26.6.10

Lovecraft e le minuterie


Siamo a una svolta.
Qui si parlerà dello stile, ovvero del particolare approccio alla scrittura che ognuno di voi/noi sceglie.
Quale lessico utilizzare e quanto debba essere rozzo o raffinato, ovvio o ricercato, banale o personale. È particolarmente curioso notare come la scelta di una stile, ovvero di un particolare lessico influisca profondamente - tanto da definire - il tipo di narrazione che condurrete.
O, nella peggiore delle ipotesi, che finirete per condurre.
Il conflitto tra forma e contenuto è del tutto virtuale, temo.
Ovvero immaginario.

L'orrido vacuo indicibile.


Avete presente come scrive Lovecraft?

Non fatemi aggiungere una sua pagina, cercate di ricordarvi il racconto che è stato presentato al seminario nel primo ciclo di incontri.

Il racconto dove c'è uno che scopre di essere un mostro dopo che tutti noi lettori abbiamo sofferto e patito con lui per l'orrida prigionia nella quale era ridotto.

Bella storia, costruita abilmente, ma non ricordate nulla dello stile? Forse un po' pesante, efficace, ma un po’ sovraccarico.

A cosa era dovuta la pesantezza?


Citati, l'avrete presente no?

Citati ha l'abitudine (lo si vede bene nell’unico romanzo che ha avuto finora il coraggio di scrivere) di utilizzare sempre ALMENO tre aggettivi per denotare anche il più miserando e inopinato sostantivo.

La sensazione data da una sua pagina è simile a quella di un Calzone al tonno, mozzarella. prosciutto, funghi. carciofini, acciughe, gorgonzola, dadi per brodo, ketchup e currie.

Troppo in troppo Poco spazio.


La sensazione che dà Lovecraft è diversa.

Essendo il solitario di Providence un geniale monomaniaco, teneva sempre sottomano una trentina di aggettivi (putrido, informe, orrido, vacuo, indicibile sono alcuni dei must) che disponeva con sapienza e amore lungo il percorso del lettore, (che accompagnava nel territorio dell'incubo valendosi di una lingua oscura e arcaicizzante) fino a estenuarlo.

Una pagina di Lovecraft funziona egregiamente perché quasi ipnotica (e rende male se letta ad alta voce).

Citati e Lovecrafi sono due esempi utilissimi a definire un altro aspetto dell'm (microstruttura): il vocabolario (ovvero il lessico).

Ne abbiamo parlato in lungo e in largo durante le sessioni dedicate ai generi. scoprendo spesso di avere idee piuttosto divergenti su come definire il lessico li un testo altrui.

Il fatto è che talvolta si rischiava di definire l'ampiezza della scelta lessicale in assoluto, piuttosto che in rapporto al tipo di brano. Saggiamente, abbiamo sempre finito per decidere che le scelte lessicali devono essere aderenti al genere scelto, e buonanotte.

E bene abbiamo fatto, ma dove e come, quali e quanti aggettivi, avverbi, congiunzioni utilizzare non abbiamo neppure provato a dirlo.

Bene, adesso è giunto il momento.


Minuterie


Minuterie indica le piccole parti in metallo deputate a tenere Insieme sia un paio di forbici che la corazzata Minnesota.

Senza minuterie le forbici non funzionano e la corazzata Minnesota va a fondo.

Sono minuterie cose come gli aggettivi, le congiunzioni, gli avverbi. Ma provate un po' a fame a meno?


- L'aggettivo possessivo.


Gino vide Pino sul lungomare Sfoggia va, gonfio come un tacchino, il suo parka.


Bene, di chi è il Parka?

Di Pino, apparentemente Bene, la frase seguente è:


Pino si avvicinò a grandi passi urlando: - Ridammi il mio parka, bestia! Possibile che ticchi sempre il naso nel mio armadio?


Se il parka in oggetto non è il tema del racconto come il cappotto di Gogol, il lettore sobbalzerà e probabilmente tornerà indietro a rileggersi la frase, eventualità da scongiurare. L'aggettivo possessivo è una gran brutta bestia. Vi invito a diffidarne e a utilizzano con parsimonia e attenzione. In taluni casi si potrà agevolmente sostituirlo con ”proprio", ma molto spesso le cose fileranno più lisce se rimanete sul vago. Se il parka di Pino diventa semplicemente "un bel parka”, vi eviterete un sacco di equivoci.


Punto: quasi tutto ciò che si può dire bene con dieci parole può essere detto molto meglio con cinque Si tratta di un paradosso solo apparente. Se fate attenzione buona parte di ciò che scrivete in prima stesura serve solo a voi per capire dove state andando, Un po’ un'impalcatura che al termine della costruzione va eliminata Bene, eliminatela. E' un lavoro snervante ma anche sorprendente (a patto di farlo con attenzione e un minimo di tempo davanti).


- Gli aggettivi specificativi.


Siamo nel mondo di Citati. Gli aggettivi specificativi danno colore, sostanza, forma, risonanza, splendore a ciò che scrivete.

Più ne utilizzate meglio è, o almeno così pare.


L 'uomo indossava un abito

L'uomo indossava un abito scuro

L 'uomo indossava un abito scuro, consumato dall'uso

L 'uomo indossava un abito scuro, opaco e consumato dall'uso


Siamo a tre aggettivi (due aggettivi e un participio passato. va bene, potete anche togliere "dall’uso", totale tre aggettivi tre)

Ma anche qui è un problema di sensibilità, di gusto e di equilibrio.


L 'uomo indossava un abito scuro, malandato, misero


Può fare altrettanto bene al caso vostro, ma tenete presente che siete pericolosamente vicini al sovraccarico di significati,


L uomo indossava un abito cupo, trasandato, miserabile


Cominciamo ad avvicinarci alla misura citatiana (e all'autocaricatura).


L'uomo si trascinava stancamente con il passo piegato, incerto, esitante dell'uomo provato da una vita avara, rude, impietosa. Indossava un abito tessuto di ombre logorate, miserando, penoso.


E qui siamo all'apoteosi citatiana. Non si tratta di una citazione ma un parodia (ma se avessi inserito una citazione non vi sareste accorti della differenza).

Solo i fighi bestiali scrivono così, rutilando di un intero vocabolario imparato a memoria.

Fatto sta che non è il numero o la raffinatezza degli aggettivi utilizzati a fare l'efficacia di una descrizione, ma la loro potenza iconica.


L’uomo indossava un abito scuro, anonimo e detestato.


Sono sempre tre aggettivi, ma raccontano la vita del personaggio, lo staccano dallo sfondo.

Non si è solo descritto l'aspetto del personaggio, ma anche delineato il suo approccio verso il mondo, fatto di rancore, di confuse ambizioni e di timori. La scelta del colore denota conformismo, e l'aggettivo anonimo contiene e implica logorio. povertà, consunzione.

Ultimissimo elemento. Aver inserito una congiunzione tra il secondo e il terzo aggettivo ha reso più leggera l’immagine, obbligandovi a fermarvi per una frazione di secondo.


- Complementi.


Disse in tono burbero.

Commenti con aria seccata

Osservò in tono pungente.

Sospirò con espressione esasperata


Disse burbero

Commentò seccato.

Osservò pungente

Sospirò esasperato.


Rileggete tutto quello che avete scritto in vita vostra e tutte le volte che trovate "In tono", “con espressione" ecc. ecc. ELIMINATELI. La vostra prosa ne guadagnerà enormemente.


- Le congiunzioni.


E/ed, 0/od, a/ad.

Baricco (ma anche Erri De Luca) sostengono la necessità di eliminare la D eufonica. Baricco (ma non De Luca) arriva a dire che si deve scrivere "stupido e ebete", "andare a appollaiarsi" ecc. ecc.

In realtà la cosa mi sembra di interesse alquanto limitato. Una volta tanto Baricco può anche avere ragione e posso concordare con lui che "ed edonista" evochi soprattutto l'immagine di un potente raffreddore, ma perdere più di un minuto a discuterne è già troppo.


- Gli avverbi.


Quelli che finiscono in -mente sono pericolosi.

Balzano all'occhio del lettore e anche se sono utili (lo spinse da parte violentemente, l'abbracciò affettuosamente) sono anche ingombranti. Molto spesso posso essere resi con un complemento (lo spinse da parte con violenza, l'abbracciò con affetto) o con una perifrasi.

Ricordate che il verbale di polizia o la pagina di cronaca nera sono sempre 'n agguato (... Si introduceva furtivamente nel locale disabitato dopo aver...). Due avverbi in -mente nella stessa frase danno spesso la stessa impressione che dà una valigia troppo piena, ovvero di un'imminente esplosione.


RICAPITOLIAMO:

L’aggettivo possessivo non è sempre necessario

L 'aggettivo specificativo deve specificare qualcosa sul personaggio e non sulla

cultura dell 'autore.

I complementi hanno da essere brevi

Gli avverbi in -mente devono essere numerati e pagare dazio


arrivederci alla prossima puntata!


12 commenti:

Davide Mana ha detto...

Povero Lovecraft.
Sempre con lui ve la prendete.
E poi paragonarlo a Citati...
Ah!

Fran ha detto...

Questa puntata è proprio utile - la più pratica di tutte.

Credo che proverò a fare un esercizio tutto basato su queste piccole regolette...

Paolo ha detto...

Brutte bestie gli avverbi in -mente. Non se ne può fare a meno COMPLETAMENTE, ma sono TERRIBILMENTE ingombranti e DECISAMENTE goffi nella maggior parte dei casi.

E' una delle ragioni per cui invidio gli scrittori anglosassoni, che possono scrivere "overly complicated" e lasciar respirare il lettore, mentre un autore italiano di buone intenzioni esita a scrivere "eccessivamente complicato" per non mandare in apnea il suo paziente lettore.

Piotr R. Silverbrahms ha detto...

Insomma, scrivo da schifo.
Mannaggia alla pupattola, devo proprio applicarmi meglio.

Tu, perfido d'un aggettivo sostantivato in via d'avverbiatura, se osi solo pensare di non continuare con queste lezioni, rischi la vita. o per lo meno le quattro gomme della macchina.

Massimo Citi ha detto...

@davide
Non ce l'ho affatto con caro vecchio Lovecraft. Anzi. Il concetto è che mi serviva un autore sufficientemente popolare ma con la qualità - pregio o difetto è il lettore a deciderlo - di utilizzare un lessico sufficientemente ricco ma senza il vezzo di esibire alcunchè. Il che non si può esattamente dire del buon Citati...
@francesca
Spero davvero sia utile. Non volevo (volevamo) offrire un baedecker ma soltanto una modestissima guida, ma speriamo sia ugualmente utile.
@paolo
Esattamente, correttamente osservato... L'italiano è una lingua un po' ingessata e altamente formale. Ma permette alcune raffinatezze di espressione non comuni, davvero. È solo questione di non utilizzare le forme più macchinose.
@Piotr
Ma non è vero che scrivi da schifo, perdinci!
Un quanto al manualetto... purtroppo è quasi finito. Ancora un paio di puntate poi andrò in ferie. Come dicevo poco fa è soltanto un piccola introduzione alla scrittura, non un manuale... meno che mai un manuale serio.

Paolo ha detto...

Non è poi tanto facile imitare lo stile di Lovecraft o, meglio, è fin troppo facile farne becera parodia.

"When a traveller in north central Massachusetts takes the wrong fork at the junction of Aylesbury pike just beyond Dean's Corners he comes upon a lonely and curious country. The ground gets higher, and the brier-bordered stone walls press closer and closer against the ruts of the dusty, curving road. The trees of the frequent forest belts seem too large, and the wild weeds, brambles and grasses attain a luxuriance not often found in settled regions. At the same time the planted fields appear singularly few and barren; while the sparsely scattered houses wear a surprisingly uniform aspect of age, squalor, and dilapidation."

E' una prosa che permette al traduttore un buon numero di virtuosismi, se ha il tempo e la voglia di scrivere, leggere, riscrivere e rileggere come faceva il caro vecchio HP. Se non ce l'ha, vengono fuori le versioni abbastanza piatte che tutti conosciamo:

"Quando un viaggiatore nel Massachusetts del centro nord, prende la strada sbagliata al bivio del Picco Aylesbury, subito dopo Dean's Corner, entra in un territorio solitario e curioso. Il terreno sale, e i muretti di pietra bordati di rovi si stringono sempre più contro i solchi della strada polverosa e tutta curve. Gli alberi delle numerose strisce di bosco sembrano troppo grossi e le erbacce e i cespugli crescono lussureggianti, com'è raro che capiti nelle regioni abitate. Allo stesso tempo, i campi coltivati appaiono stranamente pochi e sterili, mentre le case disperse qua e là hanno un'aria di vecchiezza, squallore e sfacelo, sorprendentemente uniforme."

http://www.readme.it/libri/3/3059010.shtml

Massimo Citi ha detto...

Magistrale commento. Tantissimi ringraziamenti, Paolo.
Verissimo che molti dei traduttori di Lovecraft hanno malamente massacrato il suo inglese.
E' preferibile e opportuno leggerlo in lingua, ma penso che comunque anche un lettore non anglofono abbia diritto a una buona, "amorevole" traduzione.
Resta il problema del testo originale. Non è facile stabilirlo, viste le notorie vicissitudini di Lovecraft con riviste ed editori.

Paolo ha detto...

La traduzione che preferisco di "L'orrore di Dunwich" è ancora oggi la prima che ho letto, nell'antologia "Colui che Sussurrava nel Buio" - classico titolo dell'Urania curata da F&L - sebbene leggendone altre versioni, e poi l'originale inglese, certe imprecisioni siano evidenti. Qua e là mancano intere frasi, però lo stile era molto meno legnoso delle altre due o tre traduzioni che ho letto in seguito.

Naturalmente ci sarebbe molto da dire sui "testi originali" di Lovecraft e su quello che facevano ai testi originali (di qualunque autore) i curatori dell'Urania. Gli appassionati di fantascienza hanno letto per vent'anni delle edizioni condensate alla maniera del Reader's Digest senza rendersene conto, per non citare la censura pura e semplice che negli anni '50 colpiva perfino autori come Clarke se solo si permettevano una divagavazione in campo filosofico o religioso.

Massimo Citi ha detto...

Il lavoro dei curatori di Urania ha felicemente contribuito a rendere la fantascienza una letteratura giudicata dai più - qualcuno ricorda Moravia? - per poveri baluba.
Noialtri poveri baluba dovremmo ricordarlo quando ci troviamo a spiegare perché mai ci siamo, nonostante tutto, innamorati di una promessa che solo raramente diventava realtà.
Ricordo un piccolissimo elemento solo per dare un'idea del clima della sf anni '50. Roberta Rambelli, peraltro traduttrice qualificata, in un romanzo di P.K.Dick fu costretta - immagino - a tradurre con «quadretti con ragazze» ciò che un altro traduttore rese (correttamente) anni dopo come «tavole di bondage del famoso disegnatore XY».
Si può peccare anche col pensiero, insomma. E si deve rimanere stupidotti e baluba per sempre.

Paolo ha detto...

Cose da pazzi, veramente.

Ricordo il mio sbalordimento una ventina d'anni fa quando, leggendo "The Kraken Wakes" di John Wyndham, mi resi conto che "Il Risveglio dell'Abisso" aveva solo una vaga somiglianza con il romanzo originale. Dialoghi e pensieri dei protagonisti malamente travisati, passaggi tagliati o condensati fino a renderli incomprensibili, brillanti esempi di humour britannico segati via forse per non mettere qualche nota a pié di pagina, e due personaggi minori completamente aboliti!

In quanto a Clarke, l'esempio più scandaloso è la traduzione di "Childhood's End" ("Le Guide del Tramonto", titolo che travisa il tema del romanzo) quando il Supervisore Karellen mette a disposizione dell'umanità una macchina per vedere il passato. Naturalmente questo provoca il tracollo delle religioni più importanti. Gran parte di quel capitolo fu tagliata nel 1955 e non è mai stata ripristinata in nessuna delle edizioni successive, sia Urania che Oscar. Così quando il lettore legge nella seconda parte del romanzo che l'unica religione rimasta sulla Terra "era un'austera forma di buddismo" si domanda che cosa sia successo in Vaticano o alla Mecca.

Paolo ha detto...

Ho recuperato il reperto mondadoriano da uno scaffale polveroso e sto rileggendo con una certa meraviglia l'incipit di "L'Orrore di Dunwich", nella traduzione di Floriana Bossi.

"Chi traversi, diretto a nord, il Massachusetts centrale, arriva ad un certo momento davanti al Picco di Aylesbury. Qui, subito dopo i Dean's Corners, la strada si biforca, e il viaggiatore che per sbaglio prenda a sinistra invece che a destra, si trova ben presto in un luogo strano e solitario. Il livello del terreno sale, e stretta tra i due muriccioli di pietra, coperti di rovi polverosi, la strada si fa sempre più tortuosa ed erta. Gli alberi dei boschi vicini sembrano troppo grandi, e i rovi e le erbacce crescono con un rigoglio insolito per una regione abitata. I pochi campi coltivati che si incontrano appaiono d'altra parte singolarmente brulli, mentre le case sparpagliate qua e là hanno tutte una sorprendente apparenza di vecchiaia, squallore e disfacimento."

Come si può notare confrontando questo passaggio con l'originale e la traduzione più recente citata in precedenza, siamo in presenza, più che di una semplice traduzione, di una riscrittura del testo originale, che però mantiene in maniera efficace l'atmosfera del racconto. Non per niente le traduzioni che ho letto successivamente mi sembravano scialbe.

Sarebbe interessante separare le responsabilità della traduttrice da quelle dell'editor, ma se la prima è nominata, il secondo rimane anonimo, e questa mi sembra una palese ingiustizia sia in questo caso, dove il suo intervento, per quanto discutibile, è stato sostanzialmente positivo, sia in tanti altri dove non lo è stato affatto.

Massimo Citi ha detto...

Grazie per la precisazione.
Sarebbe sacrosanto indicare nel testo anche l'editor a fianco del traduttore, sono d'accordo. Nella piccola attività di editore che conduciamo l'importanza di un soggetto esperto che intervenga sul testo da pubblicare è - a dir poco - essenziale.
L'intervento dovrebbe essere (quasi sempre) leggero e incisivo, altrimenti, temo, cessa lo scopo della pubblicazione, per lo meno per gli autori italiani. La presenza dell'editor nel colophon del libro avrebbe la funzione di far circolare i nomi al di fuori del ristretto ambiente degli editori. E tutti sapremmo di chi sono certe responsabilità...