Titolo ambiguo, volutamente.
Alcuni piccoli fatti mi hanno costretto a riflettere su un interrogativo che, immagino, tutti i lettori almeno una volta nella vita si sono posti. Che, enunciato semplicemente suona come: «meglio leggere o essere letti?».
Così presentata la domanda è indiscutibilmente idiota. Ma articolata meglio può forse permettere qualche riflessione. Cominciamo a trasporla in un altro campo dell'umano agire: la cucina.
«Meglio mangiare o cucinare?»
Se possibile la domanda appare anche più cretina.
Ma, in qualità di cuoco di lungo corso (anche se non eccelso o originale), mi rendo conto che tanto cretina la domanda poi non è. Amo mangiare cibi cucinati con cura e attenzione e, se ne ho l'occasione, sono felice di prepararne personalmente per la gioia che mi dà vedere altre persone contente di assaggiare qualcosa che apprezzano.
Ho cucinato per anni raggiungendo una certa perizia ma non mi considero un professionista. Al massimo ho imparato qualche trucco per risparmiare tempo e qualche piccolo accorgimento per rendere un più gustoso un piatto senza caricarlo di calorie. Mi interessa assaggiare cibi cucinati da altri perché possono fornirmi idee e nuove soluzioni e detesto i piatti nati con l'intenzione di stupire ma senza sostanza e senza amore per la pratica gastronomica.
Mi rendo conto , a questo punto, che ho praticamente enunciato anche il mio punto di vista sulla letteratura e sull'agire letterario.
Richiamando due figure geometriche elementari, il segmento e il cerchio, posso provare a pensare una sorta di diagramma. Sul segmento posso fissare un estremo A (massimo piacere nel leggere, minimo nell'essere letto) e un estremo B (il contrario) e stabilire un punto C a piacere a una distanza da A e B tale da definire la mia posizione in proposito. Fin qui il segmento. Poco interessante, ammettiamolo.
Il cerchio, ora.
Non ha estremi.
Il punto nel quale A e B sono più lontani è anche il punto nel quale coincidono.
Praticamente impossibile fissare la propria posizione in maniera inequivoca. «Io sono qui» non ha senso, dal momento che posso essere distante da A un semplice arco oppure, percorrendo il cerchio nell'altra direzione, l'intero cerchio + l'arco.
Se non posso fissare la mia posizione in maniera precisa sono costretto ad ammettere che è preferibile non fissare una posizione precisa in proposito. Leggere, scrivere, essere letti sono tutti atti che si trovano all'interno di un ininterrotto anello, proprio come cucinare.
Non esistono estremi, ma diversi momenti all'interno di una medesima traiettoria circolare.
Questo mi conforta molto.
E mi conferma che non si può essere buoni autori senza essere lettori anche migliori.
Che si deve assaggiare e riflettere, gustare e confrontare, provare ma essere anche pronti a buttare tutto in pattumiera.
La scoperta dell'acqua calda, in apparenza. Ma forse non troppo, dal momento che viaggiando per il web e nel mondo letterario si incontra spesso gente che parla del proprio scrivere - ma anche del proprio leggere - come di un gesti che dividono la letteratura tra un «prima di me» e un «dopo di me», spesso senza neppure rendersene conto.
Il web letterario diviene spesso, così, una serie di gabbie di babbuini dove ognuno deve affermare il proprio ruolo di individuo alfa.
Ruolo che, non essendo un babbuino, lascio volentieri a chi ci tiene.
4 commenti:
Bellissimo il paragone con la preparazione del cibo.
Eppure...
Per quanto mi riguarda, cucinare è diretto ai "mangiatori", e mentre considero l'aggiunta di un ingrediente o una spezia penso sempre a chi alla fine assaggerà il risultato. Il piatto finale è una via di mezzo tra il mio senso estetico/gastronomico e l'affetto che ho per le persone per cui cucino.
Ma nello scrivere faccio qualcosa che da puro piacere alla sottoscritta (non ho mai pensato ad un lettore nel processo), il che non necessariamente porta allo stesso livello di gradibilità.
Molto interessante.
Hai detto:
"Mi interessa assaggiare cibi cucinati da altri perché possono fornirmi idee e nuove soluzioni e detesto i piatti nati con l'intenzione di stupire ma senza sostanza e senza amore per la pratica gastronomica."
Adesso 'spetta, che mi metto il cappello a punta con le stelle da mago, e...
"Mi interessa leggere le cose scritte da altri perché possono fornirmi idee e nuove soluzioni e detesto gli scritti nati con l'intenzione di stupire ma senza sostanza e senza amore per la pratica letteraria.
Voilà.
Già quasi una risposta, nevvero?
Provo una risposta collettiva.
Cucinare è un'attività che ha una bassissima soglia pubblica. Sostanzialmente basta cucinare per almeno un'altra persona e si è già pubblici cuochi. Come tali esposti a critiche, osservazioni pungenti, rampogne e lamentele. Anche dalle persone care che, in questo caso, sono le meno tenere. D'altro canto è anche vero che cucinando si ha un'idea più precisa del risultato da raggiungere e si misura più facilmente la differenza tra il desiderio e la realtà.
La chimica si presta meno alle acrobazie d'interpretazione della critica letteraria, non c'è dubbio.
Ma il parallelo tra le due attività è comunque utile per sgonfiare un po' la retorica dello scrivere.
La frase scelta e modificata da Piotr è stata scritta proprio per poter evidenziare l'interscambiabilità dei termini.
Non vinci niente, caro Piotr, se non i miei ringraziamenti per avere decodificato rapidamente il messaggio...
Per Fran: penso si DEBBA scrivere comunque sempre per se stessi, cercando di non tradirsi e di non cedere ai fantomatici lettori. Diverso il discorso se qualcosa che hai scritto è piaciuto ma tu hai scritto anche qualcosa di completamente diverso. Se hai scritto la malinconica storia di un amore al suo tramonto ma hai scritto ANCHE una storia violenta e perversa di sesso cerebrale. Sei certo che chi ha apprezzato la prima non apprezzerà la seconda. Ma tu ci sei in entrambe le storie.
Devi cedere ai lettori e nascondere la seconda storia o no?
Ma questo può essere il tema di un altro post. Faccio un nodo alla tastiera.
Attendo che la tastiera sia snodata, allora.
Resta il fatto che può essere divertente/interessante anche provare a scrivere apposta per un determinato tipo di lettore, un po' come fanno i giornalisti e come (di sicuro) fanno gli autori a catena di romanzetti rosa, che scrivono per sbarcare il lunario e lo fanno con la precisa intenzione di essere letti.
In piccolo, scrivere un racconto per regalarlo a qualcuno è come preparare una cenetta con amore. Uno dei miei racconti preferiti è di Saramago, "Il racconto dell'isola sconosciuta", una cosa minuscola che sembra proprio questo, un regalo per i lettori. Ma sapere se l'ha scritto per compiacere sè stesso, i suoi lettori, o il suo portafoglio, beh, non è facile. :-)
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