27.3.10

Il capo del governo e mio nonno




Giorno curioso, di nubi veloci che passano rapide in cielo per scomparire velocemente.
Un cielo rapido e inafferrabile, da nordeuropa.
La gente sembra tranquilla, senza fretta. Qualcuno si ferma in libreria, qualcuno chiede suggerimenti. Ha voglia di chiacchierare, di scambiare opinioni. Un momento di pace, strano e inatteso in un momento nel quale siamo tutti sul limite di qualcosa di ancora sconosciuto ma inquietante. Che ce ne rendiamo conto o meno.
Il demente ha minacciato, giurato, maledetto, digrignato i denti. Si prepara a colpire chiunque si sia posto sulla sua strada. Entro pochi giorni dal voto. È davvero pericoloso, stavolta. La rovina, la galera, il disonore lo minacciano da vicino.
Ho sempre sentito dire in casa, da mia madre, da mia nonna, da mio padre: «Ha un sacco di soldi... chissà come li è fatti...». In famiglia si ricordano ancora di chi faceva borsa nera, di chi aiutava gli ebrei facendosi strapagare - i gioielli, la casa per un passaporto falso. Di chi spogliava i morti e di chi spogliava i vivi. Tutta gente che poi, dal 26 aprile 1945 in poi, ha ripreso a circolare con una nuova dignità, in apparenza immemore di come quei soldi erano stati raggranellati.
«... Chissà come se li è fatti... il demente...?»
All'inizio con la speculazione immobiliare. Aiutato dalla chiesa, ovviamente [cfr. Giovanni Ruggeri, Mario Guarino - Berlusconi, inchiesta sul signor TV - Roma 1987 ... 7 anni prima della «discesa in campo», n.d.r.]. Pagando, corrompendo, mentendo, confondendo... Un tot di peccati e peccatucci prolificati senza risparmio negli anni successivi e che pesano sulla schiena come una maledizione. Nonostante ci si presenti come eroici e spregiudicati imprenditori.
I peccati pesano.
Confondono, rendono ansiosi, conducono a rabbie improvvise e inattese, a produrre smorfie, versi, ghigni. Il demente perde spesso la calma, ultimamente. Non appena ha di fronte qualcuno che non è un suo ossequioso e tristo sicofante. Non appena si alza una voce che nota, osserva, riflette, dubita.
Il demente avanzando con l'età si comporta esattamente come il meno amato dei miei nonni. Non replica a tono ma s'incazza. Minaccia, disprezza, pronuncia qualche scemenza sui comunisti. Si atteggia a eroe pronto ad affrontare i gulag, Stalin, la proprietà dello stato, i trattori guasti delle fabbriche del popolo. Disapprova, alza il dito e ammonisce.
Con l'altra mano, intanto, si tocca sotto per controllare se il pacco c'è ancora.
Quel poco che ne rimane.
Mio nonno questo non lo faceva. Era arterioscleroticamente anticomunista - arterioscleronista , per farla breve, ma serio. O almeno si vergognava a controllare la dotazione davanti a uomini più giovani e ancora in funzione.
Il demente quando non teme comunisti e magistrati svacca e fa il deficiente con le donne.
Le sue e le non sue.
Le sue donne non si ribellano e lo lasciano sfogare. Con quella saggezza un po' ovvia e un po' furbetta che hanno certe donne. Pensano al portafoglio del demente e pensano: «Lascialo sfogare, quel vecchio caprone. Poi gli passa. Anzi, poi passa lui».
Non è così facile dire chi è peggio tra il demente e le sue donne.
Le donne non sue, fortunatamente la maggioranza dei possessori di cromosomi XX, non sopportano i suoi terrificanti modi da tamarro avanti negli anni. Per il quale le donne si dividono in sgnacchere e cessi. Il demente fa fatica a trattenersi quando incontra una donna di una certa età che resiste al suo fascino. Vorrebbe urlarle in faccia: «Vai a fare la calza, cesso!» ma non può. Così fa il cretino con la battutina da oratorio sullo specchio alla mattina.
E un simile demente è il capo del nostro governo.
Signùr, ma ci rendiamo conto?
Come fare capo del governo il mio povero nonno.
Con tutto che...
La gente stamattina forse si sentiva un po' meglio perché è possibile che il demente stia lentamente perdendo terreno. Che le sue fissazioni si rivelino essere, in fondo, soltanto sue. Non che gli italiani - in media - siano poi tanto meglio di lui, ma come mio nonno un po' si vergognano di mostrarsi davanti a tutti.
Il potere logora.
Vero.
Soprattutto perché crea il miraggio che sia superfluo controllarsi. Che laggente ti ami così come sei. Che il governo sia come il tinellino dell'amante, quello con il televisore. Che ci si possa mettere in mutande, canotta e calzini a guardare il Milan prima di trombare.
Il miraggio.
Poi è possibile che vada comunque a finire male.
Che il demente sia premiato per il suoi modi da neo-riccodrillo.
Un modo per rendere l'Italia un paese infrequentabile.
Bondi grasso e sciocco sorridente e soddisfatto in compagnia del capo-spacciatore Cicchitto, del ministro all'offesa La Russa e dello squallido poveruomo Gasparri.
Una galleria di orrori che nemmeno Lovecraft.
Da vomito immediato.
Se va così ho paura che non resterà, col tempo, altra possibilità che una torre sul finisterrae, dalle parti di Lisbona. Come Tabucchi. O una capanna di tronchi sopra Rejkyavik. Dirimpettaio a un grande giallista come Indridasson.
Una fine un po' triste per uno che da giovane aveva sognato la rivoluzione.
...
Dopo questa prometto di non parlare più del demente per un po'.
Frase un po' assurda a pensarci bene.
Come dire negli anni '20: «beh, adesso basta parlare di Mussolini».
Se un po' di gente si è stufata non è detto tutta la gente si sia stufata.
Quindi facciamo che parlerò ancora di quel demente del demente tutte le volte che ne varrà la pena.
Secondo me.
Ultima nota. Non ho fatto propaganda elettorale. Non parlo di Bersani ecc. giusto perché sono solo una tacca sotto il demente come gradimento generale. Il che li rende tragicamente irrilevanti. Votare voterò, ma non chiedetemi consigli. Non sono in vena.
Diciamo che per il bene mio e dell'Italia in generale spero che lunedì pomeriggio ci dicano che il demente non ha vinto. Mi accontento.


11.3.10

I lettori e il cenacolo di lego.


Sto leggendo un libro.
Un ottimo libro, aggiungo.
Non è una novità, sono d'accordo, ma è una rarità, ultimamente.
Per il momento non aggiungo nulla, ci sarà tempo poi per specificare autore, titolo e editore. Adesso mi interessa altro. Per la precisione parlare un po' della lettura.
Perché si legge?
Una di quelle domande del tutto ovvie che chiunque legge non si pone.
Si legge per informarsi, ma anche per comprendere, per immaginare, per vivere altre vite e altre avventure. Ma anche per partecipare alla vita dei personaggi, per vivere una vita più lineare e comprensibile di quella che si vive abitualmente, per cercare di comprendere che cosa frulla in testa «agli altri», ovvero a quell'insieme indiffenziato di individui che ogni giorno incontriamo, dal coniuge ai genitori, ai figli, agli amici, ai conoscenti, fino alle persone con le quali capita di scambiarsi due parole alla fermata del tram, al bar o dal barbiere. Per mettere alla prova se stessi senza rischi reali, per immaginarsi (o illudersi) di essere persone speciali e straordinarie, per comprendere situazioni ai margini del reale senza perdere l'autocontrollo o l'equilibrio interiore, per partecipare a dolori, delusioni, sofferenze, ansie, rabbie di altri che non si sarebbero mai incontrati nella vita reale.
Per dare un colore e uno spessore a ciò che ci avviene, per staccarlo dalla successione di eventi e poterlo giudicare con distacco.
Per resistere nei momenti di scoramento, tristezza, scoraggiamento, stanchezza.
Per risvegliare aspetti di se stessi che si sono dimenticati o rimossi.
Per vivere meglio, in sostanza.
O forse - malignamente - per complicarsi l'esistenza più del necessario.
Tutte cose che si possono fare, ovviamente, anche guardando la TV ma con un grado di partecipazione e di coscienza diversi.
Nel caso dei libri, più intensi e profondi.
Da questo curioso e complesso insieme di caratteristiche nascono le passioni, riprovevoli o semplicemente incomprensibili, di chi scrive o fa un lavoro come il mio.
Chi non si avvicina ai libri, anzi se ne ritrae, che tipo di vita vive e che vita desidera?
Viene da chiederselo, lavorando in un posto - una libreria - dove si vedono, per antonomasia, soltanto lettori. Non è un problema di semplice ignoranza, naturalmente.
Si può pensare a comunità dove l'ignoranza è ormai "endemica", ovvero parte del patrimonio storico e del futuro obbligato. Quartieri senza cielo e senza speranza. Privi di biblioteche come di un sogno che non sia un semplice desiderio di oggetti. Di uno status da privilegiato transitorio.
Ma si può pensare a certe vite grigie e ripetitive. Vite scadute ancora prima di essere vissute.
Con un cielo basso sulla testa e un futuro che arriva al massimo a dopodomani.
Vite deluse e rabbiose che passano senza continuità da una generazione all'altra.
C'è chi si è scontrato con i libri da piccolo. Libri come oggetti acuminati e pericolosi impugnati ed esibiti da individui odiosamente e sterilmente potenti. Insegnanti, professori, presidi, professionisti. La vita è tutto ciò che non si trova nei libri. I libri sono il contrario della vita.
Angoli polverosi popolati da insetti rinsecchiti e pericolosi.
Donne senza tette e uomini senza pippo.
...
Fino a qualche anno fa esisteva ancora un sentimento un po' ecumenico - volendo un po' cattolicheggiante - che spingeva i lettori di buona volontà a preoccuparsi anche di chi non leggeva. Un atteggiamento che aveva anche un cospecifico marxista-leninista, basato sulla necessità del proletariato di «essere istruito per reagire all'oppressione».
Adesso, dopo la "caduta degli ideali" sono rimasti soltanto pochi poveri imbecilli a preoccuparsi del grado di cultura dei propri simili. Oltre a quelli che, come me, fanno questo lavoro.
Lavoro che rischia comunque di scomparire, soffocato e annegato dagli spacci di computer-dischi-libri-telefonini-videogiochi-e-tutto-ciò-che-di-inutile-vi-viene-in-mente. In fin dei conti lo sconto sui libri, come sappiamo tutti, è - insieme a quello sui farmaci - l'unico che si può verificare direttamente. Persino farci due conti. Ventiquattro meno il 15% fa duevirgolaquattro + unovirgoladue, cioè trevirgolasei, cioè venti-e-quattro.
Miii...
E se lo fanno sui libri lo faranno anche sul resto, no?
Può darsi, gente, può darsi.
I supermercati ci contano parecchio su questa illusione/sensazione.
Ma il guaio è che supermercati e spacci puntano sui lettori che già esistono. Su quel ceto medio sempre meno medio e sempre più spiumato dove alligna il piccolo popolo dei lettori.
Al di fuori del popolo dei lettori c'è la plebe, che, come può dirvi chiunque non sia del tutto rimbambito dalle fregnacce neoliberiste, più è ignorante meglio è.
Una plebe ignorante (superstiziosa, zarra, esibizionista, chiassosa) è perfetta per comprare senza banfare, anzi con una sorta di infantile soddisfazione, idiozie assolutamente inutili.
Dalle controfatture della Maga Zorka al cavatappi borchiato di Valentyno.
O, per assurdo, un cenacolo di lego.
Possiamo dire che la plebe è assolutamente inutile (se non nociva) a se stessa e ai propri simili?
Il guaio è che vota, maledizione, e il suo voto è determinato da combinazioni assurde e imprevedibili di scemenze.
«Io voto il Berluska perché fa "amici"»
Minchia.
Questo sarebbe un buon motivo per dedicare tempo e fatica a istruire chi non ne ha la possibilità. A indurlo ad amare i libri.
È probabilmente troppo tardi dirlo, ma non del tutto inutile.
...
Il libro che sto leggendo è la versione economica di «Il nazista e il barbiere» di Edgar Hilsenrath, editore Marcos y Marcos. Il racconto comicamente crudele e surreale della metamorfosi di un ex-nazista dapprima scampato alla giustizia postbellica nei panni di un barbiere ebreo poi, gradualmente, divenuto un convinto sionista e un combattente per Israele.
Libro - scritto da un ebreo tedesco e pubblicato grazie all'impegno di Heinrich Böll - curiosamente e meravigliosamente perfido. Un piccolo capolavoro.


5.3.10

Faticosamente...


È uscito. Sinceramente fino a un paio di mesi fa non ci avrei scommesso. Prima della famosa riunione dei redattori e collaboratori. La riunione dove ho constatato quanto LN fosse ormai, da un certo punto di vista, una rivista «nazionale». «Nazionale» perché per mettere insieme davvero i collaboratori della rivista avremmo dovuto farla a Roma e non a Torino, in modo che i redattori, siciliani, napoletani, toscani ecc. non fossero scomodi per incontrarci.
Torino è in Italia, forse, ma non ne sono poi troppo sicuro.
In bilico sul confine con la Francia, con un passato che di italiano ha proprio poco.
Nel 2006 abbiamo festeggiato l'assedio di Torino, con Pietro Micca che fa saltare i camminamenti per fermare i nemici. Che parlavano francese, esattamente come i nobiluomini piemontesi. Una guerra tra cugini, tra parenti. Cattiva, come tutti i litigi in famiglia.
Torino non sta troppo bene, ultimamente. Con la Fiat che le dà l'ennesimo addio. Un lungo addio. E tutti a chiedersi: «e adesso?». Il cadavere della Fiat è enorme e praticamente indigeribile per la città. Alla fine di corso Traiano hai di fronte la Mirafiori Fiat. Un insieme gigantesco di fabbricati, capannoni, padiglioni che tengono quasi un chilometro quadrato. Poi per ogni lavoratore Fiat ce ne sono altri 4 nell'indotto. A fare stoffa per i sedili, parti meccaniche, plastiche eccetera. Mirafiori, per dire, è un nome regalato al sud di Torino dai Savoia.
Fiat e Savoia sono concresciuti per anni e anni.
Puoi immaginare Torino senza Fiat?
Può esistere?
A fare che cosa? A organizzare olimpiadi tutti gli anni? Con gli operai riconvertiti a camerieri? I quadri a maggiordomi? I dirigenti a sommeiller?
Se se ne va la Fiat - e se ne andrà, ovviamente - che cosa andremo a fare noialtri?
Senza poli di eccellenza di alcun tipo, a veder passare il famoso TAV mezzo vuoto...
...
LN è uscito, dicevo. Con tre mesi di ritardo. Ultimo della vecchia-nuova serie. Una lettrice mi ha fatto notare che se LN cambia formato dovrà cambiargli piano in libreria. Metterlo su un piano più alto. Il che potrà anche far ridere, volendo, ma ha un significato preciso. LN cambia, si trasforma.
Diventa altro-da-sé.
Come Torino, verrebbe da dire.
Speriamo di avere un futuro in questa Italia. Che è quella di Berlusconi, ma per poco.
Ma non chiedete che cosa verrà dopo, per favore. Potrebbe anche essere peggio.
In quanto a me, in questo numero ho scribacchiato qualcosina sulla storia recente di LN. Più punti interrogativi che punti fermi. E un lungo articolo sulle mie ultime letture, ripescando, allungando e arricchendo un articolo uscito su queste pagine.
Per i prossimi numeri conto di fare qualcosa di più.
Ma non troppo, ahimé.
La libreria mi mangia vivo.

27.2.10

Quando smetterà?


Lo so.
Non spetta a me dirlo. Non ho i mezzi, gli strumenti, la preparazione. Tutto, insomma.
Non leggo 4 o 5 quotidiani al giorno.
Sono scarsino in economia e sul piano politico sono un vecchio arnese con un minimo di formazione marxista. Ormai, nonostante il buffo parere di alcuni pensatori contemporanei Marx è passato di moda, di senso, di spessore, di significato.
Giudico lo stato delle cose appesantito da vecchie categorie - il moralismo, il puritanesimo di stampa vagamente luterano, qualche sfrigo di vecchie fissazioni da anarchico e figlio dei fiori - e, in genere, sbaglio clamorosamente a votare finendo sistematicamente negli «altri» sulle tabelle dei voti espressi.
Da giovane ho avuta una breve - e terribile - esperienza con la FGCI. Qualcuno si ricorda cosa significa questa sigla? Probabilmente "federazione giovani comunisti italiani" suppongo. Terribile, dicevo, perché ricordo ancora adesso una riunione nella quale uno - meno giovane della media degli intervenuti - ci spiegava la linea del partito. La "linea del Partito", eh. Mica bruscolini. Osservai che non mi pareva troppo democratico ascoltare un bischero lasciando spazio giusto per qualche commento stuoinamente o entusiasticamente positivo. Mi fu risposto, guardandomi con evidente freddezza e una punta di sospetto degno della 3a Internazionale, che il luogo della discussione non era una riunione della FGCI.
Noi al massimo potevamo dissentire.
In silenzio.
E se insistevamo potevamo anche andarcene.
Cosa che feci quella sera stessa.
Mi rimase una diffidenza e un'antipatia ostinata per il PCI e tutto ciò che in qualche modo aveva a che fare con lui. La CGIL, la Coop, l'Unipol eccetera. Un'antipatia in seguito ereditata dal PDS, dai DS e dal PD.
Da fare felice Berlusconi, apparentemente.
O forse no, dal momento che ciò che mi piaceva poco del PCI era l'inedia del dibattito interno. E in quanto a dibattito interno persino il PD è un'adunata di anarchici fumati in confronto al cimitero del PDL.
...
No, ciò che mi urgeva dire è che bisogna impedire a Berlusconi di parlare.
Farlo tacere, ma senza violenza. Per carità.
Farlo cantare, renderlo un one-man-band.
Offrirgli da mangiare e riempirlo di polenta e camoscio, pappardelle al cinghiale, ragù di lepre, timballo, arrostino al pepe, patatine fritte, sushi, insalata mista, gorgonzola piccante, noci, mandorle, torrone, cannoli, bignè, caffè e grappino.
Lo so, c'è della cacciagione e non si dovrebbe. Ma il berlusca sta a zero come coscienza ecologica.
Lo si potrebbe mandare sott'acqua con un potente respiratore. Un bel giro del Mediterraneo, per dire.
Regalargli un migliaio di cannuccie per produrre bolle di sapone.
Un basso tuba.
Un sax basso.
Un set di scacciapensieri. Dal soprano al baritono.
Insomma, farlo finalmente tacere.
In proposito si accettano idee, proposte, suggerimenti. Chessò, potremmo arrivare a Palazzo Grazioli - o dove accidenti si trova - recando con noi un grissino lungo 22 chilometri, un grosso chewing-gum, una presa di tabacco da mastico grossa come una balla di fieno. E offrirla al Nostro.
No, perché il problema è che sono stanco, disgustato e nauseato delle scemenze che spara tutti i giorni.
Stare qui a misurare i cali di vendite e sentirlo dire che tutto va bene, l'Italia si è salvata dalla crisi, il peggio è passato... beh, non se ne può più.
Davvero.
Non entro nel merito delle sue infinite, interminabili grane giudiziarie.
Mi accontento di un silenzio sul piano economico.
Per quanto...
Ecco, ma voi prendereste sul serio le parole di uno che non è andato dentro giusto per le prescrizioni - che si è prescritto da solo, comunque?
Ma voi credete alle chiacchiere di un megavenditore di megapentole?
Non vi viene voglia di cambiare canale?



17.2.10

Un nuovo/vecchio libro


L'abbiamo pubblicato noi, quindi è normale che qui se ne parli.
Anche se qualcosa di questa antologia qualcuno l'ha già letto.
Infatti in «Foglie multicolori» ci sono nove racconti già pubblicati in Fata Morgana.
Altri nove, invece, sono del tutto inediti. «Del tutto inediti» riguarda sia i racconti che gli autori.
Merita spendere 16,50 euro per nove racconti inediti?
Proviamo a rovesciare il ragionamento.
Merita spendere qualcosa per alcuni racconti già pubblicati?
Secondo me sì.
È una sfumatura sottile ma sensibile.
Nell'impaginare e correggere il testo ho riletto anche i racconti già pubblicati e già impaginati li ho apprezzati meglio della prima volta. Segno che i racconti erano buoni - e questo lo sapevo già - ma non solo. Averli inseriti in un'antologia di racconti nipponici li ha resi in un certo modo più evidenti. Il risultato è un libro che dà una buona idea dello stato attuale della narrativa - e della vita - nel paese del Sol Levante, mooooolto di più di un articolo o di un reportage.
Per citarne alcuni, senza più fare distinzioni tra edito e inedito, posso ricordare il bellissimo e struggente «Il letto di fiori» di Matsumoto Yuko, l'acido, freddo e tagliente «Seppure con rammarico» di Sakuraba Kazuki, il tenero e maliconico «La mano gelida» di Bando Masako, il delicato e disperato «Nè sicuro né adatto per nuotare» di Ekuni Kaori.
Racconti che non è facile dimenticare.

Nota: se questa breve tirata vi ha fatto venire qualche curiosità e desiderio potete scrivere a cs_libri@fastwebnet.it e ordinarne una copia. Ve lo spediremo senza spese postali. O, se abitate a Torino, potete passare in CS, via Ormea 69.

13.2.10

Un lungo ritorno

Un ritorno non so quanto desiderato e atteso, ma comunque un ritorno.
In gennaio vedo che non ho scritto qui neppure una riga.
Ho avuto un bel po' da fare, a chi interessasse saperlo. Lavoro da fare in libreria - non milioni di lettori, comunque, sia chiaro - ma lavoro di contabilità, lavoro nel preparare le rese e nel controllare le giacenze, lavoro per preparare l'antologia poi regolarmente pubblicata a fine gennaio, Foglie multicolori - racconti dal Sol Levante, lavoro per racimolare i soldi che servono per pagare le ricevute bancarie dei signori editori e altro lavoro per tentare di far entrare qualcuno in libreria.
Sono sopravvissuto ma quest'ultimo impegno, quello di fare venire qualcuno in libreria, non posso esattamente dire sia andato bene. Il gennaio 2009 è stato un pianto, ma il gennaio 2010 è stato persino peggio.
Perché?
Beh, posso avanzare mille e mille ipotesi ma, in definitiva, penso che basti il titolo in prima pagina del giornale di oggi: «Italia: crolla il PIL, mai così male da 40 anni». Bòn. Qualcosa da aggiungere?
Certo, gli ultimi due mesi del 2009 avevano creato qualche illusione, ma si trattava, per l'appunto, di illusione, ovvero, secondo il dizionario di italiano di « speranza infondata ».
Ci sono alcuni elementi, però, che inducono a ulteriori riflessioni e a qualche considerazione, probabilmente vana ma non necessariamente inutile.
I lettori.
In Italia sono pochi, ormai lo sappiamo o dovremmo saperlo tutti. Gli italiani che leggono un libro al mese sono più o meno tre milioni. In maggioranza - 60% contro il 40% - donne. Altri 20 milioni leggono di meno, in media 3 o 4 libri all'anno. Il totale dei lettori arriva intorno al 40% della popolazione. Il 60% - più o meno 36 milioni - non legge. Nè tanto né poco. Non compra al supermercato né in libreria. Un popolo grigio di milioni di persone che non ama i libri, anzi, ne è probabilmente spaventato o irritato.
Colpa di chi?
Si possono fare tutte le ipotesi possibili – l'azione nefanda di scuola e insegnanti , la mancanza di tempo, la scarsa familiarità con la lingua, le difficoltà della vista, la stanchezza dopo una giornata di lavoro, l'interesse per altri passatempi eccetera, ma il dato non cambia da una ventina d'anni a questa parte.
Anzi.
Alla fine degli anni '80 i lettori erano arrivati faticosamente a un 42% della popolazione italiana. Da stappare una bottiglia.
Ci si aspettava che col tempo i lettori sarebbero inesorabilmente cresciuti. Ricordo gli studi pubblicati all'epoca sulle pubblicazioni specializzate: «I bambini sono forti lettori, gli anziani deboli lettori se non semianalfabeti, quindi, fatalmente, se i bambini continueranno a leggere è fatale che i lettori aumentino...»
Non è successo.
I lettori (di libri non scolastici) tra i bambini sono addirittura diminuiti.
Tutti presi da internet?
Mapperpiacere.
Chi usa abitualmente internet lo ha aggiunto alle proprie fonti di informazione e conoscenza senza affatto disprezzare il libro.
Ma forse internet ha creato il desiderio di leggere gratis… E mancano i dati sui libri letti o scaricati da internet.
Possibile. Magari un'altra volta ci ritorno su.
Ma la sensazione è un'altra. Un dubbio che è diventato una modesta fissazione.
La qualità dei libri presentati al pubblico - mi rendo conto del paradosso che enuncio ma lo dico lo stesso - è ahimé diminuita.
Cerco di spiegare. Essendo, come mia abitudine, estremamente materiale. Anche se, possibilmente, dialettico.
Negli ultimi vent'anni sono letteralmente scomparsi, sostituiti da replicanti - semplici marchi senza sostanza propria - centinaia di editori. Non piccoli, intendiamoci. Garzanti, Nord, Giano, Guanda - solo per citarne alcuni - non sono più editori in proprio ma semplici ectoplasmi, scritte colorate sulla copertina. L'ultimo a cadere è stato Bollati Boringhieri, divenuto un feudo dell'impero Spagnol (leggi Longanesi - Messaggerie) e destinato a veder impallidire e scomparire uno dei maggiori cataloghi di saggistica italiano. Ne parlo con un minimo di conoscenza di causa dal momento che l'ex-responsabile commerciale dell'editore è mio amico personale e si è trovato, come si dice, buttato in mezzo a una strada da un momento all'altro.
La scomparsa di tanti editori mi preoccupa per un motivo fondamentale. Un biologo evoluzionista direbbe che la biodioversità è nettamente diminuita. E quando la biodiversità - nel nostro caso la bibliodiversità - diminuisce tira una gran brutta aria.
«Non ha senso stampare libri a tiratura medio-bassa o libri che vendono meno di cento copie all'anno», dicono i nuovi proprietari. A occhio un'osservazione ragionevole, se non fosse che di molti titoli se ne vendono effettivamente un centinaio di copie o giù di lì all'anno. Essere un editore di cultura - e non un grossista di tonno in scatola a basso prezzo - vuol dire anche tenere a catalogo titoli a bassa rotazione che hanno un elevato valore culturale.
E prima ancora un elevato valore umano.
I soldi possono definire molte cose, lo sappiamo, ma esiste un'area intangibile ai calcoli di borsellino.
O forse è giusto dire che esisteva.
Sembra un discorso che ha poco a che vedere con le premesse, ma non è così.
Oggi un cliente si lamentava che già i libri dopo un anno o due non sono più recuperabili.
Esauriti. Dimenticati.
Non parlava di capolavori assoluti, sia chiaro, ma comunque di buoni libri. Di libri intelligenti e gradevoli. Di libri che avrebbero probabilmente meritato una ristampa. Ma... il metodo originale del longanesi-sistema (poi copiato dagli altri editori) è questo: si stampano le copie pre-ordinate da librerie, librerie di catena e supermercati - senza sostanzialmente stamparne per eventuali riordini. Nel caso il libro si muova si procede con una rapidissima ristampa e così via.
Parrebbe un buon sistema.
Parrebbe, ma...
Difetti?
Beh, essenzialmente due:
1) la libreria che ha sottostimato le vendite possibili rimarrà presto senza il titolo. È ovvio che la piccola libreria, più oculata negli acquisti - o più povera, eddiciamolo via- sarà automaticamente espulsa dal mercato.
2) non rimangono copie disponibili per ulteriori, ritardate richieste.
Certo il libro può poi passare in collana economica, ma con le medesime regole.
Tempo totale di sopravvivenza del libro: 2 anni.
Q.E.D.
Applicando questo metodo alla saggistica che cosa se ne ha?
Brrrrrr....
Un libro su due non uscirà perché potenzialmente a tiratura troppo bassa. Il secondo verrà ristampato ma dovrà per forza trattarsi di qualcosa di specialissimo - o magari di adottato universitario - per giungere a occupare un posto definitivo nel catalogo.
Con questo genere di visione dell'editoria sembra così strano che una parte crescente dei libri che escono siano puro e semplice pattume? Pattume veloce e ben presentato, che si vende rapidamente e buonanotte. Più o meno come i venditori di miracolosi balsami universali che battevano le campagne nel XVI-XIX secolo.
È strano che i forti lettori siano stanchi, stufi, confusi e nauseati?
Io stesso sono qui che in certi giorni mi chiedo: «Ma non c'è proprio nulla di decente da leggere?»
Come posso chiedere ai lettori che entrano in libreria di sbavare a comando per «La bambina che non suonava la campanella» - seguito de «La bambina che talvolta suonava la campanella» - o «L'uomo che alle volte non ci sentiva» o «La donna che viaggiava sul sedile posteriore».
Eccitarsi per «Oh, prendimi dolce vampiro» o scodinzolare per «La compagnia della mezza montagna» scritto dalla dodicenne Ilaria di Saronno o ancora commuoversi per «La ragazza che odia gli uomini che disprezzano quelli che non odiano le ragazze» di Gundardan Allepallesson.
Trovare un buon libro dietro questo parete di nulla è diventato molto faticoso.
Non accetto domande per il futuro, in ogni caso.
Diciamo che se fossi in voi e se non facessi il mio lavoro mi dedicherei esclusivamente alla produzione della crescente galassia dei piccoli, sfigati editori. Esiste statisticamente la possibilità che un capolavoro possa uscire da lì piuttosto che dalle file normalizzate e normalizzanti dei grandi editori.
E non è poi detto che non lo faccia.


7.12.09

Qualcosa da leggere a Natale

Il tempo passa e, per quanto mi riguarda, il passare del tempo coincide con altre e nuove (e anche vecchie) letture.
Per "vecchie letture" intendo qui l'opera di Cordwainer Smith che ho ripreso in mano e riletto in questi mesi. Opere come L'uomo che comprò la Terra, L'uomo che vendette la Terra, riuniti da Mondadori in Nostrilia e Sabbie, tempeste e pietre preziose, pubblicato - magari qualcuno se ne ricorda - dalla Libra di Malaguti. So che circolano opinioni anche profondamente diverse su Cordwainer Smith e mi è capitato di leggere qualche stroncatura da parte di lettori di sf appassionati di hard sf, probabilmente delusi dalla tecnologia rarefatta e inafferrabile del mondo di C.S. Personalmente trovo il mondo di Smith, così profondamente remoto e così separato dal nostro, un vero miracolo narrativo che non smette di risvegliare in me inattese e imprevedibili suggestioni e sogni. Un mondo complesso e completo, una mitologia postmoderna, insondabile e struggente. Certamente qualcosa di profondamente diverso dalla sf, ma che - come per Lem e Sturgeon - può toccare profondamente il lettore disorientato e stupidamente immemore della nostra profonda e casuale natura.
Ho anche riletto altre piccole cose. Urania ripescati nella casa di montagna compilati con i piedi da sciagurati e malpagati traduttori - o forse libri semplicemente massacrati dall'intervento "editoriale" di F&L -, iniziato senza finirlo un libro di China Mieville, del quale penso molto bene ma che non mi è parso urgente terminare, letto e terminato I have landed del grandissimo S.J. Gould, del quale - volendo - potete leggere una breve scheda qui e un po' faticosamente, lo ammetto, letto e terminato Gormenghast 2 di Merwyn Peake, un fantasy straordinario che, perlomeno a me, ricorda per ispirazione, fantasia e gusto dell'assurdo nel descrivere luoghi e personaggi «Le botteghe color cannella» di Bruno Schulz. Lo so, un ebreo polacco e un inglese di formazione cinese non paiono avere molto in comune, ma se non ci credete leggeteli contemporaneamente...
I libri letti per LN, la rivista, sono stati parecchi. Al momento LN e il suo destino sono in bilico, in attesa della riuni0ne di redazione prevista per il 14/12, ma la lettura - come è normale - non si è mai fermata. Si legge per recensire su LN, certo, ma prima di tutto per se stessi.
Una perfetta stanza di ospedale di Yoko Ogawa unisce due racconti giovanili della scrittrice giapponese, il primo che dà il titolo al libro e il secondo, «Quando la farfalla si sbriciolò», uniti dalla gelida e meticolosa attenzione nella scrittura. Il primo racconta la perdita di un giovane fratello, il secondo la scomparsa dal mondo di tutti i giorni di Sae, madre della protagonista, rinchiusa in un ospizio per anziani e destinata a svanire lentamente dal presente e dai ricordi. Due racconti dolorosi per tema ma sensibili e delicati nella scansione e nella fredda vibrazione dei sentimenti.
Senza allontanarsi dal Giappone è possibile divertirsi e imparare qualcosa leggendo A morte lo Shogun di Dale Furutani, americano di origine nipponica autore della trilogia del samurai Matsuyama Kaze, qui contrapposto a Tokugawa Ieyasu, primo Shogun del Giappone. Kaze, alla ricerca della figlia dei suoi ex-signori, rovinati dall'avvento al potere di Tokugawa, sarà chiamato a sconfiggere un tenutario di bordello per pedofili e, nel contempo, evitare la cattura da parte degli uomini dello Shogun. Ovviamente Kaze, eroe della trilogia, riuscirà nell'impresa e nel farlo riuscirà anche a sventare una complessa trama guadagnando le stima e la considerazione dello Shogun Movimentato, divertente, scrupolosamente costruito come i due precedenti, un buon romanzo da compagnia .
Nota a margine, A morte lo Shogun è stato un gentile e gradito omaggio della Marcos y Marcos, nella persona di Grazia e Marco, titolari della casa editrice. Ovvi i ringraziamenti a questo punto. Ringraziamenti che posso estendere anche per la ricezione de Il tartufo e la polvere di Stefano Quaglia, curioso giallo di ambientazione albese - nel senso di Alba, capitale del tartufo - condotto dall'ispettore Arnaboldi, milanese e single catapultato nell'aromatica patria del tartufo a risolvere un assassinio piuttosto bizzarro. Libro non ancora terminato ma sicuramente gradevole, soprattutto per la scommessa di scrivere un giallo facendo uso di uno stile colloquiale.
Ringraziamenti per ringraziamenti, inserisco nell'elenco anche la Feltrinelli che mi ha fatto avere Porco tedesco di Knud Hamsun, danese di madre tedesca che racconta della sua non facile infanzia. Cresciuto negli anni '70 in una città «talmente piccola che finisce ancora prima di cominciare» si sentirà dire «per il resto della giornata e per tutti gli anni e tutta la vita» la breve frase - che dà titolo al libro: Por-co-te-de-sco! Por-co-te-de-sco! Por-co-te-de-sco!
Un libro sottilmente crudele, fatalmente grottesco e a tratti disperatamente comico.
Non mi è stato regalato, invece, Sette chiese di Milos Urban, sottotitolo «romanzo gotico praghese» e l'ho (non senza fatica) letto facendo attenzione a non macchiarlo, gualcirlo o smarrirlo essendo tuttora di proprietà della libreria. Non senza fatica, ho scritto, perché Sette chiese è un libro lentissimo - a volte ipnotico, in altre occasioni decisamente soporifero - nel raccontare la vicenda del suo protagonista «dal nome impronunciabile» e poliziotto fallito, del cavaliere Matyas Gmünd e del suo impresentabile amico-servo Prunslik e di Rozeta, creatura cupamente attraente. Un romanzo non soltanto lento ma anche talvolta incomprensibile senza avere sotto mano una carta - sia storica che contemporanea - di Praga. In particolare delle chiese e dei conventi.
Importante osservare che "gotico" nel contesto di questo romanzo ha un significato poco narrativo e molto architettonico, laddove "gotico" si oppone a "barocco". In senso proprio, dal momento che la serie di omicidi - superbamente raccontati, lo ammetto - nascono da motivi, per l'appunto, architettonici. Difetto fondamentale del romanzo, comunque dotato di una suo cupo e ossessivo fascino, è l'essere stato tradotto. Lo so, sembra un controsenso, ma per un italiano leggere un romanzo tanto profondamente basato sulla storia di Praga e della repubblica Ceca è un'operazione sinceramente priva di senso. Se qualcuno conosce - bene e profondamente - la storia della capitale della Repubblica Ceca probabilmente si divertirà una sacco leggendo della sacrosanta vendetta condotta contro gli architetti del regime comunista, altrimenti meglio lasciar perdere.
Altra delusione, anche se non così cocente, il libro di Nick Mamatas, Come mio padre ha dichiarato guerra all'America, abbandonato a due terzi della lettura dopo un inizio smagliante. Provate a immaginare di riuscire, aiutandovi con un manuale self-made, a costruire una bomba atomica. Dopo aver costruito la vostra personale atomica potrete anche, come Daniel Weinberg, dichiarare il vostro villino indipendente dagli Stati Uniti e "giocare" all'indipendenza come un piccolo stato autonomo. Ovviamente dovrete fare i conti con la stampa e i media e prepararvi psicologicamente alle folle che verranno a chiedervi asilo politico. Il romanzo di Mamatas è molto buono ma, come capita spesso a romanzi e film nati da una singola, ottima idea, finisce per trascinarsi straccamente dopo le prime magistrali 20-30 pagine. Come mi capita anche al cinema, il secondo tempo l'ho passato masticando mentine e me ne sono andato prima dei titoli di coda...
Un libro che, invece, ho letteralmente divorato è stato Deserto americano di Percival Everett. Mi è persino capitato, cosa che non mi accade spesso, di spiare con angoscia, man mano che continuavo la lettura, il ridursi delle pagine ancora da leggere...
Il titolo previsto dall'autore per il romanzo era Making Jesus, un titolo che appare, a lettura terminata, molto più adatto al tema dell'anodino titolo scelto dall'editore americano. Ted Street, il protagonista, è infatti chiamato a un'improbabile resurrezione dopo una vita che lui per primo giudica largamente insufficiente. Docente universitario senza genio nè particolari capacità, quarantenne con alle spalle una storia assurda con una studentessa mezza matta, insoddisfatto del matrimonio, incapace di comunicare con i figli, Ted decide di suicidarsi ma, mentre viaggia iin auto verso il luogo dove intende porre fine alla propria vita, viene ucciso da un camion nel corso di un incidente automobilistico. È lui per primo a giudicare una conclusione ovvia alla sua vita incolore il fatto di non essere nemmeno riuscito a condurre in porto il suo suicidio. Risvegliatosi nel corso della propria funzione funebre, Ted ritorna e casa e si rende gradualmente conto del grigiore sconcertante della propria vita, della sua aridità, della distanza con la moglie e i figli. Perseguitato dai media, minacciato da sette religiose convinte che lui, Ted, sia l'Anticristo in persona e concupito dall'esercito che vede in lui il prototipo di una possibile futura armata di immortali, il risorto verrà prima rapito da un gruppo di fanatici ultrareligiosi guidati da Big Daddy, caporione obeso e fanatico e in seguito sequestrato dall'esercito e deportato a Rosswell, New Mexico, dove sarà oggetto di un numero esorbitante di esami clinici la cui unica, inevitabile conclusione è che lui è morto.
Ted riuscirà a fuggire da Roswell e ritornare da Big Daddy. Lo sfiderà e riuscirà a liberare i bambini tenuti prigionieri. Diventerà un angelo, «Il morto che ha liberato 27 bambini», ma lui raggiungerà un'altra conclusione: «Non sono un angelo. Non esiste un dio nel nome del quale io agisco da emissario. Non sono un salvatore. Non sono un messia. Finalmente, in questa vita, sono soltanto una persona rispettabile.» Ted sceglierà di morire, ma finalmente pacificato con se stesso. Un ottimo libro, che merita leggere e rileggere.
Altri ottimi libri? Profumo di ghiaccio di Yoko Ogawa (sono due, lo so, ma quando un'autrice piace, piace) e X di Cory Doctorow. Il primo racconta di Ryoko, fidanzata di Hiroyuki, morto per suicidio. Lei è decisa a scoprire i motivi del gesto e ricostruisce gradualmente la vita di Hiroyuki, scoprendone gradualmente aspetti e interessi che ignorava. Hiroyuki appassionato di matematica ed eccellente pattinatore su ghiaccio, la sua famiglia che lui aveva celato presentandosi come orfano e figlio unico, un concorso di matematica a Praga dove è avvenuto qualcosa di inconfessabile. Il cammino di Ryoko è lento, inatteso e doloroso. Il ricordo di Hiroyuki ne uscirà almeno in parte trasfigurato ma anche più completo, definitivo. La morte potrà essere accettata. Un romanzo dalle atmosfere fredde e soffuse, delicatamente vicino alla morte ma anche, non poi così stranamente, consolante.
Il secondo, X - titolo dell'edizione originale Little brother - è un romanzo che è stato definito il 1984 dei nostri giorni, con più che qualche ragione. Little brother - romanzo disponibile gratuitamente in rete nel sito dell'autore - è la storia di un hacker di diciassette anni di età che mira a sopravvivere in un college noiosissimo e diretto da gente che non ha le idee troppo chiare sulla libertà personale e sulla privacy altrui. Marcus, w1n5t0n per il amici, ha imparato come imbrogliare tutti gli marchingegni e i programmini utilizzati dalla scuola per controllare i ragazzi della scuola e non se la passerebbe nemmeno troppo male se non fosse per l'attentato che colpisce il centro di San Francisco. Viene arrestato con altri tre amici e "trattenuto" dai membri del Dipartimento di Pubblica Sicurezza. Alla fine liberato e minacciato «non parlerai mai a nessuno di quel che è accaduto qui, mai. Sai che in tempo di guerra per i traditori è ancora in vigore la pena di morte?», Marcus decide che quanto gli è accaduto non dovrà rimanere segreto. Che la democrazia può essere disobbedienza, ribellione, disordine, irrisione, dileggio. Inventa una rete locale di connessione utilizzando una playstation e combatte contro il regime autoritario che negli US si va rafforzando.
Spesso divertente, a momenti francamente agghiacciante, un ottimo romanzo che ci spiega come la libertà - ovvero la possibilità di comunicare - sia sempre di più un problema di conoscenza e competenza informatica.
La rete di connessione di Marcus contro il Dipartimento di Pubblica Sicurezza.
Due modalità diverse di comunicazione, nel primo non esiste un centro, nel secondo tutto deve passare dal centro... Due modi molto diversi di vedere la realtà.
...Area fantascientifica, per concludere.
Un romanzo di Harry Turtledove, L'Ultimo Reich del ciclo Crosstime Traffic. Appena iniziato a leggere ma veloce e gradevole. Senza contare l'idea geniale di aver immaginato non la solita Germania che vince la seconda guerra mondiale ma una Germania che vince la prima. Provate un po' a immaginare l'America piena di soldati con il chiodo sulla testa, una lingua inglese dalla pronuncia un po' teutonica e gli scienzati ebrei fedeli al kaiser...
Poteva anche essere un discreto romanzo di sf Skyland di tale David Carlyle. Certo, il fatto che a un primo esame non paia esistere un "David Carlyle" tra gli autori di sf anglosassoni, come il fatto che non esista un traduttore, non mette troppo di buon umore: «ma come, ricominciamo con gli autori italiani con il falso nome inglese?» Certo, c'è il problema che i personaggi del romanzo sono tutti adolescenti e che quindi il libro sia a tutti gli effetti uno juvenile, categoria non ancora compresa e poco frequentata dall'editoria italiana e che non viene presentata come tale ai lettori. Ma il problema principale è che il romanzo non termina affatto a pagina 261... Esiste una seconda parte di Skyland. Ma dove? Chi l'ha scritta? È già stata scritta? Esiste in inglese? O in russo? O in cinese?
Mah.
In ogni caso se avete in mente di regalarlo a qualcuno avvisatelo che il libro termina prima che i nostri arrivino al confronto decisivo i nemici. Prima che la fanciulla si innamori fatalmente - ricambiata - del protagonista maschile. Prima che sia chiarito il motivo per il quale la Terra è al momento fatta di NxN frammenti che, misteriosamente, non si sono sparsi per il sistema solare. Prima che, insomma, si capisse qualcosa di quest'accidenti di romanzo...
Ultimissima nota per il primo volume del ciclo di Budayeen di George Alec Effinger, L'inganno della gravità. Un romanzo pubblicato dalla Nord nel 1989 con il titolo "Senza tregua" (da dove cavolo l'hanno preso un titolo del genere?) e che riappare vent'anni dopo (forse) in una nuova traduzione. "Forse" perché Hobby & Work non ha scritto da nessuna parte il nome del traduttore...
Comunque un buon romanzo, un hard-boiled ambientato in un delirante incrocio di culture. Il tipo di ambiente dove si vorrebbe abbandonare gente come Calderoli o Borghezio, tanto per vedere come se la cavano...
...
Basta, stop, fine.
Mi fermo qui.
Se non siete d'accordo con i miei giudizi, beh, scrivetemi.
In tutti i casi buona lettura e, a meno non ci siano fatti nuovi ed eclatanti, a rileggerci nel nuovo anno.
Auguri a tutti.
Di cosa... beh di quel che preferite.




4.12.09

un'altra novità


Dopo lunga e complessa gestazione è nato ed è uscito e disponibile il nuovo romanzo di Vittorio Catani, «Il quinto principio», pubblicato in Urania classici.
Un romanzo con il quale ho un rapporto un po' particolare che temo mi impedirà di essere sereno e imparziale nel giudicarlo [1]. Questo senza contare il rapporto che ho con l'autore, un amico dal quale mi separano i chilometri - Torino e Bari sono agli antipodi d'Italia - ma non le idee e il giudizio sul mondo.
Quindi invito coloro che passano su questo blog a scomodarsi fino a raggiungere la più vicina edicola e impadronirsi del romanzone (535 pagine in corpo times 10...). Per alcune ottime ragioni, alcune generali e che riguardano il rapporto tra lettori e fantascienza in Italia, altre semplicemente legate alla gioia e al piacere della lettura.
Tra le prime dirò che mi sembra molto importante che sia uscito un VERO romanzo di fantascienza scritto da un autore italiano. Un elemento sicuramente inconsueto e basilare in tempi nei quali gli autori italiani di fantastico sembrano avere al massimo di 17 anni di età e paiono capaci solo di (ri) scrivere cloni tolkeniani, senza avere la più pallida idea del passato del fantastico - in Italia e all'estero.
Catani ha scritto un romanzo ricco e poderoso, dal'intreccio felicemente ( e finalmente) complesso e ricco di personaggi che colpiscono il lettore. Ha immaginato il futuro di una Terra dove la democrazia si è spezzata e impoverita fino a morire, dove un'élite di poche centinaia di individui decide di avvenire e speranze di miliardi di persone, dove l'ambiente naturale è scomparso, sostituito da un rovente e arido incubo chimico, dove la privacy è definitivamente morta, sconfitta dalla PEM - la protesi elettronica mentale.
De «Il quinto principio» pubblicammo in anteprima su ALIA 2005 parte di uno dei capitoli centrali del libro, «Breve scalo in Antartide», scegliendo uno dei passi dove ci sembrava che più chiaramente trasparisse il senso profondo del mutamento epocale del nostro pianeta.
Di molto personale aggiungo una certa, fatale, invidia nel vedere come Vittorio sia stato abile nel condurre avanti senza ritardi o sbavature diverse vicende che si snodano parallele nel corso del romanzo e di concluderlo degnamente, senza le inevitabili "cadute" di tono, ahimé piuttosto comuni nel romanzi di distopia.
È meglio che non aggiunga altro, adesso.
Che a parlare sia il romanzo.

[1] Chiarisco, per evitare commenti, critiche, sogghighi e cachinni, che sono uno dei "lettori" in anteprima della prima stesura del romanzo.
Una "fatica" che mi onora.

26.11.09

Storia di una suocera che non era una suocera

In questi giorni, precisamente ieri notte intorno alle 23.00, è mancata mia suocera, Adriana Treves.
È stato un venir meno graduale il suo, un andarsene un po' per volta.
È morta sotto l'effetto di farmaci antidolorifici che le hanno impedito di soffrire, togliendole quella poca, problematica coscienza che le rimaneva. Dopo la frattura al femore avvenuta qualche anno fa, infatti, la mia povera suocera non era più stata la stessa. Confusa, distratta, dolcemente rimbambita potrebbe essere la definizione che meglio la rappresentava, mentre avevo ancora in mente la sua personalità precedente: risoluta, decisa, a volte beffarda o brusca, sempre intollerante verso la pigrizia o l'ignavia. Un po' complicata da sopportare (fino al limite del sogno di omicidio) se per caso vi trovavate a essere suoi sottoposti, un toccasana se - come è capitato a me - lavorava per la libreria.
Aveva molti difetti, Adriana. Non si permetteva di utilizzare la sua fantasia nei giudizi, e le sue valutazioni sul mondo e sulla gente erano talvolta brutali e spietati. Politicamente la si sarebbe potuta definire una sopravvissuta della terza internazionale, con, tuttavia, un curioso strabismo per il quale i suoi giudizi si ammorbidivano con la distanza. A un gruppo di maori avrebbe concesso generosamente un sesso perverso e promiscuo e una forma di governo basata sull'assolutismo non illuminato mentre dai suoi vicini pretendeva comportamenti piemontesemente luterani e moralmente irreprensibili ed un'aspirazione convinta e militante verso il sol dell'avvenire. La sua visione politica discendeva logicamente, in realtà, dalla sua personale weltanschauung, una bizzarra combinazione tra i molti curiosi influssi tra i quali era cresciuta: le suore del collegio privato, la mamma socialista e femminista ante-litteram, la zia per anni governante (e probabilmente amante) di un lord scozzese. Conseguenza secondaria e imprevedibile di questa combinazione di influssi la sua assoluta, totale, penosa incapacità come casalinga, anche a mezzo servizio. Adriana, potendo, avrebbe vissuto come un cavaliere francese del '600, tra feste in maschera e pranzi di gala, sempre allegra e pungente, un po' sbruffona e un po' eroe senza macchia né paura.
Con me, in qualità di genero, era semplicemente deliziosa. Una donna incapace di essere una proverbiale suocera. La sua personalità un po' surreale e sovradimensionata le impediva di essere ricca di consigli e giudizi un po' meschini e un po' lividi come ci si immagina debbano essere quelli della mamma della moglie. Tutto ciò che facevo, bene o male che fosse, le appariva perfetto, appropriato, corretto, indiscutibile e inoppugnabile. Non c'era piaggeria in questo ma semplicemente il rude - e forse un po' buffo - apprezzamento del lavoro di un amico maestro d'armi.
La morte per lei è arrivata troppo tardi.
È sopravvissuta a se stessa, colpita da microemorragie cerebrali che l'hanno resa man mano troppo simile a una nonnina delle favole: gentile, tremante e timorosa di tutto.
L'unica cosa che riusciva a risvegliare in lei qualcosa del suo antico carattere era il semplice citare un nome. Il nome del demente, Silvio B. Lo so, sembra un'affermazione poco in tema con quella che appare e probabilmente è, una memoria. Ma non posso farci nulla se la semplice comparsa di Quel Nome poteva indurla a dichiarare: «non pronunciate il nome di quel cretino! Bah, che gentaglia…». C'era qualcosa dell'aristocratica noia un po' snob della zia - governante e quasi milady - in quel modo di giudicare il demente. Ma, a ben pensarci, anche un pizzico dell'intolleranza rabbiosa di chi è diventato adulto con la speranza in un mondo migliore e si ritrova in un paese che ospita e glorifica «gentaglia» come Silvio B.
Il ricordo della mia povera suocera / non suocera mi accompagnerà a lungo in questa vita. Non essendo credente, l'unica immortalità che posso offrirle è questa.
Conoscendola, credo però le sarebbe bastata.

19.11.09

Sarà ieri è... oggi

Il nuovo libro di Silvia Treves, «Sarà ieri», è uscito.
Puntualmente, al 20 del mese, come preannunciato.
Centocinquanta pagine e 13,50 euro.
Il libro arriva in un momento parecchio incasinato per l'autore, ma come nel film "Il corvo" sono personalmente convinto che «Non può piovere per sempre». Di mio ci aggiungo un «Tieni duro, amore».
...
Del libro Consolata Lanza, scrittrice e amica di Silvia ha scritto:

…Perché questo è Sarà ieri: un perfetto racconto fantastico.
Disturbante, pericoloso, si insinua nella mente del lettore come gli oggetti che ingombrano lo studio si insinuano in quella di Lidia, stabilendo con lei un rapporto ambiguo e potente, dalle conseguenze imprevedibili.
Silvia Treves è maestra di questo tipo di atmosfere, gioca con il lettore e con la sua protagonista portandoli con sé al fondo della sua sapiente costruzione di misteri, crea una sensazione di minaccia usando sorniona vecchi portacenere e abat-jour, sgabelli di fòrmica, foulard fuori moda. Tanto più inquieta, questa storia impalpabile, in quanto tutto rimane nelle nebbie del non detto, nelle ragnatele dell’inesplicabile.

Parlando volgarmente di merce, denaro e tutte quelle cose lì, chi volesse prenotarlo può cliccare qui e compilare la richiesta. Il libro vi arriverà a casa senza spese di spedizione.

È un buon libro, penso.
Sono il marito del soggetto in questione ma lo penso lo stesso.
Potete trascinarmi in tribunale, ma lo affermo ugualmente.
Per qualsiasi lamentela, rammarico, protesta potete anche scrivermi.
Nel caso.
Non vi restituirò i soldi ma vi dimostrerò capziosamente e in modo cervelloticamente fraudolento che in realtà non sapete leggere.

Buona lettura!

6.11.09

Cercasi buontemponi e perditempo...


Capita, anche nella vita di chi non è famoso, di essere intervistato.
Personalmente sono stato intervistato per Viv'Arte da Fabio Lastrucci, ottimo amico e compagno - oltre che scrittore - nelle pagine di Alia e di Fata Morgana. Alcuni che leggono questo blog ricorderanno, credo, il suo minotauro del racconto La meccanica dell'Ambaradan, apparso su ALIA Autori Italiani o il suo "scarafaggio nero-nero di Castelvolturno" in Nella stagione arsa, apparso su FM 7 - una sorta di Metamorfosi au contraire.
Lastrucci mi ha fatto quattro domande sul mio lavoro (libraio-editore e perfino scrittore) e ho fatto, debbo ammetterlo, una certa fatica a rimanere breve e stringato come il canovaccio prevedeva. Ho detto cose sicuramente opinabili o criticabili. Ho probabilmente fatto affermazioni gratuite o indimostrabili e ho sicuramente insultato qualcuno - pur senza saperlo, conoscere l'insultato o averlo citato. Parlare di testi e scrittura risulta spesso fatale al mio precario equilibrio.
In ogni caso invito tutti a visitare il sito Viv'Arte.
Può essere utile e interessante, anche se saltate a pié pari il sottoscritto...

2.11.09

Novità!


Come dicono i grandi e i grandissimi editori...
Novità! Novità! NOVITA'!!!!
Scatoloni su scatoloni di titoli che soltanto in apparenza sono semplici libri, ma che - in realtà - sono forme di pagherò all'editore, indipendentemente dal valore intrinseco dei testi.
Ma in questo caso non è così.
In primo luogo perché la novità è stampata da noi e, non avendo noi distributori né, quindi, possibilità reale di rientrare rapidamente dell'investimento, rischiamo con una vera novità; in secondo luogo perché la novità è tale perché l'autrice è praticamente una semisconosciuta. Magari non sconosciuta per gli abbonati a LN-LibriNuovi, ma molto probabilmente ignota a chiunque altro.
Sto parlando di Sarà ieri, un romanzo breve - o racconto lungo - che ha a lungo riposato nei cassetti di Silvia Treves prima di trovare una forma adatta alla pubblicazione e che sarà disponibile in libreria entro una quindicina di giorni.
Chi è Silvia Treves?
Beh, punto primo è mia moglie. Questo rende il sottoscritto probabilmente la persona meno adatta a commentare un suo libro. Cosa che, infatti, non farò.
Punto secondo è un'insegnante di matematica. Due categorie - «insegnante» e «matematica» - che non promettano nulla di buono. Meno allarmante, comunque, la qualifica «matematica» - che pure può evocare una certa estraneità al mondo delle belle lettere - se comparato alla qualifica di «insegnante», vista la spaventosa quantità di docenti che ogni anno assediano le case editrici con i loro manoscritti.
E avendo (sinistramente) ben presenti alcuni tra quelli che ce la fanno.
...
Sarà ieri è un testo fantastico. Ma non è horror -anche se certe atmosfere possono risvegliare risonanze gotiche -, non è fantasy e non è fantascienza.
Dovendo incastrarlo da qualche parte e in qualche modo direi che si tratta di un sommesso e stupefatto viaggio in frammenti di passato estranei, accompagnati da curiosi e inattesi psicopompi.
Non ci sono morti né terrificanti agnizioni. Se va bene può capitare di affezionarsi alla protagonista e alla sua insaziabile e malinconica curiosità.
Nulla di più.
Se il libro vi interessa, comunque, sapete a chi chiederlo...


17.10.09

Ridisegnando lo stesso punto


Periodo di affollamento e di movimento in libreria, il motivo principale per la mia assenza su queste pagine.
Abbastanza logico, tenendo conto che sono partiti i corsi universitari nelle facoltà intorno al negozio. Fisica, chimica, farmacia, CTF, medicina. Visto l'andamento dell'anno fino a questo momento, direi che non è particolarmente strano né curioso se ci siamo buttati come un sol uomo nella pubblicità e nel servizio a questi clienti "obbligati", dove "obbligati" significa che le loro scelte sono molto limitatamente personali e in genere telecomandate dai docenti dei rispettivi corsi.
Curioso, detto di passata, che in qualche caso gli studenti ricevano il suggerimento - o l'ordine - di cercare di un libro l'introvabile "vecchia edizione" o di recuperare un libro esaurito da tempo... Pur essendo un po' merluzzi persino le matricole arrivano ad avanzare qualche dubbio un po' eterodosso su questo genere di docenti, così convinti che un libro esista ed esisterà sempre perché il ricordo è conservato nel loro trepido cuore. A pensarci bene un esempio di salda fedeltà alle proprie letture che ignora e spregia le novità a tutti i costi.
Qualcosa di profondamente - e teneramente - anacronistico di questi tempi.
Ma l'università italiana è forse qualcosa di profondamente anacronistico in sè e per sè, a pensarci bene. Tasse altissime in cambio di molto poco - o di quasi nulla - e una vita sociale che esiste soltanto nei bar schierati di fronte agli ingressi dell'ateneo. Pochi laboratori, nessuna riflessione sul proprio ruolo e i propri compiti e costi senza criterio, che pongono l'università a metà tra il college economico e il corso serale.
È possibile che sia normale.
Normale per un paese che si prepara a scivolare lentamente nelle ultime posizioni per numero di studenti, di laureati, per lettori di giornali e di libri, per numero di donne impiegate, per titolo di studio degli adulti...
Ci si abbandona a una decadenza malmostosa e intollerante, lamentandosi di auto bollate dalla grandine e litigando con immigrati con la radio sparata al massimo.
Si sente nell'aria questa nausea, questa noia di vivere.
Nel giro di un paio d'anni abbiamo cancellato i nostri progetti, le nostre speranze. Ce ne stiamo aggrappati sul confine col nulla quotidiano in attesa di una frattura irreparabile o di qualche speranza inattesa e imprevedibile che ci rimetta in gioco.
Invecchiare probabilmente è tutto qui. Mettere tra parentesi la vita, preferendogli un'attesa grigia e limacciosa della fine.
Sarà il Demente il colpevole? Può essere una consolazione, quasi una speranza.
Forse la scomparsa del cavaliere può rimetterci in gioco, ridare colore alle cose di tutti i giorni.
Forse.
La realtà probabilmente sta tutta in un mondo che, come in Ubiq di P.K.Dick, si degrada senza mutare la propria natura profonda. Bisogna probabilmente fare come il cavaliere di Münchhausen, sorreggerci e sollevarci da soli prendendoci per il codino.
Recuperare un po' di speranza nel futuro. Ricominciare a ragionare del futuro, combattere per il futuro. Progettare, sorridendo, la fuga dal nostro pianeta.
Anche vecchi, anche stanchi, anche disperati.
Immaginare nuovi cieli e nuove nuvole.
Sembra facile, certo, ma non lo è affatto.
L'ansia ci paralizza al primo gesto, alla prima rottura della routine quotidiana.
Si rifluisce - fa sorridere già soltanto pronunciare questa parola: «riflusso» - nella solita traccia dei nostri gesti quotidiani, ritornando a maledire una misteriosa crisi senza fine e soprattutto senza un preciso inizio. Stramaledendo il Demente e la sua corte di mezzuomini senza fantasia né audacia, ma tutti insieme - noi e loro - chiusi in un piccolo cerchio senza orizzonte.
Si pensa, si medita, si riflette senza respirare. Un'apnea della mente dalla quale non si riesce a uscire. Si disegna e si ridisegna lo stesso punto su un foglio senza smettere e senza ottenerne consolazione o speranza.
Forse è il momento di trarre un grande respiro. Qualcosa di grande e inatteso che spazzi via la paura e i suoi infiniti alfieri.
Anche solo per un attimo.


26.9.09

La Brunetta e Papageno


Tutti l'abbiamo sentito.
Difficile non sentirlo, sia per i mezzi che l'hanno diffuso che per il volume e i toni utilizzati.
Ancora più difficile non scrollare il capo e deprecare. O incazzarsi come lupi, sia pure con un sottofondo di iraconda e disperata malinconia. Difficile, infine, sottrarsi alla sensazione di aver ascoltato i vaneggiamenti di un Goebbels in sedicesimo alla corte del Demente che governa questo sfigatissimo paese.
Parlo di Brunetta ovviamente e del suo discorso a base di cazzo e merda che gli italoforzuti a congresso hanno coperto di applausi. Brunetta è un ometto - in senso proprio, fisico e morale - di quelli che a sentirsi applauditi perdono quel filo di ragione che episodicamente li sostiene.
«Quelli di sinistra che non hanno mai lavorato!»
Applausi.
«Che sono dei parassiti con la puzza sotto il naso!»
Applausi.
«Che vadano tutti a fare in culo, bastardi, farabutti, coglioni…»
APPLAUSONI, APPLAUSONI…
Probabilmente più di Brunetta bisognerebbe mandare a dissodar le zolle un tale pubblico, ma non è questo il problema. Il problema più grossso - e interessante - è il tema così malamente affrontato dal Nostro.
Brunetta da giovane era di sinistra. Curioso ma possibile. In fondo era di sinistra anche Giuliano Ferrara. O l'ex-direttore del TG di Italia 1, Paolo Liguori. Non era troppo simpatico nemmeno allora, si mormora. Un po' sottovalutato, un po' disprezzato, riesce comunque a diventare il pupillo di De Michelis (quello a suo tempo condannato per corruzione) e inizia una carriera universitaria dove non combinerà molto in fatto di pubblicazioni ma si darà da fare per arrivare a diventare un ordinario. Lui sostiene di aver scelto la carriera politica rinunciando a un possibile nobel per l'economia. Pensando che il Nobel per l'economia l'hanno a suo tempo ottenuto Milton Friedman, Joseph Stiglitz, Paul Samuelson e Franco Modigliani qualche dubbio è inevitabile.
Ma nonostante questo Brunetta è insoddisfatto e infelice.
Si sente spregiato e snobbato da «quelli di sinistra».
Reagisce brutalmente, irosamente, velenosamente. Li accusa di non fare un tubo dal mattino alla sera e di campare felicemente alle spalle del popolo italiano. Popolo italiano che, detto per inciso, è fatto sempre di più da vecchi più o meno rimbambiti che diffidano di tutto e tutti e che, accampati sulla panchina, sono ben felici di sbavare male parole su tutti.
E Brunetta gesticola e urla davanti alle panchine ottenendo l'assenso e persino l'entusiasmo da un pubblico di suonati e rincoglioniti o di apprendisti tali. La sorte che gli aveva assegnato il destino, in fondo, se non fosse che il Demente gli ha garantito un pubblico ben più vasto, scatenando e sparando tra le galassie il cupo e tumultuoso IO brunettiano.
Se, putacaso, io affermo (pacatamente, gentilmente) che alcuni dei cosiddetti "intellettuali" di sinistra sono né più né meno figli di papà, che talvolta formano un gruppo chiuso ed esclusivo, che diffidano o snobbano chi non è del loro giro e che acchiappano (acchiappavano, ormai) tutti i possibili finanziamenti per presentare opere opinabili o opinabilissime, dichiaro qualcosa che chiunque può verificare personalmente e con minima spesa. Basterà ricordare - è soltanto un esempio a caso, ovviamente - «Il Flauto magico» curato da Baricco. Ognuno può pensarne ciò che desidera, ovviamente, ma personalmente penso si sia trattato di un cazzata esorbitante, più o meno come l'Iliade (mal)riscritta dal medesimo soggetto.
Con tutto ciò, io non mi sogno di arringare il popolo invitandolo a ribellarsi contro i cacicchi di sinistra. Non vomito sciocchezze, mosso da un rancore adolescenziale contro i compagnucci di classe "di sinistra". Non invidio e non disprezzo, forse perché non mi hanno fatto ministro.
O forse perché non sono mai stato il pupillo di De Michelis.
Se bastasse, sarebbe bello che chi ha a suo tempo umiliato e trattato come uno Smerdjakov il povero Brunetta corresse a riparare il danno combinato, invitandolo a cena e prestandogli la moto.
Ma è troppo tardi, ormai.
Inutile invitare Goebbels a cena.
Non resta che attendere l'inevitabile caduta, sperando sia soltanto sua e non di tutti noi.

26.8.09

C'era una volta

Quello che segue è un intervento pubblicato sul Corriere della Sera di oggi, 26 agosto 2009. Una storica libreria indipendente di Milano chiude. E non riaprirà più. Pazienza, sarà la reazione di molti, ormai abituati alle FeltrinelliFNACMeLiCoopGiuntialPunto o decisamente ai banchi dei supermercati, con i libri schiacciati tra magliette in offerta e frutta non ancora o non più matura, convinti che non esista altro modo di vendere libri e "fare il libraio". Quello raccontato da Aldo Palazzi è la prova che un altro sistema purtroppo funzionava, ma non adesso, non di questi tempi.

«Mi rassegno, da settembre

la mia libreria chiuderà»

di Aldo Palazzi


Caro direttore, qualche giorno fa ho abbassato per l’ultima volta la saracinesca della libreria in corso di Porta Romana, a Milano. Malgrado tutta la buona volontà, per motivi economici e finanziari, era ormai difficile andare avanti. E così, dopo 32 anni, ho cessato l’attività. Al mio posto, in autunno, aprirà una banca. È un brutto momento, e non vedo alternative.

In quella nicchia dove migliaia di persone sono passate in questi anni, in futuro ci si potrà fermare per altri motivi, ma non più per comprare un libro. Con molta tristezza vivo anch'io il disagio e l'allarme per la chiusura di librerie indipendenti milanesi. Per librerie indipendenti intendiamo quel panorama molto variegato di librerie piccole medie e grandi, recenti e storiche, generiche e specialistiche, di quartiere e centrali, che non facendo parte di gruppi e non avendo alle spalle editori contribuiscono alla vita, non solo culturale, della città. Purtroppo bisogna essere realisti, in questo momento di recessione ogni imprenditore è schiacciato tra caduta dei consumi e stretta creditizia: il mercato è cambiato e stando così le regole non c'è più spazio, in termine di business, per queste librerie.

La politica dei grandi editori e distributori ha agevolato negli ultimi anni i grossi gruppi di acquisto privilegiando un riscontro economico immediato a discapito di un lavoro più articolato sui punti vendita con una diversa gestione del proprio catalogo. Se è vero che ormai il 70% di questo mercato è fatto dalla grande distribuzione e da librerie riconducibili a gruppi editoriali è altrettanto vero che il 30% rimanente ha un valore aggiunto diverso: difficilmente si potrà acquistare un libro di Beppe Fenoglio in un autogrill…. Per provare a correggere questa politica di mercato suicida per gli stessi editori, basterebbe probabilmente avere delle regole, come avviene in altri Paesi, con delle leggi in termini di sconto e di concorrenza e soprattutto farle rispettare. La concorrenza è sempre positiva ma deve essere regolata. Altrimenti in settembre altri si troveranno a fare i conti con la crisi, e a non riaprire più. Come la Libreria di Porta Romana.

Aldo Palazzi
26 agosto 2009