24.1.12

Scatola nera


Continua a essere un pessimo momento. E questo non è certo un fatto nuovo.
Quando sarà finito, comunque, i passanti da questo blog saranno i primi a saperlo. 
Mi rendo conto che nell'anno nuovo ho postato sostanzialmente brani musicali, un racconto e un po' di lamentele. Così adesso saranno due, i racconti. 
Anche questo è piuttosto breve. 
Ma può comunque vantare una bella trombatura al concorso per i racconti indetto qualche anno fa da Delos. 
Tra me e i concorsi per racconti non corre troppo buon sangue, evidentemente. 
Dev'essere colpa mia, ovviamente.
...


        Almeno il prete che c'era prima era vecchio.
    Non anziano come lui: proprio vecchio cioè stanco, stufo, ancora in circolazione a dispetto di se  stesso.  Brontolava, sapeva di canfora,  di tonache conservate in  vecchi  armadi  di  stanze  dai soffitti  troppo  alti,  con  una lampadina impolverata appesa in mezzo alla volta.
    Era morto  dormendo, in modo ovvio,  liscio, e si  era portato via un  pezzo del loro segreto.
    – So  che eravate  molto legati.   –  Il pretino  ha mani  pallide, sottili,  da pianista.
    – Padre, lei suona?
    – Solo la chitarra, qualche volta.
    Perché sorride?  Cosa c'è da sorridere?
    – Ci conoscevamo da tanti anni, tutto qui.
    – Padre Antonio le  ha lasciato alcuni oggetti.   Lei è il suo  unico erede, non aveva più nessuno.
    – Lo so.
    Sta seduto malamente, dondolandosi.  Vorrebbe ordinare un altro bianco ma finché il pretino rimane lì è difficile.  Le due del pomeriggio: la piazza senza ombre, la chiesa dal portone  chiuso, le sedie di metallo e i  due ombrelloni a spicchi bianchi e gialli del bar.  Sceglie sempre  la stessa sedia – quella d'angolo – e guarda passare la gente nascosto dal fondo del bicchiere.
    – Le ho portato tutto, Padre Antonio l'aveva già preparato.
    Fa sì con la testa come un bambino immusonito.
    Il pretino gli  porge la borsa: una borsa  di plastica bianca con il  nome di un supermercato stampato sopra.
    Lui la prende e se la dispone in grembo con cautela.
    Lo scocciatore  non se ne  va.  Magari vuol sedersi  e far due  chiacchiere.  È nuovo, e prima di farsi accettare in  quel paesino di mezza montagna ce ne vorrà un pezzetto.  Per il momento la gente non gli vuole né bene né male: lo saluta e tira diritto.
    – Non credo sia roba di valore.  Padre Antonio era molto povero.
    Lo guarda  senza alzare  la testa.   Avrà già frugato  nella borsa,  il pivello? Dirgli qualcosa?  A qualcuno dovrà pure dirlo prima o poi.
    Prende un sedia  con le mani chiare, sottili  e dice: – Se permette  mi siedo un momento.
    Annuisce.  – Io prendo un bianco. Un altro.  – Dice con intenzione.
    – Buona idea.  Ne prendo uno anch'io.
    Il pretino  rovescia indietro  la testa  e si mette  a guardare  il cielo  di un azzurro polveroso.
    Apre un pochino la borsa: è tutto lì.
    – Sono curioso, lo so.  Ma cosa le ha lasciato Padre Antonio?
    Ha voglia di ridere: – non lo so.  Non lo sapeva neppure lui.
    Il pretino fa  un sorriso ingessato, beve  un sorso del suo bianco  e stringe le labbra.
    No, non gli dirà niente.  Quando toccherà  a lui farà come era d'accordo con Don Antonio, riporterà tutto al buco e buonanotte.
    – La saluto, allora.  Venga a trovarmi qualche volta.
    – Sono sempre qui, io.
    Padre Carmelo si  allontana a passi troppo lunghi, leggermente  sporto in avanti per non perdere l'equilibrio, più o meno come camminano i merli.
    «Forse ci riesci a diventare vecchio» dice tra sé.
   
    Si ferma per un'altra oretta poi torna a casa.  La borsa pesa, appena entrato la posa sul tavolo scostando la tovaglia macchiata di vino.
    Va a lavarsi, beve un sorso del suo in piedi.
    Tira fuori dalla borsa l'involto, foderato  con un vecchio maglione.  Le foto le mette sul  tavolo, disposte  regolarmente come  in un  solitario.  In  un angolo mette  il coso,  acceso  come sempre,  con  la  serie di  lucine  gialle che  si accendono e si spengono in successione.
    Le foto le ha fatte lui e per giunta  di notte.  Del disco o cosa diavolo era se ne vede  poco: era  quasi tutto  interrato.  In una  foto si  vede anche  il Don Antonio di trent'anni prima con in  mano un pezzo di metallo stranamente leggero e la bocca un po' aperta a finir di dire "...che robaaaa."
    C'è anche una foto del pilota, stecchito come un gatto morto.
    Se era un maschio o una femmina né  lui né Antonio l'avevano capito e togliere i calzoni ad un alieno oltre che inutile era parso irrispettoso.
    L'avevano seppellito e Padre Antonio aveva meditato per una mezz'oretta.
    – Dai.  – Gli aveva detto.
    – Ma siamo noi ad essere stati creati a immagine...
    – Piantala.  È morto, no?  Che ti costa?
    Aveva dovuto decidere lui, un prete  di campagna, senza nessun concilio e nessun aiuto.
    Con l'olio santo l'aveva assolto di chissà quali peccati.
    – È buffo, no?  Sembra un micio.
    – Sono gli occhi.  Ha gli occhi un po' storti.
    Avevano lavorato come due facchini per seppellire lui o lei e per far sparire la nave.  La terra era sua, un bricco irraggiungiubile  stretto tra due  dorsi di monte, umido e sempre all'ombra.
    Avevano portato via il coso che continuava ad accendersi e spegnersi.
    Don Antonio non  aveva più detto una parola mentre  tornavano al paese: guardava l'alba come un esiliato.
                                                                  
    – È una specie di scatola nera.
    – Forse serve a segnalare il naufragio.
    – Comunque dev'essere importante.
   
    Non  ha più  molto da  campare.   Al massimo  può  rimettere il  coso dove  l'ha trovato.
    Se i colleghi del pilota rivogliono il coso, comunque, devono venire da lui.
    E lui li ha aspettati tanto, sarebbe contento di incontrarli.



9 commenti:

gelostellato ha detto...

carino, ma essere trombati alla delos non è un demerito ;)
comunque la gente ama il bum bum crash tud,
e quelli dei concorsi amano la gente, e quindi... :)

cily ha detto...

Ciao Massimo!
Molto carino questo racconto!
Incredibile, somiglia vagamente ad un racconto breve che avevo scritto anche io per un concorso e che è stato rifiutato.
Ma credo che sia perchè certa fantascienza non piace.
Come dice Gelo...se non ci sono spade laser, astronavi con missili rotanti e alieni rapitori alla X-files non si va da nessuna parte.
Però a me è piaciuto parecchio :)

Non fa niente che dall'inizio dell'anno tu abbia postato lamentele, racconti e musica...a me piacciono comunque i tuoi post! ;)

Cily

Anonimo ha detto...

Che bello!
Di una fantascienza molto "domestica"...mi è piaciuto.

Momi

Massimo Citi ha detto...

@gelostellato: bello il «bum bum crash tud». Io penso, però, che sia la paura dei supposti gusti medi a fare danni. Se pensi che il gusto medio, ovvero statisticamente parlando la «moda», sia quella del «bbct» allora premierai soltanto i testi più ovvi e banali. Il risultato dopo qualche anno sarà quello di perdere i migliori lettori e stufare i lettori di bocca buona. Non è escluso che sia questo a contribuire alla crisi della sf. Con tutto ciò non mi sogno affatto di dire che il mio racconto sia il modello di chissaché. Semplicemente sottolineavo il «gusto medio» che domina certi concorsi e certi editori.
@cily: mi fa davvero piacere. Sono stanco e quietamente disperato per la situazione attuale e pubblicare vecchi racconti è un modo per sopravvivere. Per fortuna non è un'operazione (troppo) patetica : )

Massimo Citi ha detto...

@momi: che bello trovarti qui! Incredibile, comnunque, aver ripescato una cosa che non avevi ancora letto... Un enorme abbraccio!

consolata ha detto...

Grazie Max!

Lucrezia Simmons ha detto...

L'ho letto questa mattina, in silenzio.
La tua scrittura ha un potere evocativo. I racconto è breve, ma in un attimo ero al tavolino accanto e sentivo parlare i due personaggi.
Quello che mi affascina della tua scrittura (elemento che anche leggendo IN CONTROTEMPO avevo notato) è che si tratta di figure socialmente semplici, persone quiete per lo più a cui accadono eventi straordinari.
Ormai siamo abituati a vedere gli alieni in contesti tecnologico-fantascientifici con scienziati e militari per lo più.
Ma questo racconto è talmente delicato e mi piace perchè racconta un microimpatto alieno sulla vita di un uomo non strombazzato che non tenta di interpretare o reagire.
Bello.

Massimo Citi ha detto...

@lady simmons: grazie. Scatola nera è uno dei miei racconti preferiti. Lo so, fa ridere, ma anche chi scrive ha qualche racconto preferito tra tutti. «Delicato» è un termine perfetto per descriverlo e mi piace pensare che ciò che non ho scritto è comunque presente e si avverte. In generale, comunque, come i miei personaggi cerco di non stupirmi di nulla. O di stupirmi, delicatamente, di tutto.

Massimo Citi ha detto...

@consolata: ciao bellissima. Mi fa molto piacere ritrovarti qui.