28.5.12

Un'idea scaduta ovvero storia di un nome

No, non è proprio la storia della libreria. 
La storia della libreria è innanzitutto la storia delle tante persone che l'hanno frequentata. Le tantissimi idee che l'hanno attraversata e resa vitale.
Per il momento non me la sento. Sono passati poco meno di due mesi dalla chiusura e non riesco ancora ad avere le idee abbastanza chiare in proposito.
Piuttosto ho deciso di affrontare, una alla volta, le riflessioni che via via appaiono, suscitate dalla chiusura e dalle osservazioni nate dalla sua storia. 
Questa volta mi dedicherò alla parte più ovvia del nome della mia vecchia libreria, la «c» di «cs», ovvero il suo essere una cooperativa.
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Una cooperativa.
Un nome che, mi viene in mente in questo momento, è stato alla base della mitica «terza via» jugoslava, qualcosa che non fosse né impresa privata né impresa di stato. Un sogno con qualche fondamento, negli anni '60. Da ricordare quando capita, prima che il nome stesso di Jugoslavia vada perduto e di esso non rimanga in mente altro che le Foibe, Milosevic e poco più.
Un sogno che negli anni '70, quando la CS è nata, aveva ancora un senso. L'idea di fondare un'impresa con il numero di adesioni, piuttosto che con i numeri delle bancanote, sembrava possibile, verosimile, ragionevole.
E fortunatamente non era nemmeno un'idea così originale. Eravamo in molti, in tutta Italia, a covare lo stesso sogno. Negli anni '70 sono nate a decine e decine le coop universitarie, con nomi accomunati in genere da un «c» iniziale, seguita da un insieme di lettere più o meno eufoniche. Nomi come «Celid», «Clued», «Clup», «Cleup», «Clueb», nomi in parte ancora esistenti - anche se fatalmente cambiati -, in parte scomparsi senza lasciar memoria di sé.
All'inizio era comunque un'ottima idea. Con 5.000 lire, più o meno i 2 € e 50 eurocent attuali, si diveniva soci di una coop. Con tessera. La tessera dava diritto a sconti, convenzioni, facilitazioni ecc. Con la tessera in tasca si poteva leggere o studiare risparmiando più o meno un quinto del prezzo di copertina di un libro o fotocopiare a 50 lit. a fotocopia. 
Avere la tessera era un elemento di modesto vanto, «Io ho la tessera», si poteva dichiarare, «te lo prendo io quel libro» o «te la presto, se devi fotocopiare».
Per chi - come me - stava dall'altra parte, era snervante, ma anche in fondo divertente, trattare con editori o fornitori vari spendendo il nome di una coop piuttosto che un cognome più o meno famoso.  
All'epoca eravamo iscritti alla Lega delle Cooperative, filiazione più o meno diretta del P.C.I., e pagavamo una quota pari al 3 per mille del fatturato della cooperativa per le necessità di ordine statale-burocratico, come la gestione dei libri sociali.
E i rapporti tra le coop erano vivi e vitali.
Capitava di incontrarsi tra cooperatori universitari torinesi, milanesi, lombardi, veneti, napoletani, siciliani. Ed era divertente discutere in rapida successione di terrorismo come di condizioni di acquisto, di rapporti personali come di sconti compatibili con la sopravvivenza della coop. 
Mentre a Torino sfilavano i 40.000 stringevamo rapporti, costruivamo un consorzio, il Coneditor, che sarebbe durato, purtroppo, meno di un anno.
Alcune coop erano sane, altre non lo erano per nulla. Ma chiedere un bilancio «vero» non era affatto facile. E poi sapeva troppo poco di «compagno». Da deviazione economicista. Mi capitò comunque di dare un'occhiata ai bilanci delle coop, ma soltanto sotto mentite spoglie. Mio padre lo faceva di mestiere, l'analista di bilanci, e promettendo un suo parere ottenni le copie - non completamente fasulle - dei bilanci. 
Ovviamente non mostrai a mio padre i bilanci - mi avrebbe più o meno diseredato - e dovetti improvvisare una relazione molto seria e molto professionale, nella quale suggerii con alate parole di ridurre i magazzini e tagliare l'indebitamento con le banche. 
Grandioso. 
Nessuno immaginò che la relazione fosse stata in realtà scritta dal sottoscritto e mio padre, invitato a una successiva riunione del consorzio, approvò fortunatamente il suo apocrifo, allegramente citato dal presidente del consorzio.  
La realtà era che il consorzio otteneva condizioni di favore da editori, distributori, grossisti, ma alcune società erano diventate macchine mangiasoldi. Troppa fretta, probabilmente, di offrire un vero lavoro ai propri fondatori. E una concorrenza che non era poi così sprovveduta come poteva apparire. Senza contare che l'aver creato un meccanismo di sconto relativamente facile - presenti la tessera e hai diritto allo sconto - poteva essere imitato ad libitum.
Il Coneditor fallì miseramente, abbandonato dalle librerie più o meno in salute e divenuto una nave dei folli, rapidamente alla deriva. 
A  ripensarci adesso, una grande occasione perduta. Quando avremmo potuto diventare davvero un elemento importante del mercato commerciale librario in Italia, ci ritirammo ognuno nelle sue mura. Più o meno bravi nel vendere, ma incapaci di incidere sull'insieme del mercato. 
Intanto l'editoria italiana cambiava faccia. La Bompiani diventava un feudo della Rizzoli, l'Einaudi lasciava di fatto Torino, acquistata da Mondadori. Editori come Savelli chiudevano baracca, mentre Mazzotta si riciclava in forma di editore d'arte, ovvero a metà tra l'editore e il copista. Gli editori «puri» scomparivano, spesso sostituiti da chiunque avesse due soldi in tasca, solidi appetiti e scarsa conoscenza dei libri. Marxianamente parlando il settore editoriale, fino a quel momento possesso di gente come Paolo Boringhieri, Giulio Einaudi o Valentino Bompiani, diventava finalmente «moderno», ovvero si razionalizzava, si riorganizzava e diventava periferia di imperi ben più grandi e nati con ben altri obiettivi.
Le coop nel frattempo crescevano, imparavano e sopravvivevano, laddove riuscivano a farlo, e continuavano a offrire sconti ai soci. Sconti un po' meno folli, intendiamoci, i fornitori erano diventati meno pazienti, meno tolleranti. Il vento stava già cambiando, alla fine degli anni '80.
...
La prox settimana seguirà un'altra puntata. 
Giurin giuretto.

8 commenti:

Lucrezia Simmons ha detto...

Mi piace tantissimo la storia a puntate, come accadeva qualche secolo fa con le opere degli scrittori...

Leggendo mi sembrava di avere tra le mani la sceneggiatura di un film, qualche foto no? Sono sicura che da qualche parte, cercando cercando.
Comunque è una parte di te, che viene fuori. Ed è emotiva per questo, perch+ è una storia che hai vissuto e che porta dietro il tuo cuore di libraio.

Argonauta Xeno ha detto...

È molto bello leggere un pezzo di storia raccontato dal punto di vista di chi l'ha vissuta. Io ho fatto a tempo, l'ultimo anno di università, a vedere il fallimento della cooperativa che operava all'università di Milano. Ora è rimasta solo CL, oltre a realtà "esterne" come Cortina & Co.

Argonauta Xeno ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Massimo Citi ha detto...

@Lady Simmons: che dentro ci sia il mio cuore è davvero indiscutibile. Che poi io sia all'altezza di fungere da testimone, beh, è davvero tutto da vedere. Fotografie temo di non averne, sono allergico alle foto, un po' come i selvaggi d'un tempo che temevano di veder scomparire la loro anima in una fotografia. Ma passione ne ho, emozione anche, spero comunque di raccontare qualcosa che merita ascoltare.
@Salomon Xeno: si chiamava CLUED la cooperativa? Da un certo punto di vista hai ragione, sono davvero un pezzo di storia ambulante, disponibile a raccontare a gentile richiesta. Rimani nei dintorni, il meglio - spero - deve ancora venire.

vikkor ha detto...

Molto, molto interessante, questo ripercorrere le strade di un settore che dovrebbe essere un fiore all'occhiello di ogni società democratica avanzata. Anzi, di ogni società. Inoltre sollecita tanti tanti ricordi...

Massimo Citi ha detto...

@Vikkor: molto contento di averti qui. Il racconto della cooperazione è nato un po' per caso, come modo di guardare un po' di sbieco la storia della libreria. Probabile che il tramonto delle coop coincida largamente con il tramonto della sn in Italia. Da forza rivoluzionaria a pompiere a controparte. Non male, vero?

Argonauta Xeno ha detto...

@Max: Si chiamava CUEM, secondo le mie fonti. Non ho studiato in Statale, ma ci sono entrato un paio di volte e mi sembrava abbastanza frequentata!
Però ora che ci penso non so se ha chiuso solo la sede di scienze o entrambe le sedi (ce n'è una anche nella sede centrale).

Massimo Citi ha detto...

@Salomon Xeno: la CUEM è stata fondata, letteralmente, dal M(L)S, quello di Capanna. Praticamente all'inizio dell'Eocene : )
Credo che abbiano un'altra sede, ma non ne so nulla di più. I Cuemmisti non aderirono al Coneditor sicchè so molto molto poco del loro destino. Non posso dare loro, a posteriori, ma comunque all'epoca si trattò di purissimo settarismo. Del tipo: «Non ci mischieremo mai a quei revisionisti piccolo borghesi delle altre coop». Ma comunque due torti non fanno una ragione.