5.2.08

A che cosa serve un editore? Capitolo 4


Riprendo il discorso più o meno dal punto al quale ero arrivato.
«E se invece si volesse proprio cercare un editore interessato?»
La prerogativa essenziale di chi cerca un editore e non è:

- già famoso per conto suo
- già ricco per altri motivi
- il congiunto di un editor, di un direttore editoriale o di un importante azionista della holding della quale fa parte il gruppo editoriale.
- lavora già presso la casa editrice con un altro incarico.

è disporre di molto tempo.

Il talento è importante, ma tempo lo è ancora di più.
Le probabilità di essere pubblicati entro un anno dall'invio del proprio manoscritto - impaginato decentemente, corretto, rivisto da qualcuno anche solo parzialmente competente - sono dello stesso ordine di grandezza di quelle di vincere 1.000.000 di euro a un qualsiasi gratta-e-vinci.
Se vinceste 1.000.000 euro probabilmente potreste fondare una casa editrice.
Forse conviene...
Ma no, siamo artisti. Ostiniamoci.
Un'avvertenza. In tutto il discorsetto che seguirà non sentirete più parlare di arte o di letteratura. Piazzare un manoscritto - qualsiasi manoscritto - è un duro lavoro e un investimento di tempo e denaro.
Che il vostro manoscritto sia un capolavoro non interessa praticamente a nessuno. L'importante è che sia abbastanza leggibile da poter essere venduto e fornire un utile all'editore e, marginalmente, a voi. I capolavori nella storia della letteratura sono pattuglia, mentre i libri pubblicati sono milioni e milioni. Conviene ragionare da subito sul qui-e-ora.

La cosa migliore è cercare un'agente editoriale.
Costa, naturalmente, ma fornisce un parere sul manoscritto e un parere sulla sua vendibilità.
In Italia non sono poi tanti, anche perché sono ancora poche le case editrici che affidano loro lo scouting dei nuovi autori, ma esistono. Vi basterà comporre «agenzie letterarie» nell'occhiello di qualsiasi motore di ricerca ed eccovi serviti.
Dopodiché potete telefonare, scrivere, combinare un incontro, richiedere un preventivo eccetera. Il vostro manoscritto verrà letto e valutato per una cifra da concordare.
«I nomi, vogliamo i nomi!»
Agenzia letteraria Agnese Incisa a Torino (che è l'agente di un mio buon amico nonché scrittore folle e originale: Mario Giorgi) e Grandi e Associati a Milano che ha già trovato autori, tra gli altri, per Mondadori e Marsilio.
Delle altre non so nulla quindi nulla dirò. Anzi mi scuso per la mia ignoranza.
Non avete intenzione di spendere un quattrino e non avete tempo da perdere?
Male. Ma siete proprio sicuri di voler entrare nel mondo dell'editoria?
Per diventare avvocati si spendono migliaia e migliaia di euro e si passano anni in un'istituzione alienante come l'università senza un lamento e per diventare scrittori al massimo il costo di due francobolli?
Tenete presente che un buon agente editoriale conosce la maggior parte della produzione editoriale e sarà probabilmente in grado di rivolgersi a un editore interessato al vostro tipo di opera: thriller in ambiente militare, biografia immaginaria di un addetto alle lampadine per lampioni, delirio erotico in ambiente circense o confessione di un broker pentito.
Volete proprio fare da soli?
Soltanto alcune brevi norme prima di cominciare.
Buona norma informarsi della produzione dell'editore.
Norma ancora migliore valutare con attenzione che cosa «tira».
Se come il sottoscritto avete scritto un romanzo di fantascienza, tanto per dire, potete anche tenervi il manoscritto nel cassetto o, al massimo, partecipare al premio Urania. La fantascienza non tira per nulla.
Tira il fantasy, invece.
Tira il finto diario adolescenziale e post-adolescenziale. Se costellato di accoppiamenti, è anche meglio.
Tira il thriller sia in versione provincia-profonda-e-feroce che in versione tekno-lugubre.
Tira la storia di famiglia con qualche membro della stessa malato o malatissimo, paranoico, skizzo, strafatto o maniaco.
Tira molto anche l'autore o l'autrice di origine mediorientale emigrato negli States e che racconta quanto stava male là e quanto sta bene lì.
Ma difficilmente può essere il vostro caso.
Altra buona norma annunciare per telefono l'invio del manoscritto.
Tranquilli, nervi a posto.
Il numero di telefono dell'editore è sulla guida.
Fare come se si stesse combinando un appuntamento con un'agenzia immobiliare o con la segretaria del vostro medico.
Vi dirà che c'è molto da aspettare. Lo sapete già. Che l'editor ha una stanza piena di manoscritti. Anche questo lo sapete già.
Dire che non si ha fretta. Dopodiché mettersi in letargo per sei mesi - un anno e poi provare a richiamare. Ovvio che conviene avere più copie del manoscritto e rivolgersi contemporaneamente a diversi editori con una produzione o una collana affini al vostro lavoro.
La cosa comincia ad apparire davvero lunga e costosa.
«E se non mi rispondono? E se non riconoscono il mio genio? Esistono scorciatoie poco meno dispendiose e faticose?»
Esistono i premi.
Ed esistono le scuole di scrittura creativa.
Ne parleremo nei prossimi post.
Sempre che non mi venga in mente altro sul tema manoscritti agli editori.
Cosa più che probabile.

9 commenti:

Anonimo ha detto...

"... biografia immaginaria di un addetto alle lampadine per lampioni..."

Perdinci. Questa è una vera idea, la sprechi così?

Vorrei commentare con qualche frase intelligente, ma non mi viene (e anche questa non è una novità); ripiegherò dicendo che questa thread a puntate è fottutamente interessante, divertente, che spero continui e che dovresti pubblicarla su carta.
Se hai difficoltà a trovare chi te la pubblica, ho giusto trovato da poco l'indirizzo di un paio di agenti letterari...

Massimo Citi ha detto...

Ciao Piotr

La biografia immaginaria è già stata scritta, purtroppo. «Il lampionaio di Edimburgo», c'è la rece sul sito di LN.
Per quanto riguarda la temporanea carenza di frasi intelligenti... io sono un tipo lento (ogni tanto penso «un po' stupido») e quando mi sforzo di essere brillante faccio perenemmente figure da poveretto dostoevskiano. O, se preferisci, di quello che «ripensando alla sua triste figura, rende più sferzante la risposta che non ha dato».
Sto effettivamente pensando di pubblicare tutta la zuppa su LN, nella rubrica «Luna storta». Magari mettendola un po' a posto.
Grazie del sostegno al blog, per finire, che apprezzo moltissimo.

Anonimo ha detto...

Trovo l'osservazione sulla volontà di sacrificio molto vera. Il fatto di dedicare anni di sudore e fatica per esempio ad uno studio universitario e poi non voler sprecare un solo momento per il proprio sogno letterario è un'immagine facilmente condivisibile.
Però.

Però l'università l'abbiamo sudata per imparare a fare qualcosa di pratico, qualcosa che porta a casa la pagnotta.
Però pensiamo tutti che scrivere sia arte e non si possa imparare, per cui non si crede di dover faticare a far nascere un capolavoro.

Ecco, fa bene ricordare ogni tanto che anche per tirar fuori i sogni dal cassetto c'è tanto lavoro da fare e tanto da imparare ed è quello che mi piace di più di questa serie di interventi. Grazie Max!

Massimo Citi ha detto...

Il fatto che scrivere sia un lavoro - o nel mio caso un secondo lavoro praticamente mai retribuito- è pura vita vissuta. Mi dispiace, onestamente, di non avere a suo tempo capito che se volevo diventare uno scrittore (che parolone!) avrei dovuto darmi da fare come per qualunque altra attività. Non sono molto sensibile, quindi, agli inni al genio e al talento. Del primo diffido (il che è forse la prova che non lo sono... pazienza), del secondo credo che debba e possa essere coltivato. Ho conosciuto diverse persone anche dotate che hanno smesso di scrivere perché "tanto non vado da nessuna parte". Il talento, insomma, è una promessa - magari pronunciata a bassa voce - che si riceve e che si è gli unici a poter mantenere.

Anonimo ha detto...

Detta da uno che genio e talento ne ha da vendere è anche una bella frase.

Eppure non è solo quello l'aspetto che volevo sottolineare e che avevo colto dal tuo discorso. La maggior parte dei "geni matematici" che sono passati alla storia hanno finito per studiare matematica. Ogni imbrattatele degno di questo nome ha fatto dei corsi di pittura.
Ora non trovo niente di strano se uno scrittore debba anche studiare non solo i suoi predecessori ma anche manuali e tecniche.

Insomma, uno può avere genio e talento ma mai acquisire la tecnica necessaria, e mai diventare quello che potrebbe.

Massimo Citi ha detto...

«...Detta da uno che genio e talento ne ha da vendere è anche una bella frase...»

Che cosa rispondere? Grazie, prima di tutto. Questo genere di commenti fanno moltissimo piacere, inutile negarlo. Ed è bello sentirselo dire da uno dei famosi "quindici lettori".
Venendo alla tua osservazione.
Da giovane suonavo jazz, sax e flauto. Se non hai tecnica lì non vai da nessuna parte. Devi studiare (almeno un'ora di esercizio al giorno... ed era comunque poco), studiare e ancora studiare. In musica "l'ispirazione" cresce insieme alla tecnica. Più sai fare, più ti vengono idee su cosa fare e come farlo. Ho smesso di suonare perché si è sfasciata la band e ho cominciato a scrivere. E non mi aspettavo che fosse facile nemmeno quello, ma almeno non avevo bisogno di una cantina dove suonare.
Che possa essere così anche per la matematica - tra l'altro profondamente legata e affine alla musica - non mi pare per nulla strano. Di perfetti imbecilli che non sapevano suonare - al massimo imitare i riff più famosi - ma se la tiravano a morte con una Gibson al collo, ne ho conosciuti a legioni. L'ambiente letterario non è migliore. La qualità della scrittura è comunque legata alle tue aspirazioni. Puoi essere un ottimo bozzettista senza che ti venga in mente di darti al romanzo psicologico o un buon giallista senza pretendere di scrivere il romanzo italiano del XXI secolo. Puoi essere soddisfatto del livello raggiunto oppure no. Io no, ma non sono migliore per questo. Pretendo moltissimo dai libri che leggo e quindi...
Ho divagato, scusami. Ma grazie per l'interessante scambio.

Davide Mana ha detto...

Nota che mi pare superflua, ma ce la metto.
Nell'occidente civilizzato - o, se preferite, nel ventunesimo secolo - non si contattano più agenti cpn lo stesso manoscritto contemporaneamente.
È cattiva educazione.
Sempre nell'occidente civilizzato/ventunesimo secolo, se si ha un manoscritto di genere noir, ci si rivolge ad un agente che tratta normalmente noir.
O il genere che abbiamo fra le mani, insomma.

Ancora nell'occ.civ./vent.sec., l'agente non si paga prima della vendita del manoscritto - nel momento in cui lui piazza il nostro manoscritto presso un editore, l'agente si trattiene una percentuale (10/15%).
Il che di solito garantisce che l'agente si sbatta per venderci.

Ma in Italia, naturalmente, queste regole potrebbero non essere così ovvie/comuni.

Massimo Citi ha detto...

Grazie Davide!
Nel senso indicato - mi faccio pagare solo se ti piazzo il manoscritto - funziona l'agenzia di Agnese Incisa (se non ha cambiato stile).
Non biasimo troppo, comunque, gli agenti che si fanno pagare anche soltanto per leggere. Qui da noi, è ancora poco sviluppato il sistema degli agenti letterari e, in compenso,abbondano gli autori che non hanno un'idea nemmeno approssimativa del valore dei loro testi. Non dico che pelarli vivi sia giusto, ma farsi pagare una cifra ragionevole per dare un giudizio di vendibilità mi pare tollerabile.
In quanto al non presentare contemporaneamente il medesimo manoscritto a più agenti mi pare non soltanto educato ma anche intelligente. Lo stesso vale per il rapporto con le case editrici, ovviamente. Sono convinto, detto per inciso, che rompere le tasche alle case editrici sia tempo sprecato, ma naturalmente ognuno è libero di fare come crede.

Davide Mana ha detto...

Di solito la pratica comune è di "colpire" più editori, ma solo un agente alla volta.

Poi, c'è una cosa da sottolineare - il procedimento di proposta di un saggio è radicalmente diverso dal procedimento di proposta di un romanzo (ne parliamo, magari su Alia Evo?).

Con la "non fiction" è forse più lecito spandersi al massimo fin da subito.