14.8.22

Episodio X


 Nell’Altroverso la forza di gravità è pari a un decimo di quella che unisce le stelle e le galassie.
I soli sono pochi ed enormi e non esistono ammassi stellari. Non ci sono vortici di materia che precipitano in un pozzo di gravità, né buchi neri.
Là c’è silenzio eterno, solitudine, fissità.



60 giorni dopo l’Episodio X


Episodio X, come è stata chiamata la prima spedizione nell’Altroverso, quando le tre creature a bordo, OGM ottenuti dalla combinazione sperimentale di DNA umano e animale, non sono mai tornate.
La nave è rientrata vuota, perfettamente in ordine, con la IA della nave disattivata. I respiratori erano carichi e gli stivali allineati nelle rastrelliere: in apparenza le tre creature erano uscite dalla nave con la propria tuta e con l’ossigeno contenuto nelle bombole, sufficienti per dieci-dodici ore al massimo.
La nave, la «Magellano», è tornata dopo diciotto giorni standard terrestri, avendo percorso una distanza pari a una decina di anni luce. Il coordinatore della missione, Hermann Masali, l’ha giudicata «un indiscutibile successo», sottolineando la mancanza di effetti relativistici, specificando però che il problema della sopravvivenza nell’Altroverso non era stato ancora risolto e postulando l’invio di un secondo equipaggio.
In seguito l’Episodio X è scomparso da tutti i registri della Triade e dalla storia delle spedizioni spaziali.


Tre giorni prima dell’Episodio X



La luce della stella ha acceso una sezione della modanatura interna, posta sopra una serie di interruttori e di spie accese in verde.
RavenZesar1 alza lo sguardo a cogliere quel riflesso. Fino a pochi istanti prima la nave era immersa nella luce cinerina di Saturno, a pochi milioni di chilometri da loro, poi il passaggio, brusco e senza sfumature, alla luce candida di un altro sole.
– Rachel, Humber: siamo passati. Ve ne siete accorti?
La risposta di HundHumber2, sdraiato alle sue spalle, è coperta da una potente scarica di statica proveniente dal terminale del substrato.
GoatRachel3 spinge indietro le cinghie che la tengono sdraiata sulla poltrona reclinabile e si alza. Il rumore prodotto dall’apparecchio è assordante e la zoogena abbassa il volume prima di sollevare il microfono: – Nave stellare «Magellano», stazione «Huygens», ci ricevete?
La statica non cessa, anche se si fa più bassa. GoatRachel fa alcuni tentativi, picchietta sulla tastiera, manovra il sensore verticale, prova di nuovo a collegarsi, ma l’elenco dei nodi riceventi resta vuoto. Un lungo sospiro è la sua unica reazione.
– Dove siamo? – chiede RavenZesar.
– Altrove. – La voce di HundHumber è bassa e profonda. – Ed è impossibile collegarsi con una stazione. Era prevedibile.
Il corvo e la capra guardano il riflesso perlaceo di luce che illumina la paratia. RavenZesar si avvicina al vetro dell’oblò. – Dio mio, è enorme.
La stella occupa una buona metà della luce dell’oblò, bianca come un fiocco di neve.
– Non è troppo grande?
La domanda del cane coglie il corvo di sorpresa. – È normale, credo, in questo universo. Qual è la nostra velocità attuale?
Rachel richiama un altro quadro dal terminale. – … Più o meno il decuplo della nostra velocità prima dell’ingresso nell’anello.
– Già. La stessa cosa che è accaduta alle sonde inviate in precedenza.
– Ottimo, Humber. E come glielo facciamo sapere? Per il momento le comunicazioni sono interrotte e non so se riusciremo a ripristinarle. Credo che la stella – Behemoth? Va bene come nome? – emetta radiazioni dure, impedendoci ogni comunicazione.
L’uomo-cane annuisce: – Potremmo riprendere la strada dalla quale siamo venuti. Immagino che la nave abbia tenuto un tracciato per il nostro arrivo: sarà sufficiente seguirlo e ritrovare il nostro punto di arrivo.
– Il tracciato non esiste. – GoatRachel si è collegata alla IA della nave mentre Humber parla e ha visualizzato il loro percorso. – Fino all’ingresso dell’anello è perfettamente tracciato. Poi, il nulla.
I tre si guardano in silenzio. A parlare è HundHumber: – A questo punto dovremmo far almeno sapere ai… Signori che siamo vivi.
– Per il momento. – Commenta RavenZesar.
– Certo.
– Ma le sonde inviate qui come hanno fatto a rientrare?
– Non sono mai rientrate, Rachel. Tutto quello che hanno saputo è stato grazie alle brevi comunicazioni partite subito dopo il passaggio.
– E noi siamo gli eroi che sono venuti fin qui a dare un’occhiata… – RavenZesar produce un faticoso sorriso, – Scusate, siamo stati gli eroi.



Sette giorni prima dell’Episodio X.


– Tre OGM, tre zoogeni. Creature sperimentali. – Il professore Fitzjohn, è perplesso. In qualità di astrofisico non ha le competenze per decidere: roba da biologi. – Forse dovremmo ancora parlarne.
– Ne abbiamo già parlato, professore. – Hermann Masali, il lunare, come coordinatore del team di lavoro non ha in apparenza titoli, se non quello – si mormora – di delegato del potere centrale in forma anonima. Moshe Tatar, l’inviato della Triade, l’entità politica che aveva unito i governi della Terra, di Luna e di Marte, è finora intervenuto un paio di volte e sempre con commenti irrilevanti. «La Triade non appare, ma decide», è stata la conclusione di molti appartenenti al team, senza dichiararlo apertamente per evitare grane a non finire.
– Inviare astronauti umani è stato escluso. Robot e IA ne abbiamo già mandati, ma con esiti deludenti. Due IA sono riuscite a rientrare ma anche analizzandole non siamo riusciti a capire se sia possibile sopravvivere nell’Altroverso. Mandare tre OGM sembra la sola soluzione.
«OGM»
Alain Neiges detesta quel modo di definire gli ibridi zoogeni, creature silenziose e gentili prodotte di recente grazie all’ingegneria genetica: DNA animale e DNA umano combinati a formare una creatura intelligente, in grado di comprendere e parlare.
– Certo, dottor Masali – interviene, – Ma se i tre zoogeni non sopravvivessero, noi come lo sapremmo?
– Grazie al circuito di guida ausiliario che riporterà indietro la nave, al di là delle condizioni dell’equipaggio. Quello che abbiamo già fatto con altre unità inviate nel secondo universo. Tutto chiaro, ingegnere Neiges?
Il responsabile dei sistemi di sopravvivenza annuisce con un movimento del capo: ha fatto la domanda sbagliata. Lui ha conosciuto i tre zoogeni “scelti” per la missione e immaginarli su una nave destinata al sacrificio lo turba, anche più di quanto avrebbe ritenuto possibile. Manda lo sguardo fuori fuoco, nel grande schermo che domina la sala della riunione. Saturno, incoronato dai suoi anelli, è inquadrato in corrispondenza del polo meridionale e ne occupa buona parte. Dopo diciotto mesi di missione lo conosce meglio di Marte, la sua patria.
– Direi di rendere operativo il nostro progetto. – la decisione rapida è il modo di procedere preferito da Masali. Neiges non si prende il disturbo di interromperlo ancora. Più tardi parlerà con i tre zoogeni. O i tre animali, secondo l’emissario-ombra della Triade.

Tre giorni prima dell’Episodio X




GoatRachel ritiene di aver tentato il possibile, ma senza ottenere altro che una variazione minima alle perturbazioni che occupano stabilmente la trasmissione nodale. «Qui nave stellare “Magellano”…» è divenuto un mantra, ripetuto fino a stordirsi.
Gli altri due la osservano senza parlare. Ogni tanto il loro sguardo scivola nel nulla, per riprendersi dopo un attimo.
– …Forse è preferibile andare fuori e respirare il vuoto.
HundHumber lo guarda: – Ti stai chiedendo come accorciare la tua sofferenza, Zesar? Avremo tempo per farlo, ma ora è meglio pensare a qualcos’altro.
– A che cosa? Secondo la IA della nave abbiamo ossigeno per 900 ore più o meno. Un po’ di più se sigilliamo gli altri comparti. Ma intanto, che cosa possiamo fare? Non possiamo comunicare con il nostro universo né tornare indietro. – RavenZesar si interrompe, – …Ma potremmo tentare di rientrare aprendo un passaggio per il nostro universo.
GoatRachel si stacca dal terminale strofinandosi le mani, come a liberarsi di un peso insostenibile: – Questa nave può farlo, certo. Ma nessuno ci ha spiegato sul serio come fare. Ritenevano che saremmo rientrati da dove siamo usciti e che non saremmo riusciti a fare una transizione.
– Possiamo sempre provare. In fondo che cosa abbiamo da perdere? – Rachel e Humber lo fissano, – giusto la pelle, – sorride, – una cosa che ci hanno regalato ma che per loro non vale molto. Cosa ne dite?
Gli altri due non rispondono, ma il corvo sa già che cosa decideranno.

Sei giorni prima dell’Episodio X




Hermann Masali esibisce il suo diastema come una medaglia, sempre pronto a sorridere, ma con una riflesso oscuro in fondo allo sguardo, qualcosa che Neiges fatica a comprendere. Immagina grandi macine che girano nella sua testa, meccanismi ciechi ed efficienti che lo hanno separato dagli altri, schedato e posto in un’area particolare: quella degli individui noiosi e irresoluti.
– Mi dica.
– La disturbo per un motivo. I tre ibridi zoogeni…
– Ah, sì, gli OGM.
– Zoogeni, se non le dispiace, signor Masali. È più corretto.
Masali stringe le labbra, spazientito: – Va bene, ingegner Neiges, ciò che preferisce.
– Grazie. Dicevo: i tre ibridi zoogeni hanno ricevuto un’addestramento rapido e…
– Un anno solo invece che tre, oltre alla prima fase dedicata allo sviluppo della capacità sociali, linguistiche e di relazione. Effettivamente è un addestramento rapido, concordo, ma quei tre hanno dimostrato di poterlo reggere. D’altro canto… – Non termina la frase, lasciando all’interlocutore il compito di completarla come preferisce.
Alain si sforza di non alzare la voce con l’emissario della Triade e stringe i denti: – Non credo abbiano ricevuto sufficienti info sul funzionamento della nave.
– Hanno ricevuto informazioni sufficienti per qualcuno che deve soltanto sedersi a bordo. – La cortesia apparente di Masali sta sottilmente trasformandosi in irritazione – Devono soltanto dare un’occhiata di là e rientrare. Facile, pulito. Non hanno ricevuto notizie sulla programmazione della nave per il rientro: volevamo evitare interferenze, anche involontarie, da parte loro. Se necessarie le riceveranno durante il viaggio.
– E se… – L’ingegnere non ha elementi in mano ma soltanto una sensazione, vaga ma persistente: – E se non riuscissero a mettersi in contatto con noi? In fondo non siamo certi delle comunicazioni dal secondo universo.
Masali si stringe nelle spalle, come un maestro con un allievo zuccone: – Nessun problema, dottor Neiges, i collegamenti con l’Altroverso sono possibili, anche se – questo devo ammetterlo – solo in via teorica. Le sonde inviate non hanno mai dovuto interagire con noi anche per non sovraccaricarle con costosi circuiti di trasmissione transdimensionali. La «Magellano» è comunque dotata di impianti di trasmissione e i tre passeggeri rientreranno con la nave senza problemi. Hanno sufficiente ossigeno e viveri. Nel caso peggiore, quello che devono fare è avere pazienza.
– D’accordo. – Alain Neiges si rende conto che il proprio posto a bordo della stazione spaziale non è mai stato in pericolo come in quel momento, ma non riesce a smettere. – Ma se insorgesse qualche problema… Se fossero presi dalla paura, dal timore di essere abbandonati? Hanno ricevuto abbastanza informazioni su come funziona tutto a bordo? E la IA è in grado di aiutarli?
Masali non lo minaccia apertamente, non è quel genere di persona: ha troppo potere per esibirlo. – La IA risponde soltanto a una domanda precisa, posta da un umano. Teoricamente sono in grado di governare la nave, tenendo conto, però, delle loro facoltà. In fondo sono soltanto tre animali, nulla di più. Faranno il loro viaggetto come bestioline nel cestino.
«Tre animali…». Su quel punto Masali non sembra in grado di fare passi indietro. È la sua debolezza, l’unica che dimostra, ma che non dà a Neiges nessun vantaggio reale. Distoglie lo sguardo verso le grandi vetrate puntate sul cielo di ossidiana. Milioni di stelle immobili, a formare disegni eterni, nati dal caos. Sorride: – È vero, sono tre animali, ma hanno qualcosa di noi, qualcosa di profondo. – Fa un passo indietro: ha preso una decisione, – Va bene: al termine della missione vorrei rientrare sulla Terra. – Sceglie il vecchio nome del pianeta-patria ma Masali non rileva il suo errore.
– Come preferisce, dottor Neiges. Vivere qui sulla stazione spaziale non è facile, lo so. Ci si esaurisce e si attribuisce importanza a problemi poco rilevanti.
Ha lo sguardo fisso, come un serpente che si appresta a colpire il topo. Neiges deve resistere all’impulso di afferrarlo per il collo e premere fino a vederlo soffocare. Annuisce, conscio di essere l’ennesimo individuo che si piega davanti a un potere superiore, ciò che è sempre stato. Ma che cosa potrebbe fare? Nulla, nulla.
– Torno nei miei alloggi. E preparo le valigie. Nei prossimi giorni terminerò le mie relazioni. Con il primo trasporto rientro. Va bene?

Due giorni prima dell’Episodio X




L’immane Stella Behemoth, sottile come il fumo di una sigaretta ma estesa per miliardi e miliardi di chilometri, è ancora accanto a loro. A bordo nessuno parla più da ore e ore. Inutile guardare lo schermo immobile sopra il quadro comandi: l’orologio indica un’ora improbabile, come “43.55:00.00” e solo dopo un tempo soggetto a regole imprevedibili scatta a “33:01” o a “79:12”, due delle combinazioni numeriche a suo tempo apparse sul visore.
– Qualcuno ha fame?
La domanda, in apparenza assurda, di Zesar rimane senza risposta.
Humber e Rachel hanno lo sguardo fisso sull’oblò rivolto verso Behemoth o sulle luci che si accendono e si spengono sull’interfaccia del modulatore.
– Nessuno risponde. – Ripete GoatRachel, – Nessuno in linea.
HundHumber scuote il capo: – Lo sappiamo: è la stella a disturbare le trasmissioni. E forse non soltanto le trasmissioni ma il funzionamento stesso della nave.
– Avete intenzione di passare il tempo così? – RavenZesar non riesce a impedirsi di alzare la voce, –L’astronave dovrebbe essere programmata per rientrare. Possiamo chiederlo alla IA della nave… Nave, mi senti? Ci sei?
La voce della nave è una voce da contralto, lenta, studiata, nata per creare confidenza, fiducia. – Buongiorno RavenZesar. E buongiorno GoatRachel e HundHumber. Sono a vostra disposizione.
– Bene. Vorremmo sapere per quanto tempo questa unità rimarrà nel secondo universo e se esiste una programmazione per il rientro.
La IA esita prima di rispondere: – La nave è programmata per il rientro. Dopo un tempo prefissato. In questo momento, tuttavia, vi sono disturbi che interferiscono con il mantenimento della programmazione predefinita, dovuti alle emissione del grande corpo celeste denominato AX-252-b…
– Behemoth, per farla breve.
– Corretto, zoogeno RavenZesar. Secondo la denominazione da voi scelta.
– E questa interferenza è destinata a durare per…
– Non esistono dati in proposito.
Dopo quasi un minuto di silenzio è HundHumber a intervenire: – Nave? Ci sei ancora?
– Certo. Non sono in grado di fornire ulteriori informazioni. Nè sono in grado di proporre soluzioni di un qualche genere..
– Cosa possiamo intervenire? – Chiede GoatRachel.
– Dati insufficienti. Possa spiegare come funziona la nave e la sua propulsione in caso di malfunzionamenti ma nulla di più.
– E gli ibridi non possono sapere quanto potrebbe durare il viaggio, né se ritorneranno vivi, vero? Né possono intervenire sugli strumenti di bordo.
– Corretto, GoatRachel. Come da ordini ricevuti.
– Dobbiamo addormentarci e sperare di svegliarci? Dico bene?
– Sì, RavenZesar. Ma gli Homo pensano sia bene che procediate con i compiti previsti per la missione, controllando che gli strumenti automatici funzionino come da ordini ricevuti.
– Bene, nave. Basta così.
– Sono a disposizione.
RavenZesar chiude la comunicazione: – Certo, ovvio. Grazie.
La IA della nave tace, anche se i tre sanno che è comunque presente e che registrerà tutto ciò che diranno e che faranno.

***



– Ne sappiamo tanto come prima. – osserva HundHumber. – Ma in fondo non è una cattiva idea riposare e attendere. Sarà più facile passare dal sonno alla morte.
– Già. Gli ibridi non hanno il diritto di interferire con una missione. Siamo cavie. Ma possiamo sempre tornare alla nostra idea iniziale.
– Quale, Zesar? Quella di rientrare? Ma la IA ci lascerà lavorare nella camera a confinamento inerziale? E sugli elettromagneti? Non penso.
– Esiste un modo per staccare la IA della nave. Per quando la nave è in riparazione. – Zesar e Humber si voltano verso Rachel. – Già. È una lezione che avrei dovuto ignorare, ma sono curiosa, come tutte le capre…

Un giorno prima dell’Episodio X





La plancia di comando della nave è deserta: non è previsto che qualcuno la manovri durante il viaggio.
Perché non aspettare tranquilli che il viaggio termini, in qualunque modo abbia fine?
No.
RavenZesar riflette senza smettere di avvitare, stringere, premere, riflettere e guardare, osservare. La vita che vivono è un regalo degli Homo, che li hanno creati e li hanno resi creature intelligenti, in grado di comprendere e di reagire. Ma lui sa, come lo sanno Humber e Rachel, che sono anche bambini che possono disubbidire a chi non li considera e che possono dimostrare di valere quanto gli Homo. Hanno fatto un passo dopo l’altro senza sapere di preciso quale fosse il loro obiettivo, fino a quando Rachel non ha trovato il comando per tacitare la IA della nave e in quel momento hanno capito: perché si trovano lì e che cosa faranno. Hanno provato un brivido mai sentito: l’orgoglio di essere se stessi e di essere vivi.
Come nel corso del programma di addestramento riconoscono i sensori periferici dei grandi magneti di confinamento, individuano senza difficoltà lo Specchio di Transito, al momento ermeticamente chiuso, come tutti gli effettori di passaggio, accesi caoticamente come un albero di Natale fuori fase. Le porte delle nave sono governabili da una serie di interruttori schierati in basso, pulsanti anonimi che normalmente vengono azionati dalla IA.
– Tutto qui. Tutto a posto.
– Bene.
Sorridono. Giocano a inseguirsi nei corridoi della nave come cuccioli e ridono. Non hanno più fretta: il loro tempo è passato e vivono solo quell’istante.

Episodio X




Azionano lo Specchio di Transito: i due universi sono aperti. Rientrano nel loro universo, come si prende al volo una carrozza su una giostra lanciata in velocità. Il temporizzatore tra pochi secondi li riporterà nell’Altroverso ma loro guardano le stelle accese nel loro mondo. Aprono le porte e vanno fuori, nel silenzio estremo, nel freddo eterno. Sono collegati con un cavo tra loro e possono manovrare con gli automotori delle tute. Precipitano verso la stella più vicina con il suo corteggio di pianeti, ben ordinati nella simulazione del piccolo schermo della tuta. La loro nave rientra nell’Altroverso mentre loro scivolano verso il sole straniero.
Hanno compiuto ciò che gli uomini non avevano previsto, toccheranno per primi un pianeta extrasolare. Un capra, un cane, un corvo, come in un’antica fiaba.

Trentadue anni dopo l’Episodio X





– Solo io. Soltanto io. Non è buffo?
Cammina sul sentiero di terra pallida ricavato ai margini del bosco.
– Sapevamo che qui erano sbarcati degli umani, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di presentarci, Per non creare imbarazzo, direi. Anche noi abbiamo affrontato l’Altroverso sapendone il poco che hanno voluto dirci. Il tempo, il tempo era il problema, come sarebbe trascorso il tempo nel nostro universo mentre viaggiavamo a velocità ultraluce nell’altro spazio. La soluzione ci ha lasciato perplessi e confusi: il tempo trascorso nell’Altroverso era puramente soggettivo: all’interno della nave l’unico tempo esistente era il nostro. Siamo arrivati qui e le prime faticose ricerche sulle principali pulsar ci hanno confermato che non si era verificato alcun fenomeno di dilatazione temporale o forse che il passaggio da un universo all’altro ha annullato i fenomeni relativi al nostro moto ultraluce. Per noi erano passati una quindicina di giorni come per il resto del nostro universo. Non è fantastico?
Si interrompe e li guarda: due giovani umani, una femmina e un maschio, età approssimativa tra i quindici e i vent’anni. Sorride loro: – Forse non è troppo facile per voi, ma ci tenevo a parlarne. In quanto a noi tre, Humber, il cane, è morto per primo, una decina di anni fa, il corvo, Zesar, è vissuto un po’ di più, ed era felice, non so dirvi quanto era felice. Noi ibridi zoogeni viviamo di meno, non lo sapete? Forse cinquant’anni e poi togliamo il disturbo.
I due ragazzi sorridono, senza capire. Quella strana creatura parla una lingua che capiscono solo in parte, ma è gentile ed è sorprendente averla incontrata. Non è originaria del pianeta ma ha una tuta che ricorda loro quelle indossate al loro arrivo. La sua presenza una novità rispetto all’interminabile serie di corvée che li aspettano nella comunità. Sfuggiti al governo della Triade, sono sbarcati sul pianeta soltanto sessanta albe prima, e il lavoro non manca di certo.
Arrivano a una radura, al centro due rettangoli coperti da un’erba violacea e da piccoli fiori. Il sole, Mauss, è rosso ed è grande la metà del Sole della Terra, ma è più vicino, più grande e illumina dolcemente la radura e il bosco dalle foglie grige, quasi nere.
– Ecco, sono qui. Noi tre siamo stati le prime creature arrivate su un pianeta extrasolare. Dopo un lungo volo… Capite? Non credo che nessuno ne abbia mai parlato, ma siamo stati i primi. I primi.
I due capiscono quella parola: “primi” e annuiscono. Ne parleranno con la madre di uno di loro, la responsabile del loro gruppo.
– È tanto tempo che non parlo con un umano. Tanto tempo che non parlo più con nessuno. – Si siede su un ceppo e si passa la mano sulla vecchissima tuta, rammendata infinite volte. Ha il viso sottile e la pelle chiara, fragile e macchiata. – Vorrei offrirvi qualcosa: un succo di frutta, un seme zuccherato, ma non vorrei distrarvi dai vostri compiti. – Con un gesto lento indica la baracca che hanno costruito insieme loro tre tanto tempo prima, fatta di tronchi d’albero, corteccia e paglia. – Questa è stata la nostra casa per tanti, tanti anni. – Guarda il sole socchiudendo gli occhi – Ma credo sia valsa la pena di aspettare. In fondo siamo almeno in parte umani e non siamo solo scherzi della tecnologia… Anche noi siamo figli della stessa Terra.
Con calma si alza e sorride: – Andate pure, ora, se volete. Mi ritroverete ancora qui domani e per qualche tempo. – Sorride, – Mi chiamo Rachel, la Capra Rachel.ù


1Ingl., CorvoZesar

2Ted., CaneHumber

3Ingl, CapraRachel

 


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