È un piccolo vizio, un'abitudine della quale non riesco a liberarmi.
Dopo un certo numero di post sui temi più vari e generalmente legati all'attualità una luce dentro di me si accende e una voce dichiara: «Dovresti parlare di libri. Di commercio di libri. Dei libri come sono e come saranno e come non possono essere. Sei un libraio. Devi farlo»
Per qualche giorno riesco a far finta di niente ma alla fine cedo e mi siedo alla scrivania a scribacchiare qualcosa, già stramaledicendo il mio dannato superIo che mi obbliga a mettere in fila problemi, prospettive e difficoltà e a tirare conclusioni non proprio felici.
Ma la situazione, in definitiva, com'è?
Quasi tutti i giorni mi arrivano e-mail dal gruppo liberilibrai, risolutamente schierato a favore della necessità di fissare anche in Italia un livello massimo di sconto non superiore al 5%, sul modello della legge francese, imponendo tale livello di sconto anche alla GDO e alle catene di librerie. Sacrosanto, secondo me.
Evitiamo, per favore, la consueta lamentazione sui diritti dei consumatori. I consumatori - i questo caso i lettori - sono una categoria sufficientemente avvertita da comprendere perfettamente quando un prezzo è frutto di un mero calcolo speculativo piuttosto che di stringenti necessità di mercato.
Insomma, mi riservo la possibilità di mostrarvi che cosa intendo.
Ma tra un po'.
Adesso proseguiamo con una riflessione sulla situazione.
In altri post precedenti ho spiegato la composizione del prezzo di un libro. Qui e qui tanto per fare un paio di esempi, ma, anche se come avrete ormai capito, non sarà difficile trovare altri accenni al tema con una cadenza praticamente mensile nel mio blog. Ho una coscienza, appunto.
Data una composizione del prezzo che prevede uno sconto intorno al 30% per il libraio, un 15%-20% per il distributore, un 5% più o meno per la società di promozione e il restante per l'editore, proviamo a immaginare che con una buona economia di scala e con acquisti condotti da un unico acquirente per un centinaio o giù di lì di medi e grandi punti vendita si possa giungere a eliminare sostanzialmente la quota del promotore e a spuntare sovrasconti nettamente superiori per il propri acquisti. Ammettiamo che in questo modo il nostro buyer arrivi a spuntare uno sconto medio del 38-40%. Da notare che si tratta di una valutazione prudenziale, nulla, infatti, impedisce di pensare a un 45% di sconto di base, tanto più tenendo conto che gli acquisti di una catena di librerie di queste dimensioni possono realmente decidere la tiratura, l'economicità o addirittura le nascita di un libro.
In sostanza la vostra catena di librerie può viaggiare con uno sconto medio nettamente più elevato di quello di una semplice libreria indipendente.
Bisogna essere particolarmente crudeli per immaginare che la direzione di questa catena non approfitti della situazione di mercato? Che non batta ferocemente sullo sconto fino ad eliminare il piccolo concorrente?
E anche, particolare un po' meno ovvio, che il personale - precario quanto un telefonatore per conto Vodafone - non sia esattamente al centro delle loro preoccupazioni? In fondo con uno sconto medio concesso tanto elevato qualcuno si preoccuperà davvero che i commessi confondano l'Imperatore Bonaparte con l'antropologa Marie Bonaparte? O che ricerchino - come è capitato a uno scrittore mio amico - la Guida galattica per autostoppisti nella sezione «Viaggi e tempo libero»?
Esiste una funzione dell'essere libraio, non troppo nota e non abbastanza sottolineata, che è quella di essere un animatore culturale. Certo non è una cosa da tutti e che per molti librai è una semplice sinecura, concependo spesso il proprio ruolo come quello di chi «riceve i rappresentanti» e «sta alla cassa», ma che ha un'importanza considerevole. Soprattutto in provincia. E nel contatto con i bambini. Esistono, pare incredibile ma è così, librai che intervengono nelle scuole e che aiutano a sviluppare l'interesse per la lettura in piccoletti dai 6 ai 15 anni.
Come certi leggendari maestri.
Detto da uno che, causa una patologica timidezza, deve farsi forza per organizzare poche cose...
No, questo non è un mestiere che si possa improvvisare recuperando ex-fattorini di pizzerie da asporto o aspiranti parrucchiere in attesa di lavoro, con tutto il possibile rispetto e considerazione per queste categorie di persone.
In sostanza la prevalenza di librerie di catena - e la diffusione di libri venduti al supermercato - è un problema, non così piccolo come potrebbe sembrare.
La libreria di zona o di quartiere è un punto d'incontro per lettori, scrittori o aspiranti tali, docenti di ogni ordine e grado, artisti, musicisti, fotografi, disegnatori, appassionati di qualche particolare genere letterario e generici amanti della lettura.
Persino di pensionati che passano qualche tempo in compagnia di libri che non si possono permettere.
Già, il prezzo.
Poi ci torniamo.
Il concetto fondamentale, che non mi stancherò di ripetere, è che un limite allo sconto praticato dai grandi punti vendita permette alle librerie indipendenti di sopravvivere (quelle che se lo meritano, ovviamente) imponendo alle librerie di catena la necessità di competere sul servizio.
Non solo.
Permette ai piccoli e medi editori di sopravvivere, evitando di scomparire tra i best-seller strapromossi nelle librerie di catena.
In sostanza si tratta di uno di quei principi regolatori del capitalismo che i nostri liberali all'amatriciana non hanno ben compreso. O che, evidentemente, non voglio capire.
E, last but not least, la diminuzione dello sconto impone un calmiere sui prezzi di copertina dei libri.
Ritorniamo sul prezzo, insomma.
Prendete un libro uscito di recente. Indignatevi di Stéphane Hessel, pubblicato in Francia da Indigéne editions a 3,00 euro e in Italia da ADD editore a 5,00 euro.
Sul momento ho pensato che la differenza di prezzo fosse dovuta al costo della traduzione. E al costo per i diritti per la traduzione. Poi mi sono venute in mente due cose.
1) in genere il prezzo di una traduzione viene pagato in un'unica soluzione incidendo soltanto sulla prima tiratura. In questo caso, poi, essendo il libro di circa una sessantina di pagine scritte in un francese corrente, la sua traduzione non ha costituito certo una parte notevole del su0 costo
2) stesso discorso può essere fatto sul pagamento dei diritti, anche qui in genere versati in un'unica soluzione e con un prezzo che pesa sulla prima tiratura. Dopo di ché è ovviamente possibile che tale contributo sia stato calcolato in percentuale sulla tiratura, ma si tratta di una soluzione meno usata - fidarsi dei dati forniti dall'editore straniero? - e che comunque non pesa in maniera tale da moltiplicare il prezzo di copertina di un 66%. Già, perché al di là della cifra bassa di partenza, il libro di monsieur Hessel costa un 66% più dell'edizione originale. Come dire che se - putacaso - il libro in Francia fosse stato di 200 pagine e fosse costato 15 euro, in Italia sarebbe costato 24,9 euro...
Semplice avidità di mr. Dalai, proprietario dell'ex-Baldini & Castoldi e creatore di ADD editore?
No.
Il problema è diverso.
Se il libro deve essere offerto a supermercati e librerie di catena con un sconto del 40-45% è del tutto evidente che sarà preferibile partire da 5,00 euro, piuttosto che da 4,00 euro, un prezzo in realtà più ragionevole in considerazione della traduzione e dei diritti.
In sostanza, il prezzo del libro è nato dalla necessità di creare una «zona grigia» nel prezzo che permetta di operare riduzioni senza rimetterci...
Provate ad applicare a tutti i libri in uscita lo stesso meccanismo.
Ne deriva che lo sconto del 15-20-30% è in realtà pura fuffa. Un modo per bidonare i felici lettori, contenti come pasque di avere uno sconto in realtà inesistente. Un po' come il meccanismo - tipico dei mercati di zona - di vendere a 2 euro le mese con un cartello «soltanto oggi sconto del 50% sulle mele!».
E peggio per i venditori che vendono le proprie mele a 1 euro e basta, senza sconto.
Lo sconto piace, non c'è dubbio, ma forse è il caso di cominciare a capire quando ci prendono in giro...
«Ma adesso ci sono i libri elettronici! I kindle della Amazon! I Nook di Barnes & Noble! Libertà per tutti, prezzi bassi per tutti!».
Beh, sull'argomento è il caso di ritornarci e non mancherò.
Per il momento di limito a ricordare qui alcune (forti) perplessità sulla proprietà e sul diritto d'uso dell'e-book di Richard Stallmann, padre di GNU e della Free Software Foundation.
Volete cedere i vostri diritti per quattro lire di sconto?
Mah...
Evitiamo, per favore, la consueta lamentazione sui diritti dei consumatori. I consumatori - i questo caso i lettori - sono una categoria sufficientemente avvertita da comprendere perfettamente quando un prezzo è frutto di un mero calcolo speculativo piuttosto che di stringenti necessità di mercato.
Insomma, mi riservo la possibilità di mostrarvi che cosa intendo.
Ma tra un po'.
Adesso proseguiamo con una riflessione sulla situazione.
In altri post precedenti ho spiegato la composizione del prezzo di un libro. Qui e qui tanto per fare un paio di esempi, ma, anche se come avrete ormai capito, non sarà difficile trovare altri accenni al tema con una cadenza praticamente mensile nel mio blog. Ho una coscienza, appunto.
Data una composizione del prezzo che prevede uno sconto intorno al 30% per il libraio, un 15%-20% per il distributore, un 5% più o meno per la società di promozione e il restante per l'editore, proviamo a immaginare che con una buona economia di scala e con acquisti condotti da un unico acquirente per un centinaio o giù di lì di medi e grandi punti vendita si possa giungere a eliminare sostanzialmente la quota del promotore e a spuntare sovrasconti nettamente superiori per il propri acquisti. Ammettiamo che in questo modo il nostro buyer arrivi a spuntare uno sconto medio del 38-40%. Da notare che si tratta di una valutazione prudenziale, nulla, infatti, impedisce di pensare a un 45% di sconto di base, tanto più tenendo conto che gli acquisti di una catena di librerie di queste dimensioni possono realmente decidere la tiratura, l'economicità o addirittura le nascita di un libro.
In sostanza la vostra catena di librerie può viaggiare con uno sconto medio nettamente più elevato di quello di una semplice libreria indipendente.
Bisogna essere particolarmente crudeli per immaginare che la direzione di questa catena non approfitti della situazione di mercato? Che non batta ferocemente sullo sconto fino ad eliminare il piccolo concorrente?
E anche, particolare un po' meno ovvio, che il personale - precario quanto un telefonatore per conto Vodafone - non sia esattamente al centro delle loro preoccupazioni? In fondo con uno sconto medio concesso tanto elevato qualcuno si preoccuperà davvero che i commessi confondano l'Imperatore Bonaparte con l'antropologa Marie Bonaparte? O che ricerchino - come è capitato a uno scrittore mio amico - la Guida galattica per autostoppisti nella sezione «Viaggi e tempo libero»?
Esiste una funzione dell'essere libraio, non troppo nota e non abbastanza sottolineata, che è quella di essere un animatore culturale. Certo non è una cosa da tutti e che per molti librai è una semplice sinecura, concependo spesso il proprio ruolo come quello di chi «riceve i rappresentanti» e «sta alla cassa», ma che ha un'importanza considerevole. Soprattutto in provincia. E nel contatto con i bambini. Esistono, pare incredibile ma è così, librai che intervengono nelle scuole e che aiutano a sviluppare l'interesse per la lettura in piccoletti dai 6 ai 15 anni.
Come certi leggendari maestri.
Detto da uno che, causa una patologica timidezza, deve farsi forza per organizzare poche cose...
No, questo non è un mestiere che si possa improvvisare recuperando ex-fattorini di pizzerie da asporto o aspiranti parrucchiere in attesa di lavoro, con tutto il possibile rispetto e considerazione per queste categorie di persone.
In sostanza la prevalenza di librerie di catena - e la diffusione di libri venduti al supermercato - è un problema, non così piccolo come potrebbe sembrare.
La libreria di zona o di quartiere è un punto d'incontro per lettori, scrittori o aspiranti tali, docenti di ogni ordine e grado, artisti, musicisti, fotografi, disegnatori, appassionati di qualche particolare genere letterario e generici amanti della lettura.
Persino di pensionati che passano qualche tempo in compagnia di libri che non si possono permettere.
Già, il prezzo.
Poi ci torniamo.
Il concetto fondamentale, che non mi stancherò di ripetere, è che un limite allo sconto praticato dai grandi punti vendita permette alle librerie indipendenti di sopravvivere (quelle che se lo meritano, ovviamente) imponendo alle librerie di catena la necessità di competere sul servizio.
Non solo.
Permette ai piccoli e medi editori di sopravvivere, evitando di scomparire tra i best-seller strapromossi nelle librerie di catena.
In sostanza si tratta di uno di quei principi regolatori del capitalismo che i nostri liberali all'amatriciana non hanno ben compreso. O che, evidentemente, non voglio capire.
E, last but not least, la diminuzione dello sconto impone un calmiere sui prezzi di copertina dei libri.
Ritorniamo sul prezzo, insomma.
Prendete un libro uscito di recente. Indignatevi di Stéphane Hessel, pubblicato in Francia da Indigéne editions a 3,00 euro e in Italia da ADD editore a 5,00 euro.
Sul momento ho pensato che la differenza di prezzo fosse dovuta al costo della traduzione. E al costo per i diritti per la traduzione. Poi mi sono venute in mente due cose.
1) in genere il prezzo di una traduzione viene pagato in un'unica soluzione incidendo soltanto sulla prima tiratura. In questo caso, poi, essendo il libro di circa una sessantina di pagine scritte in un francese corrente, la sua traduzione non ha costituito certo una parte notevole del su0 costo
2) stesso discorso può essere fatto sul pagamento dei diritti, anche qui in genere versati in un'unica soluzione e con un prezzo che pesa sulla prima tiratura. Dopo di ché è ovviamente possibile che tale contributo sia stato calcolato in percentuale sulla tiratura, ma si tratta di una soluzione meno usata - fidarsi dei dati forniti dall'editore straniero? - e che comunque non pesa in maniera tale da moltiplicare il prezzo di copertina di un 66%. Già, perché al di là della cifra bassa di partenza, il libro di monsieur Hessel costa un 66% più dell'edizione originale. Come dire che se - putacaso - il libro in Francia fosse stato di 200 pagine e fosse costato 15 euro, in Italia sarebbe costato 24,9 euro...
Semplice avidità di mr. Dalai, proprietario dell'ex-Baldini & Castoldi e creatore di ADD editore?
No.
Il problema è diverso.
Se il libro deve essere offerto a supermercati e librerie di catena con un sconto del 40-45% è del tutto evidente che sarà preferibile partire da 5,00 euro, piuttosto che da 4,00 euro, un prezzo in realtà più ragionevole in considerazione della traduzione e dei diritti.
In sostanza, il prezzo del libro è nato dalla necessità di creare una «zona grigia» nel prezzo che permetta di operare riduzioni senza rimetterci...
Provate ad applicare a tutti i libri in uscita lo stesso meccanismo.
Ne deriva che lo sconto del 15-20-30% è in realtà pura fuffa. Un modo per bidonare i felici lettori, contenti come pasque di avere uno sconto in realtà inesistente. Un po' come il meccanismo - tipico dei mercati di zona - di vendere a 2 euro le mese con un cartello «soltanto oggi sconto del 50% sulle mele!».
E peggio per i venditori che vendono le proprie mele a 1 euro e basta, senza sconto.
Lo sconto piace, non c'è dubbio, ma forse è il caso di cominciare a capire quando ci prendono in giro...
«Ma adesso ci sono i libri elettronici! I kindle della Amazon! I Nook di Barnes & Noble! Libertà per tutti, prezzi bassi per tutti!».
Beh, sull'argomento è il caso di ritornarci e non mancherò.
Per il momento di limito a ricordare qui alcune (forti) perplessità sulla proprietà e sul diritto d'uso dell'e-book di Richard Stallmann, padre di GNU e della Free Software Foundation.
Volete cedere i vostri diritti per quattro lire di sconto?
Mah...
2 commenti:
Discorso molto interessante.
Insomma, si potrebbero abbassare i prezzi in generale all'origine, invece di fare sconti dementi su pochi titoli dai prezzi alti...
Perché non lo facciamo?
Ah, già...
Ma la domanda a questo punto è - che potere contrattuale hanno, i liberi librai?
O, se preferisci, quante probabilità esistano che la spinta verso il 5% fisso arrivi da qualche parte?
E cosa potrebbe fare il lettore medio, per contribuire?
[e, completamente OT, grazie per il banner lemuriano]
Premetto che io non faccio parte dei liberilibrai. Non è snobismo, ma semplicemente una certa difficoltà a calarmi fino in fondo nei problemi di una categoria che, bene o male, dipende ancora largamente dalla vendita di scolastici e che ha problemi e necessità che, ahimé, non sono le mie. Con tutto ciò mi tengo informato sulle attività del gruppo e sostengo, per ciò che posso, le loro attività.
Siceramente penso che le possibilità dei LL di avere una legge sul libro decente sono molto vicine a zero. Se alla normale resistenza degli oligopoli aggiungiamo ancora la stupidità un po' becera delle associazioni di difesa dei consumatori (e il consumatore, poverino?) ne hai che le possibilità di arrivare a una legge sono scarsissime. Ma non è comunque il caso di lasciar perdere tutto. E in ogni caso non mi dispiace far notare che noialtri librivendoli non siamo poi così stupidi.
I lettori...
Credo che i lettori possano fare moltissimo. Chiedere, pretendere, cercare, esigere, protestare, fare tutto ciò che è necessario, in sostanza, per far capire che il lettore medio non è un caprone/crapone facile da accontentare con l'ultimo best-seller sintetico.
Lo so, è meglio - e più economico e più ragionevole - leggere direttamente in lingua, ma sarebbe bello che i lettori italiani non perdessero definitivamente le speranze. In fondo chi l'avrebbe detto qualche settimana fa che avremmo avuto un sindaco di Milano di Democrazia Proletaria?
:) :) :) :) :)
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