È uno strano autunno tiepido.
Un ottobre afoso come un settembre povero e stinto.
Mi manca il freddo, quello che taglia e sorprende quando esci da casa. Immagino si tratti di un risultato dell'effetto serra. O forse no, non in particolare, non in questo caso. La sovrapproduzione antropica di gas di serra ci sta portando via il piacere di parlare del tempo.
Da più giovane mi sembrava molto sciocco dedicare tempo a scambiarsi opinioni sul tempo metereologico. Ero rigido, materialista dialettico, acuto e polemico. Mi sembrava una perdita di tempo, un modo banale di fingere reciproco interesse. Adesso che, se non altro, non sono più rigido (acuto probabilmente non lo sono stato mai), adesso che sono giunto alla convinzione che parlare del tempo sia un modo pudìco e delicato di incontrarsi, riflettere su qualcosa che ci unisce, di una realtà comunque più vasta delle nostre brevi vite, l'effetto serra mi obbliga (ci obbliga) a meditare sulla miseria della nostra presenza su questo pianeta, del breve arco di tempo che occupiamo (poste ventiquattro ore l'età delle terra, un solo secondo).
Galleggiando nell'umidità di un ottobre bastardo se esco di casa in questi giorni posso incontrare (e incontrare, e incontrare, e incontrare ancora...) i visitatori del Salone del Gusto (abito a Torino, a cento metri dal Lingotto).
Gente seriamente decisa a divertirsi, a soddisfare almeno uno dei sensi, a illudersi di assaggiare a scrocco dopo aver pagato il biglietto, come bambini a una festa per "grandi".
"Seriamente decisa a divertirsi". Si chiama ossimoro, credo. Il divertirsi come obbligo - ma anche come necessità - è un compito molto pesante. Personalmente lo considero un incubo. Ho già dato. Adesso mi diverto soltanto se capita, quando capita.
Non sono un puritano (tutt'altro) né un millenarista ritardatario. Soltanto mi immalinconisce questa volontà di divertirsi persino aggressiva e un po' ribalda. Un capriccio tirato troppo a lungo.
Non parliamo più del tempo, o se ne parliamo sappiamo che l'ombra dell'effetto serra rende patetica qualsiasi conclusione in proposito. Litighiamo ferocemente per un parcheggio libero fuori dal recinto del Lingotto, solo per risparmiare pochi euro. Vedi facce distorte dalla rabbia, pronte a sparare subito gli insulti peggiori, salvo poi ripeterli come dischi scheggiati perchè non c'è più spazio per il crescendo e il climax. Il sintomo di un'infelicità che non si vuole ammettere. Forse anche giustamente. Ma la festa è finita da tempo e sarebbe ora di togliere le tende. Di tornare alla normalità.
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