Conosco Consolata Lanza da un bel po'. Una decina d'anni e anche più. Mi è stata presentata da una comune amica con una serie di avvertenze, come se si trattasse di un farmaco pericoloso: «È una mia amica, ma è un po' strana… non nel senso di matta, ma un po' perfida, un po' maligna… in senso buono, naturalmente… e anche le cose che scrive sono un po' così… strane, inconsuete».
La presentazione, apparentemente ambigua, veniva da una persona che sapevo apprezzare questo genere di caratteristiche - la stranezza come emblema di mente libera, la perfidia come gusto antiretorico e antiautoritario -, quindi fui molto contento della conoscenza. E ancora più contento di leggere le cose che Consolata scriveva. Ricordo anche la sensazione di «gelosia» (non saprei descriverla diversamente) che provai sapendo che qualcun altro pubblicava le sue storie.
Libro dopo libro cresceva il mio interesse per il suo mondo narrativo e cresceva la mia gelosia.
Già, probabilmente perché Consolata riesce a scrivere ciò che a me non riuscirebbe nemmeno se vivessi trecento anni o se rinascessi e potessi ricominciare tutto da capo. Com'è naturale, questo non significa che mi sia piaciuto nello stesso modo e senza riserve tutto quello che ha pubblicato o che ho avuto occasione di leggere, ma averla letta è stato un correre sul filo dell'imprevisto emotivo, dell'assurdo come regola profonda della realtà, del'incompletezza come norma della percezione, del fantastico come malinconia, rimpianto e fiaba crudele. La «perfidia» di Consolata e la ruvidità di certe descrizioni e giudizi mi hanno sempre dato la sensazione di un remoto accoramento, trattenuto per pudore e gusto del paradosso. Non ricordo, d'altro canto, molti altri autori altrettanto capaci di costeggiare il sentimento, illuderlo, negarlo e persino riderne senza però mai nasconderlo o cancellarlo.
Ma finalmente ci sono arrivato.
Proprio in questi giorni è uscito il suo nuovo libro per CS_libri.
Volendo si può addirittura comprare presso il sito di LN.
La gelosia è passata.
Si chiama «Lei coltiva fiori bianchi».
Per motivi redazionali l'ho letto più di una volta, e ogni volta ho avuto la sensazione di aver colto qualcosa di più delle tre storie collegate che racconta.
Penso che noi - Silvia Treves, Cettina Calabrò autrice delle fotografie che accompagnano i racconti, io e Consolata – si sia fatto un ottimo lavoro e spero che siano in tanti a leggerli.
Non credo, però, che Consolata sarà mai una scrittrice popolare e famosa, anche se sono convinto che lo meriti.
Ma lei non illude, non blandisce, non accarezza fronti stanche e non culla animucce esacerbate.
Scrive storie per chi non si aspetta consolazione e per chi ama considerare le cose con altri occhi.
Per me è ottimo, è O.K.
Speriamo di essere in tanti.
5 commenti:
Potrei sottoscrivere parola per parola il testo di Massimo. Inutile ripetersi, quindi aggiungo soltanto che leggere un testo di Consolata, anche più volte, è sempre sorprendente. E che contribuire a pubblicare "Lei coltiva fiori bianchi" è stato divertente.
@MaxCiti: Ciò non toglier che... mah, insomma, un po' al nomen-omen si deve pur credere, e... qualche consolazione -- non facile, né mai definitiva, certo... appena un fazzolettino nel quale affogare il pianto -- la si può pure cavare dalle pagine della Lanza (penso soprattutto a certe sue ghost-stories singolarmente originali... ma leggeremo anche queste sue ultime cose, con piacere.... )
Scappo via subito per non arrossire troppo, ma prima sniff sniff mi asciugo una lacrima di commozione, ringrazio sentitamente e spero che "Lei ecc" si domostrerà all'altezza di tanta stima...
Nel mio piccolo ho letto "Est di Cipango" e mi ha entusiasmato il modo di descrivere paesaggi e personaggi. Non vedo l'ora di approfondire la conoscenza con le sue storie - e non posso che ringraziare Massimo per avermela fatta conoscere.
... e Massimo ne è ben felice.
In fondo si tratta del mio lavoro, certo. Ma è bello sapere che serve a qualcuno e a qualcosa.
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