Ma un blog è il posto giusto dove pubblicare narrativa?
Probabilmente no, ma sono tempi difficili, tempi di lavoro esagerato, affannato, di improvvisi scatti di nervi, penose consultazioni con il commercialista, trattative interminabili con chi verrà dopo di noi, libri da eliminare, da regalare, da smaltire in qualche modo, accordi con chi deve portarsi via mobili, computer e altri impedimenta. Il risultato è che non ho il tempo né la testa per scrivere sul blog. D'altro canto, frugando tra le antichità della libreria - incredibile la quantità di carte d'ogni genere che si ritrovano su scaffali dimenticati o in fondo a un cassetto - saltano fuori testi pubblicati e poi perduti. Un collected paper collettivo di tutti coloro che nel tempo hanno collaborato con noi.
Inevitabile che tra tutti ci siano anche testi miei, sia pure pubblicati rigorosamente sotto pseudonimo, e fatale che i lettori di questo blog si trovino ad avere la possibilità di leggere questi brevi testi.
La luna sulla scrivania è un racconto di tipo calviniano - nel senso di ispirazione, non certo di qualità - pubblicato su Fata Morgana 1, della quale abbiamo ritrovato una scatola in un corridoio del sotterraneo. Riletto oggi, direi che rappresenta bene i miei sentimenti nei confronti dei «meneggment» che infesta questo disgraziato paese.
Nulla di violento, sia chiaro, e probabilmente, in ultima analisi, un'ammissione di impotenza, ma anche una certa allegra, maligna soddisfazione.
Buona lettura.
...
In
quell'angolo ci avevano sempre tenuto un enorme philodendron, un vero
gigante. Nel grande vaso qualcuno continuava a schiacciare mozziconi
nonostante i messaggi intimidatori lasciati da un paio di colleghe.
Ma la pianta non sembrava soffrirne, anzi: le foglie più giovani
arrivavano ormai a sfiorare il soffitto.
L'arrivo
del nuovo direttore ha segnato, tra le tante altre cose, anche la
fine dell'augusta pianta che avevo visto installata nel suo angolo,
fin dai miei primi giorni di lavoro. Le scrivanie sono scomparse
dietro tramezzi color cartone ondulato, ed ognuno di noi si è
trovato appartato in una specie di intimità: un'intimità aperta in
alto come una formica o un topo di laboratorio.
Prima,
il mio angolino era vicino alla finestra ed al radiatore, e mi
offriva oltre che vantaggi stagionali - sono incline ai brividi
frequenti - anche la possibilità di dare di tanto in tanto una
sbirciata al cielo. La nuova disposizione mi ha sbalzato al posto del
philodendron, finito chissà dove. Non mi sono lamentato, ho solo
sospirato guardando la piantina dell'ufficio sul pannello affisso
all'ingresso del piano.
La
mattina ho preso posto, un pochino a disagio come tutti, ho atteso il
collegamento in rete locale, ho impugnato lo scanner ed ho iniziato.
Devo caricare nella memoria di Esagerato, il computer centrale della
S.A.E.M., fatture, documenti accompagnatori, pezzi di carta più o
meno legali di tutti i colori possibili, dotati di cornicette,
righine, intestazioni pompose, ordinarie o addirittura grottesche o -
più raramente - eleganti, essenziali, quasi sicuramente opera di un
grafico.
Al
termine della lettura lo scanner emette un «Biiip» prolungato. Attivo la decodifica, controllo che Esagerato abbia letto
tutto come si deve e via, un altro foglio. Lavoro banale, certo, ma
che ha i suoi aspetti che se non definirei proprio divertenti, almeno
soddisfacenti sì. Ci sono ditte che hanno elaborato piccoli
capolavori grafici, scelte di colori, giochi di linee che mi
affascinano, rendono il passaggio lento, quasi morboso dello scanner
sulla carta, una parentesi di bellezza nell'aridità del mio lavoro.
Lo
sguardo segue la tenue luce verde imitando la sua puntualità che sa
di magia, perdendosi in linee e colori come in un quadro di Mondrian.
Ma
quella nuova posizione non mi piaceva. La luce del giorno arrivava
male fin lì, schermata, spezzata dai troppi tramezzi e la luce
artificiale alla quale ero ormai condannato rendeva i colori tutti
ugualmente acidi o neutri, smorzava l'impatto delle linee
confondendole, aggrovigliandole.
La
mano che disponeva i fogli nello scanner, la mia migliore
collaboratrice: seria, tranquilla, affidabile quanto i programmi di
Esagerato, ora aveva preso a scartare, si imbambolava come la mano di
un dilettante per poi compiere scatti repentini, assurdi. Il lavoro
di correzione dei suoi prodotti diveniva lungo e penoso, tanto da
ritardare l'intero reparto.
In
capo a pochi giorni sono passato dal fastidio all'incubo. Qualunque
ombra di bellezza è svanita dal mio lavoro, afferro i fogli con
rabbia, li passo nello scanner chiudendo gli occhi e premendo come un
invasato, foglio storti, capovolti dove lettere e numeri assumono
forme grottesche, creando alfabeti e sistemi di numerazione mai
esistiti sui quali il mio senso della bellezza, frustrato ma ancora
ben vivo, indugia qualche volta assaporando l'inebriante profumo
della rovina imminente.
Adesso
a casa picchio i bambini, io che ho trascorso senza lamentarmi e
senza uno scatto di nervi i primi tre anni
di vita del maggiore dormendo solo poche ore per notte. Ogni minima
contrarietà mi sembra un oltraggio intollerabile, faccio l'amore con
mia moglie con la stessa rabbia febbrile, la attraverso, la penetro
senza nessun piacere, la accarezzo saltando il seno quasi con uno
spasmo, boccheggiando sul ventre vellutato e rotolando
vergognosamente fino alle ginocchia, quasi mi fosse divenuto
impossibile riconoscerla.
Ho
incominciato a spegnere lo scanner ed a battere i dati direttamente
sulla tastiera, ma non ho modo di imitare la grafica peculiare di
ogni cliente e poi sbaglio facilmente, inverto i numeri. Il 362
diviene spesso un 326, il 679 si trasforma in 697.
Già
due volte ho trovato sulla scrivania un richiamo scritto della
direzione e so già che al terzo non sono più date altre possibiltà.
É
questo il motivo per cui ho comprato un grosso philodendron, il più
grande che ho scovato e mi trovo qui, fuori dalla S.A.E.M. ad un'ora
inconcepibile per il lavoro. Ho preso a nolo un furgoncino per
trasportarlo, la pianta è sul pianale alle spalle della cabina di
guida, in compagnia di un paio di asce da boscaiolo. Convincere i
sorveglianti esibendo un falso ordine di servizio e trasportare la
pianta fino al terzo piano non è stato un affare facile, ma adesso è
di nuovo qui, al posto della mia scrivania che ho trasportato accanto
alla finestra dopo aver abbattuto una dozzina di tramezzi.
La
luce della luna, questa sera resa nitida dal vento, illumina il piano
di lavoro e strappa piccoli riflessi allo scanner, ritornato solo per
questa sera ad essere il giocattolo più amato, quello desiderato per
lunghissime sere passate in attesa del sibilo morbido della
televisione dei genitori che si spegne, prima di addormentarsi.
Abbatto
i tramezzi, li ammucchio nell'ufficio del nuovo direttore. Li
dispongo uno sopra l'altro in perfetto ordine.
Ora
la luna illumina tutte le scrivanie, strappa riflessi d'argento ai
portapenne di vetro ed alle vaschette colme di clips, dona un colore
più scuro ed autorevole a dossier e cartelline. C'è pace,
equilibrio nella composizione, i piani di vetro rimandano una luce
sopita, scura, come il riflesso di onde leggere in un lago d'autunno.
Prendo
una sedia e la porto accanto alla finestra. Attenderò l'alba per
andarmene.
4 commenti:
Letto ed apprezzato. Mi sembra una bella metafora sulla spersonalizzazione dei luoghi di lavoro e sull'arroganza dei manager nostrani, che spesso, nel loro delirio d'onnipotenza, stravolgono realtà che magari nemmeno conoscono e che funzionerebbero meglio senza di loro.
@Nick: sei un fulmine. Sono contento che il raccontino ti sia piacuto. Nulla di che, ma mi ha divertito la fredda, calma passione del protagonista nello smontare tutta la pretenziona modernità del nuovo ufficio per ritornare al punto di partenza. Credo anch'io che i nuovi dirigenti siano più pericolosi che utili e che compito di chiunque li incontri sia quello di ostacolarli il più possibile...
Sono arrivata qui cercando una foto dell'imperatore Ming da postare ad un amico perchè penso somigli ad un travestito slavo di un video di musica trash che gli hanno postato su facebook. Poi ho letto le tue citazioni di fantasy, Dick, Kubrick e Haidegger: insomma il blog mi sembra interessante. Approfondirò leggendo oltre. Un saluto
Grazie, non sono molto affidabile per la frequenza, ma cerco di non lasciare troppo tempo silenzioso il blog. Sono un ex-libraio, come forse avrai intuito, un editore spiantato e un preteso scrittore. Ho un'età che non è bello scrivere e mi fa molto piacere incontrare nuovi lettori del blog. Quanto a Ming, si tratta di un personaggio fantastico. Narrativamente autocaricaturale ma esteticamente perfetto. Alla prossima!
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