Ho studiato parassitologia all'università per uno dei 12 o 13 esami di medicina che a suo tempo diedi. Era la parte più «amena» di un esame abbastanza tosto, quello di microbiologia. Considerevole, comunque, il numero e la varietà dei parassiti ai quali siamo esposti. Preciso che «ameno» l'argomento mi era apparso per via della mia insana passione per la letteratura horror e fantascientifica. E il parassitismo orrorifico oltre a essere uno spasso di per sè - corpi umani contaminati, devastati, posseduti, orribilmente modificati - confina con un altro dei luoghi della letteratura fantastica: la possessione.
Purtroppo i parassiti veri che prosperano dove le condizioni di vita sono insalubri hanno molto di orribile (non di orrido) e poco di suggestivo.
Più interessanti - e più vicine al concetto evolutivo di cooperazione caro a Kropotkin - mi sembrano creature di altro genere. I commensali ovvero, per esempio, i batteri che vivono nel nostro intestino procurandosi la sopravvivenza e regalando a noi (gratis, a differenza delle major farmaceutiche) alcune vitamine essenziali che il nostro corpo non sa sintetizzare biochimicamente. E i simbionti, ovvero creature che collaborano con reciproco vantaggio come le bufaghe e i coccodrilli.
Tutta questa classificazione mi è venuta in mente leggendo un interessante intervento pubblicato sul blog «Baionette librarie» retto da Il Duca.
Premesso che merita leggere per intero l'intervento del blogger, dirò che tesi centrale dell'intervento è che il prezzo dei libri è la conseguenza, come per tutti gli altri prodotti, dell'intermediazione. Intermediazione che, in questo caso, avviene nella forma della distribuzione. Soggetti della distribuzione sono:
a) il distributore (che grava con un 15-20% sul prezzo di copertina del libro)
b) il promotore (un 5%)
c) il libraio (25-30%)
Concisamente Il Duca definisce queste tre figure professionali «parassiti», nel senso che risultano inessenziali al processo creativo, del quale è primum movens l'autore, interlocutore l'editore e fruitore il lettore.
A rigore, afferma ancora Il Duca, i soli enti necessari alla lettura sono l'autore e il lettore.
E la distribuzione a mezzo internet può essere lo strumento che, facendo saltare la necessità della distribuzione fisica, rende il libro meno costoso.
Un discorso che fila perfettamente liscio.
Tanto liscio che vien voglia di andare a cercarne gli inevitabili difetti, se ne esistono.
L'essere un «parassita» non mi sgomenta più che tanto. Tanto più che sono anche microeditore (sempre un po' parassita, ma un po' meno) e autore (primum movens, perdinci!).
Ma la categoria «parassita» è forse un po' draconiana se persino il blogger di Baionette Librarie ammette, in una sua replica, che funzione del libraio è quella di fornire un valore aggiunto al suo stock di titoli svolgendo una funzione di orientamento. In mancanza di essa viene a cadere qualsiasi valore aggiunto e il libraio ritorna al suo status parassitario.
Osservazione laterale, ma non troppo.
Molti tendono a credere che la funzione di orientamento del libraio consista nell'emettere giudizi, consigli, indicazioni e controindicazioni a gentile richiesta. Fare, insomma, il bugiardino del libro a imitazione di quello allegato ai farmaci.
Questa è certo una parte del mio lavoro, tenendo conto che, come spiegavo in un mio vecchio post, un conto è orientarsi nella produzione un altro è avere effettivamente letto una quota significativa dei libri pubblicati. Ma la parte probabilmente più sottilmente e arcanamente efficace nell'influenzare le decisioni di acquisto dei lettori è la scelta dei titoli da esporre.
Tutti, persino i commessi delle Feltrinelli, sanno comporre una vetrina a forza di titoli in classifica - classifiche che per attendibilità, detto per inciso, non valgono letteralmente la carta sulla quale sono stampate - con ciò affermando ad alta voce: «Ecco qui la libreria per eccellenza dove puoi trovare i titoli che TUTTI, tu compreso, dovete aver voglia di leggere!»
La conosciamo tutti la frase: «Mangia merda! Miliardi di mosche non possono avere torto!»
Sarà per questo che ormai associo automaticamente le Feltrinelli ai fertilizzanti naturali?
Ma sto andando fuori tema, quindi mi fermo qui.
Se uno non compone una vetrina in questi termini e non affolla i dintorni della cassa di titolini cretini per il mitico «acquisto d'impulso» rischia in termini di incasso ma afferma che la libreria possiede un colore e un sapore del tutto propri e caratteristici.
Nemmeno io sono così temerario da ignorare i titoli che si ritengono più venduti e non trascuro di esporre i Camilleri, i Giordano, i Faletti, Jeffrey Deaver o il topo Firmino. MA, ed è un ma «pesante», accanto ad essi schiero Pahor, o James Sallis o Murakami Haruki, Druznikov, Von Arnim, Palahniuk. Il libro della mia amica Sara che non sarà chissacosa ma è fresco e dolcemente malinconico. La ristampa di un vecchio Iain M. Banks, un Ballard o un Pratchett. Amado e Cortazar, una novità di Marcos y Marcos - che raramente delude - Sedaris, Mailer e Philip Roth, Marina Jarre, Andrei Makine. William Vollmann e Patrick McGrath. E per brevità non accenno alla saggistica.
SE faccio questo - stimolo la curiosità, induco in tentazione - ho la benefica illusione di non essere propriamente un parassita e ho la sensazione di essermi guadagnato la pagnotta.
Il successo commerciale non è, in realtà, il metro di altro che di se stesso. Il «valore» reale dei libri è profondamente personale. Certi libri sono talmente intessuti con il filo delle nostre vite da diventarne parte.
Parassita?
Ogni anno in Italia escono più di 30.000 nuovi titoli.
Può darsi che un filtro non serva a nulla e che tutti i lettori siano perfettamente in grado di orientarsi autonomamente. Ma è difficile crederci, dal momento che il lettore non ha il tempo di informarsi costantemente. Molti (alcuni?) librai fanno - come possono, per quello che possono e ognuno secondo i suoi gusti e sensibilità - il lavoro di proporre qualcosa che non sia il titolo strapompato da marketing e dai media. Fa resistenza, visti i tempi, alla frenesia degli utili rapidi, dei margini inadeguati e assurdi per il tipo di prodotto.
Il libro può essere fruttuoso, anche economicamente, ma ha bisogno di tempo. Proprio come un bosco.
Non sarebbe il caso di promuovere - almeno i librai indipendenti - da parassiti a commensali o a simbionti del lettore?
...
In realtà a spingere in alto i prezzi nel mercato del libro in Italia più che l'esistenza di «parassiti» è la sua stessa irrilevanza economica. Troppo pochi i lettori e troppo basse le tirature in un mercato schiacciato e deformato dal peso di grandi gruppi editoriali - a loro volta feudi di imperi economici - dove è normale esigere tassi di crescita a due cifre.
Un quadro economico di questo genere - così sotto tensione - crea automaticamente una rincorsa al rialzo dei prezzi. Il risultato nel medio periodo è quello di espellere dal mercato gli editori che non ce la fanno creando marginalità. I libri su internet, nonostante le illusioni di Gamberetta & soci, sono sicuramente una risorsa (per chi sa utilizzarlo) ma allo stato attuale delle cose rischiano di essere semplicemente la fotografia di una sconfitta storica.
Perché, seriamente, stiamo rischiando di trovarci in un paese dove esistono - nel senso che sono distribuiti capillarmente e sono onnipresenti nelle librerie di catena e nella GDO - sostanzialmente 5 grandi gruppi editoriali. Con molti marchi ma un solo cervello editoriale. Che puntano su titoli e autori in grado di garantire un rientro rapido dell'investimento. E che vogliono presentare agli azionisti una cifra di fatturato preceduta da un + xx,xx.
Io, da anarchico malinconico, tendo a pensare che il vero parassitismo sia quello della proprietà. Ma sono nato in altri tempi e ho vissuto in altri anni. Quindi posso sbagliarmi.
In ogni caso, comunque, è bene avere chiari i bersagli.
Prima di ogni altra cosa.
14 commenti:
Con una laurea in biologia in tasca e anni e anni di docenza in scienze, ma soprattutto forte di una voracità da lettore onnivoro mi permetto di esprimermi sul parassitismo metaforico del libraio & Co.
Il parassita è una forma di vita che ne sfrutta un'altra causandole semplicemente danno. La filiera libraria, se funzionasse razionalmente - e non fosse ipertrofica, monopolizzata da pochi gruppi e se non vivesse di anticipi sulle tirature ecc.(non è il caso di quella italiana, questo è certo)- dovrebbe svolgere una funzione complessa, da commensale, se non da simbionte del lettore: scremare la produzione scritta, editarla, sostenere e "curare" gli autori giovani meritevoli, produrre l'oggetto libro, renderlo visbile e accessibile al lettore. Insomma dal primum movens (ma si può chiamare così l'autore, che si limita a produrre uno scritto?) al lettore è auspicabile che vi sia una struttura di produzione, promozione e filtro. Pensare che il libro vada semplicemente dal produttore al consumatore mi sembra un po' ingenuo.
Non sottovaluto affatto le potenzialità della produzione printed on demand, ma non mi auguro di dovermi orientare senza aiuto fra le produzioni di migliaia - milioni, in realtà, stiamo parlando del web! - di autori, tra i quali un congruo numero di byronelli... Probabilmente mi ridurrei a leggere sempre gli stessi scrittori per evitare fregature.
Il post del Duca è sostanzialmente dispersivo - impiega pagine e pagine di testo essenzialmente per dire che lui i libri vorrebbe pagarli un 60% in meno.
Condivisibile.
Ma poi?
Io non ho nessuna laurea rilevante alla discussione, però mi piace leggere. A casa dei miei c'erano sempre libri in giro, scaffali e scaffali, e ogni anno c'era da fare più posto per quelli nuovi: un vero incubo logistico.
Da quando vivo all'estero ho fatto incetta degli scaffali di casa, e poi ho cominciato ad accumulare per conto mio, ma ho letto ed acquistato più libri nell'ultimo anno che nei sette che lo hanno preceduto, ed il motivo è che ho finalmente trovato un libraio.
Se c'è veramente una buona percentuale del prezzo del libro che paga il suo lavoro, sono felice di pagarlo.
lungi da me voler attaccare librai ed editori, fa niente se si allunga la catena alimentare del libro.
però la loro sopravvivenza sta nel fatto che il libro come oggetto non è ancora passato di moda.
è bello avere un libro tra le mani, avere un dvd o una vecchia vhs non mi procura alcuna emozione.
ecco perchè con il peer to peer i vari blockbuster stanno perdendo milioni e milioni di euro. Invece feltrinelli e fnac varie, diversificando anche l'offerta (vedi: elettrodomestici e tecnologia) prosperano.
quando ci (mi) abituer(em)ò a leggere i libri su video, i librai potranno anche inventarsi giochi di prestigio od offrire bibite, ma non comprerò più libri da loro.
e questo non perchè mi sono anticipatici, nè perchè ritengo sia un furto il loro 25%.
semplicemente, saranno sorpassati.
cosa succederà allora se il libro non sarà più un profitto? I librai chiuderanno, gli editori non stamperanno più, gli scrittori continueranno a scrivere?
credetemi, non è una provocazione.
persino di troppa libertà si muore.
> Grazie Fran! Queste sì sono soddisfazioni.Spero di essere all'altezza delle aspettative.
> Davide: come si è detto vis-a-vis la tendenza a dare soluzioni facili a problemi complessi - e con piglio decisionista - è diventata una pessima abitudine. Da perdere al più presto.
> Silvia: indirettamente ti ha risposto Anonimo: persino di troppa libertà si può morire. O almeno si può perdere il gusto di leggere.
> Anonimo: il tuo intervento non soltanto non è polemico, ma mette bene a fuoco la situazione. Non ti rispondo qui, ma conto di farlo con un post dedicato al futuro del mio lavoro (se il mio lavoro ha un futuro).
Fa pensare quanto scritto da Anonimo: è vero che la società si evolve e tendiamo a comprare tutto via internet, ma è anche vero che la figura del libraio si può evolvere di conseguenza.
Navighiamo in internet e troviamo negozi virtuali praticamente per ogni oggetto, che corrispondono a negozi reali. Troviamo associazioni consumatori che confrontano prodotti e ci trovano il meno caro e quello con il miglior rapporto qualità/prezzo, con un click possiamo acquistare quasi qualsiasi cosa.
Eppure ritengo che il libraio anche in questa possa proporre, indirizzare, invitare.
Credo che CS con LN, blog, forum e siti si stia muovendo in questa direzione...
Si deve comunque ammirare la coerenza del Duca.
Il suo in fondo è un ideale rinascimentale - nel quale l'artista vive a corte, mantenuto dal Duca, appunto, al quale dedica e destina le proprie opere, rischiando di perder vitto e alloggio nel caso gli vada contropelo.
Originale.
Moderno.
Immagino abbia da ridire anche sull'invenzione del signor Gutenberg...
>Per Fran:
Cerchiamo di essere librai+, ben consci che il nostro tempo è limitato. Il problema maggiore è che lo scenario cambia molto rapidamente e che la natura cartacea del libro non è destinata a rimanere tale per sempre. Il rapporto con il web - o con qualunque altra forma di distribuzione capillare e immateriale - ne muta e ne muterà la natura. E non è nemmeno detto che la forma principale di espressione artistica letteraria resterà il romanzo così come lo conosciamo. L'integrazione con altri media (musica, ma non solo) diventerà probabilmente sempre più comune. Ne riparliamo tra vent'anni?
> Per Davide: effettivamente la conseguenza ultima del no copyright condotto oltre i limiti del buon senso è l'assoluta dipendenza - quasi una schiavitù - dell'artista dai suoi committenti. Senza una mediazione artistica editoriale il rischio è quello di riuscire a leggere soltanto "artisti" che sopravvivono di passioni temporanee. Estremizzando - ma forse non troppo - potremmo trovarci a discutere di romanzi fantasy con eroici protagonisti padani che lottano contro gli oscuri invasori arabi e slavi.
Personalmente credo che l'arte non debba ricercare il consenso ma la contraddizione. Infatti, dal momento che la penso così, trovo editori come se piovesse... : )
Ma non è così che va sempre a finire con le rivoluzioni e le religioni?
Uno ha una bona idea.
Prova ad applicarla.
Funziona.
Ma i fan vogliono ancora di più, ancora meglio.
Allora un deficiente decide di portare l'idea di partenza al suo estremo logico sviluppo e fa venir fuori la Rivoluzione Culturale.
O L'Inquisizione.
una volta a torino esisteva una libreria specializzata in fantasy-scifi-gialli (credo si chiamasse delitto e castigo...). non potrebbe essere quello il futoru delle librerie? in fondo, segmentando il mercato è anche possibile conoscerlo meglio...
La specializzazione è considerata dai guru dell'editoria commerciale l'unica via di sopravvivenza per i piccoli esercizi. Entro certi termini lo credo anch'io - infatti la nostra libreria se non fortemente specializzata ha comunque una forte impronta scientifica. Il guaio è che la piccola dimensione dell'esercizio determina molte difficoltà nel rapporto con i fornitori che tendono a snobbare di brutto chi viaggia sotto un certo numero di zeri di fatturato. Probabilmente sarebbe più ragionevole una specializzazione «orizzontale» ovvero in diversi media (libri, DVD, CD ecc.) anche se, a guardare come viaggiano questi settori dal punto di vista delle vendite, c'è da farsene passare la voglia.
Ultima cosa: un esercizio ha senso se paga almeno le spese e uno stipendio. L'estrema specializzazione rischia altrimenti di essere un passatempo per rentiers.
Leggendo i vari commenti di seguito, si notano due cose: che l'argomento appassiona e che c'è una notevole disparità: c'è il professionale, i commenti da lettore "avvertito" e quelli da lettore che non conosce le regole elementari del mercato librario... Sarebbe lo stesso intervistando gli autori (e per un Primum Movens questa "ignoranza" è decisamente più grave).
In Italia la lettura è talmente poco diffusa che la maggior parte della gente, che legga o no, considera il libro pura "opera di genio" e non anche oggetto da produrre.
Fran scriveva delle associazioni di consumatori. Se si dessero un po' più da fare per informarsi e informare i soggetti che difendono, forse anche in Italia si potrebbe avere una legge sul libro, come nei paesi civili. Così i librai non finirebbero nei musei dedicati agli antichi mestieri.
Anche se il Mercato mi pare andare in direzione ben diversa, con concentrazioni di capitali in gruppi editoriali italiani e stranieri sempre meno numerosi e sempre più grossi.
Anch'io sono un sostenitore della specializzazione (anche se non della iper-specializzazione).
D'altra parte, il fatto che Delitto & Castigo - non solo libreria ma anche punto d'incontro per gli appassionati, che ricordo e che rimpiango - abbia chiuso dopo pochi anni d'esercizio indica chiaramente che la specializzazione da sola non basta.
Anche qui, è una questione di educazione del pubblico, io credo.
Resto sempre esterefatta nel leggere sia i post di Massimo sia i commenti relativi al mondo del libraio, che non conosco per niente, così come l'editoria italiana. Del resto la nostra società ci porta un po' alla specializzazione e compartimentalizzazione, e quando uno sceglie di fare altro è difficile che possa capire i segreti di un mestiere e di una categoria.
Nel mio caso, ho anche lasciato l'Italia, e ho ridotto massivamente negli ultimi anni l'interesse per la politica dello stivale. Una misura più che altro antidepressiva, a dire il vero, ma che salva anche dalle domande dei colleghi sul "ma cosa sta succedendo nel tuo Paese?", che raramente hanno risposte di cui uno possa essere orgoglioso.
Però il commento di Silvia mi fa pensare ancora una volta al fatto che siamo dopotutto tutti colpevoli di quello che sta succedendo: le associazioni di consumatori dovrebbero rappresentare i consumatori - cioè noi, gli stessi lettori, se ne strabattono di protestare o richiedere prodotti librari diversi. Siamo noi quelli che comunque acquistano l'ultimo libro di Harry Potter o il suo ultimo clone. E siamo ancora noi che quando la libreria Delitto&Castigo sta per chiudere e fa i suoi bei saldi da chiusura non andiamo a chiedere perché.
È deprimente, ecco.
Chi è causa del suo mal...
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