Premi e concorsi.
Poco sistematico e ancor meno scrupoloso non tenterò neppure di presentare un elenco dei duemila e passa concorsi e premi letterari che esistono in Italia. Un buon motore di ricerca può fare meglio al caso vostro senza contare che esistono siti come www.wuz.it che possono fornire una quantità prodigiosa di info sia per quanto riguarda le scuole di scrittura creativa che per i premi e concorsi.
No, ciò che mi interessa qui è provare a fare qualche ipotesi sull'utilità effettiva, ai fini della pubblicazione, della partecipazione a un premio letterario.
Anche e soprattutto a partire dalla mia personale esperienza.
Ammettiamo che abbiate il vostro manoscritto.
Di narrativa, beninteso, romanzo o raccolta di racconti.
«A chi lo mando?».
Categoria romanzo.
Le scelte non sono poi troppe ma nemmeno così poche.
Andate sul sito www.danaelibri.it e cominciate a cercare. Troverete un elenco di premi per romanzi inediti di lunghezza e tema variabile.
Alcuni, anche di un certo relativo "rilievo" come il premio L'autore di Firenze Libri, non richiedono alcuna tassa di partecipazione.
Però, però...
Ho conosciuto personalmente alcuni partecipanti e un vincitore del premio L'autore. Le esperienze in proposito sono varie. Qualcuno ha ricevuto molti complimenti e...la proposta di essere pubblicato a pagamento,qualcun altro è stato semplicemente pubblicato senza - in apparenza - pagare pegno, ma anche senza alcuna distribuzione. Stesso discorso per il vincitore che, a parte il sussiego, non ha visto il suo libro distribuito da nessuna parte.
In sostanza, anche se vincitore o pubblicato nessuno è riuscito a farsi leggere al di fuori della stretta cerchia dei propri amici e parenti.
E ha "bruciato" inutilmente un testo che (forse) avrebbe meritato qualcosa di più.
Esistono fortunatamente numerosi siti di discussione legati, per esempio, al sito www.ozoz.it dove, disponendo della giusta quantità di tempo, è possibile trovare qualche informazione di prima mano sull'affidabilità di certi concorsi.
Ma,tanto per ritornare al problema centrale, un premio vinto non garantisce alcuna reale visibilità al vostro lavoro. In sostanza: il libro esiste ma non potete trovarlo in libreria. Che è come dire che esiste un po' meno.
Avere vinto un premio è una grandissima soddisfazione, beninteso, ma l'amarezza di non vedere la propria creatura a disposizione dei potenziali lettori non è facile da ingoiare.
A questo punto è necessaria una breve digressione "tecnica".
Per andare in libreria - privata o di catena - un libro deve essere pubblicato da un editore che abbia un contratto con un distributore nazionale. I distributori nazionali sono pochi. Quelli che movimentano (seriamente) editori di narrativa soltanto 4 o 5. Gli editori con un contratto nazionale di distribuzione non più di 300-400. Di questi una trentina realizzano il 90% del fatturato nazionale di libri di narrativa. Questi editori hanno in genere un interesse scarsissimo per gli esiti dei premi letterari. Sanno bene che le giurie dei premi medesimi sono, nella maggior parte dei casi, composte da dilettanti entusiasti il cui orizzonte degli eventi arriva fino al giorno della premiazione e che non danno - giustamente - alcun peso alla vendibilità del testo del vincitore.
Fine della digressione.
A fare eccezione pochi premi.
Il Calvino prima di ogni altro.
Un premio annuale e con un costo di partecipazione abbordabile che comporta la possibilità di ricevere le schede di lettura. Un premio serio ma, ahimé, schizofrenico.
Nella roulette dei lettori per il premio - persone benemerite che leggono gratis un centinaio di romanzi a edizione ma che inevitabilmente finiscono per gettare la spugna proprio quando hanno messo insieme una buona competenza - può capitarvi, come è capitato a me, di passare una volta in seconda lettura perché avete incontrato un lettore che ama il fantastico e essere scacciato come un barbone a un anno di distanza e con lo stesso testo - con poche modifiche - avendo incontrato sulla mia strada un lettore svogliato, poco dotato di fantasia e che non arrivava a distinguere l'Armata Rossa Sovietica dalla Rote Armee Fraktion.
In sostanza di essere stato incoraggiato, poi brutalmente respinto.
In certi ambienti per molto meno tirano fuori il coltello.
Ma io mi sforzo di essere un non-violento e poi, comunque, con un romanzo di tema fantastico non avevo molte speranze, via. Ho giocato sapendo di perdere, quindi non mi stupisco più che tanto.
Resta il fatto che è capitato a molti di avere vinto il Calvino ma non avere trovato un editore interessato. Cosa, ammettiamolo, molto più allarmante.
Servono a qualcosa questi accidenti di premi, in definitiva?
Ne parleremo nel prossimo post.
6 commenti:
No, niente.
E' solo che a uno il fantastico può piacere o non piacere, siamo certo d'accordo. A me per esempio, non è che piaccia sempre e comunque: in generale, comunque, non è il mio genere preferito.
Però, se si intitola un premio a Calvino, bisognerebbe almeno un po' tener conto che è un premio intitolato ad una persona che ha scritto la trilogia degli antenati, le cosmicomiche, le cittè invisibili... Insomma, e perbacco. Un lettore del fantomatico premio "Liala" potrebbe anche preaprarsi all'idea di dover leggere romanzi non necessariamente di vampiri, no?
Per il resto, giramo la questione: sono più i vincitori del premio Calvino rimasti tristemente inediti o più quelli diventati clamorosamente famosi?
Di clamorosamente famosi c'è la Mastrocola, quella de «La gallina volante» e Susanna Tamaro. De gustibus... Poi ci sono Alessandra Montrucchio ed Enzo Fileno Carabba. I vincitori dimenticati sono, credo, in realtà tali perché pubblicati da editori minimi per distribuzione o per reperibilità anche se non per profilo culturale. D'altro canto lo scopo del mio intervento era proprio quello di esaminare più o meno serenamente le possibilità di essere pubblicati per mezzo di un premio. Le possibilità con il Calvino esistono ma non sono automatiche.
In quanto al rapporto del premio con il fantastico, si tratta di uno strano rapporto. Fileno Carabba, per dire, scrive fantastico. Il problema è la barriera dei lettori, come spiegavo nel post, non sempre così "aperti" e, in secondo luogo, la batteria degli autori chiamati al giudizio finale.
Il problema è che esiste una forte resistenza ad accettare il fantastico nelle sue forme codificate - fantascienza, fantasy, horror - e a ritenerlo narrativa a tutti gli effetti. Un lascito della testamentario terzinternazionalista unito a una visione della letteratura come pratica per pochi eletti. Sovente posizioni che convivono nella stessa persona...
Comunque mandai anche un altro romanzo al Calvino, ambientato... in una fabbrica occupata : ).
Fu cassato anche quello e quella volta non richiesi neppure la scheda. I miei conti con il Calvino sono chiusi.
Io sono stata pubblicata su Fata Morgana, qualche speranza di diventare famosa come la Rowlings?
:-)
Vincere un premio, una pubblicazione - anche se non comporta denaro sonante - è secondo me un aiuto enorme all'autostima, e non va sottovalutato. Dopotutto alcune delle "cose" che vengono pubblicate di autori "famosi" sono emerite porcherie. Il fatto che un esperto decida che il tuo lavoro abbia un valore è senz'altro uno sprone ad andare avanti. O no?
Dipende da quanto l'esperto è esperto.
No, a parte gli scherzi, il problema è di che cosa offri e che di che cosa cercano. Il concorso è il luogo "narrativo" nel quale un'originalità eccessiva e la sperimentazione sono in genere severamente castigate. Le giurie - a parte quella del concorso Fata Morgana, naturalmente - tendono con una certa frequenza a scegliere i lavori sui quali esiste un ampio accordo, evitando quelli sui quali nascono furiose discussioni con partigiani e nemici disposti a sfidarsi a duello.
Talvolta però accade che i lavori sui quali esiste un ampio accordo siano anche i meno originali...
Non è una regola, intendiamoci, ma accade, tanto più nell'ambito di giurie di formazione disparata. Ne parlo con un'esperienza che non è solo quella del Fata Morgana, dove esiste una certa comunanza di gusti e di visione, ma di altri concorsi dove ho prestato servizio come giurato.
Una faticaccia infame, con la beffa di vedere racconti mediocri ma ben confezionati battere racconti magari imperfetti ma vivi e stimolanti.
Ma allora che senso ha partecipare ad un concorso? Voglio dire: se faccio leggere una cosa scritta da me alla mamma ed al cugino, mi diranno senz'altro che è eccezionale (anche se non lo pensano). Se la porto ad un emerito sconosciuto non avrà paura di dirmi che provoca ribrezzo, ma allo stesso tempo è il parere di una persona, e siamo tutti diversi: non tutto quello che piace a me è necessariamente buono (e viceversa per quello che mi disgusta).
Insomma, forse pubblicare in internet può dare un'idea, ma come si fa a sapere se veramente si è capaci a comunicare qualcosa?
Lo scopo dei miei interventi è quello di provare a ragionare sulla pubblicazione, sulla possibilità di giungervi e sui passaggi o le pratiche da mettere in atto per arrivarvi. Quindi il discorso "concorsi" l'ho affrontato esclusivamente in rapporto alla loro utilità per giungere a essere pubblicati e quindi letti. In questo senso l'utilità dei concorsi che non prevedono la pubblicazione - o prevedono una pubblicazione locale e non distribuota - è pari a zero. Rimane comunque la possibilità di essere letti, certo, e magari quella di vincere una coppa, una targa o, in qualche caso, del vile denaro. E tutto ciò fa bene all'autostima. Ciò che vorrei sottolineare, tuttavia, è che la partecipazione a un concorso non è dirimente. Ovvero, non vincere un tubo non necessariamente vuol dire che farai bene a smettere di scrivere né vincendo puoi essere ragionevolmente certo di essere capace, originale, in gamba ecc.
Il tutto detto da uno che è stato brillantemente "segato" da concorsi di ogni forma, dimensione e scopo. L'unica cosa che ho capito, alla fine, è che quello che scrivo non è adatto - per il 99,99% - alla partecipazione a concorsi. Ma questo, naturalmente, vale solo per me... Non è parola di vérita ma vita vissuta.
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