Nerubavel. Maldanea gli dedica un caloroso saluto al quale la creatura risponde piegandosi rigidamente come un coltello a serramanico.

– Come mai anche voi partecipate a questo breve viaggio? Siete forse un amante del mare e delle navi? – Gli chiede Maldanea.

– Non efattamente Lie, anche fe il mio ftomaco è molto meno fenfibile alle carezze ruvide delle onde di quello di tante altre creature. Avete ragione fi tratta di un viaggio breve: vedete là, avvolta nelle brume la noftra deftinazione? – Mastro Nerubavel indica una forma bassa e scura tesa sul confine invisibile tra le acque ed il cielo. – Ecco là Verhida, Oddinak per gli Einun che la abitano, che nella loro lingua fignifica "Terra Confumata".

Maldanea si volge verso il punto indicato ma non riesce a scorgere nulla se non la trama invisibile disegnata dalle nubi e dalle onde.

– Ahimé, Mastro Nerubavel, temo che i miei occhi non siano buoni quanto i vostri. Ma è dunque tanto antica l'isola gemella di Baran?

La creatura approva molto seria, come un maestro o un savio nel sentirsi porre la domanda che permette di continuare la lezione.– È l'ifola più vicina all'Orlo del Mondo di quante emergono dal mare fubglaciale. I fuoi abitanti affomigliano molto a voi fyerdwin ma recano tracce di una diverfa origine ed hanno una pelle lucida e fcura come unta dall'olio.

Maldanea annuisce ben compresa nel suo ruolo di allieva mentre Dama Pascalina, avvolta nei panni più caldi tra quelli portati con sé da Rocca Wessiun, stringe le labbra e si infila nella porta che conduce al sottoponte, dove Teardraet ha fatto allestire un accogliente salotto, fornito di bevande calde e piccoli dolci.

– Voi non desiderate accomodarvi nel sottoponte? – Le chiede il comandante della nave, un Gu'Hijirr alto, sottile e dalla pelle stranamente chiara, come se il contatto con i Syerdwin l'avesse reso simile a loro.

– No, penso che resterò ancora qui ad assaporare il profumo del mare. Vi ringrazio, mastro…?

– Mastro Ghilgainn dei Turrkin di Pontefalco, Lie Maldanea.

– Non ho visto molti della vostra gente qui nelle terre fredde, in compagnia di noi pesci morti. – Ride la giovane Syerdwin. – Quali strane avventure vi hanno portato in questi mari?

Il marinaio sbatte un paio di volte le palpebre nel sentire pronunciare il nomignolo spregiativo usato a Farsoll per indicare i Syerdwin. Lancia uno sguardo indeciso al viso di Maldanea e sorride a sua volta. – Mi annoiavo a Pontefalco, nulla più di questo. – Spiega. – In fondo non è strano. Quattro case piantate in mezzo alla palude ed un futuro di falegname non fanno gola a nessuno. E nemmeno la speranza un bel giorno di cambiare come fate voi, cosa si può immaginare di peggio?

Teardraet, in compagnia di Mastro Nerubavel, è sceso nel sottoponte. Forse lui sarebbe riuscito ad immaginare qualcosa di peggio. Maldanea sorride assorta. – Non tutti i Syerdwin cambiano, lo sapete Mastro Ghilgainn?

Il Gu'hijirr esita, stringe gli occhi e lancia un ordine che assomiglia molto ad una minaccia ad uno dei marinai. – Vi prego di perdonarmi. – Mormora. – Io non sono un Moeld. – Vorrebbe aggiungere "almeno non ancora, se mai lo desidererò" ma non lo fa. Debah aveva l'abitudine di dire tutto quello che le passava per la mente, ma nel suo attuale nome non può più farlo. Chissà se è un bene? 

 

– Conoscete bene Verhida? – Chiede al comandante Gu'Hijirr.

– Appena il porto, Henniga, e le sue tre locande. Da mangiare c'è solo pesce e da bere soltanto cattiva birra, scartata da quelli di Baran e scossa ben benino sulle navi.

– E della gente di Verhida cosa sapete?

– Non capisco neppure cosa dicono. Hanno strane abitudini e non amano nessuno, nemmeno voi Syerdwin. Figurarsi uno della mia gente.

Maldanea si ferma ancora per qualche minuto a discorrere con il Gu'Hijirr traendona la convinzione che il marinaio non provi né interesse né curiosità per l'antica Oddinak né tantomeno per i suoi abitanti. Controvoglia scende nel sottoponte quando gli spruzzi del mare rendono problematica la sua permanenza lì.

– Desiderate un poco di infuso di menta ben caldo? – Le chiede Teardraet.– O forse un poco di tiglio con un dolce farcito al miele?

– No grazie. – Maldanea si sente di un umore capriccioso, poco incline a parlare, come se il vento del suo animo fosse bruscamente cambiato.

– Quando arriveremo? – Chiede brusca.

– Entro il quinto arco di sole. Non desiderate sedervi?

Maldanea scuote il capo, poi con un moto improvviso va a sedersi accanto ad una delle piccole finestre aperte sul fianco della nave. Il mare sale ogni tanto a coprirla lasciando un'acqua densa che stenta a ritrarsi sul vetro spesso ed irregolare. Nel riflesso delle luci oscillanti distingue a tratti il proprio volto: i grandi occhi scuri, il volto stretto e pallido, il naso appena accennato come in tutti quelli della sua gente, le labbra scure e sottili. Le femmine della Gente Nuova hanno labbra spesse e rosee, come i fiori delle loro terre ed occhi piccoli, dal fondo bianco come il ventre dei calamari. Hanno la pelle chiara o scura ma di un unico colore e priva anche della sottile peluria che copre il loro corpo. Sono creature venute dalle grotte e dalle grandi piane erbose eppure i loro corpi sembrano levigati, quasi consumati dal mare. Presso Rocca Wessiun il giardiniere proveniva da Oriente, dalle terre della Gente Nuova e l'aveva spiato più volte, timorosa ed insieme eccitata. Non si trattava della curiosità per la quale giocava con i suoi cugini nei sottoscala o nei prati pieni di sole della scogliera. No, era allarmata, intimorita dalla diversità di quella creatura, dalla sua pelle a volte lucida di sudore a volte opaca come un tessuto liso, dal poco pelo che gli cresceva sul petto, dal dorso ampio e glabro come quello delle statue del giardino.

Le sono sempre sembrate creature dai gesti fin troppo netti, come se nelle regole che li dominano non fossero previsti i movimenti più fini e morbidi. Creature fatte per combattere e per distruggere, capaci anche di costruire grandi città come la Nuova Dancemarare, ma anche con un moto repentino, infantile, di distruggerle. Teardraet non li ama, o forse, come per i cavalli, pensa che la sua gente dovrà presto imparare a dominarli.

"Siamo troppo civili, troppo raffinati, troppo delicati. Questo mondo ci ha svuotato, consumato e di noi rimangono solo gli abiti eleganti, i costosi cappelli, le morbide scarpe: le vuote apparenze insomma." Ha sentito più volte ripetere quella frase da Bargan Valediun l'Economo di Rocca Wessiun, accolta il più delle volte con un sorriso da dame e cortigiani e con un moto di contenuta stizza dal Padre-Zio. Maldanea abbassa lo sguardo sull'abito dalle maniche molto ampie, bordate di morbida pelliccia, sulle scarpette affusolate, sui guanti di pelle tanto sottile da non impedirle di riconoscere forma e consistenza degli oggetti. Il giardiniere dei Wessiun indossava giubbotti e calzoni di ruvida tela e scarpe molto larghe. La giovane Syerdwin sospira: non si sente particolarmente decadente né estenuata ma non prova affatto il desiderio di indossare capi tanto rozzi.

Il mare sembra aver moderato la sua furia e attraverso il vetro può scorgere la forma bassa ed allungata della costa scivolare oltre la nave. Si alza e senza parlare risale sul ponte. Mastro Ghilgainn la saluta con un inchino frettoloso che lascia intuire una punta di malumore. Probabilmente preferirebbe non averla tra i piedi durante le manovre di sbarco e per un istante Maldanea si chiede se non sarebbe meglio ritornare nel sottoponte. Decide di rifugiarsi nel piccolo castello di poppa per far notare il meno possibile la sua presenza e si appoggia al mancorrente umido.

Verhida oppure Oddinak è uno scudo appoggiato sull'orlo delle acque, leggermente convesso fino ad una punta più rilevata al centro. Le rocce della costa sono scure e tondeggianti e scivolano oblique fino alle acque, come se titaniche dita le avessero scavate.


La città di Henniga scende alla rinfusa verso il piccolo porto, costruita della medesima pietra scura. Le minuscole case sono basse e tozze, simili a tazze rovesciate e ben poche sono le costruzioni che emergono tra i tetti curvi e levigati. La nave si dirige verso uno dei moli, dove ad attenderli vi è un piccolo gruppo di isolani. Maldanea decide di ignorare le occhiatacce di Mastro Ghilgainn e si sposta a prua per osservarli meglio. Sono piccoli e tondeggianti come le loro abitazioni e sembrano rotolare sui propri larghi piedi coperti da stivali spessi.

Parlano una strana lingua che le ricorda il latrare dei cani ed ostentano lunghi baffi, sottili come spaghi. Nonostante i loro modi bizzarri ed il linguaggio abominevole si dimostrano rapidi e veloci e ben presto la nave è saldamente ancorata alla terraferma.

I primi a scendere sono i soldati che respingono verso il fondo del molo gli abitanti dell'isola. Una volta scesa ed allineata la scorta è Teardraet a sbarcare, seguito dalla sua piccola corte. Maldanea guarda oziosamente la scena per qualche secondo prima di ricordare che il suo posto è accanto all'Id'Iun. Velocemente abbandona la sua postazione e lo raggiunge con qualche spinta e qualche scivolone sulla pietra salmastra del molo.

– Ecco, Gadiwak Primo Nato d'Inverno, questa è Lie Maldanea di Baran e Oddinak, nata Wessiun.

Teardraet le porge la mano per appoggiarsi e Maldanea compie la riverenza più impetuosa che le sia mai capitato di presentare.

– È assai giovane, mi pare. – Commenta la creatura che le sta davanti, decisamente più grassa e baffuta dei suoi simili. – E ricca di temperamento. – Aggiunge. – È un profondo onore conoscere la sposa del nostro buon Sovrano.

Maldanea sorride e ripete la riverenza con maggior grazia. – È molto strana quest'isola, ma anche molto bella. – Commenta. Alle sue spalle Pascalina chiude gli occhi e scuote il capo. Debah è capace di apparire nei momenti meno opportuni.

– Grazie. – L'Oddinak ha uno strano modo di ridere, il naso che vibra e la pelle della fronte che forma profonde pieghe tondeggianti. – Sì certo per essere strana è strana ma a noi piace così.

– Come si chiama quel monte che si vede da qui, l'unico che avete? –

– Si chiama Kyedak, Lie Maldanea, ma non è un monte, è un vulcano. Di notte si possono distinguere i fuochi che accendono le sue bocche e talvolta si può sentire la terra che trema e sospira.

Maldanea vorrebbe fare molte altre domande al gentile personaggio che le sta di fronte, ma si rende conto che esigenze di cerimoniale renderebbero la cosa almeno sconveniente. Sorride ancora una volta e si volta verso Teardraet che ha assistito al dialogo senza intervenire.

– Bene Liest Gadiwak. – Questa volta il Moeld utilizza la forma che spetta ai signori Syerdwin. – Desidero ospitarvi nel mio palazzo in compagnia dei vostri pari. Vi sono motivi che lo impediscono?

L'Oddinak prima di rispondere osserva a lungo una pietra tondeggiante che porta appesa al collo con una catena d'argento. La scuote leggermente, la appoggia all'orecchio ed infine muove il capo massiccio in segno di assenso. – Ciò è perfettamente conforme, vi ringrazio.

22.11.19

Il Mare Obliquo 43

 
La città di Uxsiell è abbandonata e l'equipaggio della Goren non è così ansioso di scendere, ma quattro coraggiosi sono pronti a una prima esplorazione.

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Il primo a scendere sul grande molo di pietra reso viscido dall'umidità è il barone Enklu, scortato da due membri dell'equipaggio, che fatti un paio di passi sulla terraferma si guarda intorno e dichiara: – Nessuno in vista.

Gli altri passeggeri della Goren scendono a loro volta raccogliendosi sull'estremità del molo. Nelle case di Uxsiell Fllynnen non brilla nessuna luce e la strada del lungofiume è deserta. Alle spalle della cittadina la poche case aggrappate sul pendio del Monte Scudo appaiono altrettanto buie e silenziose.

– Molto bene. – Il duca Kwister, ripresosi apparentemente senza conseguenze dal suo sogno, infila i guanti e si stringe addosso il mantello. – Si tratta di arrivare senza guida fino all'Ago di Evresse, salire fino alla cima e dare un'occhiata in giro. Per questa impresa sono sufficienti buone gambe e buoni polmoni. Chi si offre?

– Un momento, perdonatemi Duca. – Interviene Mastro Oakin. – Io credo che, una volta lasciati alcuni di noi a guardia della Goren sia preferibile entrare in città in gruppo e ben armati. Ignoriamo quale sia stato il destino degli abitanti, ma altre entità, altri intrusi forse occupano ora le loro case e potrebbero non gradire il nostro arrivo.

– A quali entità ti riferisci, Mastro Oakin? – Chiede Jay Wediliun, il mercante Syerdwin.

– Se lo sapessi o lo immaginassi potrei proporre qualcosa di meglio. – Replica secco il vecchio marinaio. – Ma dopo quello che abbiamo visto…

– Puoi anche avere ragione, Mastro Oakin, anzi tutto quanto ci è avvenuto finora sembrerebbe consigliare la massima prudenza, ma mi sembra poco consigliabile rischiare la vita di molti quando in pochi si può più facilmente scivolare non visti nelle vie e giungere a destinazione.

– Riflessione preziosa, Duca. – Usif-Lizhi si stacca dai compagni e, appoggiata una mano sull'elsa dell'Ejiri, si va mettere al suo fianco. – Tra poco cadranno le ombre della sera e chi meglio di me può udire e vedere nell'ombra delle vie e delle case?

– Quanto piccolo deve essere il gruppo? – Chiede a mezza voce Kirzil Pennarossa.

Il Duca Kwister stira le labbra nel sorriso dei Lupi-Drago. – Tre o quattro persone sarebbero l'ideale.

Jay Wediliun fa un passo avanti. – Io so tirare bene con la balestra e sono già stato in questo posto. – Indica una via stretta tra due piccoli palazzi in muratura. – Di là si arriva più velocemente all'Ago di Evresse.

– Ecco formato il nostro gruppo di eroi. – Sospira Kirzil. – Immagino che adesso il Duca dirà: "Se non dovessimo tornare entro un paio d'ore togliete l'ancoraggio ed allontanatevi al più presto."

– Più o meno. Accenderemo la lanterna dell'Ago o una torcia. Se entro il tempo indicato da Kirzil non vedrete luci provenire dalla Torre proseguite

Si volge verso la Fata Mahaderill ed il Barone Enklu. – Conducete al termine questa impresa. Non curatevi di noi. Troveremo il modo di raggiungervi se saremo ancora vivi.

– Niente addii strazianti. – Mormora con voce inaudibile Pennarossa che un attimo dopo incontra lo sguardo divertito del Notturno.

Nella via indicata dal Syerdwin la scarsa luce del giorno è già scomparsa e tra i muri alti e stretti stagna un forte odore di fiume, un aroma pesante, ma non del tutto spiacevole, fatto del sentore di alghe, di pesce, di panni umidi.

– Sentite nulla? – Chiede il Duca Kwister che avanza reggendo la grande spada nella destra.

– Un lontano suono come di stoffa scossa dal vento.– Sussurra Usif-Lizhi. – Proviene di là. – Indica la propria sinistra. – Un rumore che ho udito in un'altra occasione ma che ora…

– Di qua. – Dice Jay Wediliun. – Verso la fontana.

La piccola via li ha condotti in una piazza fiancheggiata da bassi portici. Davanti a loro un palazzo scuro, con la parte alta del frontale decorata da una complicata serie di losanghe metalliche del colore del rame ossidato. – Si tratta del Palazzo del Conservatore di Uxsiel. – Spiega il Syerdwin. – In altri tempi questa era una città ricca e potente. Ora a volte ospita il Messo di Re Artamiro, che ha la sua residenza a Sdea. O meglio che aveva…

– La mano di Artamiro arriva fino a queste remote rive? – Chiede il Notturno.

– Numerose città sul corso del Drew hanno sottoscritto il Giuramento, da Ikon Brikell in poi fin oltre le Chiuse le città che aderiscono ancora alla Lega delle Acque sono ben poche. – Spiega il mercante.


– Già e questo a Farsoll non piace a nessuno, nemmeno agli amici più scaldati del Regno di Artamiro. – Aggiunge Kirzil Pennarossa. – La Lega delle Acque era la migliore amica degli Ornoll ed ora sono in molti a credere che faremo la fine della noce nello schiaccianoci.

Il Notturno annuisce con l'educata attenzione di un alunno delle scuole di Dancemarare. Gli equilibri del Mondo gli sono assolutamente ignoti: nelle Rocche dei Notturni si discorreva di qualità dei sogni, dell'ennesima sfumatura di colore di un tessuto, dell'arte di disporre le piante nei giardini dei piccoli cortili quadrati che si aprivano improvvisi fra i muri di sale e corridoi. Per la sua gente la Storia è terminata ed il loro sangue è destinato ad affievolirsi e scomparire senza rimpianti. Le volgari beghe che attraversano l'esistenza delle altre razze non li riguardano più e se pure lungo l'Orlo i Notturni sono ancora numerosi, le genti delle pianure e dei fiumi non li vedranno mai più correre sugli ippogrifi immersi nella luce lunare.

– A sinistra del palazzo si apre un piccola strada, alle spalle di quella fontana. – Comunica Jay Wediliun e Usif-Lizhi si risveglia dalle proprie riflessioni per seguire i compagni. L'acqua zampilla abbondante nel riflesso arancio del tramonto. Per un istante i quattro visitatori sostano incerti: il fresco suono delle acque echeggia spettrale nella città abbandonata, ultimo messaggio di un mondo che quietamente si allontana e scompare, come una nube trascorre mutando l'intero arco del cielo per svanire per sempre dimenticata.

– Avanti su, muoviamoci. – Li incita Kirzil Pennarossa. – Qui siamo troppo allo scoperto.

– La voce del buonsenso. – Approva il Duca. – Tuttavia…– Si volge a guardare Usif-Lizhi, ancora assorto nella contemplazione del moto delicato e costante delle acque. – …Non c'è speranza per questo mondo, il nostro mondo, non è vero?

Il Notturno annuisce e distoglie lo sguardo. – Andiamo, presto.

La via corre tra uno stretto porticato e le mura del palazzo del Conservatore, interrotte ad intervalli regolari da grandi finestre ad ogiva. Il tramonto strappa riflessi marini ai vetri verde scuro ed infiamma la larga trama metallica che li sostiene.

– Sentite ancora…? – Chiede Kirzil.

– Sì. – Usif-Lizhi fissa lo sguardo nell'ombra delimitata dagli archi bassi del porticato. – Davanti a noi. Null'altro.

Le porte di molte case lungo il loro passaggio sono aperte, appena socchiuse ed il loro sguardo si spinge spesso all'interno, cogliendo rapide visioni di caminetti spenti, sedie e credenze, tavole vuote, ripide scalinate e passaggi bui.

– Probabilmente gli abitanti hanno saputo della sorte di Sdea. – Ipotizza il Duca. – Dall'Ago di Evresse hanno visto.

– È possibile. Addirittura probabile. Non vi sono tracce di battaglia né di una fuga precipitosa. Se entrassimo nelle case probabilmente troveremmo ogni cosa al suo posto, come se chi l'abita dovesse tornarvi dopo una sosta di poche ore.

– Questo, caro messer Notturno mi inquieta ancor di più. Quale popolo abbandona le proprie case in così perfetto ordine, senza lasciare traccia di un tentativo anche se disperato di recare con sè i beni più cari? E le vie non dovrebbero essere ingombre di oggetti abbandonati perché impossibili da caricare sui carri ormai strapieni? Ed invece ordine, pulizia, silenzio…

Usif-Lizhi annuisce senza trovare nulla da ribattere alle logiche considerazioni del Lupo-Drago.

– A sinistra.– Annuncia Wediliun.

Dopo poche svolte nelle vie ormai buie giungono ad una piccola piazza di forma irregolare al cui centro, assurda come la visione di un sogno, sorge la grande Torre, l'Ago di Evresse.

– La porta è chiusa. – Annuncia Kirzil dopo aver compiuto un giro intorno al basamento svasato della costruzione.

– È una porta molto robusta? – Chiede in tono sbrigativo il Duca.

– Sembra fatta di buon legno.

– Bisognerebbe ritornare alla nave e fornirsi di attrezzi adatti. – Osserva Jay Wediliun che lancia uno sguardo inquieto all'intrico oscuro delle vie. – Anche se questo significa dividere ulteriormente le nostre già scarse forze…

– Non se ne parla neppure.– Lo interrompe Kwister. – Apriremo quella porta.

– Forse non è necessario, Vostra Grazia. Vedete quella finestra aperta ad un paio di metri sopra di noi? – Kirzil Pennarossa solleva il braccio per indicare un'apertura profondamente incassata nello spesso muro della Torre.

– La vedo. Ma non immagino chi di noi possa scivolare per un ingresso simile, più adatto ad un serpente o ad un gatto che ad una creatura cosciente e pensante.

– Io posso provare. – Annnuncia a mezza voce Usif-Lizhi. – Il corpo per quelli del mio popolo non è certo d'ingombro negli affari di questo genere. – Il Notturno non attende una risposta e si toglie il mantello, la corazza, la cotta di ferro rimanendo con la sottile camicia dalle maniche e gli orli decorati di un pizzo delicato come la tela di una ragnatela.

– In fede mia, cavaliere Usif-Lizhi, ben raramente ho visto una camicia di tale squisita fattura e delicatezza. – Commenta ammirato il mercante. – Al mercato di Dancemarare si potrebbero spuntare numerose borse di denaro per un capo di così rara bellezza.

Il Notturno sorride. – Vi ringrazio per la stima da esperto. Quando mi troverò in ristrettezze saprò cosa vendere per primo tra i miei scarsi beni.

– Perdonatemi, vi prego. A volte la lingua corre più veloce della mente… 

 

Usif-Lizhi scuote il capo per interrompere Wediliun. – Anzi, vi ringrazio della vostra ammirazione. – Si volta verso il minuscolo pertugio come per misurarlo con lo sguardo ed afferra la Ejiri. – Tuttavia, per quanto leggero, non so ancora saltare ad una tale altezza.

Kirzil Pennarossa ed il Duca Kwister si affrettano ad aiutarlo ed il Notturno si trova ben presto in piedi sulle spalle possenti del Lupo-Drago, a fissare l'oscurità stesa appena oltre il vetro macchiato di pioggia della finestrella.

– Siete davvero leggero, signor mio. Potrei senza fatica portarvi per diverse miglia senza neppure rendere il mio respiro più rapido. – Commenta a bassa voce il Duca.

– Vi ringrazio dell'offerta. – Replica Usif-Lizhi. – Me ne ricorderò in caso di necessità. La finestrella è aperta, dall'interno non proviene alcun suono nè luce. Ora entro, una volta entrato aprirò la porta. Se la cosa si rivelasse impossibile salirò io solo fino alla cupola e darò un'occhiata in giro.

Con una leggera spinta il Notturno si aggrappa al bordo interno della finestra e con pochi movimenti si trova all'interno.

I suoi compagni lo vedono scomparire e si guardano silenziosi, trattenendo il respiro. Passati pochi attimi sentono provenire smorzate dallo spessore delle mura alcune brevi urla seguite da un fragore metallico. I tre si affrettano alla porta ancora chiusa ed il Duca si slancia contro il legno massiccio cercando di abbatterla.

Il suo slancio è interrotto dallo scrocchio della serratura. Nel buio dell'interno appare una figura minuscola che alla vista del Lupo-Drago fa un passo indietro finendo addosso al Notturno in piedi alle sue spalle.

– Ma chi mai… – Inizia a dire il Duca per interrompersi di colpo. Davanti a lui, ritta come un giovane guerriero sta una fanciulla, poco più che una bambina, magra e tanto pallida quanto risoluta a non mostrare paura né smarrimento.

– Non si può entrare nella Torre. – Comunica al Duca con un tono molto formale. – Dovete chiedere il permesso a mio padre.

Kwister ripone la spada nel fodero e volge il suo sguardo al Notturno, fermo nella penombra alle spalle della giovanissima custode.

– Qualcuno le ha affidato una spada. Ho dovuto togliergliela. – Spiega Usif-Lizhi. – Mi ha assalito non appena sono uscito dalla piccola stanza della finestra. – Dal tono della voce è facile capire che anche il Notturno non ha la minima idea di come superare il piccolo ma tenace ostacolo.

– Dove possiamo trovare tuo padre, damigella?

– Mio padre è nella residenza del Custode delle Acque. – Spiega la ragazzina. – Ma a quest'ora riposa. 

 

– E tu come mai ti trovavi qui da sola? – Chiede Kirzil Pennarossa.

– Ah, c'è anche un ranocchio. – Commenta riconoscendo le fattezze del Gu'Hijirr. Scruta nella penombra per riconoscere il quarto componente del gruppo. – E c'è persino un fantasma delle Acque. – Li guarda a turno. – Siete una ben strana compagnia, mi pare.

– Abbiamo ottimi motivi per trovarci qui insieme. – Spiega paziente Pennarossa. – Sai dirci che ne è stato della gente di Uxsiel?

– Se ne sono andati.

– Questo l'abbiamo notato anche noi. Ma cosa li ha spinti ad abbandonare la città?

La ragazzina chiude gli occhi, li riapre e si volta di scatto verso Usif-Lizhi. – Tu sei un Uomo di Luna, vero? Il mio maestro dice che non esistono più. È stato la Voce, se ne sono andati tutti per la Voce.

– Quale voce? Di cosa parli? – Chiede impaziente il Duca.

– Tu grande e grosso come sei dovresti ormai sapere come trattare con le fanciulle. – Ribatte pronta la ragazzina. – Risponderò a lui perché è delicato e gentile. Anche se mi ha tolto la mia spada. Dopo la rivoglio, chiaro?

– Senza alcun dubbio. – Risponde serio il Notturno.

– Bene. Io mi chiamo Moridee, lo dico anche se nessuno me lo ha chiesto, il che non è proprio cortese da parte vostra. La Voce veniva da sotto terra ma anche dall'aria e dal fiume. Forse non era nemmeno una voce ma una semplice vibrazione, un suono molto profondo che faceva risuonare ogni cosa.

– Quanto tempo fa è successo?

– Due giorni. Eravamo a tavola per la cena.

– E dove se ne è andata tutta la gente?

La ragazzina si stringe nelle spalle. – Non lo so. Sembravano tutti come addormentati, cioé tenevano gli occhi chiusi e non parlavano. Se ne sono andati di notte, la mattina non c'era più nessuno.

– E tuo padre? – Interviene il Syerdwin.

– È vero che quelli come te diventano grandi pesci bianchi e neri?

– Abbastanza. Non proprio pesci ma quasi. – Il mercante ride. – Ma non posso insegnarti come si fa. Anch'io lo saprò solo quando sarà il momento.

– Ma perché non puzzi di pesce? Mio padre mi ha detto che quelli della tua gente si possono sentire arrivare da lontano per l'odore di pesce che mandano.

– Ne avevi già incontrati di quelli come me?

– Ho visto di lontano una nave che passava per il fiume. Aveva una bella insegna, sembrava un cigno d'argento in un lago azzurro. E un'altra volta una nave con un grande stendardo con una mezza croce nera.

– Teardraet. – Nota a bassa voce il Duca.

– E le navi sapevano di pesce? – Chiede il Mercante.

– No. – Ammette meditabonda Moridee. – Forse mio padre si è sbagliato. Ma è strano perché è un uomo molto saggio che legge nelle stelle e possiede molti libri.

– E dov'è adesso tuo padre? – Torna a chiederle il Notturno.

La bambina lo guarda insieme intimorita ed affascinata. – Hai degli occhi bellissimi Signore, lo sai? – Si volta ad indicare un piccolo palazzo dal tetto di pietra grigia. – Lì, riposa. Mi ha lasciato molto cibo e mi ha chiuso nella torre. Mi ha detto che si sentiva molto stanco e che avrebbe riposato per un po'. Io dovevo custodire la Torre ed impedire a chiunque di entrare.

– Hai fatto il tuo dovere, Moridee, non devi preoccuparti. – Il Duca si china sulla ragazzina. – Anche noi abbiamo una missione da compiere e per farlo dobbiamo salire sulla punta della Torre. Abbiamo il tuo permesso?

– Non è tanto vero che ho fatto il mio dovere. – Commenta Moridee. – Ma ormai. Salite pure ma non toccate nulla, siamo d'accordo?

– D'accordo. – Ripetono all'unisono i quattro.

– Lasciatemi le spade.

– Come sarebbe? – Chiede il Lupo-Drago.

– Non si può entrare armati nell'Ago. – Spiega con tono paziente Moridee. – È una costruzione di pace.

Kirzil è il primo a decidersi. Si stringe nelle spalle e le affida la sua spada corta. – Abbine cura, ragazza mia. Si tratta dell'unica eredità di Gojden dei Mappin.

La ragazzina annuisce e lo stesso fa quando ad affidarle la propria arma è Jay Wediliun, poi il Duca Kwister ed infine Usif-Lizhi.

La scala che sale nella torre è molto stretta e priva di un corrimano. Poche lampade ad olio illuminano il percorso lasciando in ombra buona parte degli scalini dei quali non pochi sono scheggiati o consumati. Durante la prima parte del tragitto nessuno parla, tutti impegnati come sono ad evitare di cadere rovinosamente su chi li segue. Si fermano ad un pianerottolo dal pavimento di legno dal quale si può gettare un'occhiata fuori da alcune sottili feritoie.

– A che punto siamo? – Chiede Kirzil a Jay Wediliun che ha sporto il capo da una di esse.

– Poco più di un terzo direi. Da qui si vede bene il fiume e la Goren è tranquilla e illuminata come un panfilo reale. 

 

– Come un piattino di miele accanto ad una torcia. – Sbuffa il Duca. – Ideale per richiamare le mosche.

– Dove sarà il padre di Moridee? – Si chiede Usif-Lizhi.

– Sarà scappato con tutti gli altri. – Kirzil si stringe nelle spalle. – Sempre che di una fuga si sia trattato. Comunque lasciare una ragazzina a difendere la torre da sola mi sembra veramente un'azione… – Il Gu'Hijirr esita.– Beh, una bella porcheria.

– Non giudicare, Kirzil dei Mappin, non sappiamo quali strani effetti quel suono possa aver fatto alla mente di chi l'ha ascoltato.

– Già, ma qualcuno sa spiegarmi perché quell'accidenti di ragazzina è ancora qui e non è finita chissà dove insieme ai suoi concittadini?

– Questa è una bella domanda. – Ammette il Duca Kwister.

– Forse l'effetto della Voce non è così forte sui bambini e sugli animali. Arrivando qui ho visto numerosi gatti seduti davanti alle porte delle proprie case ed ho udito il nitrito di cavalli.

Il Notturno, tuttora in camicia, mentre parla fissa la scalinata che si inerpica ripida dal pianerottolo come per misurarla. – Alla Rocca del Cavaliere di Vandel abbiamo anche noi udito qualcosa di simile ma non mi ricordo di aver visto bimbi. I nostri cavalli però sono rimasti assolutamente calmi.

– Vero. – Concede il Duca. – Tuttavia sarà meglio chiedere direttamente a Moridee una volta discesi. Anzi sarà compito vostro farlo, visto l'evidente preferenza che vi ha accordato.

Il Notturno annuisce con un mezzo sorriso. – Sarà un piacere.

– E della ragazzina, di Moridee dico, che ne facciamo? La lasciamo qui?

La domanda del Syerdwin, posta quando il Duca ha già appoggiato il piede sul primo gradino per la seconda parte della salita li immobilizza come statue di cera.

Dopo qualche secondo di silenzio è la voce di Kwister a spezzare il silenzio. – La porteremo con noi, maledizione, che lo voglia o no.




La vista dal vertice dell'Ago di Evresse è tale da togliere il fiato. Alla loro sinistra le cime delle montagne dell'Orlo, già completamente immerse nell'oscurità, formano una barriera d'ombra sulla quale una lunga teoria di nubi appena più chiare sostano come incubi pronti a popolare le notti delle genti delle pianure. A destra il corso del Drew corre sinuoso ed ampio e si perde, rilucendo debolmente degli ultimi lontani raggi del sole, nelle nebbie dell'orizzonte, verso l'invisibile oceano.

– Là, la vedete? La linea del Cambiamento. – Il Notturno indica un'increspatura d'argento che occupa una porzione dell'orizzonte nella direzione di Sdea. – Avanza alle nostre spalle ed in ogni direzione. Vedete come riluce diversamente il Drew? In quel tratto sembra immobile, fermo come una vena di quarzo scoperta dai venti.

– Io non ho occhi buoni come i vostri. – Approva Jay Wediliun. – Ma quel poco che distinguo mi sembra confermare perfettamente ciò che voi avete visto. Le Chiuse sono ancora libere ad ogni buon conto.

– Già. Siamo pronti ad un viaggio di sola andata?– Kirzil ride amaramente. – Facciamo il segnale per i nostri amici e cominciamo a scendere. Si è fatto molto tardi.

Con una torcia inviano un segnale verso la Goren che risponde e quindi, senza più scambiare una parola, abbandonano la punta dell'Ago di Evresse.

Una veloce ispezione conferma loro che il padre di Moridee non si trova più nel palazzo del Custode delle Acque.

La ragazzina li lascia fare senza protestare, come se anche lei sospettasse la verità. – La voce l'aveva preso, l'ho capito sai? – Sussurra ad Usif-Lizhi quando i cinque si ritrovano nella piccola piazza.

– E perché non ha preso te?

– Conosco una canzone, me l'ha insegnata una fata. Dice «Balla il cavallo, balla la volpe, mia dolce piccina, mia fata del ballo, perché non apri la veste e balli stanotte con me?» e l'ho cantata per tutto il tempo. Cosa c'è da ridere, Kirzil?

– Nulla nulla. Ho già udito questa canzone su una nave, tutto qui.

– Cosa farai ora Moridee? – Le chiede il Notturno.

– Tu cosa mi consigli uomo-di-Luna?

– Vediamo. – Il Notturno raccoglie le mani sottili come quelle di una fata attorno al volto. – Al posto tuo chiuderei molto bene l'accesso alla Torre e me ne andrei a cercare di fermare la Voce prima che possa combinare altri guai. È quello che stiamo facendo noi.

– Davvero? È per un'impresa come questa che si sono uniti fantasmi di mare, ranocchi, licantropi e Uomini-di-Luna?

– Sì.– Conferma Usif-Lizhi.

– E gli uomini?

– Ecco c'è uno solo della Gente Nuova tra noi, un mercante. – Spiega Wediliun. – Credo che sarebbe bene che ce ne fosse almeno un altro.

– Hai ragione. – Approva Moridee molto seria. – Rivoglio la mia spada.