14.1.12

Parlando e scrivendo


Sostanzialmente provocato da due post apparsi qui e qui, opera, rispettivamente di Davide Mana e di Alessandro Girola, sento il dovere - in quanto autore, editore, libraio, recensore ecc. ecc. - di provare a portare il mio piccolo tizzo al fuoco che allegramente divampa. 
Cominciamo col dire che, in quanto impubblicato o giù di lì, non ho minimamente il diritto di intervenire sul tema della scrittura o dello scrivere. 
Mi mancano le basi, direbbero alla Holden.
Scrivo fantastico e non sono Murakami Haruki.
Non ho un editor. 
E non ho un editore, esclusa la libreria dove lavoro che gentilmente mi ha pubblicato una piccola antologia e qualche altra cosuccia nei vari ALIA. La libreria non ci ha perso denaro (buon per me), ma non sono diventato famoso e importante. E, sinceramente parlando, l'unico contributo al bilancio familiare me l'ha dato il premio Omelas e qualche altra piccola collaborazione a letture e concorsi. 
Insomma, se esiste un livello B (o C o P o Z) nel mondo degli scrittori direi che posso tranquillamente ambirvi. 
Perché mai non ho fatto i soldi? Non sono diventato ricco? Non...
Per alcuni motivi sui quali non ho mai riflettuto serenamente. 
Il primo dei quali, probabilmente, è la sostanziale irrilevanza della mia produzione su un piano nazionale, storico, epocale. 
Un'irrilevanza che qualche concorso al quale ho partecipato si è ben peritato di sottolineare. 
Pazienza. 
Sono cose che fanno male, ma poi passano. 
Ma dal momento che ciò che nasce dal mio cervello non è probabilmente del tutto inutile mi chiedo che cosa mai non  funziona e cosa dovrei fare per riuscire non tanto a pubblicare (già fatto) ma a sopravvivere onestamente con 3-4.000 lettori che una volta l'anno vanno in libreria o si collegano con Amazon, IBS ecc. e si comprano il mio libro.
«Perché scrivi storie dementi e fuori moda».
Ecco il mio amato SuperIo. 
Già. La sf non tira nemmeno un po'. Scriverne in Italia è un po' come ostinarsi a parlare in arabo a Ponte Chiasso. Ben che vada ti guardano come un poveretto. 
Scrivi sf e sei già fuori dai circoli che contano. Ti guardano come un panda cremisi. Un'assurdità del tutto transeunte. Come tale irrilevante. 
In ogni caso, anche nell'ambiente fantascientifico, ho incontrato una quantità di soggetti decisamente curiosi. I fissati di concorsi che non se ne perdono nemmeno uno, i delusi che generalmente si reincarnano in lettori per i concorsi in questione, i bonzi e i vicebonzi che hanno collaborato, hanno rivisto, hanno curato, hanno tradotto, hanno intervistato, i fissati di qualche autore, serie televisiva, film o videogioco che non sanno parlare d'altro.  Una cena tra «appassionati» è in genere un felice troguolo di maldicenze, pettegolezzi, perfidie e dileggi. Il gruppo A parla malissimo del gruppo B, del gruppo C, di XQ, di JG, di YK, compatisce il povero BH che ormai lo sanno tutti «è un povero coglione» e ride di XD che, lo sanno tutti, «riscrive lo stesso libro da vent'anni». 
Se ci finite da novellini avete due possibilità:
1) aderite più o meno entusiasticamente al clima, unica possibilità per essere invitati nuovamente.
2) sorridete moderatamente e non parlate. Ovviamente sarete scaricati e probabilmente giudicati «uno chesselatira».
Non esiste, curiosamente, la possibilità di parlare di scrittura, testi, soluzioni stilistiche, forme della scrittura e prospettive del genere. Se provate a farlo sarete a maggior ragione ritenuti «uno chesselatira».
Al di fuori dell'ambiente sf, ovvero nel mondo mainstream il clima non è purtroppo diverso. Ho qualche esperienza in proposito che non ci tengo minimamente a replicare. 
Conosco diversi allievi della Scuola Holden, con cui la libreria è convenzionata e sentire i loro discorsi è in grado di suscitare in me una violenta reazione allergica . 
Il guaio è che un clima del genere non è esclusivamente italiano. Scrivere, oltre a tutti i difetti, ha anche quello di rischiare di rendervi dei fuori di testa, paranoici, pettegoli e livorosi come una zitella o uno zitello che passano il tempo ad auscultare la parete del vicino. 
Bah.
Immagino che almeno in parte il mio scarso successo sia dovuto ai miei atteggiamenti. 
Che infatti vengono in genere considerati come quelli di uno che...
Bravi, avete capito. 
Temo che la stessa cosa si possa dire per le nostre edizioni. 
Libri chesselatirano
O per la libreria. 
Una libreria di gente chesselatira.
R.I.P.
In ogni caso, se qualcuno volesse mai tirarmi in una discussione sulla scrittura comunque sono pronto. 
In fondo mi capita così raramente...


5 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Mmmmhhh! Con questo il tuo è il terzo post che leggo oggi del genere, mi sta venendo voglia di dire anche io la mia in questi giorni. Però in definitiva io credo una cosa: si è instaurato nel nostro paese un circolo chiuso in cui,in definitiva, sono sempre le stesse persone ad occupare gli stessi posti: lettore, curatore, editore, giurato, concorrente, antologista, scrittore.
Non c'è ricambio.
E alla fine quando circola sempre la stessa aria viziata sappiamo tutti cosa succede.
Esatto! Si muore per asfissia. :(

Lucrezia Simmons ha detto...

Concordo con quanto affermato da Nick, Anni fa, parlando di alcuni miei scritti con un editore mi disse: "gli scritti sono buoni,ma devi scrivere più roba vendibile mia cara. Devi scrivere quello che la gente vuole leggere per essere pubblicata. Se mi porti qualcosa del genere te la pubblico subito".

Ebbene, anche questa è la risposta, oltre ai circoli chiusi che in Italia sono un must in qualsiasi campo professionale.

Per pubblicare bisogna vendere.
E per vendere bisogna incarnare il gusto del pubblico.

Twilight insegna. Spremere il filone, poi si passa avanti al prossimo.

Ovviamente in questa produzione industriale di mediocrità stilistica e tematica, la scrittura e i plot di qualità vanno a farsi fottere, o restano appannaggio dei panda cremisi, che se sono fortunati e ci provano riescono ad emergere da un concorso o da un blog serio.

Massimo Citi ha detto...

@nick: temo che sia proprio così. Ciò che mi incuriosisce è se anche all'estero, in Francia, Germania, USA o Gran Bretagna funziona così. I racconti di autori respinti non mancano anche lì. C'è stato persino il caso di un'autrice alla quale hanno respinto un romanzo già pubblicato ma presentato con un nome diverso... L'aria viziata credo nasca - marxisticamente - dalla classe sociale alla quale appartengono. Per lo meno qui a Torino è così.
@lady simmons: Scusa per il cambio di post: va bene per il libro. Non appena c'è ti avviso.
Il problema grosso, per gli autori che vorrebbero esordire come per l'editoria in generale, è che noi lettori siamo abituati a pensare che ciò che ci viene proposto sia il meglio possibile. E se non siamo soddisfatti pensiamo che in quale modo dev'essere colpa nostra. Anche i «soddisfatti» generalmente si contentano di ciò che trovano e son convinti di essere stati saziati. L'editoria cambia profondamente soltanto quando cambia la fase storica (come è stato per il dopoguerra). Poi ricominciano a crescere i funghi e i bonzi.

SteamDave ha detto...

È anche un problema di dimensioni della gabbia (o dell'acquario, a seconda delle vostre inclinazioni).
Quando Interzone rifiutò un mio racconto, l'editor (al quale era piaciuto) si premurò di segnalarmi altre due riviste che sarebbero porbabilmente state interessate alla mia storia.
Oltre a dare una forte impressione di assenza di cricche (te lo vedi l'editor di Urania che mi dice "bello, a noi non interessa, prova a mandarlo a..."), c'è il fatto che il mercato è abbastanza ampio da accomodare molti diversi stili, approcci e possibilità ("... a chi?")
E fin qui ho parlato di UK.
In america la cosa è ancora più ampia, e comunque in America la mia storia, se ci credo davvero, la mando al mio agente, non alla rivista o all'editore.
Posso "mirarla", dire all'agente "Ho scritto una storia che potrebbe andare su Asimov's..." piuttosto che su Analog, o su F&SF...
E poi ci sono tali e tante piccole piccole riviste, che quelle le posso martellare personalmente, e uno sbocco lo trovo.
Immagino che Max Soumaré possa dire cose simili del Giappone.
A me risultano situazioni simili in Francia e, pensate un po', in Polonia.
È un mondo diverso.

Massimo Citi ha detto...

Indiscutibilmente. L'attenzione degli editori stranieri nei confronti di nuovi autori e di nuove possibilità è incomparabile con quella italiana. Si ha la sensazione che l'autore inconsapevole venga scelto prima di tutto sulla base della sua disponibilità a entrare in una conventicola piuttosto che sulla base delle sue capacità. È perché siamo un popolo di chierici - ovvero di cortigiani? Possibile, certo, anche se ho la sensazione che sotto ci sia un problema di insufficienza di giro. Giro di denaro, ovviamente. L'editoria italiana in questo momento è una nave alla deriva, al buio e senza una direzione. I topi di bordo sgavazzano senza pudore ma sanno anche loro che la situazione non durerà a lungo. Il gruppo Mondadori e il gruppo Rizzoli sono alla canna del gas e per il momento vivono di contratti già firmati e di esordienti più o meno disperati. Non penso che l'editoria industriale italiana sopravviverò a lungo. Dopo di ché si potrà cominciare a ragionare davvero sullo stato dell'editoria.